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Vita maledetta di un giocatore d'azzardo
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Vita maledetta di un giocatore d'azzardo
E-book273 pagine4 ore

Vita maledetta di un giocatore d'azzardo

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Info su questo ebook

La trama del romanzo rimbalza tra tentazioni e sfide quotidiane di varia natura, giorni fausti e infausti, successi e fallimenti, colpi di fortuna e momenti di sventura che si presentano al protagonista Gabriele. Sofferente di un disagiato stato psicologico con le sue pause o rivolgimenti, egli vive sotto l'incoercibile pulsione del gioco d'azzardo e l'inebriante commistione di rischio e voluttà che gli corrodono l'anima e che, senza rendersene conto, lo trascinano lento e inesorabile nelle grinfie delle sirene degli abissi.

Il microcosmo, descritto in stile scabro, di alto nitore formale e con la semplicità della linea narrativa, ospita fatti vorticanti in tutto il loro disadorno gioco della passione, in cui l'aleatorietà e il confine tra fallimento e trionfo nella vita lo stabilisce il rimbalzare di una pallina bianca.

Gabriele entra in scena peritoso sgomitando, come una moderna pièce teatrale, per poi imporsi come impenitente sognatore di una sovrastruttura utopica e maliosa che esiste solo nella sua mente; la seduzione del gioco, il tintinnio della pallina nella roulette, il fruscio delle fiches sul panno verde lo mandano in visibilio, nell'attesa di una redenzione finale.

Solo in articulo mortis, egli cerca di ritrovare se stesso, di sottrarsi al devastante gioco delle scommesse e di riappacificarsi con il passato tormentoso.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2019
ISBN9788831645249
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    Anteprima del libro

    Vita maledetta di un giocatore d'azzardo - Giuseppe Gorruso

    633/1941.

    Capitolo I

    È

    un’alba caliginosa di un imprecisato giorno agostano, agli inizi anni ottanta, di un piccolo paese della Campania. Vapori più densi aggrediti dai raggi caldi, si dividono e si rattrappiscono in lembi sparsi, nelle anfrattuosità e nei luoghi più riparati, dove aspettano il momento per essiccarsi e ridursi al nulla.

    Il bagliore ferrigno non incrocia nessuna figura umana e, con il passare delle ore, filtra attraverso le fessure delle imposte, tracciando strisce simili ad attizzatoi roventi, sulle credenze, sui cassettoni e sugli altri immobili dell’interno delle case.

    Se il fulgente sole, senza una nuvola, cala i suoi raggi, il profilo della sommità della collina di marna candida si staglia contro l’azzurro del cielo terso, dove si trova un campo incolto delimitato ai due lati dal bosco e da una siepe di biancospino e di sambuco.

    La maggior parte della terra, punteggiata da tanti rivoletti d’acqua e lasciata incolta da vari anni, è adesso umida e rigogliosa di erbe succose le quali levano nembi di polline al solo toccare. File irregolari di piante selvatiche lussureggianti emanano un odore gradevole - piante i cui colori rossi, gialli e violacei formano una policromia abbagliante come quella dei fiori coltivati. Sembra una rada affollata di alte magiche alberature di navi.

    Non fagocitato da conurbazioni, il paesello è situato in un angolo appartato e tranquillo di una città provinciale, tagliato fuori dal caotico traffico e dai suoi effetti perniciosi sull’ambiente e sulla salute, ma anche dagli scambi commerciali e dalla vivacità industriale. L’inveterata vocazione agricola non offre seduzioni turistiche e lo tiene lontano dai trambusti urbani conservandone la salubrità dell’aria.

    Con il cuore lacrimante, Gabriele, un giovane poco meno di trent’anni, lascia il suo paese per un altro che mai prima ha conosciuto. Quel pomeriggio il paese è ipnotizzato dalla morsa di umidità che genera una sensazione di calore opprimente. La gente prova sollievo dagli intermittenti refoli di vento che lasciano il segno sulla girandola, accuratamente sistemata sul manubrio della bici di un ragazzo che con fierezza pedala a più non posso, facendola girare vorticosamente.

