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Abbiamo droghe e droghette
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E-book501 pagine7 ore

Abbiamo droghe e droghette

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Info su questo ebook

Non è un testo scientifico, ma è il primo dei due volumi di una rassegna di questa patologia, scritta in modo semplice, in chiave umoristica e con numerosi riferimenti storici e letterari.

L’autore è un vecchio medico che, relegato in pensione da molti anni per aver raggiunto l’età in cui si danno buoni consigli per non essere più in grado di dare cattivi esempi, ha pensato bene di occupare il tempo libero riferendo quello che ha saputo sulla tossicodipendenza e sugli altri problemi ad essa correlati.

Lo scrittore Alberto Arbasino si è chiesto:

“Tanto fumare, tanto parlare, tanto bucarsi per risultati così scarsi? Se nel mondo del rock bisogna farsi tanto e prendere tanta roba per arrivare a canzoni come quelle di Jimi Hendrix e Janis Joplin, Wagner e Brahms che cosa avrebbero dovuto fare? Mettersi un DC10 nel didietro?”
LinguaItaliano
Data di uscita19 nov 2019
ISBN9788831642323
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    Anteprima del libro

    Abbiamo droghe e droghette - Luigi Carlo Joo

    429

    PREFAZIONE

    Questo è il primo dei due volumi di un’indagine, esposta in modo divulgativo, sulla tossicodipendenza e su alcune dipendenze comportamentali.

    La sua lettura può avvenire a diversi livelli di conoscenza: può essere utile sia a chi si accontenta di una cultura superficiale e desidera conoscere solo le caratteristiche di ogni droga, i suoi effetti principali e i suoi rischi, sia a chi preferisce approfondire l’argomento imparando anche le formule chimiche e i meccanismi d’azione delle droghe principali.

    Nel primo caso basta sorvolare sugli argomenti meno importanti, leggendoli a volo d’uccello. E se una notizia non interessa, è meglio cambiare subito pagina.

    È importante andare sempre avanti!

    È stato scritto soprattutto per i giovani lettori ed è proprio pensando a loro che l’autore ha deciso di agire non solo sull’intelligenza razionale, convincendoli col ragionamento, ma di utilizzare anche la loro intelligenza emotiva mediante le sensazioni del momento.

    Per chi ha la possibilità di navigare in rete può diventare anche un testo illustrato con foto, immagini e altre notizie di ogni genere, che saranno segnalate al momento opportuno.

    Per esempio, quando nel capitolo dedicato all’oppio (la resina del Papaver somniferum, dal quale derivano anche la morfina e l’eroina) sarà citato il quadro I papaveri, dipinto da Monet nel 1873, il lettore potrà vederlo scrivendo nel motore di ricerca: monet papaveri.

    Il frequente uso mondiale dell’inglese nella trattazione di questo argomento ci ha suggerito l’aggiunta di alcuni termini in questa lingua accanto ai nostri.

    Potrebbero essere degne di interesse anche le espressioni gergali, da strada, locali e internazionali, tipiche di questa particolare sottocultura, usate sia dai consumatori, sia dagli addetti ai lavori: fabbricanti di droghe, creatori di droghe sintetiche, spacciatori eccetera. E poiché in materia anche le Forze dell’ordine hanno un loro gergo, riferiremo anche quello. Tutto questo glossario verrà segnalato con la sigla ger.

    CAPITOLO PRIMO

    LE PAROLE GIUSTE

    L'uomo veramente libero non esiste. Mai nessuno è riuscito a liberarsi dagli innumerevoli condizionamenti che lo guidano in ogni istante.

    Quasi duemila anni fa Seneca (4 a. C. - 65 d. C.) ha scritto:

    Mostrami chi non è schiavo: uno lo è della libidine, l’altro dell’avarizia, l’altro ancora dell’ambizione, tutti della paura. La schiavitù più avvilente è quella volontaria.

    Sono libero quando posso fare ciò che voglio, - ha aggiunto Voltaire (1694-1778) - ma non sono libero di volere ciò che voglio.

    Jean-Paul Sartre (1905-80) ha concluso che:

    Siamo liberi in un ambiente condizionato.

    Alcune persone sono però ancora meno libere delle altre; come, per esempio, i tossicodipendenti; ed esistono anche altri tipi di dipendenze, meno note ma non meno importanti: si tratta di un disturbo del controllo degli impulsi così serio da rendere l'individuo, diciamo pure il malato, incapace di resistere al desiderio impellente di compiere una determinata azione, che molto spesso può essere pericolosa.

    Azione che è preceduta da un anomalo senso di tensione e di eccitazione ed è seguita, quando è stato soddisfatto il suo stimolo, da un senso di piacere, di gratificazione, di tranquillità; come la ludopatia (mania del gioco), la cleptomania (mania di rubare), la shoppingmania (mania di comprare oggetti inutili), l’internetmania (mania di navigare per via elettronica), l’erotomania (mania di fare sesso) e molti altri che vedremo insieme.

    Ecco, l’oggetto del nostro studio è la dipendenza dalle droghe e dai comportamenti ossessivi-compulsivi.

    La dipendenza dalle droghe, o tossicodipendenza, nel 1957 è stata definita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità; in inglese WHO: World Health Organization):

    Uno stato di intossicazione periodica o cronica, provocata dall’uso ripetuto di una droga naturale o sintetica.

