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My therapy - Volume I
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E-book350 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Giulia Felicità, venticinque anni, ha la fobia sociale che la porta ad avere una bassa autostima, manie di persecuzione, paranoia, depressione, psicosi, ansia, attacchi di panico e soprattutto non riesce a socializzare con gli altri.
Vive a Trento, in un appartamento da sola, lavora da casa, non ha amici, non ha un ragazzo, però ha dei genitori, che le vogliono bene e credono che sia guarita dalla fobia sociale.
Adora la musica che è la sua salvezza dalla vita monotona e vuota, ma per andare avanti non le basta più e cerca qualcuno che la salvi da se stessa.
Un giorno, per caso, un ragazzo le scrive su Facebook e questo sarà la svolta che cercava, la sua terapia per tornare a vivere o per cominciare a vivere davvero.
Proverà a fare delle piccole cose e ad interagire con le altre persone che la porterà ad avere amici che non avrebbe mai pensato potesse capitare, ad innamorarsi di un ragazzo reale, finalmente, non di un personaggio delle sue serie tv preferite, di vedere la sua band preferita al loro concerto e di fare molte altre esperienze.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ago 2019
ISBN9788831635547
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    Anteprima del libro

    My therapy - Volume I - Serena Welsch

    633/1941.

    CAPITOLO 1 SONO UN CASO DISPERATO?

    È ufficiale, sono innamorata.

    Però c’è un problema, lui non sa nemmeno che esisto.

    Fisso beata lo schermo televisivo e sorrido, appena inquadrano il mio lui, dagli occhi azzurri, come il mare e poi sorride, facendomi sciogliere, come burro.

    Lui è Damon Salvatore, ovvero Ian Somerhalder, attore americano, sexy, affascinante, sposato ed… irraggiungibile.

    Sono invidiosa di quella fortunata di Nikki Reed che, se lo è sposato e credo di fare parte di quella vasta schiera di fan che la odia proprio perché, è riuscita ad accalappiare un gran bel pezzo d’uomo che, al contrario, del suo personaggio, è una gran brava persona.

    Poi faccio parte anche, della schiera di fan che sbavano davanti alla tv, quando viene inquadrato.

    Già sento la voce fastidiosa di mamma che, mi dice che, devo trovarmi un ragazzo reale e smetterla, di sbavare dietro, agli attori che non vedrò mai e che ho ormai una certa età.

    Neanche avessi cinquanta anni!

    Ho solo venticinque anni, per la cronaca.

    Proprio per non sentire mamma dirmi di trovarmi un ragazzo e poi anche perché, non riuscivo più a sopportare di stare da loro, cinque anni fa, me ne sono andata di casa e ho trovato un appartamento tutto mio che posso gestire, come voglio.

    Da una parte, mi va bene e dall’altra parte un po’ mi sento sola ed isolata, non che io faccia molto, per migliorare questa situazione.

    Torno poco a casa dei miei e faccio finta di avere altri impegni, per non incontrare i parenti.

    Esco pochissimo di casa, forse una volta alla settimana per andare al supermercato o per altre piccole commissioni, ma faccio in fretta e non do confidenza a nessuno.

    Per mia fortuna, posso lavorare da casa, grazie alla connessione internet ed un cellulare.

    Mi chiamo Giulia Felicità e sono fobica sociale, o almeno così mi disse la psicologa, sei anni or sono, quando i miei genitori, vedendomi sempre a casa e scoprendo pure che usavo internet, per comprare anche una cosa banalissima, che potevo benissimo prendere, andando al negozio all’angolo, mi spedirono da lei, di corsa.

    All’inizio ci sono stati silenzi e sguardi vuoti, ma poi, timidamente, mi sono convinta e le ho spiegato il tutto.

    Risultato: fobia sociale, bassa autostima, manie di persecuzione, paranoia, depressione, psicosi, ansia, attacchi di panico e chi ne ha, più ne metta.

    Sono un disastro! Anche se, la psicologa mi ha detto che, di fobia sociale non si muore, ma è semplicemente un disturbo piscologico, neanche fossi pazza, e si può guarire.

