Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il cinema di Frank Darabont
Il cinema di Frank Darabont
Il cinema di Frank Darabont
E-book114 pagine1 ora

Il cinema di Frank Darabont

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Saggi - saggio (93 pagine) - Un libro per conoscere a fondo Frank Darabont, il “regista kinghiano” per eccellenza, autore di film indimenticabili come Le Ali della Libertà, Il Miglio Verde e The Mist


La carriera di Frank Darabont nasce sul finire degli anni Settanta come un sogno, improvviso e spiazzante, il grande sogno americano che ci ricorda ogni volta che nulla è impossibile. Il primo contratto con la Castle Rock e la collaborazione con Stephen King, il più grande scrittore horror dei nostri tempi, segnano la sua ascesa nell’olimpo hollywoodiano. Il nome Darabont diventa sinonimo di profondità e acutezza e le sue opere rimangono grandiose nel tempo: Le Ali della Libertà, Il Miglio Verde e The Mist, sono solo alcuni dei film che segneranno le generazioni di cineasti a venire e abitueranno gli spettatori a nuove prospettive cinematografiche. Il “regista kinghiano” per eccellenza riesce a spiazzare attraverso le atmosfere che raccontano dei mondi che soggiacciono all’ambientazione. Le sue opere sono una continua riscoperta di suoni, colori e spazi capaci di prendere vita oltre lo schermo e invadere la nostra realtà.


Luigi Boccia, scrittore, sceneggiatore e regista, ha lavorato per diverse case di produzione cinematografica tra le quali la Eagle Picture, La 7 e Rai. Tra i suoi libri La Janara (2007), Leonardo da Vinci e la finestra sul tempo (2014), La Notte chiama (2016), Scarescrow (2018). Ha curato diverse antologie e volumi per vari editori, ed è autore di saggi, tra i quali Licantropi e Chi è Pennywise?, Scrivere l’horror nel cinema e nella televisione. Per la Star Comics ha ideato con Sergio Stivaletti la serie a fumetti Fac­tor-V. Per Delos Digital cura la collana Horror Story. È il fondatore del marchio editoriale Weird Book.

LinguaItaliano
Data di uscita19 nov 2019
ISBN9788825410624
Il cinema di Frank Darabont

Leggi altro di Luigi Boccia

Autori correlati

Correlato a Il cinema di Frank Darabont

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il cinema di Frank Darabont

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il cinema di Frank Darabont - Luigi Boccia

    9788825410273

    Lungo il miglio verde

    Giada Cecchinelli

    Gli uomini hanno bisogno di credere nei sogni perché sognare è la continuazione dell’anima, è il senso astratto che siamo capaci di dare alle cose. È un’azione che trascende il nostro corpo e i nostri sensi e che ci rende unici in quello che siamo. Tutti posseggono sogni che vorrebbero realizzare, cullano nella loro mente la storia a lieto fine che li vede protagonisti.

    Per questo, la vita di Frank Arpad Darabont è qualcosa che vale la pena raccontare, perché parla di un uomo che è stato capace di compiere il suo lieto fine.

    È il lontano 1983 quando Frank, appena ventenne, decide di sfidare la sorte, anche se ancora non poteva sapere che quella scelta gli avrebbe cambiato la vita per sempre. Stephen King aveva indetto il Dollar Baby,¹ una sfida rivolta ai cineasti di tutto il mondo e un’occasione per poter fare qualcosa di davvero grandioso: con un solo dollaro potevi comprare i diritti di un suo racconto, purché il tuo lavoro valesse veramente la pena. Ormai il Dollar Baby è inflazionato, niente di nuovo alle orecchie del pubblico informatizzato, ma all’epoca ebbe una risonanza incredibile e Darabont ne fu estasiato. Fu così che nacque la sua prima collaborazione con il Maestro dell’orrore, con l’adattamento cinematografico di The Woman in the Room per la PBS. Stephen King rimase profondamente colpito dal lavoro di Darabont e, narra la leggenda, quando nel 1987 ricevette dal regista la richiesta di poter girare un lungometraggio dal racconto The Shawshank Redempion non poté non dargli la sua benedizione. Così, alcuni anni dopo, Darabont lavora alla stesura della sceneggiatura e grazie al sostegno di King chiude il contratto con la Castle Rock Entertainment.

    The Shawshank Redemption avrà un successo straordinario, guadagnando a Darabont sette nomination agli Academy Award e legandolo indissolubilmente al ruolo di regista nel grandioso mondo di Hollywood: le nomination furono come un battesimo alla sua professione e fecero sì che il suo lavoro venisse riconosciuto su scala mondiale.

    Forse perché solo gli uomini folli sono capaci di fare l’impossibile, o forse perché davvero la fortuna esiste e sceglie chi baciare, fatto sta che Darabont si è ritrovato catapultato in una realtà dorata all’improvviso, proprio come accade nei film migliori. Il regista è l’esempio del grande sogno americano che si avvera, un manifesto che a grandi lettere cita si può fare.

    La scelta di mettere nero su bianco il prodotto della fortuna di Darabont è un modo per ricordare che nulla è impossibile. È una via, una delle tante, per raccontare i sogni, per celebrare la fortuna e la sorpresa che la vita certe volte ci riserva. Il fatto è che se nella realtà ci troviamo spesso a ripeterci che certe cose accadono solo nei film, Darabont è l’esempio che certe cose accadono solo se si ha coraggio: i film vengono sempre dopo le grandi azioni degli uomini.

