Pietro dei colori
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Anteprima del libro
Pietro dei colori - Normanna Albertini
edizioni
copyright
© Tra le righe libri
Marzo 2020
Andrea Giannasi editore – Lucca
ISBN 9788832281286
www.tralerighelibri.it
Introduzione
Di lui non si sa nulla. C’era soltanto la sua firma sul trittico di Rocca di Soraggio: Et pictus fuit p. me Petrus de Talata
, nient’altro. Anche quella firma, in seguito, è andata persa.
Che poi Talata
debba corrispondere a Talada
, piccola borgata della montagna reggiana, è solamente una supposizione, o forse una deduzione, vista la relativa vicinanza delle due località e il loro essere appartenute al Ducato Estense. Niente ci assicura che sia davvero così.
Si tratta di luoghi in qualche modo rimasti arcaici, immersi nei boschi, uniti da strade tortuose, comunque disagevoli pure oggi, nonostante l’asfalto, soprattutto con il ghiaccio e la neve dei lunghi inverni.
Luoghi accomunati dalla passione degli abitanti per le leggende, le strane apparizioni di fate, folletti, diavoli, streghi e streghe, serpenti alati, uomini e donne – mediconi - capaci di curare con le parole, le preghiere, le segnature e misteriosi intrugli di erbe.
Luoghi un tempo abitati da popoli veneranti divinità in buona parte muliebri, come si riscontra nella vicina Lunigiana, dove i ritrovamenti delle statuette di antiche dee madri la confermano come terra mistica, consacrata a divinità femminili. Divinità legate alla luna e al suo culto.
Le madonne di Pietro hanno tutte volti lunari e tutte ricordano, in qualche maniera, le antiche raffigurazioni della dea Iside con il sacro figlio Horus in braccio.
Di Pietro non si sa nulla; per lui parlano le sue opere: Il trittico di Borsigliana Madonna col Bambino tra i Santi Prospero e Nicola
, noto nella storia dell’arte toscana anche per un furto e un tentativo di esportazione illegale; Madonna col Bambino
, oggi a Lucca, nel museo nazionale di Villa Guinigi, proveniente dalla chiesa di Rocca di Soraggio; Madonna col Bambino
della chiesa di Santa Maria di Capraia di Pieve Fosciana, dove Maria insegna a leggere a Gesù tenendo in mano un libro aperto sulla pagina del Magnificat, mentre il bambino unisce vocali e consonanti su una tavoletta di legno; Madonna col Bambino tra i santi Lorenzo e Giovanni Battista
nel santuario della Madonna del Soccorso, Corfino di Villa Collemandina; Madonna Assunta
, nella chiesa di Santa Maria Assunta di Stazzema (Lucca), uno pseudotrittico che si può ammirare sulla parete sinistra dell’altare maggiore, l’opera pittorica più importante della Versilia; San Giovanni Battista
, facente parte del trittico di Soraggio, acquisito dal museo nazionale di Lucca; I quattro santi
di Vitoio Camporgiano, resti di un polittico, rifilati ai margini e ricomposti in un’ancona lignea ai lati di una madonna cinquecentesca; Madonna col Bambino
appartenente ad una collezione privata a Firenze.
Di lui non si sa niente, perciò ho voluto raccontare la sua storia, quella che non sapevo di avere dentro e che si è manifestata, chiara, di fronte ai suoi quadri, mentre scrutavo i volti melanconici delle sue madonne adolescenti. Una storia di donne, quelle che Pietro incontra nel suo peregrinare, quasi un giallo, un noir ambientato sul crinale tosco emiliano e in altre città toscane nel 1460. Una storia di violenze, guerre, soprusi, peste, di briganti e contrabbandieri, di pastori, santi eremiti, monaci cartografi, libri prodigiosi; una storia di artisti, di mecenati e di quell’arte che ha fatto grande l’Italia.
Ho voluto bene a Pietro e ho amato le sue donne, dalla brigantessa Peruzza alle giovani Lucrezia Fina e Orsola, all’inquietante ostessa dai capelli rossi. Mi hanno accompagnata nelle loro esistenze, mi hanno raccontato le loro storie perché io potessi raccontarle a tutti.