    Alla fine, sono passati sei anni di sedute e non è cambiato niente, se mai è peggiorato e quindi la psicologa mi ha abbandonato, giudicandomi un caso disperato e lasciandomi nel mio brodo.

    Quindi sono sola, senza amici, con l’ansia alle stelle, depressa un giorno sì e uno no, l’autostima sotto le scarpe e bugiarda perché mento ai miei, su quello che faccio e che sono perfettamente guarita.

    Come ieri, avevo detto loro che stasera, sarei andata ad una festa con delle amiche, invece sono a casa, da sola, a guardarmi the vampire diaries e sbavare dietro a Ian che, non conoscerò mai e non ho nessuna amica, con cui commentare gli episodi.

    Dopo la visione di due episodi, spengo la tv e mi accascio sul divano, guardando il soffitto, dovrei andare a dormire, ma sinceramente non ho sonno.

    Vorrei davvero cambiare, ma non ho nessun aiuto.

    Ho l’età che ho e sono alla deriva, senza una vera prospettiva di vita piacevole, vorrei avere un ragazzo e non diventare una zitella acida, vorrei avere degli amici.

    Ne avevo a scuola, ma con la fine esplosero anche le amicizie e soprattutto vennero fuori cose che, mai avrei potuto immaginare.

    Sono alcuni brutti ricordi che non voglio rivangare.

    Interrompo, con un battito di ciglia, i ricordi che, mi scorrono davanti agli occhi e mi guardo intorno.

    Prendo il lettore mp3 e lo accendo.

    Kamelot.

    Ho una vera passione per i Kamelot ed anche, se non sembro una metallara, ma un angelo caduto in mezzo ai diavoli, la loro musica mi piace.

    Soprattutto il cantante.

    Tommy Karevik, con quei suoi occhi blu e la bella voce.

    E una canzone.

    My therapy.

    Quando l’ho sentita per la prima volta, ho pensato che fosse la mia canzone.

    Mi rispecchia in parte, però l’unica cosa che non ho trovato, è quella persona che sia il mio antidoto, per la solitudine iniettata nelle mie vene.

    Ecco che cosa sto cercando, la mia terapia che mi possa salvare, da me stessa.

    Quella terapia è i Kamelot, ma non basta.

    Anche se, ascoltarli mi fa sentire bene e mi fa venire voglia di piangere, gioire, cantare e ballare, immaginando di essere ad un loro concerto, non è abbastanza.

    Desidero una persona reale che completi quello che fanno i Kamelot, con le loro canzoni.

    Ho visto anche il video di my therapy e mi è piaciuto tantissimo e vorrei essere nei panni della ragazza sdraiata a terra, sporca di sabbia, e poi arriva Tommy Karevik con il suo look figo ad aiutarla a tirarsi su, a pulirle un braccio dalla sabbia e farle capire che deve tenere in alto la testa e reagire per poi andarsene, lasciandole le mani.

    Io adoro quelle sequenze e le guardo almeno cento volte, prima di averne abbastanza.

    Per stasera, mi ascolto soltanto la canzone, immaginando il video e canticchiando il ritornello.

    Come and take me off my daily dose of pain, take me off and shelter me from this static nothing, you’re the antidote for solitude injected in my veins, may the touch of your hand, forever be my therapy!

    Poi ascolto, anche le altre che, sono energia pura, tranne forse una, che è un po’ malinconica.

    Dopo averle ascoltate tutte, vado a dormire nel mio bel letto.

    La mattina dopo, mi sveglio presto e faccio colazione con una brioche e del caffè, osservando dalla finestra il mondo di fuori.

    Vivo in un condominio in mezzo agli altri condomini, per cui c’è vita: adulti che vanno al lavoro, bambini che vanno a scuola, accompagnati dai genitori o dai nonni e poi, molte altre persone.

    Mi sento una spiona, ma adoro osservare le vite altrui, quando la mia è così vuota.

    Verso le otto, mi metto al computer e prima di mezzogiorno, non mi alzo di lì, immersa nel lavoro.