    A squarciare il velo di silenzio che avvolge il paese è il rombo di un furgone. Gabriele siede a lato del forzuto autista, apre lo sportello e scende in strada con un foglietto accartocciato in mano. Lo srotola con prudenza e lo legge con difficoltà perché è intriso di sudore che ne ha sbavato l’inchiostro. Chiede ad alta voce e con cortesia a una signora attempata dai passi frettolosi, evidentemente smaniosa di sottrarsi alla fastidiosa calura estiva.

    "Scusi signora! Mi sa indicare dove si trova questa strada? Ripete due volte la domanda e alla fine una voce fioca, ma perfettamente udibile Vada diritto lungo questa strada fino al primo incrocio. Poi svolti a destra. A venti metri circa si troverà davanti all’abitazione."

    Trafelato, il forestiero ringrazia e accennando un inchino, sale sul furgone. Si asciuga frettolosamente il sudore che gli imperla la fronte con uno strofinaccio di fortuna.

    Nello stesso tempo, l’autista ha notato un’arzilla vecchietta sui settant’anni che si sta dirigendo con passo lesto alla vicina chiesetta.

    È piccola, quasi piegata su se stessa, con due occhietti pungenti, un piccolo naso grifagno e i capelli di color di stoppa, ingrigiti, avvolti a crocchia sulla nuca. Intorno al collo sottile e lungo, simile a una zampa di gallina, è avvolto uno straccio di flanella e dalle spalle, nonostante il caldo, le pende un giubbetto di pelo tutto liso e ingiallito.

    L’autista deve averla fissata un po’ troppo e in un modo particolare perché nei suoi occhi balena aria sospettosa.

    "Sarà forse perché non sono del posto?" Pensa l’autista. Allontana lo sguardo dalla vecchietta e continua a fare il suo lavoro con la tristezza desolante che si è dispiegata davanti ai suoi occhi.

    Riaccende il motore e segue le indicazioni ricevute che li porta in pochi minuti davanti alla casa ammobiliata che Gabriele ha preso in affitto. Si accingono a scaricare i bagagli: una cassapanca piena di cianfrusaglie, scatoloni colmi di un florilegio di libri, soprattutto romanzi, riviste coperte di polvere che, forse per spossatezza, depositano al centro della stanza, senza alcun ordine. Scoccano una rapida occhiata per fare conoscenza con il nuovo ambiente abitativo. Non c’è niente di particolare: tappezzeria gialla, con gerani e tende di mussola all’unica finestra, in quel momento tutta invasa da sole; un divano dall’enorme spalliera di legno convessa, un tavolo ovale, un lavamani con lo specchio in un vano e due o tre miseri quadri, raffiguranti una graziosa signorina circondata da uccelli variopinti di una famiglia rara. In un angolo, davanti a una piccola immagine, arde una lampada. L’arredamento è tutto qui.

    È molto pulito: sia i mobili sia il pavimento sono tirati a cera. Neanche un granellino di polvere si può trovare in tutto l’alloggio. Scintilla tutto. Sbirciano con curiosità una tenda di cretonne davanti alla porta di una seconda stanza piccolissima, dove stanno il letto e un genere di baule che vedono per la prima volta.

    Gabriele è profondamente turbato dall’ambiente austero.

    "O Dio! Come tutto è ripugnante! Possibile, possibile che io … No, è una mostruosità, un’idiozia Commenta tra sé. È possibile che abbia potuto trovarmi in un tale luogo ributtante!" Ma, per difendere il suo orgoglio davanti all’amico, non dà sfogo alla sua agitazione né con parole, né con gesti. Il senso di disgusto lo attraversa e incomincia a tormentarlo fino a procurargli un’insopprimibile angoscia. Si flagella con invisibili lanci di frecce avvelenate, ma sa che non ha alternativa; non ha altra scelta. Deve adattarsi a questo ambiente.