Di Pietro non si sapeva niente. Ora esiste. Almeno nel mio narrare.
In fondo, scrivere, come tessere, ricamare, disegnare, dipingere, è un atto profondamente generativo. È dare vita.
E la luna ne è la Dea.
Normanna Albertini
Prefazione di Dalmazia Notari
Dirò subito che la mia non è una presentazione da critico letterario, né da critico d’arte (non è il mio campo), non è una presentazione dotta
; è solo quella di una lettrice, appassionata di storia delle donne e di storie di donne; anche la presentazione di una persona nata e cresciuta in questi posti e che ha fatto in tempo a vedere gli ultimi scampoli del mondo in cui è ambientata la storia, che è il tardo medioevo. Perché il nostro medioevo è finito del tutto nell’ultimo dopoguerra. Anche l’autrice mostra di conoscerlo bene, nonostante sia più giovane. Non solo attraverso i libri, che pure frequenta molto – dietro il suo racconto c’è una preparazione sia storica sia religiosa bella robusta. Il nostro medioevo lo conosce direttamente attraverso una nonna e una bisnonna con cui ha avuto la fortuna di crescere [allattata da sua nonna! Non fatevi ingannare dall’aspetto, potrebbe avere 150 anni!]. Donne all’antica ma in verità modernissime, che trasmettevano ai figli – ma specialmente alle figlie – una forza, una cultura, una sapienza femminile di cui purtroppo erano le ultime depositarie. Da queste donne N. A. ha imparato (ma il verbo non è adeguato: ereditato, succhiato?) il talento del raccontare, lo sguardo attento e partecipe sulla natura e sulle persone, la memoria come criterio per decifrare il presente e agire nel presente [che sarebbe poi la vera funzione della memoria, sia a livello individuale che collettivo, anche se oggi non sembra più così, ma sarebbe un discorso lungo…]. Non so se queste sue antenate facessero la tela in casa, di sicuro lei conosce anche l’arte della tessitura, solo che non l’esercita sul telaio ma nella scrittura. Come una donna al telaio tiene in mano le vite dei vari protagonisti come fossero navette di fili colorati, e le intreccia, le incrocia, le passa e ripassa nell’ordito storico che ha scelto così che la vicenda, come un arabesco, si precisa pian piano e proprio come in una coperta o in un tappeto il disegno completo appare solo alla fine del lavoro.
PIETRO
Ho parlato di protagonisti, ma sarebbe meglio dire le protagoniste perché, anche qui, non fatevi ingannare dal titolo, questa è, sì, la storia di Pietro dei colori, ma è soprattutto una storia di donne. Comunque, il protagonista che dà il titolo al libro è Pietro da Talada, conosciuto anche come il maestro di Borsigliana, per un suo trittico che si trova lì. Un pittore che opera sicuramente nel sesto decennio del ‘400 nell’alta Garfagnana, un pittore periferico ma estremamente affascinante, che si attarda nello stile del gotico internazionale mentre a Firenze è già in pieno rigoglio il Rinascimento. Partendo dal mistero della sua vita N.A. gliene inventa una, plausibile, verosimile, facendo perno sulle pochissime notizie che si hanno di lui: il borgo di nascita, Talada appunto, la valle del Serchio come luogo della sua pittura, una riconosciuta ascendenza stilistica (che nel romanzo diventa genetica) in un pittore portoghese, Alvaro Pires de Evora, e poi l’amore per lo studio e la ricerca dei colori che traspare dalla sua pittura, dalle sue madonne. Una storia che, stranamente, mentre la leggevo, aveva per me la stessa magia del Maggio, (o almeno era questa l’immagine che mi ballava in testa). Perché? Forse perché come quelle dei Maggi è una storia all’antica