    Lavoro da casa, per un’agenzia pubblicitaria e di persona, mi avranno visto, forse, due volte, per portare delle cose, in fretta e furia, nemmeno il colloquio l’ho fatto di persona, ma al cellulare, la mia scuola mi ha trovato questo lavoro e la mia datrice di lavoro, Viviana, si fida di me e io sono sempre stata efficiente.

    Alla pausa-pranzo mi rendo conto che, non ho nemmeno fatto la spesa e non ho niente di commestibile da mangiare, così mi tocca uscire.

    Mi bardo neanche dovessi andare al polo Nord, è ottobre e fa già freddo.

    Prima di uscire, mi guardo un numero infinito di volte allo specchio, suggestionandomi che tutto andrà bene e che nessuno guarderà me, perché devo essere invisibile.

    Con l’ansia, che mi prende già lo stomaco, esco di casa, chiudo a chiave la porta ed esco di corsa dal condominio, prima di dover scambiare troppe parole con i miei vicini.

    Mi ritrovo all’aria aperta, in una via piena di vetrine, che mi fanno risaltare, come un gigante in mezzo ai nani.

    La vetrina riflette il mio aspetto: capelli scuri, occhi verdi, pallida come uno spettro e le occhiaie che spiccano, anche troppo.

    Solo perché ho le occhiaie, sicuramente tutti credono che mi drogo e questo mi dà molto fastidio.

    Semplicemente ce le ho da vent’anni, non dormo mai bene e non ho mi è mai passato per l’anticamera del cervello di coprirle, con un po’ di trucco.

    Anche perché sono negata, per quanto riguarda il trucco e così, me le tengo.

    Sono vestita di nero, dalla testa ai piedi, e sono uniforme ai colori della folla che passa, ma nella mia testa, scatta l’ansia di essere al centro dell’attenzione e che commentano come sono vestita e che aspetto ho.

    Sento ridere alle mie spalle e sono sicura che stanno ridendo di me, anche se, magari, non è vero e così batto in ritirata, verso il supermercato, dove faccio incetta di beni di prima necessità, per non dover tornare domani, vado alla cassa e di nuovo paranoia, sul fatto di essere al centro dell’attenzione.

    Quando tocca a me, borbotto un saluto alla commessa, pago e porto via le mie cose e torno in fretta a casa, dove mi siedo sulla sedia, stanca, neanche avessi corso la maratona di New York.

    Ogni giorno che passa, diventa sempre più difficile.

    Ho la fobia sociale fin da piccola, un po’, perché ero già timida di mio, un po’, agevolata dall’ala protettrice dei miei genitori che essendo figlia unica, mi hanno un po’ lasciato nella bambagia che non mi ha aiutato, ad entrare nel mondo.

    Poi è peggiorata dalle medie in poi, con episodi di bullismo che mi hanno reso solitaria, triste ed impaurita dagli altri.

    Sfiduciata nel prossimo e sempre in ansia e preoccupata all’idea che, chi volesse diventare mio amico od amica, fosse solo per usarmi, per poi spezzarmi il cuore e lasciarmi lì, come un burattino rotto.

    Ho avuto solo una vera amica.

    Da allora le poche certezze della mia vita sono sparite tutte e mi sono ritrovata, con un diploma in mano e non sapere cosa fare nella vita.

    E di non sapere, se volevo vivere così o lasciarmi lentamente morire ogni giorno, un pezzo alla volta, perché non ce la facevo più, ad andare avanti così.

    I miei demoni interiori avrebbero vinto, se non avessi reagito.

    E non ho reagito.

    Ho una casa, tutta per me.

    Un lavoro che mi piace.

    Una famiglia che, nel suo piccolo, mi vuole bene.

    Eppure dentro sto letteralmente morendo e non c’è niente di peggio di andare avanti in quel modo, ma non ho il coraggio di morire, di prendere un coltello e tagliarmi le vene o una corda per impiccarmi o dei sonniferi, per morire nel sonno.