    Il nome dei comportamenti ossessivi-compulsivi deriva da due parole latine: ossessivi da obsidere (assediare), perché tornano in mente di continuo, compulsivi da compellere (spingere), perché costringono il malato a ripetere urgentemente quel dato comportamento.

    La chiave di lettura di questi due tipi di dipendenze, quella dalle sostanze d’abuso (chemical addictions, in ing.) e quella comportamentale (non-chemical addictions, in ing.), è uguale per entrambe ed è molto semplice: nel primo caso le droghe approfittano della presenza dei circuiti nervosi naturalmente attivati dai tre elementi indispensabili per la sopravvivenza dell’individuo e della sua specie: il cibo, l’acqua e il sesso, che manifestano la loro azione mediante una sostanza chimica particolare, chiamata dopamina, attiva sui centri del piacere; nel secondo, in condizioni normali, il gioco (per esempio giocare a carte in famiglia o con gli amici, oppure prendere ogni tanto un gratta e vinci), fare compere in un negozio o al mercato, navigare per via elettronica e tanti altri comportamenti abituali, producono nel cervello questa stessa sostanza, la dopamina, che stimola i centri del piacere.

    Il passaggio dal piacere fisiologico a quello patologico avviene quando la persona affetta da un disturbo del controllo degli impulsi non riesce più a trattenersi dal ripetere in eccesso, in modo irragionevole, quel determinato comportamento, di giocare, di comprare, di navigare in rete (on line, in ing.) eccetera; o anche dal compiere azioni irregolari, come rubare, bruciare, strapparsi i capelli e altre.

    Succede perché le sostanze piacevoli prodotte da questi comportamenti sono chimicamente affini alle droghe: infatti, la tossicodipendenza è chiamata anche tossicomania, così come si parla di ludomania, di cleptomania, di shoppingmania, di internetmania, di erotomania eccetera.

    Le droghe sono sostanze esogene (introdotte dall’esterno), le altre sono endogene (prodotte dall’organismo) e tutte insieme raggiungono, attraverso una via finale comune, le stesse zone del cervello che suscitano piacere.

    Nel primo caso si tratta di un drogaggio esterno, nell’altro di un drogaggio interno, per mantenere sufficientemente alto nel sangue il livello delle sostanze prodotte da quel modo di fare.

    Soffermiamoci un momento per capire meglio un concetto molto importante.

    2400 anni fa Platone (427-347 a.C.) ha spiegato che lo scopo della fame e della sete è la conservazione dell’individuo e che quello del desiderio sessuale è la conservazione della specie.

    Infatti, se non esistessero queste pulsioni naturali, nessuno si affaticherebbe e perderebbe tempo per mangiare, per bere e per fare sesso; e anche nella ricerca del materiale d’uso!

    Anche se, bisogna ricordarlo, sul piacere del sesso non tutti sono d’accordo.

    Al medico e scrittore inglese Thomas Brown (1605-82), per esempio, premeva soprattutto essere considerato una persona molto distinta:

    Io sarei contento se potessimo procreare senza congiunzione, come gli alberi, e se ci fosse un altro modo per perpetuare la specie senza questa maniera meschina e volgare di unirsi.

    Era pienamente d’accordo con lui anche un suo compaesano, lo statista Lord Philip Chesterfield (1694-1773):

    Il piacere è momentaneo, la posizione ridicola, la fatica ingiustificata.

    Effettivamente, a volte, è una vera sfacchinata! La definizione popolare di lavori forzati non è poi tanto fuori luogo!

    Se non vogliamo ripetere un pasticcio simile a quello provocato dal signor Michelotto, dobbiamo per prima cosa conoscere il vero significato delle parole necessarie per capire bene i concetti principali, come: droga, dipendenza, tolleranza ecc.; e sapere anche che altre sono usate in modo improprio.

    Da dove incominciamo? Dal significato di quelle giuste o da quelle usate in modo sbagliato? Cominciamo da queste ultime.

    George Bernard Shaw (1856-1950) ha ammonito:

    Diffidate della falsa conoscenza; è molto peggio dell’ignoranza.

    Le parole più importanti tra quelle usate impropriamente sono: stress, narcotico e stupefacente. Dello stress parleremo a suo tempo, vediamo ora l’errore di usare narcotico e stupefacente come se fossero sinonimi di droga.

    Per esempio, in ognuna delle città capitali di provincia italiane esiste la Squadra Narcotici, la sezione della Polizia di Stato che si occupa della lotta contro il traffico degli stupefacenti.

    È un uso improprio perché è vero che i narcotici e gli stupefacenti possono essere usati come droghe, ma non tutte le droghe sono narcotiche o stupefacenti. Ce ne sono altre con l’effetto opposto.

    La classificazione di tutte le droghe la vedremo più avanti; per il momento è importante distinguere le droghe deprimenti del sistema nervoso centrale, che rallentano la trasmissione dell’impulso lungo il nervo, da quelle stimolanti, che accelerano la trasmissione.

    Le principali tra le prime sono l’oppio e i suoi derivati (morfina ed eroina), oltre all’alcol; tra le stimolanti la cocaina e le amfetamine, oltre alla nicotina e alla caffeina.

