Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

DiverseMenti
DiverseMenti
DiverseMenti
E-book214 pagine2 ore

DiverseMenti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"Michael mi guarda con un'espressione strana, ha capito che questo tatuaggio non è per bellezza, per sfoggio, per moda: sa, ormai, che rappresenta qualcosa di imponente tanto quanto la sua dimensione. Tutta la schiena per tutta una vita".

Una raccolta di racconti e illustrazioni in cui ogni persona può identificarsi; DiverseMenti, diversi contesti e modi di interpretare e vivere la vita. Un libro per esplorare, conoscere, capire ed empatizzare.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2019
ISBN9788831623896
DiverseMenti

Correlato a DiverseMenti

Ebook correlati

Racconti per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su DiverseMenti

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    DiverseMenti - Luna Rossi

    pianeta.

    INFINITUM

    Spalancò gli occhi, turbato, il respiro ansimante, le membra tremanti, la testa leggera. I capelli biondi erano sparsi sul vecchio pavimento di legno tarmato, mentre le iridi azzurre si scontravano solo con travi lunghe e marce, con tegole rotte, fitte ragnatele e le inquietanti zampette nere e pelose dei loro occupanti.

    Volse lo sguardo con un forte senso di nausea, e notò accanto a sé un polveroso, spesso, piccolo libro: la copertina mostrava evidenti segni di usura, profonde crepe sulla pelle nera baluginavano chiare. Un singolo simbolo sul frontespizio, inciso con lamine d’argento, rappresentava un serpente che formava sinuoso un otto sdraiato, mordendosi la coda.

    Una paura primordiale, viscerale lo attanagliò: il flusso immediato di adrenalina gli permise di scattare seduto; immediatamente un dolore atroce al fianco sinistro lo fece piegare in avanti, mentre fitte ombre nere gli offuscarono lo sguardo. Terrorizzato, si mise carponi e strisciò via dal piccolo, inoffensivo tomo, mugugnando di dolore e gocciolando piccole macchie cremisi.

    Ma niente, né dolore, né paura, poteva impedirgli di allontanarsi da quei fogli incartapecoriti e ingialliti, fitti di caratteri inchiostrati e neri.

    Niente… tranne lui.

    Orfano a cinque anni, cresciuto per strada, Jonas aveva vissuto di espedienti fino all’età di nove anni: aveva perso il conto dei furti ripetuti, dei ricatti subiti, delle bugie ingoiate e pronunciate. Aveva perso anche il rimpianto per l’infanzia bruciata, la purezza sporcata, l’ingenuità persa. Uomini in cappotti preziosi si erano approfittati di lui nei vicoli bui, in squallidi motel.

    L’avevano toccato sulle piccole membra bianche e anemiche; avevano accarezzato con le loro luride mani profumate di glicerina alla vaniglia le costole evidenti e lo stomaco affamato, bagnandolo di saliva che sapeva di mentolo, trafiggendo le sue minuscole aperture con membri troppo grossi, troppo dolorosi, troppo nauseanti.

    Riscuoteva poi, sporco di sangue e seme, qualche spicciolo senza utilità effettiva, obolo concesso con sguardi schifati e altezzosi dai signori che, recuperato quasi subito un piccolo cerchietto dorato abbandonato momentaneamente su un ripiano qualsiasi o perso in una tasca – come la loro integrità, la loro umanità, la loro dignità – uscivano alla luce del sole come se niente fosse, tornando alla loro rispettabile vita.

    Jonas, allora, cercava una fontanella per pulirsi alla bell’e meglio, leniva il dolore fisico ed emotivo con un tè caldo davanti alla brace ardente del suo riparo sotto il ponte e si raggomitolava sotto una coperta sbrindellata, desiderando dormire, desiderando morire.

    Poi era arrivato lui, Vinicio: lo aveva raccolto nel momento peggiore della sua vita, quando le sue grazie erano ormai sfiorite agli occhi dei suoi clienti, quando tutta la città lo riconosceva come il ladro, il rovina famiglie, il demonio tentatore.