    Il 1999 è l’anno in cui Frank Darabont si affaccia a una nuova scommessa sul mercato mondiale con Il Miglio Verde, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Stephen King del 1996, vincitore del prestigioso Premio Bram Stoker. Reduce dal successo del film del 1994, Le ali della libertà, Darabont si trova alle prese con una seconda ambientazione carceraria, laddove la sfida sta proprio nel trascendere gli scenari cupi del Braccio della Morte e la meticolosa freddezza delle esecuzioni per portare alla luce i contenuti sottesi del romanzo kinghiano. E Il Miglio Verde non è certo un libro facile da rendere per immagini senza travisarne il senso.

    La trama si muove sulla scia della giustizia cruda e parziale dell’America degli anni Trenta, in cui il razzismo è un elemento profondamente radicato nel substrato sociale e la pena di morte vige quasi indiscriminatamente come sanzione per i reati gravi.

    C’è un narratore, il protagonista Paul Edgecombe, che accompagna lo spettatore (e il lettore) nel suo viaggio verso la magia di John Coffey, il detenuto che nel 1932 cambierà completamente il corso della vita del protagonista, e c’è l’eredità, imponente e pregna di sensi, trasposta nelle pagine del suo diario: un testamento spirituale di una vita eccezionale.

    In un lontano quando, Paul lavora come sopraintendente del Blocco E nella prigione di Cold Mountain, un reparto dislocato con sei ampie celle disposte ai lati di un lungo corridoio di linoleum verde (il miglio). Come capo degli agenti di custodia è sua prerogativa mantenere l’ordine e far sì che tutti i prigionieri arrivino puntuali al loro incontro con Old Sparky, nome con cui a quei tempi veniva vezzeggiata la sedia elettrica. Quello che colpisce particolarmente è l’umanità di Paul, la sua capacità di non trasformarsi in un assassino, di non cedere al sadismo nonostante il peso del suo ruolo. Lo stesso vale per i suoi colleghi e compagni di vita, Brutus Howell, Dean Stanton e Harry Terwilliger che gli rimarranno fedeli fino alla fine, uniti contro il male che pervade il Braccio della Morte e contro Percy Wetmore, un sadico giovanotto raccomandato che non perde occasione di mettere in mostra la sua crudeltà con i più deboli.

    Se le cose erano sempre andate in un certo verso al Miglio, il 1932 sarà un anno diverso: quando un nuovo detenuto fa la sua comparsa al Blocco E, il senso stesso dell’esistenza, delle cose così come appaiono, del caso che corre e divora con la sua insaziabile sete di occorrenza, non avranno più lo stesso sapore. L’omone imponente e dalla pelle scura che risponde al nome di John Coffey (come il caffè ma scritto diverso) è stato condannato alla sedia elettrica per l’omicidio delle due gemelline Cora e Kate Detterick. È stato ritrovato dal padre delle bimbe e dal gruppo di ricerca formato in tutta fretta, mentre le teneva entrambe tra le braccia, ricoperte di sangue.

    «Non ho potuto farci niente capo», saranno le parole che lo incrimineranno. Con ogni probabilità sarebbe stato incriminato anche se avesse detto qualunque altra cosa, perché il fatto appariva inequivocabile: era nero, era grosso, e le bambine erano ricoperte di sangue.

    L’incapacità apparente di esprimersi di John, per altro, fa sì che venga condannato senza possibilità di appello. Le prove si dimostrano schiaccianti ma John non sembra essere una persona violenta: in quelle enormi mani c’è un’incredibile gentilezza, lo sguardo è buono e la paura che nutre per il buio instilla una grande tenerezza. Edgecombe da subito viene colpito da quei dettagli discrepanti, tuttavia non sente l’esigenza di andare in fondo alla faccenda fin quando non avvengono alcuni fatti straordinari. Quando Coffey libera il Capo Edgecombe dal grande male di una brutta infezione alle vie urinarie e riporta in vita il piccolo Mister Jingles, il topolino del detenuto Delacroix, la questione sembra evidente sia a Paul che alla sua squadra: un uomo con quei poteri non può essere un assassino. Coffey si rivela un miracolo con un corpo e un volto.

    Così Edgecombe e la sua squadra decidono di fare un tentativo in extremis per salvare Melinda, la moglie di Hal Moores, capo e amico di Paul, affetta da un gravissimo tumore che non lascia nessuna speranza ai medici che la tengono in cura. Con un espediente riescono a far uscire Coffey, nel cuore della notte, e a trasportarlo fino alla casa di Moores. Decidono di sedare Wild Bill, un detenuto spietato e sopra le righe che avrebbe potuto metterli nei guai, e si premurano di rinchiudere Percy, con la scusa di punirlo per quanto avvenuto all’esecuzione di Delacroix. Non molto tempo prima, infatti, Percy, che non si era mai smentito come viscida carogna, aveva insistito per dirigere l’esecuzione del detenuto francese con la promessa di dare le sue dimissioni, il giorno successivo, per trasferirsi nell’ospedale psichiatrico Briar Ridge. Il giorno dell’esecuzione, tuttavia, da sadico qual è, decide di non bagnare la spugna che veniva normalmente inserita tra la testa rasata del condannato e la piastra da cui scaturiva la corrente. La mancanza del conduttore rende l’esecuzione di Delacroix una scena horrorifica in cui spasmi e grida si confondono con l’odore terribile della morte che cuoce nelle sue carni.

    Per tornare al piano di Edgecombe e la sua squadra, rinchiudere Percy, dunque, sembra una forma di giustizia, per quanto insignificante. Quella notte, in ogni

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1