Mockumentary & Found Footage
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Saggi - saggio (87 pagine) - Realtà cruda, disillusione degli effetti speciali, immediatezza, orrore: tutte le idee che hanno reso grande la tecnica del mockumentary.
Anatomia del mockumentary. Un reportage dettagliato del genere che ha rivoluzionato il modo di fare cinema, dagli esordi del found footage Cannibal Holocaust ai successi di The Blair Witch Project e la saga di [Rec], fino agli ultimi “esperimenti” cinematografici moderni, tra i quali Afflicted, The Atticus Institute e The Visit. Approfondimenti, curiosità e interviste esclusive a Eduardo Sanchez e Jaume Balagueró, e l’introduzione di Ruggero Deodato.
Mockumentary & Found Footage è un saggio a cura di Luigi Boccia e Lorenzo Ricciardi, con interventi di Giada Cecchinelli, Giovanni Aloisio, Giuseppe Carradori e GianLorenzo Franzì. Copertina di Giorgio Finamore.
Luigi Boccia, scrittore, sceneggiatore e regista, ha lavorato per diverse case di produzione cinematografica tra le quali la Eagle Picture, La 7 e Rai. Tra i suoi libri La Janara (2007), Leonardo da Vinci e la finestra sul tempo (2014), La Notte chiama (2016), Scarescrow (2018). Ha curato diverse antologie e volumi per vari editori, ed è autore di saggi, tra i quali Licantropi e Chi è Pennywise?, Scrivere l’horror nel cinema e nella televisione. Per la Star Comics ha ideato con Sergio Stivaletti la serie a fumetti Factor-V. Per Delos Digital cura la collana Horror Story. È il fondatore del marchio editoriale Weird Book.
Lorenzo Ricciardi collabora con alcune tra le più importanti testate internazionali di cinema, tra le quali la nota rivista francese Ecran Fantastique, la rivista americana Fangoria, l’inglese Scream, la spagnola SciFiWorld e la tedesca Virus. Nel 2011 pubblica il suo primo libro, Zombie – Down of the Dead di George Romero. Ha collaborato con altri saggi, tra i quali Chucky – Guida alla saga della Bambola Assassina, Il cinema di Frank Darabont e Joe Dante: Master of Horror.
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Anteprima del libro
Mockumentary & Found Footage - Luigi Boccia
9788825410624
Gli spettatori sono tutti al tempo
stesso masochisti e sadici.
L’occhio Selvaggio (1962)
Prefazione
Ruggero Deodato
Quando al mio amico Sergio Leone facevano notare di essere il padre del Western all’italiana, lui rispondeva sempre: Pensa a quanti figli di mignotta ho messo al mondo
.
Con la genialità che gli era propria, Leone si riferiva allo tsunami di film sfornati dopo Per un Pugno di Dollari per battere il ferro finché caldo; per far cassa prima che la moda passasse e la pacchia finisse. Una situazione che, come sempre accade in questi casi, confezionò rari capolavori, qualche buona pellicola, ma per lo più rappresentò uno spreco di celluloide.
Io, oggi, potrei forse rispolverare la caustica battuta di Sergio, posto che la moda
sembra non avere fine. Sto parlando naturalmente del mockumentary, o found footage o, ancora, del mockumentary-found footage. Chiamatelo come volete, si tratta sostanzialmente del finto documentario girato con la macchina a mano. Un’intuizione che ebbi (primus inter pares) quando realizzai Cannibal Holocaust.
Navigando in Internet, sono spesso stupito da siti che, parlando del fenomeno, attribuiscono la nascita di questa mania
a The Blair Witch Project. Peccato che i ragazzini della strega di Blair, per loro stessa ammissione, copiarono l’idea, l’impianto di base, proprio di Cannibal Holocaust. Quindi (ed è pura e semplice onestà intellettuale), se un punto di partenza c’è, è il mio film più famoso.
Una volta, durante un festival a cui ero stato invitato in qualità di giurato, un fan mi si avvicinò. Recava con sé proprio un DVD di Cannibal Holocaust, e voleva un autografo con dedica sulla copertina. Ordinaria amministrazione. Ricordo però proprio quel fan per una domanda che mi pose: Perché non ha fatto del mockumentary un suo marchio di fabbrica?
In effetti quel ragazzo aveva ragione. I registi fanno spesso queste cose. Lo stesso Leone fece della dilatazione dei tempi una sua caratteristica peculiare. Così come Tarantino con i dialoghi. O Sam Raimi (almeno all’inizio) con le zoomate tanto care al cinema degli anni ‘60 e ‘70.
Io invece… be’, i registi non sono tutti uguali. A me è sempre piaciuto cambiare. Ho girato Cannibal Holocaust e La Casa Sperduta nel Parco, ma anche I Quattro del Pater Noster. Horror e thriller ma anche fantasy. Film erotici e I Ragazzi del Muretto. Uomini si nasce, Poliziotti si Muore ma anche Incantesimo e così via. Per non parlare delle pubblicità. E poi, in fondo, chi se l’aspettava? Chi poteva immaginare, alla fine degli anni ‘70, che un’intuizione nata per dar vita a un film avrebbe, dalla fine degli anni ‘90, dato vita addirittura ad un genere? Perché di questo si tratta. Di un genere. Tutti questi finti documentari in prima persona con la macchina a mano obbligano a un’estetica precisa. Pertanto, non è affatto azzardato definire il found footage un genere a se stante.