: drammatica, piena di colpi di scena, con rapimenti e salvataggi, abbandoni e ricongiungimenti, odio e amore, sentimenti elementari e complicati insieme. E, come nel Maggio, ci sono briganti e soldati, mercanti e donzelle, eremiti e creature fantastiche. C’è un altro motivo che, secondo me, lo accomuna al Maggio: nei Maggi l’azione si svolge concretamente in una radura in mezzo a un castagneto, un luogo per noi famigliare e quotidiano, direi, ma che si dilata a contenere tutto il mondo, e il canto si alza ora dalla reggia del Sultano, ora dall’accampamento dei Crociati e ora dalla capanna di un eremita e ci scordiamo dove siamo; così, in questo libro, c’è l’Appennino che conosciamo, con i nomi reali dei monti e dei paesi, la valle di Secchia e Pradarena e le faggete e le carbonaie, ma nello stesso tempo diventa un luogo fantastico, popolato di tutte le creature e le superstizioni del passato - le fate e il Serpente Regolo, l’Uomo Selvatico; crocevia del mondo - Venezia, Firenze, Roma e Bisanzio – e approdo di genti lontane - i vescovi turchi coi loro libri misteriosi e una sapienza antica, iniziatica – insomma una metafora del mondo. [Detto per inciso, non è l’ultimo dei meriti di questo romanzo invitarci a guardare
, con l’occhio innamorato dell’autrice, il nostro Appennino, al di là dei guasti che anche qui ci sono stati, unito nei due versanti com’era nel passato e come si tenta di ricostituirlo oggi attraverso il Parco]. Vi dicevo di non lasciarvi sviare dal titolo (il titolo in un libro è importante): perché una storia in prevalenza femminile dedica il titolo a un uomo? Io mi sono data questa risposta: perché Pietro è l’uomo mite. In un mondo di uomini violenti e sopraffattori, lui, che conosce la violenza, la rifiuta, sta dalla parte delle donne, riconosce il loro diritto al sapere, va al di là del giudizio e del luogo comune su di loro. La storia di Pietro è anche quella che cuce insieme le vite delle protagoniste femminili. Donne che rispecchiano esemplarmente il destino delle donne del tardo medioevo ma che hanno a che fare con il destino femminile di sempre. Normanna non è un’ingenua che si diverte semplicemente raccontando le favole che nascono nella sua fantasia (anche, naturalmente), è una donna ben radicata nel presente, impegnata in campi che oggi suscitano le più grandi passioni e i contrasti più accesi. L’operazione intelligente che lei fa con i suoi romanzi - non solo in questo - è quella di collocare le sue storie in un tempo per noi ormai pacificato, di svelenire i temi che le premono e indurci alla riflessione con il distacco che la distanza storica consente. Come se ci tenesse in una bolla riparata dove invece di accapigliarci possiamo fare qualche passo avanti nella comprensione della realtà e di noi stessi. Del resto i precedenti illustri non mancano (Manzoni, Tommasi di Lampedusa per non citarne altri). Chi sono, allora, le protagoniste di questo romanzo?
