Nightland
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Saggi - saggio (82 pagine) - Incubi e sogni nella filmografia di M. Night Shyamalan
Nightland nasce per dare una voce diversa alla filmografia di M. Night Shyamalan, regista che negli anni è stato capace di dipingere le atmosfere e i significati della nostra epoca attraverso personaggi singolari ed enigmatici. Un viaggio che ripercorre la carriera del cineasta, da Il Sesto Senso, film d’esordio e campione di incassi nel mondo, fino al più recente Glass, ultimo capitolo di una trilogia improntata ai supereroi. Fantasmi, sogni, paure, poteri, speranza: Nightland non è un semplice saggio ma un luogo. È la terra di Shyamalan, tra magia e perdizione, tra oblio e rinascita, dove affondano le radici delle sue idee e della nostra epoca.
La cover è di Giorgio Finamore.
Giada Cecchinelli è autrice di libri e saggi, tra i quali, The King (2016), Francis Scott Fitzgerald – Antropologia del successo e della depressione alla luce dell’era liquida (2017), La Torre – Viaggio nel macroverso di Stephen King (2018). Il suo racconto Ti riprendo con me è presente nella raccolta Sotto un cielo rosso sangue (2016). Ha collaborato a diverse opere saggistiche, tra le quali Chucky. Guida alla saga della bambola assassina (2015), Tra realtà e finzione: il Mockumentary (2015), Chi è Pennywise? (2016), Phantasm: l’Universo di Tall Man (2016) e Il cinema di Frank Darabont (2017), e Joker – Il Clown Nero (2019).
Ha lavorato come capo redattrice per la rivista Weird Movies.
Vincitrice del premio Weird Tales Italia con il racconto Dietro il silenzio è anche traduttrice di opere fumettistiche tra cui Deadworld (2018) e Watson e Holmes (2018).
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Anteprima del libro
Nightland - Giada Cecchinelli
9788825410624
A Luigi
Per avermi restituito
il senso delle parole e avermi guarita.
Grazie di cuore,
Amore.
Una prospettiva diversa
P
er parlare di M. Night Shyamalan, il regista dei sogni e dell’inquietudine, è necessario analizzare le sue opere negli aspetti più intimi
, nei significati che trascendono le immagini e che consentono di delineare la complessa filosofia cinematografica che lo caratterizza.
L’era degli effetti speciali ha portato il cinema verso una nuova frontiera del prodigio, dove tutto è davvero possibile e ogni grandiosità ci appare reale, tangibile. Ma ogni scoperta che si rispetti possiede il suo rovescio della medaglia, perché il cinema moderno ci ha resi in parte vittime dello schermo, simili a marionette irretite dall’illusione della computer grafica. Le informazioni visive
che continuamente bombardano la nostra mente spesso ci distolgono da quello che è il reale contenuto di un film. Così la critica che ci limitiamo a fare è quella degli opposti: bello/brutto, noioso/avvincente, di tendenza/retrò. Abbiamo perso il gusto di guardare oltre le immagini.
Il cinema di Shyamalan rappresenta quindi una prospettiva diversa che si oppone alla massificazione per esaltare, invece, il significato dietro l’opera. Il film viene calibrato per essere un mezzo di comunicazione efficace, in cui il pubblico possa identificarsi e trarne beneficio, contiene in sé un monito e un consiglio: ma per coglierli è necessario addentrarsi nell’analisi della loro simbologia.
Leggendo i pensieri di Shyamalan si potrà scoprire (e, forse, essere d’accordo con lui) che l’amore cambia davvero il mondo.
Io lo credo fortemente.
Frammenti di Shyamalan
M
anoj Nelliyattu Shyamalan (6 agosto 1970, Mahe), più semplicemente conosciuto come M. Night Shyamalan, aveva otto anni quando per la prima volta si trovò alle prese con la Super 8 millimetri
. Si trattava di una nuova telecamera introdotta dalla Kodak, di facile utilizzo e che permetteva di creare immagini ad alta risoluzione. Fu la prima camera a dimensioni ridotte con alte prestazioni: 18 ft/s (fotogrammi per secondo), filtro di correzione automatica, leggera e maneggevole grazie ai caricatori in cui era contenuta la pellicola,¹ era davvero alla portata di tutti.
All’epoca riscosse un enorme successo: Hollywood aveva gettato le fondamenta del suo impero con una produzione in crescita di film e tutti desideravano un pezzetto di quel regno. Così, chiunque poteva permettersela economicamente, si procurava una Super 8 e filmava il mondo e le sue storie, vestendo i panni del dietro le quinte. E tra i tanti filmmaker che si dilettavano
alla regia, Shyamalan si distingue per aver girato quarantacinque filmini già all’età di diciassette anni. La sua non irrisoria esperienza da autodidatta continua alla Tish School of Arts di New York, dove si diploma, e si spinge fino al suo primo vero film, nel 1998, Wide Awake.