    C’è chi dice macchina per scrivere, e chi dice macchina da scrivere? La scelta è poco importante perché il complemento di fine (o scopo) può essere introdotto sia dalla preposizione per, sia dalla preposizione da, intendendo in questo secondo caso un’abbreviazione di da usare per; ma per quanto riguarda il significato delle due parole narcotico e stupefacente non è possibile decidere a proprio volere.

    La parola narcotico deriva dal greco nàrke, che è la torpedine, il pesce che intorpidisce gli aggressori e le prede mediante una scarica elettrica.

    È come il moderno dissuasore elettrico, o storditore, o taser (acronimo di Thomas A. Swift’s Electronic Rifle), un’arma usata per difesa personale e da più di cento forze di polizia nel mondo; da poco tempo anche in Italia e nella Città del Vaticano.

    In greco narkòo significa io intorpidisco; nàrcosis significa torpore.

    In italiano la narcòsi è l’anestesia generale (o totale), il coma farmacologico indotto artificialmente allo scopo di provocare incoscienza, insensibilità al dolore e paralisi muscolare temporanea onde evitare reazioni riflesse di tipo motorio.

    Il termine narcòtici indica i farmaci analgesici e ipnotici, ossia quelli che calmano il dolore e che inducono il sonno.

    Troviamo l’origine del termine stupefacente in una legge promulgata nel 91 a.C. dal dittatore Silla (138-78 a.C., sì, l’avversario politico di Mario): Venena stuporem facentia (I veleni che danno stupore).

    I sinonimi di stupore sono: stordimento e intontimento.

    Si tratta perciò di due termini appropriati solo per le droghe deprimenti il sistema nervoso (che rallentano la trasmissione dell’impulso lungo il nervo), come quelle derivate dall’oppio (morfina, eroina), alcol ecc., non certo per quelle stimolanti (che accelerano l’impulso), come la cocaina, le amfetamine, la caffeina ecc. Anzi, proprio queste droghe eccitanti vengono usate a volte per combattere il sonno e per risvegliare la mente intorpidita dalle droghe deprimenti.

    Per esempio, alla fine di un festino, qualche partecipante che ha ecceduto con l’alcol, assume una pippata di cocaina (a Roma dicono in gergo che si inzufola) per mettersi alla guida. Con la speranza che scelga una strada diversa dalla nostra!

    Quindi, la denominazione e la definizione corrette potrebbero essere:

    Squadra Antidroghe, la sezione che si occupa della lotta contro il traffico delle sostanze soggette ad abuso; o, più semplicemente sostanze d’abuso.

    Lo stesso uso improprio è spesso ripetuto dai media (giornali, radio, tv ecc.) quando riferiscono che … è stato trovato sotto l’effetto di narcotici, o … in possesso di sostanze stupefacenti; oppure nominano i narcos, le organizzazioni criminali dell’America latina dedite allo smercio della cocaina.

    Anche in questo caso tali vocaboli dovrebbero valere solo per le sostanze deprimenti, non certo per quelle stimolanti, come la cocaina e le amfetamine, ma è un errore presente da così tanto tempo che nel 1957, per esempio, il titolo del film statunitense Hell Bound (Destinazione Inferno) è stato tradotto Squadra Narcotici; e ancora prima, nel 1930, negli Stati Uniti è stato costituito il Federal Bureau of Narcotics (Ufficio Federale dei Narcotici), che dal 1982 è chiamato Drug Enforcement Administration (DEA), Ente di Controllo delle Droghe.

    Insomma, chiamare narcotrafficanti i venditori di cocaina è proprio il massimo del paradosso! È come se di mattina i bar fossero affollati da consumatori di camomilla e la sera ci bevessimo un caffè per dormire più tranquilli. E come se, fuori dal bar, ci si fermasse quando il semaforo è verde, per ripartire quando diventa rosso.

    Ora, è pur vero che, come ha dichiarato la scrittrice Dacia Maraini:

    Le parole nascono spesso a caso e si diffondono al parlato comune prima che qualcuno stabilisca la loro legittimità, ma nel nostro caso, se vogliamo studiare il problema della dipendenza dalle droghe e dai comportamenti ossessivi compulsivi, dobbiamo conoscere il significato esatto delle parole necessarie per discuterne e, soprattutto, dobbiamo usarle correttamente. Perché non dobbiamo dimenticare che accanto al linguaggio comune, generico, esiste anche quello settoriale, specifico per ogni campo (biologico, telematico, economico, sportivo ecc.); e che il significato di una parola di un determinato settore può differire da quello di un altro.

    C’è l rischio che si crei un discorso tra sordi:

    Adesso facciamo una prova: leggiamo insieme quattro versi dell’Otello (Atto III, scena III) e controlliamo se l’uso delle parole da parte di Shakespeare è stato corretto, oppure no.

    Iago a Otello:

    "Not poppy, nor mandragora,

    nor all the drowsy syrups of the world

    shall ever medicine to

    that sweet sleep

    which thou owedst yesterday".

    (Né il papavero, né la mandragora,

    né tutti i sonniferi del mondo,

    ti renderanno il dolce sonno

    che fino a ieri ti era dovuto).

