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Silenzio
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E-book224 pagine3 ore

Silenzio

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Info su questo ebook

Un romanzo scritto con uno stile di narrazione fluido, che descrive in modo elegante le vicende e gli incontri vissuti dal protagonista. Sensazioni e parole che ammaliano il lettore, coinvolgendolo in toto nelle relazioni fisiche e psichiche che si susseguono incalzanti. Joshua, cinquantenne contabile in una società che si occupa di progettazione, marketing e pubblicità, si è alienato in un lavoro poco gratificante, ma che è costretto a svolgere per la normale sopravvivenza. Sin dall'infanzia, rappresentazioni quasi esoteriche lo proiettano in un mondo di dubbi e quesiti. Ciò lo conduce a sviluppare una particolare sensibilità che difficilmente si integra con la superficialità della vita quotidiana. Vive quasi in idiosincrasia con il genere umano. Riesce a godere di piccoli piaceri scaturiti da cose semplici e da momenti trascorsi insieme alle poche e scelte amicizie che accompagnano i suoi giorni. La vita lo costringe a perdere il suo grande amore e ciò ne condizionerà l'esistenza. Joshua però, ha sempre la consapevolezza che l'unico sentimento in grado di abbattere tutti gli ostacoli e di riuscire a muovere le montagne è l'amore: nulla lo può fermare.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2015
ISBN9788893063098
Silenzio

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    Anteprima del libro

    Silenzio - Antonio Noto

    633/1941.

    CAPITOLO 1

    È una sera d’ottobre. Il cielo plumbeo diffonde un’evanescente sensazione di tristezza e malinconia, il rumore ovattato delle macchine che scorrono lungo la via accanto alla finestra, concilia quel senso di torpore e arrendevolezza che nelle ultime ore di una giornata frenetica e a volte umiliante assale chi è riuscito ancora per un giorno a sopravvivere al mondo.

    La sera che insegue la notte sembra suggerire un momento di riflessione e concede una pausa per ripercorrere gli avvenimenti delle ore trascorse.

    L’ormai metodico e quasi aberrante susseguirsi di azioni sempre uguali e ripetitive si snoda tra le pieghe di una memoria breve e contemporanea: difficile carpire momenti che hanno segnato un picco nel tracciato di un immaginario elettrocardiogramma. Cos’è stato capace di modificare questo senso di pacatezza simile all’arrendevolezza? Un sorriso, un contatto, uno sguardo, una parola, un gesto, un odore, un sapore, un colore, una canzone, piccoli eventi capaci di restituire grandi emozioni, di modificare la piattezza di una vita non vissuta ma subita.

    Ciò che è stato, è stato… ciò che sarà, sarà… e tutto ciò che viene catalogato in quell’archetipo definito libero arbitrio, potrà essere incastonato nelle celle che compongono il percorso di vita che ognuno di noi percorre?

    La frenetica giornata, puntellata da appuntamenti concordati, telefonate inattese, problemi irrisolti e colloqui mancati, seppur nella sua apparente iperattività, è trascorsa lenta e in quell’ora che difficilmente può catalogarsi tra pomeriggio e sera, rientrati nell’umile alloggio che definiamo casa, il resoconto che si riesce a tirarne fuori è scarno e disadorno.

    I gesti compiuti ormai roboticamente, sempre uguali e ripetitivi, vengono interrotti da piccoli eventi che costellano i minuti trascorsi di piccole meteore, fugaci apparizioni di bagliori che schiariscono il buio.

    Nel suo loft, situato nella periferia cittadina, Joshua stravaccato sul divano in pelle bianca ripercorreva gli attimi della sua giornata cercando di trovare quei piccoli segnali che lo avevano fatto sentire ancora vivo.

