Phantasm
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Saggi - saggio (109 pagine) - L’unico libro in Italia che racconta la saga di Phantasm
Un’analisi lucida degli incubi di Don Coscarelli nella società in subbuglio degli anni Settanta: la nascita del Tall Man e del suo inferno privato, l’influenza della Nuova Hollywood e il cinema degli zombie, l’universo distopico e il primo supervillain del grande schermo.
Tra morte e stregoneria, profanazione dei simboli e terrore delle invasioni aliene, l’esperimento registico di Coscarelli reinventa la concezione di “genere”, portando il germe di una nuova scienza che precederà di trentacinque anni gli sforzi cinematografici dell’avveniristico Interstellar.
Il libro è scritto da Luigi Boccia, Lorenzo Ricciardi, Giada Cecchinelli, Nicola Lombardi. Interviste a Don Coscarelli, Reggie Bannister, Gigi Bannister e David Hartman.
Luigi Boccia, scrittore, sceneggiatore e regista, ha lavorato per diverse case di produzione cinematografica tra le quali la Eagle Picture, La 7 e Rai. Tra i suoi libri La Janara (2007), Leonardo da Vinci e la finestra sul tempo (2014), La Notte chiama (2016), Scarescrow (2018). Ha curato diverse antologie e volumi per vari editori, ed è autore di saggi, tra i quali Licantropi e Chi è Pennywise?, Scrivere l’horror nel cinema e nella televisione. Per la Star Comics ha ideato con Sergio Stivaletti la serie a fumetti Factor-V. Per Delos Digital cura la collana Horror Story. È il fondatore del marchio editoriale Weird Book.
Lorenzo Ricciardi collabora con alcune tra le più importanti testate internazionali di cinema, tra le quali la nota rivista francese Ecran Fantastique, la rivista americana Fangoria, l’inglese Scream, la spagnola SciFiWorld e la tedesca Virus. Nel 2011 pubblica il suo primo libro, Zombie – Down of the Dead di George Romero. Ha collaborato con altri saggi, tra i quali Chucky – Guida alla saga della Bambola Assassina, Il cinema di Frank Darabont e Joe Dante: Master of Horror.
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Anteprima del libro
Phantasm - Luigi Boccia
9788825410709
Fantasmi
Un nuovo modello d’Oltretomba
Nicola Lombardi
Non aprire mai la porta dell’Aldilà…
Siamo alla fine degli anni Settanta, e il cinema dell’orrore sta godendo uno dei suoi ciclici periodi d’oro. Nel giro di pochi anni sono uscite nelle sale chicche del calibro di Carrie, Il presagio, Suspiria, Zombi, Halloween, tanto per citare solo alcune punte di diamante; e inserirsi in un panorama così vitale e competitivo non è certo impresa facile, soprattutto se ci si trova a confrontarsi con i grandi maestri dell’horror in tutto il loro splendore. Ma ambizione e fantasia, si sa, sono una miscela esplosiva, e il giovane Don Coscarelli (classe 1954) riesce a fare il botto regalando agli appassionati un film destinato a rimanere negli annali del cinema dell’incubo. È il 1979, e Fantasmi (Phantasm) fa il colpaccio al botteghino: a fronte di un costo di produzione di 300.000 dollari, infatti, solo negli Stati Uniti ne incassa circa 12 milioni.
Coscarelli (nato a Tripoli da famiglia italiana, poi naturalizzato statunitense) ha alle spalle una modesta filmografia, appena due titoli: Jim, the World’s Greatest e Kenny & Company, prodotti giovanilistici in bilico fra dramma e commedia. Stando a una sua dichiarazione, l’idea di provare a cimentarsi con l’horror è nata dalla vivace reazione degli spettatori di fronte a una situazione macabra presentata nel suo secondo film, per cui si è ritirato per un certo periodo nella baita montana di famiglia e qui ha cominciato a scavare nel cuore delle proprie personali paure. Dopo essersi posto la domanda ‘Qual è la cosa che maggiormente temiamo?’, ha trovato la risposta più indiscutibile, nella sua spiazzante semplicità: la morte. Ed è appunto attorno a questo concetto che Coscarelli ha imbastito il suo racconto folle, imprevedibile, stralunato.