    Senza attendere la conferma leggendo i capitoli 9° e 43°, possiamo anticipare la risposta che l’oppio e la mandragora sono sostanze deprimenti, per cui il poeta inglese ha usato il termine drowsy shirups (sonniferi) in modo appropriato.

    Per concludere, i media dovrebbero dire, o scrivere: … è stato trovato sotto l’effetto di droghe, o … in possesso di sostanze d’abuso.

    Allo scopo di completare la notizia, dobbiamo però aggiungere che a volte, tanto per complicare il nostro studio, in una percentuale molto bassa di casi, le sostanze psicostimolanti possono avere un effetto sedativo, tranquillante.

    Conosciamo tutti qualche persona che beve il caffè anche prima di coricarsi la sera; ma si tratta dell’eccezione che conferma la regola. Per rimanere nel campo che più ci interessa in questo momento, la neurofarmacologia, la scoperta più significativa è l’effetto sedativo delle amfetamine nella cura dell’ADHD (Attention Deficit Hiperactivity Disorder, Disturbo del deficit dell’attenzione e iperattività), che è diagnosticata in genere tra i 6 e i 12 anni di età, quando il bambino si distrae facilmente e non riesce a stare fermo.

    Riparleremo di questo fenomeno paradosso nel capitolo dedicato alle amfetamine perché la terapia più efficace, di prima scelta, è affidata appunto al metilfenidato cloridrato (Ritalin, Equasym, Medikinet)), una metamfetamina che migliora la concentrazione e riduce il bisogno di muoversi di continuo. E conosceremo anche il suo meccanismo d’azione.

    A volte sono sbagliate non solo le parole, ma anche le notizie. Sapete cos’ha fatto lo scrittore statunitense Mark Twain (1835-1910) in risposta alla notizia della propria morte?

    Fece pubblicare su un giornale la propria foto con la didascalia:

    The reports of my death are greatly exaggerated.

    (Le notizie della mia morte sono molto esagerate).

    Il suo collega inglese Rudyard Kipling (1865-1936), invece, quando una mattina apprese la notizia della propria morte leggendo il quotidiano che riceveva in abbonamento, scrisse una lettera al direttore:

    Il vostro giornale annuncia la mia morte. Siccome in genere siete bene informati, la notizia deve essere vera e vi prego pertanto di annullare il mio abbonamento che non mi sarebbe ormai di alcuna utilità.

    Diabolico!

    Ora vediamo insieme il giusto significato delle parole necessarie per il nostro studio.

    La prima, la più importante è droga. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si esprime in inglese, si chiama drug(si pronuncia drag"):

    Ogni sostanza che, introdotta in un organismo vivente, può modificarne una o più funzioni e gli atteggiamenti sia fisici,sia psichici.

    È evidente che si tratta di una definizione molto ampia, che comprende non solo le sostanze che in italiano chiamiamo droghe, ma anche le medicine, le sostanze che usiamo per curarci.

    In italiano, invece, noi chiamiamo droghe solamente le sostanze soggette ad abuso.

    Cos’è l’abuso? È l’uso improprio di una sostanza, vale a dire secondo modi diversi da quelli previsti dalle norme mediche e sociali condivise in un determinato ambiente culturale.

    Abbiamo detto: norme mediche.

    Per esempio, quando la morfina è utilizzata come analgesico (per calmare il dolore) si parla di uso, se è utilizzata a scopo ricreativo (per trarne piacere), si parla di abuso.

    Abbiamo detto anche: norme sociali.

    Per esempio, la condivisione può essere diversa da una società all’altra. Se nella maggior parte dei paesi occidentali è permesso l’uso dell’alcol ed è proibito quello della cànnabis, in molti paesi del Medioriente succede l’opposto: è permesso l’uso della cannabis, vietato quello dell’alcol. Negli USA gli Indiani della Native American Church (Chiesa Indigena Americana) possono usare liberamente la mescalina del peyote (cap. 38°) a scopo religioso; agli abitanti di alcuni paesi delle Ande è concesso di masticare le foglie di coca per sedare la fame e la fatica in alta quota.

    Per essere più chiari e per non fare come il signor Michelotto, dobbiamo per prima cosa definire le tre caratteristiche fondamentali di ogni droga; ma prima ancora, per chi non lo conosce, dobbiamo raccontare il pasticcio combinato dal signor Michelotto.

    Storiella. Il signor Michelotto ha lasciato il suo paese, nel Veneto, per andare al mare in un alberghetto sull’Adriatico. Il primo giorno, mentre si trova a tavola in attesa del pranzo, entra un signore tedesco che, molto gentilmente, gli augura il Buon appetito nella sua lingua: Mahlzeit (si pronuncia malzàit). Colto alla sprovvista, il signor Michelotto gli risponde Micheòto.

    Dopo qualche giorno il cameriere, avendo notato l’equivoco, avvisa il signor Michelotto che il signore tedesco non gli ha detto il proprio nome, ma gli ha augurato semplicemente il Buon appetito.

    La volta dopo il nostro protagonista entra quando il signore tedesco è già seduto a tavola e gli dice: Malzàit. Che cosa può aver risposto il signore tedesco? … Micheòto.

    Allora, vediamo quali sono le tre caratteristiche che una sostanza deve avere per essere classificata tra le droghe:

    Uno, deve agire sul cervello.