    Il problema grosso è lo spostamento del pianoforte verticale, accuratamente sistemato nella cassa d’imballaggio che Gabriele ha comprato a un’asta pubblica l’anno in cui si era messo in testa d’imparare a suonare uno strumento musicale. Non volendo disturbare i vicini di casa, aveva deciso di comprare questo tipo di pianoforte perché dotato di un pedale che, quando premuto, interpone una striscia di feltro fra le corde e i martelletti, emettendo così suono attutito. Affievolito l’entusiasmo della novità e non avendo raggiunto nessuna abilità, ha abbandonato ogni ambizione artistica e adesso quel pianoforte, cui è molto affezionato, è un serio problema di trasloco per le sue dimensioni.

    Chiede e ottiene l’aiuto di alcuni passanti, che si mostrano gentili e disponibili, di trasportare l’ingombrante strumento nel nuovo alloggio al quale si accede da una scala ripida e stretta. Con amarezza e delusione, nota che l’ingresso è stretto e ne impedisce il passaggio.

    Un ragazzo assiste l’intera scena. È esile, alto per la sua età, con i polsi e le caviglie sottili, le mani lunghe e scheletriche. In testa gli cresce un cespo ingarbugliato di capelli biondicci che non riesce a nascondere le orecchie a sventola e che proseguono sulle guance con due basette di peluria poco curate. Gli occhi grandi e azzurri divisi da un nasino piccolo e all’insù e una bocca troppo larga per quel viso smilzo. Indossa una camicia e un paio di pantaloni rabberciati. Con aria meditabonda, è seduto su una panchina malferma su cui è proiettata l’ombra di ampi rami e foglie larghe verde scuro dell’unico platano. Impietosito dal duro lavoro che stilla sudore sulla fronte dei due uomini, si offre a dare una mano, arrossendo al suono della propria voce.

    Tenta di prendere una cassetta, ma è troppo pesante per le sue forze e la rovescia con il contenuto sul marciapiede. Contrito, raccoglie ritagli di giornali e libri i cui titoli spaziano in diversi campi del sapere.

    Gli occhi si posano su una rivista di almeno trent’anni, con la copertina sporca, deturpata da scarabocchi, fatti con le matite colorate e capricciosamente postillata con ogni specie di commenti ironici al testo che accendono la sua curiosità. Comincia a leggere: "La scultura è la forma d’arte che più risponde alla realtà della vita. È tridimensionale. Ci si può girare intorno, la si può vedere da ogni possibile angolazione, si può toccarla e sentirla sotto le dita come qualsiasi cosa vivente. Ha forma, dimensioni, realtà ed esiste nella vita come tutto ciò che ci circonda. La si può trovare in ogni pietra, nella sinuosa venatura di ogni pezzo di legno, nella forza elastica e flessibile di ogni nastro metallico. All’artista rimane solo il compito di portare alla luce la sua visione sepolta nella materia greggia, darle forma, infonderle il soffio della vita ..."

    Non mancano articoli elogiativi per la musica e la poesia dove chiunque può trovare diletto per le orecchie e nutrimento per l’intelletto, rispettivamente. "Oh, potessi fermare con musica e poesia certe ineffabili sensazioni e modulazioni che rilasciano i giochi della natura che sopravvivono allo scorrere inesorabile del tempo!

    Così come l’esperienza è la ginnastica del corpo allo stesso modo la musica e la poesia sono per l’anima. Per questa ragione è importante un’educazione musicale, non disgiunta dalla poesia, giacché fa sì che ritmo e armonia penetrino intimamente nell’anima, e su di essa facciano presa, empiendola di bellezza e dando all’uomo uno spirito bello. Essa esplora l’idea che l’amore sia in grado di fare sentire bene le persone con se stesse e che possa curare ogni male.

    Ciò può spiegare la loro avversione al mondo sensibile, che è il mondo della mediocrità, della monotonia e dell’abitudine. E spiegare anche che la loro preoccupazione essenziale è il mondo invisibile con il disvelamento particolare delle cose che sono più profonde delle profondità e più alte delle altezze.

    La musica e la poesia, così, soddisfano egualmente il gusto del bello, in contrapposizione alla ragione che si occupa solo del vero e dell’invisibile."

    Il ragazzo propone agli sconosciuti: "Andiamo a chiedere a mia zia, che abita in un palazzo maestoso al centro del paese, se può ospitare provvisoriamente il pianoforte."

    "Mi pare una buona idea" Commentano i due.