Il grande boom, tuttavia, arriva l’anno seguente con Il Sesto Senso (1999), film con il maggior numero di incassi nella storia e candidato a sei premi Oscar: rivoluzione artistica, genio cinematografico e poesia da questo momento in poi accompagnano Shyamalan nella sua giovane ma proficua carriera.
¹. Prima dell’invenzione dei caricatori, infatti, era necessario caricare i film manualmente, all’ombra o anche al buio. Una procedura delicata che rischiava di compromettere la qualità della pellicola e che, soprattutto, richiedeva molto tempo. [Miglino E. (2006). Girare un corto in digitale. Milano: Apogeo edizioni.]
Parte prima
Quello che devi chiederti
è che tipo di persona sei…
Sei di quelli che vedono segni o miracoli
o pensi sia solo il caso a governare il mondo?
Padre Graham (Signs, 2002)
La vita reale non si lascia imprigionare
nel riquadro di una vignetta.
Elijah Price (Unbreakable, 2000)
Viaggio attraverso i cinque elementi
I
l cinema è un universo meraviglioso attraverso il quale è possibile plasmare le forme e renderle comunicazione. La scelta dei colori richiama in noi l’olfatto, l’intensità con cui le scene vengono arrestate piuttosto che velocizzate modifica la percezione del tempo: un anno può trascorrere in pochi minuti, un bambino può crescere e la sua vita correre tra un’amicizia che nasce e un amore che finisce, in frazioni piccole, istanti. Il cinema consente di spezzare le barriere entro le quali siamo abituati a muovere i nostri passi, quelle della logica e della continuità, e ci proietta nei mondi che il regista sceglie di creare.
M. Night Shyamalan, come ogni artista, filtra la realtà secondo la sua personale prospettiva, attraverso le lenti degli occhiali con cui guarda al mondo, utilizzando un linguaggio che è specifico e del tutto personale. Per comprenderlo meglio, bisogna prima di tutto tenere da conto che linguaggio non è solo parola. Se da un lato, infatti, troviamo «la lingua della ragione, della scienza, dell’interpretazione e della spiegazione»² dall’altro c’è la lingua dei sogni, quella che utilizza Shyamalan attraverso l’evocazione e gli opposti.
Si tratta di un sistema che permette di creare una connessione tra i pensieri profondi dell’autore e quelli di chi riceve il messaggio, lo spettatore. La si potrebbe chiamare «la lingua dell’immagine, della metafora, della pars pro toto, forse del simbolo, in ogni caso comunque della totalità (e non della scomposizione analitica)»³ e per interpretarla è necessario che l’occhio vada oltre quello che semplicemente può vedere. Anche se può sembrare un compito complicato, all’atto pratico è qualcosa che siamo continuamente e inconsciamente abituati a fare.
Paul Watzlawick⁴ (1921-2007) sostiene che la comunicazione è «una condicio sine qua non dell’esistenza umana»⁵ e che quindi ci è impossibile non comunicare: dunque, siamo inevitabilmente costretti a cogliere le metafore della vita in quanto forme di linguaggio. Se ci soffermiamo a riflette, possiamo facilmente renderci conto di come ci siano eventi che per noi divengono automaticamente metafora: di un vissuto, di un sentimento, di un pensiero. I colori intorno possono condizionare i nostri umori, come il tempo: non è difficile sentirsi tristi quando fuori piove. Lo stesso accade per le parole che ascoltiamo, per le onomatopee che in noi richiamano i rumori e le consistenze e, ancora, quando più semplicemente leggiamo che dalla bocca prese vita un urlo nero
sappiamo che può essere sinonimo di paura, rabbia, angoscia.
Le metafore si muovono di concerto con gli archetipi⁶ in Shyamalan, e per questo hanno un impatto ancora maggiore, perché in esse ricorre la simbologia che l’autore va a ripescare dalle forme originarie e primitive dei nostri pensieri. Nei suoi film la metafora non rappresenta una scelta meramente estetica ma una tecnica per esprimere la critica a quelle che sono le condizioni della società moderna. Il linguaggio è soprattutto cultura, infatti, è la realtà in cui siamo inconsapevolmente immersi e che ci circonda, quella che assorbiamo continuamente dalle nostre radici e che plasmiamo con l’andare dei tempi. Così possiamo vedere nell’autore l’attenzione per le problematiche sociali, per l’uomo che si perde e sa ritrovarsi, per quei meccanismi che guidano il pensiero e le azioni e che ci rendono, in fine, quello che siamo e dove vogliamo esserlo.
La metafora permette di mediare la creazione dei mondi che popolano la mente del regista, dandogli vita e credibilità, nel momento in cui si muovono in sincronia con quelli che sono gli scenari di vita comuni e con gli stessi