    Due, deve dare dipendenza psichica.

    Tre, deve essere dannosa per la persona che lo assume e per la società in cui vive.

    Prima proprietà: deve agire sul cervello, sulla mente ed essere così chiamata psicoattiva (In greco psuchè = anima, vita, intelligenza).

    Seconda: deve dare dipendenza; la persona che ha assunto la droga dipende da lei, dopo un po’ di volte (il cui numero è variabile da una droga all’altra) non può più farne a meno; prova un desiderio così intenso (craving, in ing.) che può trasformarsi in bisogno impellente.

    Terza condizione: deve recare danno alla persona che l’ha assunta e alle persone che compongono la società in cui vive.

    Per capire il significato della dipendenza dobbiamo scomodare ancora la lingua inglese.

    Si chiama addìction e il tossicodipendente (dal greco toxicòn = veleno) si chiama àddict.

    Questi due termini (addìction e àddict) derivano dal latino addìctus = schiavo, più esattamente: schiavo per debiti.

    Quando sentiamo parlare degli schiavi, noi pensiamo subito ai prigionieri di guerra costretti a sottostare agli ordini dei loro padroni, ma nella Roma antica esistevano anche gli schiavi per debiti: se un debitore non riusciva a pagare il debito, diventava schiavo del suo creditore, che ne diventava proprietario (dominus) secondo la legge.

    Se lo schiavo riusciva a pagare il debito, poteva essere liberato con la manumissio dal padrone (che diventava il suo protettore, patronus), però non poteva ritornare civis = cittadino, ma solo libertus = liberato.

    Questa situazione ci ricorda che si deve stare molto attenti prima di parlare di ex-tossicodipendente perché la dipendenza può provocare un cambiamento della personalità così grave da non garantire una sicura guarigione (extintion, in ing.).

    I neuropsichiatri considerano il tossicodipendente, come tutti i malati di malattie croniche soggette a ricaduta (relapse, in ing.), in stato di inattivazione (inactivation, in ing.) o di messa sotto controllo (placed under observation, in ing.) anche per molto tempo.

    Il guaio è che la vera natura di questo fenomeno biologico è ancora in gran parte sconosciuta.

    Ne è la prova, l’ignoranza in materia delle persone che dovrebbero offrire il primo aiuto ai malati che gli si rivolgono: i medici. Ma non ne hanno colpa perché nessuno ha loro insegnato cosa fare. Gli studenti di Medicina hanno affrontato gli esami di Fisica e di Igiene, ma lo studio della Tossicodipendenza non fa parte del programma di esami per diventare medici.

    Sulla falsariga degli studi sull’alcolismo e sulla dipendenza dai comportamenti ossessivi-compulsivi, ne sanno qualcosa di più gli specialisti in Psichiatria e in Psicologia, oltre agli altri operatori del settore, ma anche loro non possono fare miracoli; la terapia può essere solo empirica (dal greco empeirìa = esperienza), cioè basata sulla pratica, perché a tutt’oggi e in tutto il mondo nessuno è riuscito a raccogliere in una esposizione completa tutti gli elementi che compongono questo problema.

    Le cause di questa mancanza, che spiega anche l’incompletezza di questo libro e le sue possibili inesattezze, sono sia la scarsa conoscenza del sistema nervoso (come vedremo, nel secondo volume, nei capitoli a esso dedicati, 26° e 29°), sia le difficoltà di studio dovute alla illegalità della maggior parte delle sostanze in esame, situazione particolare che impedisce l’applicazione delle regole fondamentali dell’indagine scientifica.

    L’effetto di ogni sostanza dev’essere prevedibile e riproducibile in funzione del suo dosaggio.

    Provando e riprovando è il motto dell’Accademia del Cimento che alcuni allievi di Galileo Galilei (1564-1642) hanno tratto dall’inizio del terzo canto del Paradiso, quando Dante ricorda l’aiuto offertogli da Beatrice:

    "Quel sol che pria d’amor mi scaldò ‘l petto,

    di belle verità m’avea scoverto,

    provando e riprovando, il dolce aspetto".

    Anche se Dante non indicava le caratteristiche del metodo sperimentale, ma si riferiva al metodo filosofico della discussione scolastica, come si può sperimentare e ripetere la prova se è vietato dalla legge e se possiamo farlo solo sugli animali? E se anche le verifiche con le droghe permesse sono moralmente impossibili?

    Sappiamo però che alla base della dipendenza c’è il mancato dominio sulla volontà. Prima di decidere di drogarsi, tutti i tossicodipendenti erano sicuri di poter scegliere quando farlo, ma poi è evidente che in molti casi è stata la droga a prendere il potere.

    Questo fenomeno si spiega col fatto che le droghe agiscono direttamente sui processi neurofisiologici della corteccia orbito-frontale (situata dietro la fronte, subito sopra gli occhi), la sede delle funzioni psichiche superiori, in specie della volontà, mettendola fuori gioco.

    Per questo delle due facoltà mentali raccolte nella proposizione psicologica e giuridica capacità di intendere e di volere, nel tossicodipendente rimane solo la prima voce: è consapevole del proprio stato, ma non riesce a decidere liberamente la propria condotta. Secondo una definizione molto azzeccata:

    Diventa spettatore impotente delle proprie azioni.