    Mentre l’autista resta a guardia del furgone, Gabriele, preso dall’ansia di trovare la sistemazione allo strumento prima che cali il buio, lascia tutto come si trova e segue il ragazzo che è smanioso di arrivare a casa della zia.

    Lungo il tragitto, il ragazzo, su sollecitazione di Gabriele, traccia un breve profilo della zia "È una giovane ereditiera, con un odioso narcisistico autocompiacimento che a prima vista la può rendere invisa a chiunque. È determinata a combattere pregiudizi che allignano nella società rurale e in cui le donne devono lottare per concedersi di vivere liberamente i propri desideri e le proprie convinzioni.

    I suoi antenati erano i primi quanto a posizione sociale, e tutti li rispettavano con deferenza, anche perché si erano fregiati di medaglie militari e di titoli nobiliari. Dopo alterne vicissitudini e incauti investimenti finanziari, i suoi genitori cominciarono a soffrire momenti di difficoltà economiche fino a quando, il padre, che mal sopportava l’onta del declino dell’immagine della sua schiatta, non decise di emigrare a Parigi. Si diede al commercio agroalimentare e in pochi anni riuscì ad ammassare grandi ricchezze.

    Mia zia non volle lasciare il paese natìo per il quale ha sempre provato un attaccamento quasi morboso, come una giovane innamorata al suo amato. Suo padre le acquistò il palazzo settecentesco in cui vive e che concepì anche come un investimento piuttosto impegnativo. Lei fino ad oggi ha sempre rifiutato la mano di tanti pretendenti perché considerati a lei inferiori per ceto sociale e per condizione economica. Preferisce occupare parte del suo tempo a cercare di combinare fidanzamenti tra i pochi amici e conoscenti."

    Arrivati a pochi metri dal palazzo, Gabriele si trova immerso in un’atmosfera fatata. La facciata che dà direttamente sulla strada principale è eseguita in parte da mattoni rossi e marmo bianco in modo da formare disegni geometrici e in parte da grigie pietre, sistemate con paziente meticolosità nell’ordine della loro sovrastruttura come pure nell’arrampicamento delle fungosità che le ricoprono. Le arcate del piano terreno e del primo piano hanno una ghiera esterna in risalto.

    Al secondo trillo del campanello, la signorina apre lentamente il portone ma solo dopo che ha visto il nipote attraverso lo spioncino.

    Può avere venticinque anni; occhi castani color cioccolata calda, così profondi che sembra di poterci cadere dentro e perdersi in tutta quella dolcezza.

    Di un fascino irresistibile che invera tutte le doti di candore che non solo destano ammirazione e serenità di pensieri ma anche vere e proprie brame carnali; un’avvenenza quasi mitica che si sovrappone al modello di sublime femminilità idealizzato dall’uomo.

    Gabriele piomba in un silenzio ebete per una buona decina di secondi, si sente confuso, irretito e di lei pensa "La figura sulla porta sprigiona una luce che potrebbe ricordare le apparizioni delle Madonne, se le curve che designano il profilo del suo corpo, fasciato in un bellissimo abito lungo di chiffon con volant al bordo inferiore, a fiori variopinti, con leggera preminenza del giallo, scollatura giusta per fornire all’immaginazione la prepotenza dei capezzoli, non stimolassero pensieri tutt’altro che religiosi.

    Tutto è un movimento ondulatorio perfetto che si fonde in un insieme gigantesco, provocante, con magnifici occhi sorridenti, la bella fronte alta si arrotonda delicatamente dove i capelli, cingendola come uno scudo di blasone, esplodono in riccioli e onde e bioccoli biondo cenere e oro.

    Ha gli occhi chiari, grandi, luminosi, umidi e splendenti, il colore delle guance è autentico, e irrompe alla superficie dalla giovane pompa vigorosa del suo cuore. Può avere diciotto anni, quasi compiuti, ma è ancora coperta di rugiada. Troppo di tutto, accidenti!

    Se sapessi scrivere la bellezza dei suoi occhi e cantare in nuovi metri tutte le sue grazie, il futuro direbbe: questo poeta mente; mai un volto sulla terra può avere tratti così celesti."