    Barlumi di felicità sono appunto i Kamelot, ma ogni tanto non bastano più.

    Non voglio morire così, ma più tento di reagire più la depressione morde e faccio fatica a far tutto, ogni tanto, anche alzarmi dal letto, è un problema.

    Sgranocchio dei biscotti mentre ascolto i suoni, che ho intorno: il ticchettio dell’orologio, il cinguettio degli uccellini di fuori, i vicini che escono dai loro appartamenti e parlano in corridoio, la musica al piano di sopra…così mi sembra di essere parte, di qualcosa.

    In cinque anni che vivo qui, ho visto poche volte i miei vicini, non mi sono presentata e quelle poche volte che l’incontro, saluto a mezza bocca e basta, probabilmente penseranno che sono una snob ed invece ho semplicemente la fobia sociale.

    Riprendo il lavoro, lavorando senza sosta fino alle diciotto, l’ora esatta in cui finirei se fossi all’agenzia, mando alcune email con il lavoro svolto e chiudo il programma.

    Un’altra giornata di lavoro è finita.

    Più tardi, ceno con un panino, odio cucinare e non ha mai imparato davvero, anche se mamma ha cercato, inutilmente, di inculcarmi almeno le nozioni di base.

    Il massimo che so fare è un piatto di pasta.

    Mentre scorro i canali con i tasti del telecomando, mi suona il cellulare, è mamma che sicuramente vorrà sapere come è andata la festa che manco esisteva.

    - Ciao mamma! - saluto pimpante, anche se il mio stato d’animo è da seppellirmi nel letto e non alzarmi fino al prossimo anno.

    - Ciao tesoro, come stai? - mi chiede, felice e contenta.

    I miei genitori sono sposati da più di trent’anni, avrebbero voluto avere almeno un’intera squadra di calcio come figli, ma l’unica che è arrivata sono io, ma comunque si amano ancora come il primo giorno.

    Hanno avuto il loro lieto fine, come nelle fiabe.

    - Bene- dico – e tu? -.

    - Molto bene, io e tuo padre abbiamo fatto una cena al lume di candela. È stato così romantico! Mi hai pure portato dei fiori-, parla come se fosse una ragazzina innamorata.

    Sono invidiosa del loro lieto fine e per fortuna mamma non può vedere l’espressione triste che faccio e l’unica cosa che dico è – sono contenta per te e papà-. È la verità.

    - Senti volevo chiederti: come è andata la festa? -.

    - Bene, mi sono divertita-.

    - E hai trovato un ragazzo che ti interessa? -.

    Ecco la solita domanda fastidiosa.

    Mi blocco, dire la verità o una bugia?

    Mezza verità – no, purtroppo no. Quelli più belli erano già occupati e gli altri non erano gran ché-.

    - Beh, figlia mia, accontentati di chi c’è- mi dice – gli anni stanno passando-.

    - Sai mamma, se voglio un ragazzo, me lo cerco che mi piaccia, non sono ancora così disperata da prendermi, il primo che passa-.

    La vena sulla tempia mi pulsa, perché odio questa conversazione.

    - Ok Giulia, non scaldarti tanto- mi fa mamma un po’ offesa, sicuramente più tardi dirà a papà che sono stata maleducata e così verrò rimproverata e mi toccherà parlare sgarbatamente anche a lui.

    - Scusa mamma, è che al lavoro ho avuto una giornata stressante- mento, i miei credono che io esca di casa, per andare al lavoro.

    - Oh, mi dispiace e ti scuso. Non lavorare troppo-.

    - Ok, grazie-.

    - Ci sentiamo-.

    - Si-.

    - Ciao-.

    - Ciao-.

    E finalmente la comunicazione si interrompe.

    La telefonata mi ha talmente spossata da andare a letto presto.

    Buonanotte!

    CAPITOLO 2 IL RAGAZZO DI FACEBOOK

    Mi sveglio tardi.

    È sabato.

    E per una solitaria come me, odiare il sabato è la prassi.