    Già, il loft lo aveva voluto fortemente quando si era separato dalla moglie. Aveva cercato in lungo e in largo prima di decidere. Ne aveva visitato a decine ma nessuno gli era sembrato adatto alle sue aspettative. Sembravano tutti uguali ed in nessuno aveva scorto quel senso di libertà che anelava, in nessuno aveva trovato l’assenza di ostacoli e vincoli che impedissero ogni libera movimentazione dell’arredo e delle suppellettili. La poca luminosità, dovuta al fatto di trovarsi quasi sempre al piano terra, rendeva quegli spazi, nonostante alcuni di loro fossero grandissimi, angusti e claustrofobici.

    La mancanza di uno spazio esterno dove poter riposare e godere del caldo abbraccio dei raggi solari di cui era avido, aveva fatto sì che la sua ricerca risultasse infruttuosa per parecchio tempo.

    Ma un giorno di maggio, all’imbrunire, passeggiando senza meta a bordo della sua moto lungo le strade periferiche della città, aveva notato un cartello che nella sua semplicità e diversità, aveva attirato la sua attenzione. Era un comunissimo ritaglio di cartone, contornato però, in modo quasi maniacale, con del nastro telato rosso, l’accuratezza con cui era stato predisposto il tutto, rendeva l’insieme particolare ed inusuale. A caratteri vergati a mano, ma con strabiliante precisione, erano impresse le seguenti parole: AFFITTASI LOFT – 333.5478… null’altro!

    D’impulso, senza alcuna apparente ragione e senza specifico motivo, si era fermato a bordo strada e con il motore ancora acceso aveva cercato il cellulare nel marsupio. Aveva composto quel numero e dopo un’infinita attesa, una flebile voce aveva risposto «Sii?»

    Come si può rispondere al cellulare con quel semplice monosillabo, era come se l’interlocutore o l’interlocutrice (non era riuscito a decifrare da quel sibilo il sesso), attendesse quella chiamata e che conoscesse in anticipo la richiesta che le sarebbe stata fatta di lì a poco. Cercando di mantenere il tono di voce alquanto asettico aveva comunicato con la donna (se ne rese conto subito dopo), fissando un appuntamento per l’indomani per visionare l’alloggio.

    Ciò che lo aveva turbato durante la conversazione, era stato il fatto che la donna insistentemente gli aveva ripetuto di non attendersi molto dal loft, gli aveva spiegato che si trattava di un unico ambiente, grande all’incirca una settantina di metri quadri. Vi si accedeva dall’androne di un palazzo costruito intorno agli anni settanta e l’unico confort, consono al vivere civile, era rappresentato dal bagno ricavato con muri di cartongesso all’angolo estremo dello spazio.

    Il giorno seguente recatosi sul luogo concordato in largo anticipo, come era solito fare, aveva atteso fumando e ammazzando il tempo osservando le poche persone che transitavano in zona. Poneva la sua attenzione al modo di muoversi di quegli esseri che gli passavano accanto, cercando di scrutare nei loro occhi come se potessero trasmettergli pensieri e sensazioni. Era convinto che qualsiasi seppur involontario messaggio venisse fuori e si propagasse attraverso lo sguardo. Era per questo che riteneva di riuscire a capire dall’incrocio della reciproca visuale se una persona fosse felice o meno.

    In perfetto orario si presentò dinanzi a lui una giovane ragazza.

    Non poteva certo definirsi una stangona. La sua piccola statura comunque rendeva merito ad un corpo ben equilibrato e di proporzioni quasi perfette. Le gambe e le braccia risaltavano da un abitino stampato a fiori molto semplice ed era evidente un’assidua pratica sportiva. I capelli castani tendenti al biondo, raccolti in una crocchia tenuta su da una matita, incorniciavano il volto di un incarnito quasi porcellaneo. Gli occhi di grandi proporzioni rispetto ai lineamenti generali, avevano un colore azzurro languido e le lunghe ciglia che li racchiudevano facevano risaltare ancor di più quello sguardo perso nel vuoto, come se nessuno potesse turbarla. Ma quando, muovendo le sue labbra carnose e regolari prive di alcun trucco, emise un suono soave, quasi etereo, profanando la quiete della strada, Joshua rimase estasiato, stordito. Quella voce sembrava provenire da un altro mondo calda, sensuale, suadente. Trasmetteva pacatezza e tranquillità. Spandeva intorno un’armonia infinita.