    Gabriele, che pure qualche giorno prima aveva giurato di non legarsi più a una donna, continua a tessere riflessioni lusinghiere sulla profondità dell’amore che aleggiano ai margini della sua coscienza che è stata da poco ferita.

    "L’amore? Non si cerca. Non si aspetta. Non si sceglie. Nasce per caso, quando meno te lo aspetti. Arriva e basta! Arriva nel giorno più triste, nel periodo più buio o addirittura quando hai perso le speranze e non lo desideri più.

    È proprio così, l’amore non avvisa mai. E così, capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata. É questo il caso. Ha una copiosa ricchezza! È bella!

    Ma a pensarci bene, alla fine le due cose non mi interessano più di tanto perché il tempo è divoratore di tutto e, in particolare, la bellezza fisica, fragile e transeunte, via via che aggiunge gli anni si fa più esile, e da se stessa lungo la vita, si consuma. Spero che abbia altre doti che vanno ben oltre quelle due appalesate con ostentazione.

    Certo è che sento di desiderarla con ardore e mi auguro di non provare la sensazione di collera di amante respinto. Troverò la forma e le parole necessarie per dirle che l’amo con tutta l’anima, di farle comprendere i miei puri sentimenti. Non potrò resistere al suo sorriso, intenso sguardo, fonte d’amore e di poesia, che mi mette un brivido nelle vene. Quando mi immergerò nella profondità scura delle sue pupille, le dedicherò tutta la mia giovinezza, il mio vigore.

    La giovane lo fissa con sguardo penetrante e inquisitivo e nota dalle prime battute che lo straniero parla ore rotundo, con assoluta padronanza linguistica e con pervicace inflessione campana.

    Attraversano distese aiuole del giardino, tutte ben ravviate di convolvoli, petunie, phlox e saponarie che promanano un profumo indefinito che invade la strada; una luce verde, attenuata dal fogliame, illumina il muschio rasato che scricchiola dolcemente sotto i passi dei giardinieri. Si trovano subito in un grande salone che si fa apprezzare per gli affreschi, i lavori di cesello di taluni mobili, la collezione di quadri antichi, la biblioteca e da ultimo la natura di specialissimi oggetti sistemati qua e là.

    Si portano sul terrazzo, dove l’incipiente sera alita la circostante pace e frescura dopo una giornata di aria calda e afosa e da dove possono godere lo scenario che si dispiega ai loro occhi: il sole è al tramonto, l’azzurro del cielo, screziato di un bianco perlaceo, rosseggia tra i rami e i tronchi tutti uguali e ben allineati assomiglianti a un colonnato scuro contro un fondale rosso.

    Il morente sole penetra fra le gaie tende di calicò orlate di rosso che s’incrociano alle finestre e sulla stretta mensola del caminetto dove luccica una pendola che rappresenta una testa di Ippocrate, fra due lampade di argento placcato, sormontate da globi di forma ovale.

    Nelle imbottiture di sgabelli, cassettoni di quercia e di noci appaiano tracce di ricami sbiaditi, eseguite da dita che già da due generazioni sono state ridotte in polvere. Insomma il palazzo contiene molto di più di quanto occorra a giustificare la guadagnata reputazione.

    Stanchi, sprofondano nel comodo divano primi ‘800, finemente intagliato e intarsiato con imbottitura pregiata, con a destra un antico tavolino in legno massello su cui è appoggiato un orribile vaso in ceramica bianca, ornata con dei complicati intrecci floreali in oro, che è tramandato da tre generazioni ma che non è veramente piaciuto a nessuno, se non al padre. Più volte la giovane ha provato l’impulso di scaraventarlo a terra e gettane i frustoli nel cassonetto di fronte al palazzo. Ma è stata sempre fermata dalla mano invisibile del padre.

    Di fronte a tanta sontuosità a Gabriele nasce spontanea la domanda "Si fa aiutare da qualcuno per tenere tutto così in ordine? No, assolutamente da nessuno. Sono morbosamente gelosa delle mie cose. Ho solo due giardinieri che mi curano fiori e piante" è la risposta alla domanda cui non dà molta importanza.