E allora, tornando alla battuta di Leone, posso dirmi anch’io un padre con tanti figli di buona donna a carico?
Non lo so.
Non lo so perché, non solo la filmografia è gigantesca. Un vorace Godzilla che accomuna lavori quali Cloverfield e Rec a robaccia come… vabbe’, non facciamo nomi.
Non lo so (e qui sta il cuore di una riflessione che mi porto dietro da anni), perché forse non sono il padre di un bel niente. Forse, con la commercializzazione di videocamere sempre più compatte e potenti prima, fino ai videofonini attuali poi, questo fenomeno, questo modo di girare i film si sarebbe sviluppato comunque. Anche senza il signor Ruggero Deodato e il suo Cannibal Holocaust.
Forse le cose stanno così.
Anche se a me piace pensare il contrario.
La fanta-rivoluzione dei filmmaker
Luigi Boccia
L’aspirazione di ogni lungometraggio è da sempre quella di riprodurre la realtà il più fedelmente possibile, al di là della storia o del genere con cui la stiamo raccontando in immagini. Una definizione che vale per qualsiasi film, compresi quelli irreali
, che non possono cioè essere fedeli e aderenti alla realtà (come i film fantasy o di fantascienza) perché il loro obiettivo è rendere vivo quel mondo fittizio agli occhi dello spettatore, ma nessun genere come quello horror avrebbe potuto sfruttare al meglio la tecnica del mockumentary come strumento per avvicinare lo spettatore alla realtà:
Il mockumentary (letteralmente significa falso documentario¹) si riferisce ad un’opera filmica che per stile e impostazione sembra riprodurre fedelmente la realtà, mentre si tratta invece di un puro prodotto di fiction. Il suo fine ultimo è quello di far credere che ciò a cui stiamo assistendo non sia una semplice ricostruzione del reale, ma l’effettivo svolgersi di quei fatti reali.
Il cinema documentario è quindi per definizione il ritratto più fedele della realtà
, che ci porta a farci delle domande sulla sua autenticità, impedendoci di comprendere quale sia il confine tra il vero e il falso. Il teorema al quale sottende il falso-documentario è molto semplice: il pubblico venendo a contatto con un argomento presentato sotto forma di documentario, sarà più propenso a credervi. La differenza fondamentale «risiede nella distinzione riscontrabile tra l’abbellimento di un fatto realmente accaduto e l’intelligente dissimulazione di una bugia… Il falso-documentario non pretende esclusivamente di far credere vero qualcosa di palesemente falso, aumentandone la credibilità, ma, soprattutto cerca di stimolare il pubblico ad interrogarsi a proposito del tema trattato e del linguaggio del documentario stesso.»²
Prima di inoltrarci nella discussione è necessario fare una precisazione. Nonostante si tenda a equiparare il significato di mockumentary e found footage, i due stili cinematografici
hanno differenti strutture, che in molte opere si fondono dando vita a una rappresentazione del mockumentary:
Il found footage è un film realizzato (interamente o quasi) con immagini tratte da pseudo-filmati ritrovati, che nella maggior parte dei casi rappresentano la testimonianza di persone morte o scomparse. Gli eventi raccontati nelle immagini sono registrazioni effettuate da uno o più personaggi coinvolti nella vicenda.
Entrando nello specifico per analizzare le singole componenti strutturali dei due stili:
Mockumentary
un finto reportage con fotografia ben curata, ripresa statica/documentaristica, comunicazione frontale, presenza di interviste.
Found footage
filmato amatoriale che fa leva sul ritrovamento casuale. E proprio in virtù del ritrovamento, le riprese possono essere non professionali, o utilizzare anche altre fonti come le videocamere di sorveglianza.
Le origini di un nuovo business
Il found footage nasce nel 1983 con Cannibal Holocaust, diretto da Ruggero Deodato. Un film per stomaci forti sulla moda di costruire documentari usando un bieco sensazionalismo, ma che «suscita riflessioni che vanno al di là del genere cannibal movie, nato nel 1972 con Il paese del sesso selvaggio di Umberto Lenzi, in un’Italia sconvolta dalle immagini del terrorismo di piombo sparate ogni giorno dai telegiornali.»³
Un professore, inviato dal governo degli Stati Uniti per indagare sulla misteriosa morte di tre operatori e una giornalista nel cuore dell’Amazzonia, segue il loro stesso percorso, raccogliendo documentazioni filmate dei poveretti. Ritornato in sede, l’uomo visiona il materiale e scopre l’orrenda verità: i giornalisti, che volevano girare un documentario sconcertante e sensazionale, avevano provocato la reazione degli indigeni comportandosi con loro in modo abominevole, fino ad essere uccisi e mangiati⁴ davanti alla macchina da presa in funzione.
È con l’espediente del documentario, in realtà falso, che il regista italiano Ruggero Deodato dà vita a uno dei film più agghiaccianti e controversi della storia del cinema. Non un horror né un semplice mockumentary, ma una spietata catalogazione di ogni genere di aberrazione. Stupri, squartamenti, decapitazioni, evirazioni e impalamenti. Niente è