    Presentatasi con cordialità lo invitò a seguirla. Giunta dinanzi al portone della palazzina che ospitava il loft, cominciò a rovistare all’interno della sua grande borsa a sacco. Una miriade di oggetti vennero tirati fuori. Tra questi, la quantità di libri, opuscoli, stampe e manuali, rivelarono una smodata avidità letteraria. Dopo un po’, in mezzo a tutto quel bailamme, tintinnarono le chiavi, erano raccolte insieme e trattenute da un nastro rosso legate da un fiocco. Joshua guardò la ragazza e gli parse di scorgere un leggero rossore sulle sue guance. L’imbarazzo scomparve quando, aperto il portone di legno scuro e percorso il piccolo androne, si ritrovarono sulla sinistra dinanzi la porta dell’appartamento che la giovane, dopo svariati goffi tentativi, riuscì finalmente ad aprire. Dopo si voltò verso di lui e sbuffò in una risata coinvolgente.

    Appena Dahlia (era questo il suo nome) ebbe aperto le serrande delle vetrate poste sul lato lungo del loft, la luce inondò l’intero spazio.

    L’ingresso poneva l’ospite in una visuale completa dell’intero spazio e Joshua si rese conto che la ragazza non aveva mentito sulla disposizione dell’ambiente.

    Il lungo rettangolo parquettato era completamente disadorno; si scorgevano soltanto, la porta del presumibile bagno in fondo, a sinistra la finestra che dava sulla strada e di fronte ad essa la lunga serie di porte finestre che percorrevano il lato perimetrale più lungo.

    Le sensazioni di benessere, di libertà, di apertura al mondo intero che pervasero Joshua in quel momento furono percepite da Dahlia. Erano state le stesse che tempo addietro avevano scalfito la sua anima, quando suo padre l’aveva portata lì e le aveva comunicato che quello era il suo regalo di compleanno.

    Varcata la soglia di una delle porte finestra, giunsero nello spazio esterno di pertinenza. Una porzione della parte antistante il loft era pavimentata con piccoli ciotoli di porfido e delimitata da due piccoli muretti in pietra naturale, mentre più avanti, un piccolo bosco di conifere contornava la proprietà. La sensazione di frescura che trasudava da quel piccolo mondo vegetale, incastonato nella bruttura del cemento che lo circondava, rendeva l’insieme gradevole e quasi innaturale.

    Fu a quel punto che Joshua cominciò a domandarsi chi fosse quella donna. L’aspetto quasi hippy del suo abbigliamento, le movenze quasi impacciate, quel suo modo di parlare, facevano pensare ad un essere fuori luogo e poco inserito in una società dove l’apparenza è tutto, ma il fatto di aver ricevuto come regalo di compleanno quell’appartamento, restituiva l’ipotesi che appartenesse ad una classe agiata e che i propri genitori l’avessero amata e vezzeggiata.

    Joshua decise di non intaccare quell’aurea di magia che circondava Dahlia e perciò non indagò oltre. Non voleva essere invadente né tantomeno voleva rompere quel sottile filo immaginario che si era creato tra i due.

    Concordarono il prezzo (assai parco per la verità), come pure il fatto che nessuna caparra fosse versata a titolo di cauzione. L’unica richiesta, alquanto inusuale, che Dahlia fece, fu di essere ricevuta non appena Joshua avesse terminato di arredare il loft. Era convinta che lo stile che avrebbe utilizzato l’inquilino sarebbe stato uguale a quello che avrebbe utilizzato lei stessa qualora avesse occupato l’immobile per uso personale.

    Si scambiarono le informazioni per la redazione del contratto d’affitto e fissarono la data per la consegna delle chiavi congedandosi con una stretta di mano.