    Sembra tutto così facile! I familiari si meravigliano: Sa che si rovina, come mai non riesce a smettere?

    A complicare il problema, l’azione costrittiva delle droghe sulla volontà può essere non solo secondaria, legata all’astinenza, ma anche diretta, come vedremo nel 19° capitolo, quando incontreremo il ghb (ger droga dello stupro), e l’idrato di cloralio, col quale il barista Mickey Finn, mescolandolo all’alcol, addormentava a scopo di furto gli avventori, che al risveglio avevano perso la memoria a breve termine.

    Una dimostrazione di come non sempre sia possibile dominare la propria volontà, l’ha raccontata l’autore della teoria della evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale, Charles Darwin (1809-82):

    Ho avvicinato la faccia davanti allo spesso vetro della vipera soffiante del giardino zoologico con la ferma determinazione di rimanere immobile nel caso il serpente avesse cercato di colpirmi, ma appena provò, la mia risoluzione svanì, balzai indietro di mezzo metro con una velocità strabiliante. La volontà e la ragione erano impotenti contro l‘immaginazione di un pericolo che mai era stato provato.

    Ma quale immaginazione! La parola giusta è paura e la incontreremo parlando dell’amigdala, la ghiandola più importante nella gestione delle emozioni.

    Come si fa a scoprire la presenza della dipendenza?

    È semplice! Quando compare la sindrome di astinenza, che è l’insieme dei disturbi che entrano in scena quando manca la droga (dopo un tempo molto variabile da una droga all’altra): uno spiacevole stato di tensione, il desiderio sempre più urgente che si trasforma in bramosia (craving, in ing.), accompagnato da irrequietezza, insonnia, calo di concentrazione e altro.

    Come possiamo definire il craving? Sui testi specialistici leggiamo:

    Lo stato di disagio causato dalla mancanza di una sostanza chimica a un individuo cronicamente esposto.

    Più precisamente si tratta della dipendenza psichica perché quando all’alterazione dello stato psichico si aggiunge l’alterazione dello stato biologico, parliamo di dipendenza fisica (ger habit = abitudine, in ing., hooked = ricurvo, ma anche fanatico, in ing.).

    La dipendenza psichica è sempre presente, mentre quella fisica compare solo per alcune droghe.

    L’esempio più appropriato ci è offerto dall’alcol e dagli oppioidi. Col tempo, oltre al solito desiderio impellente di bere alcolici, può subentrare la sindrome di astinenza fisica: febbre, allucinazioni visive e uditive, convulsioni, e può sopraggiungere anche la morte per collasso cardiocircolatorio.

    Edgard Allan Poe (1809-49), noto come lo scrittore della paura e del mistero, è morto all’età di quarant’anni di delirium tremens, la psicosi da alcolismo.

    L’astinenza fisica da oppioidi prevede invece la comparsa di: sudorazione, piloerezione, febbre, crampi muscolari, diarrea, lacrimazione, rinorrea (scolo dal naso), midriasi (dilatazione della pupilla).

    In gergo i sintomi iniziali si chiamano agonies: in inglese the agony è la sofferenza, dal greco agonìa = lotta, con la morte.

    No! No! – implorava un personaggio morfinomane dello scrittore ucraino Mikhail Bulgakov (1891-1940) – la morfina l’avete estratta dai capolini secchi e crepitanti di un’erba divina e adesso dovete trovare il sistema per liberarci da questa sofferenza.

    In inglese oltre al termine addiction, esiste anche dependance, limitato ai casi in cui il craving è sostituito dal semplice desiderio, causato dalla mancanza (wanting).

    La dipendenza da sostanze è il risultato dell’interazione fra tre elementi: la responsabilità della persona; il potere della sostanza, il condizionamento dell’ambiente.

    Lo studio della loro importanza avviene secondo le visioni: moralistica, tossicologica, sociologica.

    Visione moralistica.

    Le categorie di persone maggiormente esposte al rischio di dipendenza sono cinque:

    Uno. Affetti da malattie psichiche.

    Due. Adolescenti.

    Tre. Amanti degli sport estremi.

    Quattro. Teppisti dediti alla violenza.

    Cinque. Emarginati sociali.

    Visione tossicologica.

    Gli ultimi dati statistici sul rischio di incorrere nella dipendenza (in inglese si parla di addiction liability, capacità di dare dipendenza), sono stati pubblicati recentemente su The Lancet, di Londra (una delle più autorevoli riviste mediche nel mondo).

    La droga percentualmente più pericolosa è la nicotina (32), seguita dalla prima sostanza d’abuso proibita dalla legge, l’eroina (23), quindi dalla cocaina (17), dall’alcol (15) e dalla cànnabis (9).

    Alcuni fumatori incalliti hanno riferito di essere usciti da casa di notte e di essersi trovati davanti a un distributore di sigarette senza rendersene conto.

    Visione sociologica.

    L’ambiente è composto dalla famiglia di origine, la scuola, il luogo di lavoro, la cultura di riferimento, eccetera.

    A questo proposito dobbiamo introdurre il significato di due parole usate generalmente in lingua inglese: rewarding e reinforcing, la cui conoscenza potrà essere utile a chi vuole approfondire lo studio della dipendenza su testi specialistici.