Fantasmi può essere considerato a buon diritto un low-budget girato in famiglia: i suoi genitori hanno infatti sostenuto la maggior parte dello sforzo produttivo, con vecchi amici all’opera davanti alla cinepresa e il più che volonteroso Don impegnato nei ruoli di sceneggiatore, fotografo, regista e montatore (con la mamma scrittrice Kate, tra l’altro, a occuparsi di scenografia, trucco e costumi); ma ne è valsa ampiamente la pena, perché il risultato è andato ben oltre le aspettative.
In breve, questa la trama: un ragazzino, Mike (Michael Baldwin) – rimasto di recente orfano, e disperatamente legato al fratello maggiore Jody (Bill Thornbury) – si imbatte in un essere ultraterreno, dalla forza sovrumana, il quale, sotto le sembianze di un gigantesco necroforo, porta avanti un inconcepibile progetto tra le mura di un labirintico mausoleo: quello di ridurre i cadaveri alle dimensioni di orridi nani (interpretati da bambini in saio) per traghettarli attraverso un portale in un’altra dimensione, dove si troveranno a essere schiavizzati. Ad aiutare il ragazzo nella sua disperata ricerca della verità si unisce pure, oltre a Jody, l’amico e gelataio ambulante Reggie (Reggie Bannister). L’altissimo becchino noto come Tall Man (Angus Scrimm, 1 metro e 93, altezza esaltata da suole rialzate e abiti più corti, come il Frankenstein di Karloff) non disdegna di presentarsi pure nelle vesti di una bionda avvenente quanto lasciva pur di procacciarsi le sue vittime. E nonostante al termine del film ci giunga inattesa la rivelazione che tutto ciò a cui abbiamo assistito altro non era se non un febbrile sogno di Mike (rimasto solo al mondo, e affidato alle cure di Reggie), Tall Man si palesa realmente per reclamare con violenza il corpo e l’anima del giovane protagonista.
Fantasmi è un film stravagante, oltre che unico nel panorama cinematografico contemporaneo. Si muove su diversi piani, giocando fra incongruenze apparenti o gratuite insensatezze, forte del fatto che poi il capovolgimento finale riporterà ogni bizzarria nella giusta ottica. E tutto quanto, alla fine, pare infatti quadrare allo spettatore, se si eccettua il deflagrare dell’incubo urlante, tremendo, su cui la storia si chiude.
L’immenso cimitero di Morningside è il teatro in cui va in scena la pazzesca vicenda, orchestrata dal personaggio che più di ogni altro è rimasto inscindibilmente legato alla scia emotiva prodotta dal film sui suoi fans: Tall Man. Questo essere colossale, dal volto costantemente distorto in una smorfia bellicosa, in grado di trasportare senza visibile sforzo una bara (occupata) sottobraccio, riassume in sé le caratteristiche dell’incubo, dell’assurdo, dell’inspiegabile, e comunque della totale alienità. Nel cuore del grande mausoleo dai corridoi costellati di loculi funerari si cela il suo covo, laddove – seguendo procedimenti non chiariti, ma dei quali sono tristemente noti i risultati – Tall Man ridona la vita ai cadaveri, ne riduce le dimensioni (tramutandoli di fatto in creature non più classificabili come umane), e attraverso un fantascientifico portale immaginato come un diapason fuori misura li proietta in un Altrove che può anche essere considerato un Aldilà, o più genericamente un’Altra Dimensione, per attenerci ai topoi della narrativa fantastica. Il motivo della radicale trasformazione ci viene fornito dallo stesso Mike, che formula un’ipotesi azzardando una spiegazione legata alla temperatura e alla gravità del luogo di destinazione, aprendo così uno spiraglio all’immagine di un pianeta alieno regolato da leggi fisiche ben precise. Coscarelli non ci racconta chi, o cosa, governa questa torrida dimensione; né ci spiega per chi, o per cosa, lavora Tall Man: tutti dettagli che in effetti avrebbero condotto lo spettatore un po’ troppo lontano spostando il baricentro della storia, il fulcro attorno al quale il regista, come si è detto, ha tessuto la sua storia, cioè la paura della morte.