    Sapere che gruppi di ragazzi, ragazze ed altre persone in generale escono a divertirsi, mi fa deprimere ancora di più.

    Sono sveglia, ma passo la mattinata a letto, a fissare il soffitto bianco o ascoltando musica.

    Se Tommy Karevik in persona mi dicesse di alzarmi, lo farei subito, ma lui non c’è e non mi conosce.

    Sono soltanto una, dei suoi numerosi fan.

    Solo a mezzogiorno, decido di alzarmi per mangiare una specie di colazione/pranzo ed accendo la tv.

    Non guardo mai i telegiornali né il televideo, quindi ignoro cosa succede nel mondo.

    C’erano sempre talmente tante brutte notizie che avevo l’ansia a mille e così ho bandito tutto ciò.

    Le uniche trasmissioni che guardo sono film, telefilm e documentari.

    E quando non c’è niente che mi interessa spengo, come in questo momento.

    Allora accendo il computer e mi collego ad internet ed accedo a Facebook, con una password lunga eterna, per la mia solita paranoia.

    Ho una cinquantina di amici e sono tutti perfettamente sicuri, dopo aver vagliato in lungo ed in largo le loro pagine del diario, sono persone che conosco, per lo più vecchi compagni di scuola, parenti ed amici dei miei genitori, anche i miei genitori.

    Non scrivo mai niente, il massimo che faccio è condividere, qualche cosa, dalle pagine dei miei interessi e cliccare mi piace.

    Mi arrivano pochi messaggi privati, più che altro dai miei ex-compagni di classe, per rivangare il tremendo passato o dai parenti, per chiedere qualcosa.

    Questa volta, trovo un messaggio privato da un ragazzo, che non conosco di persona, ma che mi ha chiesto l’amicizia, giusto un paio di giorni fa, prima di accettare ho osservato il suo profilo ed alcune pagine di diario.

    La foto del profilo mostra: un ragazzo carino di un anno più grande di me, dai capelli biondo cenere e gli occhi verdi e sorride.

    Non mi pareva pericoloso e poi ho scoperto che anche a lui piacciono i Kamelot, perché gli ha messi nelle pagine del mi piace di musica.

    Mi scrive solo "ciao! Come va?".

    Osservo perplessa la frase, io non lo conosco ed immagino si sia sbagliato e potrei ignorare il messaggio ed andare avanti con la mia vita, ma ha dispetto di tutto, gli rispondo.

    "Ciao! Non hai sbagliato persona? Io nemmeno ti conosco"

    Noto che è online e mi risponde subito.

    "Ciao! No, non ho sbagliato persona. Mi è piaciuto il tuo profilo e volevo conoscerti"

    Oddio! Mi blocco. E se non è davvero lui, ma un profilo falso? Un serial killer? Un maniaco? O chissà cos’altro?

    Comunque prima che possa rispondere qualcosa, vedo che mi scrive altro.

    "Non hai risposto alla mia domanda".

    "Quale domanda?".

    "Come va?".

    Oh, quella!

    "Bene e tu?".

    Bene anch’io .

    Ho esaurito le domande di cortesia.

    Ho visto che ti piacciono i Kamelot mi scrive non l’avrei mai detto.

    Perché?.

    Perché non sembri una che ascolta power metal.

    E cosa ascolterei, secondo te?.

    Non saprei.

    Beh ascolto anche musica italiana, tipo Nek, Modà ed altri. Non ho un genere di musica preferita.

    Scusa, non volevo offenderti.

    Non mi sono offesa. Anche a te piacciono i Kamelot.

    Si.

    Che canzoni?.

    Tutte e tu?.

    Mi blocco di nuovo.

    È la prima volta che parlo così a lungo, con uno sconosciuto che non ho mai neanche visto di persona.

    Non so se aprirmi o lasciare in sospeso, salutare ed uscire dalla chat.

    Decido di rispondere.

    My therapy.

    Perché?.

    E glielo spiego. Sono in ballo e devo ballare.

    E quindi hai problemi e stai cercando la tua terapia.

    Si.

    Posso aiutarti.

    Perché?.