    Rewarding (gratificante) riguarda la capacità di produrre effetti piacevoli mediante la nota produzione di dopamina.

    Reinforcing (rafforzante) si riferisce al fenomeno della associazione tra gli effetti piacevoli e gli stimoli ambientali.

    È molto importante come spiegazione della ricaduta anche a distanza di molto tempo, alla presenza di situazioni che ricordano l’assunzione della droga.

    È interessante la trama del film L’uomo dal braccio d’oro.

    Un tossicodipendente (Frank Sinatra) si innamora di una donna bellissima (Kim Novak) e decide di smettere. Si fa rinchiudere in una stanza, dove soffre i terribili tormenti della crisi di astinenza. Finita la crisi, esce guarito e sono tutti contenti. Ma purtroppo la realtà non è così semplice perché la dipendenza non è solo fisica (che può durare da pochi giorni a un mese), ma esiste anche quella psichica, che può protrarsi per molti mesi, anni.

    Noi siamo qui per questo! Per cercare di studiare insieme il meccanismo di questo fenomeno neuropsichico tanto complicato e misterioso.

    Oltre alla dipendenza solo psichica, esiste anche la dipendenza solo fisica?

    Sì, la sospensione di alcune medicine può causare la sindrome di astinenza fisica: il malato di diabete dipende dall’insulina perché in sua mancanza compaiono i disturbi tipici dell’iperglicemia e gli altri a essa associati, ma è un aspetto che non ci interessa perché non si è mai saputo che il diabetico provi piacere a farsi bucare con l’insulina e soffra della sindrome di astinenza psichica, condizione indispensabile per essere omologato fra i tossicodipendenti.

    E ci sono altri esempi di dipendenza solo fisica: chi è stato operato per l’asportazione della tiroide dipende dalla terapia sostitutiva con gli ormoni tiroidei, chi soffre di ipertensione dagli antipertensivi, chi di epilessia dagli antiepilettici, chi di malattie psichiatriche dagli psicofarmaci; ma nessuno di loro aspetta con ansia la somministrazione della medicina, se potesse ne farebbe volentieri a meno! Ecco perché si tratta di medicine e non di droghe.

    Dopo aver descritto le sofferenze della crisi di astinenza, lo scrittore francese Charles Baudelaire (1821-67) ha commentato:

    L’orrida natura, spogliata degli splendori del giorno prima, somiglia ai malinconici resti di una festa.

    È possibile evitare la dipendenza?

    In teoria sì: in gergo si chiama tossico della domenica o chipper (in inglese vivace, ma anche, in questo senso, chi mangia sbocconcellando) chi riesce ad assumere la droga con lunghi intervalli o una piccola dose (ger g-shot, shot = colpo, in ing.). Non è affetto da addiction, soffre solo di dependance. Ma in realtà nessuno può prevedere quale sarà la risposta del proprio organismo, più propriamente della propria mente, dopo i primi contatti con una sostanza pericolosa.

    Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) ha scritto:

    Si possono promettere azioni, ma non sentimenti, che sono involontari. Chi promette a un altro di amarlo o di odiarlo per sempre, o di essergli sempre fedele, promette qualcosa che non è in suo potere.

    Parafrasando questa affermazione, si può dire che possiamo comandare alla nostra mano di voltare pagina ma non al nostro cervello di rinunciare alla droga di cui potremmo essere diventati dipendenti.

    Lo scrittore francese Marcel Proust (1871-1922) ha infatti aggiunto:

    Nella malattia ci rendiamo conto che non viviamo da soli, ma incatenati a un essere di segno diverso, dal quale ci separano degli abissi e dal quale è impossibile farci comprendere: il nostro corpo.

    E la dipendenza è una malattia.

    Inoltre c’è un altro motivo che deve convincerci a evitare qualsiasi droga: potrebbe liberare (si dice slatentizzare) qualche disturbo mentale finora misconosciuto, latente. Come dimostrano alcuni racconti di cronaca, che riferiscono i delitti compiuti sotto l’effetto della droga da persone fino ad allora apparentemente normali.

    Il problema è che nessuno è consapevole del proprio stato di edonia (dal greco hedonè = piacere).

    Che cosa vuol dire? Il neurobiologo francese Jean-Didier Vincent (n. 1935) ha chiamato edonico chi è molto sensibile alle stimolazioni emozionali, anedonico chi invece risponde solo a stimoli più intensi ed è quindi più esposto al rischio delle droghe.

    Dipende dal numero dei recettori (cosa sono lo sapremo tra poco).

    Il pericolo è forse meno grave per le droghe cosiddette leggere?

    No, per il motivo appena esposto: la droga che può essere leggera, ossia meno pericolosa e dannosa per uno, può diventare pesante, cioè più a rischio e deleteria, per un altro. Del resto conosciamo tutti degli accaniti fumatori che non amano gli alcolici e, viceversa, degli amanti dell’alcol che non sopportano il fumo.

    Insomma, vedremo insieme che è meglio evitare il contatto con tutte le droghe, ma per le due ormai entrate nell’uso comune e non più considerate come tali, ma dei beni voluttuari ormai insostituibili, la nicotina, ossia il tabacco, e l’alcol, faremo un discorso a parte.