    CAPITOLO 2

    Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma…

    Come spesso accade con le citazioni, Joshua non ricordava bene a chi ne fosse stata assegnata la paternità. Accese il pc e si collegò ad internet digitando sul motore di ricerca le parole che componevano la frase. Scoprendo il contenuto degli svariati risultati che lo stesso gli restituì, dedusse che essa fosse nata dalla penna di Antoine Lavoisier (chimico francese che elaborò la legge della conservazione della massa nelle reazioni chimiche) e che successivamente fosse stata rielaborata da Einstein nella sua famosissima teoria sulla relatività.

    Chissà perché gli era venuta in mente; forse perché nelle sue elaborazioni mentali, o meglio definirle elucubrazioni, nulla poteva definirsi verità.

    Ancora seduto sul divano, dopo aver acceso la tv e lasciato che essa sproloquiasse, lasciò, come sempre più spesso gli accadeva, che i suoi pensieri vagassero senza legame alcuno. Acconsentì che ognuno di essi principiasse un percorso volto a trovare una meta, una soluzione e che alla fine di un tortuoso percorso tornasse alla sua matrice senza alcun risultato.

    Come era arrivato sino a lì? Come era giunto a ritrovarsi solo con se stesso. Osservando le immagini che scorrevano sullo schermo che si trovava di fronte a lui, si accorse che non lasciavano alcun segno, ne trasmettevano alcuna percezione.

    Ripercorrendo a ritroso l’arco temporale della vita trascorsa, cercò l’appiglio giusto che giustificasse le scialbe emozioni che viveva in quel momento.

    Probabilmente tutto poteva ricondursi a quando piccolo, nella sua stanza, cominciò a percepire voci ed esperienze tattili fuori dalla norma, che nessuno, per timore o riverenza, aveva avuto il coraggio di spiegargli. Gli capitava sempre più spesso che, affacciato alla finestra della sua stanzetta con il volume dello stereo a palla nella speranza che le ragazze del palazzo di fronte voltassero lo sguardo verso di lui, una mano invisibile gli si poggiasse sulla spalla e picchettasse su di essa, come si fa quando si vuol richiamare l’attenzione di qualcuno costringendolo a voltarsi. Giratosi a cercare chi avesse compiuto quel gesto gli veniva restituita la visione della sua stanza vuota.

    Imparò così a rivolgersi a quella o quelle presenze cercando di dialogare con loro, ottenendo di rimando soltanto silenzi. La percezione di qualcuno che fosse lì con lui, però restava. Si abituò pertanto a quello stato di cose, anzi divenne quasi consuetudine e a volte, quando sembrava che esse non ci fossero, uno stato di malinconia e tristezza lo pervadeva.

    La consapevolezza che qualcosa di strano fosse nell’aria intorno a lui si tramutò in certezza quando, in un pomeriggio uggioso, era intento a ripassare la lezione di storia che il giorno dopo avrebbe dovuto ripetere alla sua insegnante. Seduto alla scrivania che aveva costruito insieme al padre, si concentrava su quelle parole che ritornavano indietro nel tempo a ricordare eventi che erano stati capaci di mutare il futuro, quando ad un tratto sentì la voce della madre che lo chiamava dalla cucina in fondo al corridoio. Rispondendo ad alta voce a quel richiamo e non ottenendo alcuna risposta, era tornato a riprendere lo studio. Ma nuovamente e per diverse volte udì la voce della madre e ancora rispose ma senza riscontro. Fu dopo l’ennesimo richiamo che decise di alzarsi e andare a verificare perché la madre lo chiamasse così insistentemente. Appena varcata la soglia della stanzetta e iniziato a percorrere il lungo corridoio che lo separava dalla risposta ai suoi dubbi, percepì un leggero soffio accanto all’orecchio. Un brivido gli percorse la schiena. Fu allora che un rumore cupo e prolungato si propagò nell’aria e subito dopo un boato interruppe il quotidiano silenzio casalingo. Tornato sui suoi passi non ebbe la possibilità di rientrare nella stanza. L’alta libreria che occupava tutta la parete proprio di fronte alla scrivania era crollata di schianto sulla scrivania stessa distruggendola.

    Si rese subito conto che se fosse stato ancora seduto nel posto che sino a qualche attimo prima occupava, non avrebbe avuto scampo.