    Perché adoro aiutare gli altri.

    Ok. Come?.

    Ci possiamo incontrare. Ti va?.

    Il mio cervello va in paranoia e mi viene una crisi di panico e divento rossa ed esco precipitosamente dalla chat e spengo il computer.

    Mi sdraio sul letto, ascolto il mio cuore battere forte, sembra che mi stia per uscire dalla gabbia toracica.

    Non dovevo rispondere, avrei dovuto lasciare perdere.

    Panico ed ansia per niente.

    Per riprendermi mi preparo una cioccolata calda e la addolcisco con tanto zucchero.

    Solo dopo la cioccolata calda, trovo il coraggio di riaccendere il computer e di guardare di nuovo Facebook.

    Qui trovo un altro messaggio dal ragazzo.

    Scusa, ho forzato troppo le cose. Possiamo ancora chiacchierare via chat?.

    Ok.

    È ancora online e così passiamo alcune ore a chiacchierare del più e del meno.

    Gli racconto tutto di me, per una volta tralasciando le mie paranoie, anche se, quando ci salutiamo, tutte le mie paranoie ed attacchi d’ansia mi assalgono, come un treno.

    Cosa ho appena fatto?

    Ho raccontato tutti i miei problemi ad un perfetto sconosciuto, di cui non sono nemmeno sicura, che sia davvero il ragazzo della foto.

    Mi si è dato di volta il cervello.

    E se userà tutto ciò, come arma contro di me?

    E se mi umilierà pubblicamente?

    Perché ho scritto tutto?

    Scoppio a piangere e penso che forse sarebbe meglio morire e passo il resto della serata a letto e nemmeno per lo sconforto, riesco a mangiare la cena.

    La mattina dopo, domenica, altro giorno odioso, rimango a letto.

    Ricevo la telefonata di mamma che mi invita a pranzo, ma rinuncio per un raffreddore immaginario.

    Comunque per il gran piangere, mi si sono gonfiati gli occhi e ho il naso tappato.

    Sono un disastro e non voglio uscire, ricevendo la pietà degli sconosciuti.

    Ho già ricevuto pietà, nel corso degli anni, da persone che conosco e ciò mi ha imbarazzato alla grande ed aumentato la mia, già bassa, autostima, facendomi sentire peggio.

    Mi giro a fissare il muro bianco.

    Non ho voglia di fare niente, oggi.

    Anche se fuori c’è il sole, nella mia mente c’è il cielo nero che minaccia tempesta.

    Vorrei dormire fino a svegliarmi in un altro futuro dove io sono ricca, famosa, tutti mi amano e mi venerano.

    Un futuro in cui sono sposata con l’uomo che amo.

    Mi beo di quei castelli immaginari e sono felice.

    Poi la realtà mi investe, come un treno e sono di nuovo a terra.

    E stranamente decido di uscire, forse per il sole.

    Mi bardo di nuovo e per proteggermi dal mondo, mi infilo le cuffie nelle orecchie, faccio partire la musica ed esco.

    Non incrocio lo sguardo di nessuno e procedo spedita per la mia strada, guardando le vetrine e punto alla libreria, che è aperta.

    Con mio sommo orrore, la libreria è piena ed odio i luoghi chiusi, pieni di gente, non soffro di claustrofobia, ma della mia solita paranoia in cui guardano tutti me e bisbigliano alle spalle.

    Sono in mezzo ad un dilemma interiore: stare fuori al freddo, da sola o entrare al caldo, in mezzo alla gente?

    Entro, più per il richiamo dei libri, che per altro.

    Sono una lettrice accanita ed un’aspirante scrittrice, anche se quest’ ultima con risultati insoddisfacenti.

    Mi faccio largo tra la folla e mi perdo a fissare le copertine, i titoli e leggere le trame, come una bambina che ha visto arrivare Natale, in anticipo.

    Ne trovo uno che mi interessa e vorrei e potrei comprarlo, ma la fila alla cassa è un ostacolo e già sento arrivare gli attacchi di panico ed abbandono l’idea

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