    La caffeina e il cacao sono molto meno pericolose, sono delle droghette. Ne parliamo solo per motivi accademici, di completezza.

    Ci sono poi almeno altri tre motivi che devono convincerci a evitare qualsiasi droga:

    1. Anche quella più leggera potrebbe essere la droga di ingresso (gateway drug, in ing.), il primo passo per l’abuso delle altre.

    2. Entreremmo nel campo dell’illegalità.

    3. Finanzieremmo l’organizzazione criminale.

    In gergo il passaggio da una sostanza all’altra si chiama cross over = scambio, in ing.; l’arrestato si chiama blindato, o busted = rotto in ing., o dropped, caduto, in ing.

    Come mai le droghe sono vietate dalla legge mentre l’alcol e il tabacco sono permessi? Non si è fatto niente per impedirne l’uso? Certo che è stato tentato! Ma il risultato lo conosciamo già e com’è avvenuto lo vedremo presto. In ogni modo la presenza nel libero commercio di sostanze nocive non è certamente un motivo valido perché debba essere aggiunto anche il danno delle altre.

    È forse una leggenda, ma sapete cos’ha risposto il re d’Inghilterra Edoardo VIII all’ambasciatore francese che gli aveva fatto notare che il suo Stato traeva profitto da due vizi, dell’alcol e del tabacco?

    Mi dica lei due virtù che rendano altrettanto.

    Già, perché, come ha notato Pietro Gobetti (1901-26):

    Lo Stato non professa un’etica, ma esercita un’azione politica.

    Insomma, quello delle droghe è un rischio che non vale la pena di correre. Nel migliore dei casi è come giocare alla roulette russa, il divertimento di caricare una pistola a tamburo con un solo proiettile la cui posizione è sconosciuta, appoggiarla alla tempia e premere il grilletto. Se va bene, la dose di adrenalina nel sangue sale alle stelle, ma se va male, scoppia la testa. E non in senso metaforico!

    Del resto qual è il tossicodipendente che, prima di provare la droga, non era certo di poterla controllare? Ma poi la miserevole moltitudine dei drogati è la dimostrazione più evidente del potere della dipendenza!

    Questo gioco d’azzardo prende il nome dal gioco dei casinò e dalla sua descrizione riportata dallo scrittore russo Mikhail Lermontov (1814-41) nel romanzo Un eroe del nostro tempo, del 1840. Militare di carriera, è morto in duello con un compagno d’arme.

    Si può vedere un esempio di roulette russa in una scena del film Il cacciatore, diretto nel 1978 da Michael Cimino.

    La natura ci aiuta a difenderci dai veleni in molti modi, avvertendoci col disgusto e con la nausea, eliminandoli col vomito e con la diarrea, neutralizzandoli con i propri enzimi, ma poi siamo noi che dobbiamo aiutarla con la conoscenza e con la ragione: imparando a riconoscere le sostanze pericolose e rinunciando a un temporaneo piacere in cambio di un duraturo benessere.

    Attenzione però! Non è tutto così semplice: non sempre la soddisfazione dell’impulso impellente si identifica con la ricerca del piacere; a volte è solo il tentativo di tenere la realtà sotto controllo per evitare i disturbi causati dell’astinenza.

    Per esempio, la persona affetta da cleptomania è costretta a rubare allo scopo di liberarsi dallo spiacevole stato di tensione in progressivo aumento, ma poi la consapevolezza di aver compiuto un atto illecito aggiunge al sollievo un senso di colpa e di imbarazzo.

    In modo analogo il tossicodipendente abituale può essere costretto a drogarsi non tanto per la ricerca del piacere, quanto per liberarsi dal fastidio imposto dalla mancanza della droga; non tanto per raggiungere quello che il poeta francese Charles Baudelaire (1821-67) ha chiamato il paradiso artificiale, quanto per liberarsi dalle pene dell’inferno dell’astinenza.

    I testi di psichiatria ce lo insegnano così:

    Quando si è creata la dipendenza, il legame con la droga non è più costituito dalla ricerca del piacere (si parla di rinforzo positivo), ma serve ad alleviare il disagio della mancanza della droga (rinforzo negativo).

    Ecco due altri termini utili a chi desidera consultare la letteratura specialistica dotta.

    Mentre il desiderio è normalmente connesso al piacere, nel tossicodipendente può persino comparire l’insensibilità al piacere senza che scompaia la compulsione.

    In genere il piacere del primo contatto con la droga è maggiore di quello assaporato negli incontri seguenti.

    È un fenomeno biologico che si verifica non solo con le droghe, come possiamo costatare leggendo questo brano tratto da Alla ricerca del tempo perduto, dove Proust racconta quando, in un giorno d’inverno, la madre, accortasi che aveva freddo, gli propose di bere, contro le sue abitudini, una tazza di tè caldo insieme a un dolce:

    "Nell’istante stesso in cui il sorso di tè, frammisto alle briciole del dolce, toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che mi stava accadendo. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza che ne sapessi la ragione. (…) Bevo un secondo sorso ma non vi trovo niente di quanto ho trovato nel primo. Il terzo mi reca qualcosa di meno del secondo. Bisogna che smetta, la virtù della bevanda

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