Già, perché è proprio questo il punto: Mike ha perso i genitori in un incidente d’auto, e ora vive nel terrore di poter perdere anche il fratello, unico anello di congiunzione col mondo esterno, e quindi con una parvenza di equilibrio mentale. Ma tutto quanto, come veniamo poi a scoprire, non è che un naufragio allucinatorio nella mente del ragazzino (forse), perché in realtà anche Jody è già morto. In pratica, Coscarelli gioca a confondere le carte in tavola, affermando e negando, lasciando infine allo spettatore il compito di applicare i pezzi del puzzle che meglio possano completare l’insieme, a discrezione. I legami di sangue, gli affetti, le dipendenze emotive: ecco i capisaldi della nostra integrità, venendo a mancare i quali si possono spalancare le peggiori porte perdute nell’inesplorato dedalo della nostra psiche. Ho visto una porta,
dice Mike al fratello, guidandolo all’interno del mausoleo, e penso che ci sia qualcosa.
Apparente ovvietà che si può leggere dunque anche in chiave analitica: il fatto di individuare un varco è già un passo verso il suo superamento, e quindi della scoperta di ciò che sicuramente sta dall’altra parte, nel bene o nel male. E al di là (o Aldilà) di quella porta c’è in effetti un nuovo mondo da scoprire: ben impilati troviamo i barilotti contenenti i cadaveri rimpiccioliti, pronti per essere lanciati oltre la soglia-diapason. Mike rischia seriamente di ritrovarsi irrimediabilmente perduto nell’Altra Dimensione, se non fosse il fratello a trattenerlo all’ultimo secondo. Gli è però concessa un’occhiata, quanto basta per poter riferire ciò che ha visto; ma è come quando si racconta un sogno: ci si può impegnare per tradurre in parole una serie di immagini e impressioni, e la successione del loro svolgersi nella nostra mente, ma non sarà mai possibile rendere l’ineffabile impatto emozionale che tale esperienza è stata in grado di muovere in noi (e, ancora, ci aggiriamo attorno al lettino dello psicanalista).
Fantasmi pullula di trovate originali, ma la più geniale e memorabile è senza dubbio la sfera volante, che si è immediatamente imposta come icona della funerea saga. Complice l’effettista Paul Peppermann, Coscarelli immagina una visionaria minaccia posta a guardia del mausoleo, una sfera d’acciaio che sfreccia attraverso i corridoi allo scopo, presumibilmente, di allontanare e/o eliminare in maniera radicale eventuali intrusi. Come animato di vita propria, il lucido globo vola a gran velocità incontro alla propria vittima, e a pochi secondi dall’inevitabile impatto ne fuoriescono due tozzi forchettoni che si conficcano esattamente in fronte al malcapitato. Per quanto quest’ultimo si sforzi, poi, non gli riesce certo di estirpare l’aggeggio, ma neppure ne ha il tempo; la sfera, infatti, ora che si è ben stabilizzata, fa subito comparire un’altra sgradita sorpresa: una punta di trapano, con la quale trivella laboriosamente il cranio a cui si è ancorata (espellendo il sangue in un copioso fiotto dalla parte posteriore). Non c’è che dire: a Coscarelli la fantasia non fa difetto.
La larvata matrice onirica (leggi: gratuità apparente) che serpeggia attraverso l’intero racconto è rimarcata comunque da parecchi dettagli. Quando Mike riesce a troncare tra porta e stipite un dito di Tall Man (il cui sangue, se così lo si può definire, è di colore giallo) lo raccoglie e lo conserva in una piccola teca, mentre la macabra reliquia continua ad agitarsi come un grosso, ripugnante bruco rosa. Lo scopo per cui Mike lo porta a casa con sé è quello di mostrarlo al fratello, e convincerlo così della verità di quanto gli ha raccontato. Raggiunto il proprio scopo, il ragazzino scopre però con raccapriccio che il dito si è trasformato in un mostruoso moscone; e stavolta toccherà all’amico Reggie, una volta trovatosi di fronte all’inconfutabilità dell’Incubo, divenire a sua volta partecipe del segreto e lasciarsi reclutare senza riserve in una disperata battaglia contro il Male. Insomma, pare proprio che l’Orrore necessiti di essere vissuto in prima persona, perché ci si convinca appieno della sua natura, o perlomeno della sua esistenza.
Un’annotazione tecnica, tra parentesi: la colonna sonora – firmata da Fred Myrow e Malcolm Seagrave – vortica attorno a un leit-motiv ipnotico e ripetitivo che si inchioda al cervello dello spettatore