    La sorpresa più grande però la ebbe quando, dopo che i suoi genitori e le sue sorelle accorsero sul luogo del misfatto, chiese alla madre il perché di quel continuo richiamo. La donna con stupore negò di averlo mai fatto e che non aveva alcun motivo per farlo.

    Cosa era successo? Non riusciva a spiegarselo, né tantomeno qualcuno cercava di farlo. Archiviò l’accaduto giustificandolo come una semplicissima casualità e ad una propria invenzione. Ma il dubbio di una sorgente esoterica e occulta si insinuò nella sua mente. Sarebbe riemerso dopo anni.

    CAPITOLO 3

    Era ancora immerso in quei pensieri. L’ambiente esterno sembrava quasi estraneo al suo vivere quei momenti. Improvvisamente il trillo del cellulare lo ricacciò nella cruda realtà. Si alzò malvolentieri e cercò affannosamente l’apparecchio telefonico che era rimasto occultato in chissà quale luogo. Non appena l’ebbe trovato, (si era imboscato tra le pagine dell’ennesimo libro che aveva acquistato nel pomeriggio) lesse il mittente della chiamata per valutare la possibilità di rispondere o lasciare che squillasse. Sul display appariva: LUNA. Era lo pseudonimo che aveva affibbiato a Dahlia. Era venuto fuori dopo che avevano saltuariamente cominciato a frequentarsi e dopo che il loro legame si era consolidato. Si trattava di un’amicizia particolare. Si trovavano in perfetta sintonia su tanti argomenti e in special modo condividevano l’amore per la lettura, ritrovandosi spesso a commentare i libri che ognuno di loro aveva appena terminato di leggere. Fu proprio una sera, mentre erano seduti sul terrazzino del loft intenti a scambiare le loro divagazioni letterarie e sorseggiavano della birra ghiacciata, che Joshua cominciò ad osservare un fenomeno stranissimo. Ogni qual volta che Dahlia prendeva parola, nel cielo settembrino offuscato da nuvole leggere, la luna, sino a quel momento celata dalle stesse, faceva capolino per poi tornare a nascondersi, con un sincronismo sorprendente al cessare delle emissioni vocali dell’amica.

    A Joshua piaceva affibbiare un nomignolo alle persone che entravano a far parte della sua vita e per ognuno di loro c’era sempre stato un evento mistico a suggerirglielo. Fu così che Dahlia divenne LUNA.

    Ancora preso dai ricordi, pigiò il tasto di risposta e ancora una volta, a distanza di parecchio tempo, la voce di LUNA riecheggiò nel suo orecchio, provocandogli quelle bellissime sensazioni che ormai ricorrevano a ogni conversazione e a cui ormai non sapeva più rinunciare.

    «Ci vediamo più tardi?» disse Dahlia. Era una domanda o un’affermazione? Eludendo ogni possibile suo dubbio Joshua rispose «Si. Dove?»

    I loro incontri, oltre che al loft, avvenivano sempre in luoghi diversi e particolari. Era sempre Dahlia a sceglierli. Mai si era ritrovato a dissentire sulle scelte dell’amica.

    Erano ambientazioni sempre cariche di atmosfera e capaci di suscitare emozioni particolari. Fossero luoghi chiusi o no, erano sempre pregni di magiche impressioni o forse erano soltanto loro a percepirle. Era capitato di incontrarsi, per esempio. in mezzo a boschi rigogliosi oppure in austere bettole di periferia. A ognuno di essi era sempre associata una storia, una leggenda, un mito o una favola.

    «Ci vediamo all’imbarcadero dei battelli turistici alle dieci.» continuò Dahlia.

    «Ok» concluse Joshua.

    I loro colloqui telefonici erano sempre sintetici e stringati. A nessuno dei due piaceva dialogare attraverso quei malefici apparecchi elettronici (cosi li definivano).

    Joshua chiudendo la chiamata si soffermò un attimo a riflettere. Chi era LUNA? Perché era entrata nella sua vita? Era forse un segno dell’ineluttabile destino che ogni essere umano è

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