PERUZZA
Peruzza, la vecchia dei chiodi, è la figura più tenebrosa, arcaica, complessa direi, senza età. È la donna del bandito, non per libera scelta ma per costrizione, odia il brigante Noè che le ha ucciso il padre e il loro bimbo appena nato e sconvolto la vita, che conosce solo la violenza; ma Peruzza mantiene intatti anche il desiderio e la capacità di amare, di proteggere fino al delitto i suoi amori - Pietro, l’Ostessa, Lucrezia Fina, vittime come lei - amori che prescindono dalla differenza sessuale, perché non esistono rapporti contro natura se non quelli imposti con la violenza. Di più, Peruzza deve fare i conti anche con una sorta di amore che prova per Noè, fatto di solidarietà, di vita selvatica comune, di pena per lui. Oggi, forse, la chiamerebbero sindrome di Stoccolma, ha a che fare certamente con la paura e l’istinto di sopravvivenza ma anche col bisogno insopprimibile di voler bene - nel modo che ci è concesso dalle circostanze - ha a che fare con l’incapacità di molte donne di staccarsi dal loro carnefice, con la difficoltà di vivere senza amore e di raggiungere l’indifferenza, l’indifferenza che Peruzza invidia alla luna (l’aveva tenuta d’occhio, l’aveva apprezzata, così distante dal dolore, svincolata dall’angoscia, da poter suscitare, in altre femmine, un’invidia onesta e dolorosa..). [Vedremo che la luna è anche lei protagonista]
LUCREZIA FINA
E poi c’è Lucrezia Fina - la figura più tragica - la sposa bambina che, nell’impotenza dei suoi 12 anni, vede l’unica via d’uscita per la sua vita rubata nel voto di castità, nel misticismo, nel rifiuto del cibo, in una parola nella mortificazione del corpo e dei suoi bisogni. ("Vivere in isolamento e preghiera, nutrendosi soltanto dell’ostia consacrata in modo da riuscire a sfuggire a chi voleva imprigionarla contro la sua volontà e dominarla: questo si proponeva Lucrezia Fina, non c’erano altre porte da aprire nella sua esistenza, gliele avevano sprangate tutte). Un corpo adolescente che invece reclama prepotentemente cibo e amore. Lucrezia Fina è l’amore mancato di Pietro a cui fa da modella per la figura della Madonna. Lucrezia Fina non è una ribelle, non rifiuta la visione della donna della sua epoca, rifiuta lo sposo che il padre le ha destinato e sfida i suoi oppressori sul loro stesso terreno scegliendo l’altro modello di donna consentito, anzi il più alto e ammirato del suo tempo: quello della vergine votata a Dio. [Un modello considerato superiore a quello della donna sposata, costruito e perfezionato a partire dal XII° secolo da chierici e laici su un’interpretazione tutta maschile delle sacre scritture, della patristica e dei testi aristotelici.] Quante sono oggi le Lucrezia Fina? Il tema è, chiaramente, quello del controllo sociale (o meglio maschile) sul corpo delle donne, che accompagna come un filo rosso la storia di tutti i tempi, controllo a cui le donne in parte cercano di sottrarsi ma che, per lo più inconsapevolmente, accettano. E sarà meglio non assolverci frettolosamente pensando che tutto questo riguarda il passato o, nel presente, culture lontane da noi. [Una taglia 38 può essere una prigione feroce quanto un burqa, così come la trasparenza, l’invisibilità che ci tocca oggi quando finisce la bellezza]. Perché il controllo può essere esplicito e imposto, oppure può usare strade più oblique e mezzi più subdoli ma altrettanto opprimenti. [Forse che per i maschi si sono fissate mai le misure del torace o l’altezza al cavallo? Ma per le donne sì, 90-60-90, ai miei tempi!] Quando le femministe nei cortei gridavano
Io sono mia" parlavano anche di questo.
L’OSTESSA, LA STREGA
La vera ribelle nella storia di Pietro dei colori è l’Ostessa, senza nome; è la bella strega dai capelli rossi che pretende di amare chi vuole, che rivendica il diritto allo stesso comportamento dei maschi. Rappresenta un desiderio di libertà così incoercibile che può uccidersi ma non si lascia uccidere. Che proprio per questo continua a ricomparire come sogno e allucinazione nei boschi dove era stata brigantessa e maga, a proteggere e spronare Peruzza e Lucrezia Fina. Ma la sua ricetta per la salvezza è fare paura, essere crudeli e spietate come gli uomini, diventare come loro per salvarsi. [Devi far paura, devi far paura se vuoi salvarti! è quello che grida ad ogni apparizione a Peruzza e Lucrezia Fina]. Anche il grido dell’Ostessa mi viene in mente aggiornato dal femminismo: Tremate, tremate, le streghe son tornate!
. Ma diventare come gli uomini è una ricetta perdente, (almeno, questo mi sembra il messaggio), le streghe vengono bruciate, perché le donne hanno sempre fatto paura e proprio dalla paura dei maschi nasce il bisogno di controllarle e sottometterle – è un tema estremamente attuale anche questo - è una strada che non conviene neppure alle donne, vorrebbe dire accettare un mondo di violenza e di prevaricazione dei più forti sui più