    E poi, sfiorandosi la fronte con il palmo della mano e un po’ infastidita dagli abiti bislacchi e dal persistente ributtante sudore che promanano le ascelle di Gabriele, dice "Che sbadata! Che negligenza grave! Presa dalla frenesia di far visitare il palazzo, non le ho offerto qualcosa e ancor peggio non mi sono presentata. Il mio nome è Clara."

    "Il mio nome è Gabriele. Piacere di conoscerla e complimenti per il gusto raffinato che traspare dall’arredamento e dall’armonia dei colori che esaltano la fastosità del palazzo."

    La proverbiale curiosità femminile non risparmia Clara che la spinge a fare una serie di domande.

    "Mi dica, ma lei non è di queste parti, vero? Quali sono le sue prime impressioni della gente del posto? Ha un lavoro? So di essere impudente, ma noi ci informiamo delle persone che vengono a vivere nella nostra comunità. Sa, con i tempi che corrono... Ci piace vivere in pace. Certo ... non è il suo caso, si nota da come parla e dai modi garbati, ma è nostra crescente preoccupazione, spesso fomentata dai media, di sapere di più dei vicini di casa. Sa ultimamente il nostro Paese è stato terrorizzato da un’escalation di atti malavitosi legati a furti, a rapine e da efferati crimini della più brutale forza belluina, che hanno cambiato il modo di vivere della gente. Non viviamo più tranquilli e cresce in noi la cultura del sospetto e una percezione dell’insicurezza, in molti casi non del tutto giustificata e di gran lunga superiore a quella reale.

    Dilatare la percezione dell’insicurezza, fomentare le paure, esasperarne la portata, strumentalizzando il loro effetto destabilizzante, è un po’ come quel medico incosciente che alimenta le paranoie del malato ipocondriaco.

    Una sapiente combinazione di fiducia sociale e di apertura culturale nei confronti dell’altro, potrebbe essere la soluzione decisiva all’affievolimento dei sentimenti di insicurezza e del disagio sociale."

    "Capisco. I tempi sono peggiorati e il valore della vita è svilito a paccottiglia Ribatte Gabriele, facendo seguire la domanda ad effetto Di che nazionalità è la maggioranza dei delinquenti? E lei Sono tutti connazionali quelli che siedono sul banco degli imputati. Da queste parti – se lei vuole alludere a questo – non ci sono stranieri. Non capisco perché dovrebbero venire, visto che qui da noi non c’è lavoro! E poi io non condanno nessuno pregiudizialmente, solo perché appartenente a una comunità allogena.

    Aborro sparare nel mucchio! Ognuno è responsabile delle proprie azioni, indipendentemente dal colore della pelle, dalla fede religiosa, dall’orientamento sessuale, dal ceto sociale di appartenenza."

    Compiaciuto per la risposta, Gabriele chiede "Che lavoro fa lei? e lei, a mo’ di sfida: Vivo di rendita. Fa un lungo respiro e poi chiede "Qual è il suo lavoro? E lui cerca di mostrare una certa sicurezza. Sa che il suo aspetto è rassicurante e che la sua professione può dargli un po’ di credito Sono giornalista freelance e se vuole le faccio vedere la carta di identità." Risponde Gabriele con un pizzico di orgoglio e di fastidio.

    "Ah. No, non è il caso. Mi ha convinta."

    Piuttosto, mi dica. "È sposato? Ha figli?"

    "Penso che queste due curiosità siano ininfluenti per farsi un giudizio sulla mia probità morale."

    Clara resta un po’ sorpresa dalla risposta tranciante e dal tono insolente. Gabriele, improvvisamente aggrotta le sopracciglia ma basta poco per tranquillizzarsi e controllare il tono di voce e i gesti. Si siede sulla proda del divano e decide di tracciare un breve profilo della sua vita a partire dall’adolescenza. E prima di cominciare, pensa tra sé "lo faccio per prevenire altre sue domande!"

    "Ho avuto due genitori che non mi hanno dato sicurezza economica e tranquillità familiare: mia madre, poverina, è stata sotto cura per disturbi comportamentali, da uno psichiatra per

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