    Non l’aveva più lasciato solo. Dopo una cena insieme gli aveva proposto di dormire sul divano, nell’appartamento in periferia dove abitava con la sua compagna, Laura. Il giorno dopo, con colazione, pranzo e cena serviti su un piccolo tavolo di legno, Jonas aveva ripreso un colorito più sano e aveva dormito. Tanto. Diversi giorni e mesi e anni erano passati così, e Jonas non se ne era più andato. Non avevano mai parlato del futuro, per il bambino diventato ragazzino non esisteva un domani, era già stato ingoiato insieme alla sua infanzia.

    I suoi adulti, come li chiamava, a un certo punto avevano proposto che lui ricominciasse ad andare a scuola, e lui aveva accettato solo per loro. Jonas ora aveva sedici anni e una pessima reputazione scolastica, di cui andava pure fiero; era bravo nei laboratori di arte manuale, le esercitazioni pratiche e gli sport individuali, ma queste cose, da sole, non salvavano la media, né tantomeno la disastrosa condotta. Non aveva amici: aveva compagni di delinquenza con cui condivideva solo la ribellione e la rabbia che, costantemente, si portava dentro. E portava rispetto solo a Vinicio e a Laura: non al preside, non ai professori, non ai compagni.

    Era irrimediabilmente rotto, si sentiva così, e nulla, nemmeno tre pasti al giorno, un letto caldo, l’affetto palese della coppia e un’istruzione avrebbero potuto colmare quel nero, profondo buco infilato a forza, violentemente, nel suo petto.

    La mattina del nove gennaio avrebbe dovuto sostenere una verifica di matematica, e lui non aveva nessuna voglia di esporsi alla pubblica gogna. Aveva così deciso di bigiare, senza preoccuparsi minimamente delle temperature rigide di quell’inverno. Evidentemente si era rammollito, perché non riusciva più a tollerare il freddo come quando era piccino.

    Nei suoi vagabondaggi, aveva scorto un cancello di ferro nero, posizionato in fondo a una stradina senza uscita nella periferia più profonda della città; si infilò all’interno, sbirciando veloce per assicurarsi di non essere notato. In fondo al vialetto di terra battuta, tra la folta vegetazione selvatica, fece capolino una vecchia villa cadente. Cercando un po’ di conforto dal gelo, e tentato dalla curiosità, si avvicinò al grande portone d’ingresso in legno massiccio e, senza pensare, spinse il pesante chiavistello argenteo.

    Varcò la soglia e si addentrò di un paio di passi: un cigolio inquietante alle sue spalle e un forte schiocco lo fecero sobbalzare e girare di scatto. La porta si era chiusa da sola e… lo fissava. Ma la porta non poteva fissarlo, che pensieri gli venivano in mente?

    L’avrà chiusa la corrente d’aria, si rassicurò.

    Con passi pesanti si inoltrò nelle stanze scure, illuminate solo dalla luce bianca e rarefatta che penetrava attraverso gli squarci del legno divorato dalle termiti; attraversò il salotto, arredato in modo sfarzoso e antiquato, polveroso e deteriorato dalla mancanza di vita. Divanetti ricoperti di velluto amaranto con piedini a zampa di leone, grandi cristalliere con vetri ormai opachi, tavolini di vetro ricoperti di terra… Quadri inquie| tanti lo osservavano dalle pareti, diversi ritratti di uomini e donne con i capelli scuri, i volti meravigliosi e cerei, gli occhi nerissimi e freddi circondati da folte ciglia corvine. Jonas si sentì stranamente osservato. Avrebbe potuto giurare di aver visto un paio di pupille muoversi repentine.

    Si fermò a fissare l’ultima tela della fila: un ragazzo meravigliosamente bello, con un’espressione sprezzante, la linea delle labbra rigidamente dritta, un lungo ciuffo liscio e nero che accarezzava il profilo spigoloso della mascella, gli occhi profondi e freddi che sembravano vivi.

    Un brivido lungo la spina dorsale lo attraversò, mentre una minuscola goccia di sudore scorreva solitaria sulla sua tempia. Si scosse, dandosi mentalmente del codardo, e ignorò platealmente il suo istinto, che gli consigliava di scappare.

    Proseguì così nell’esplorazione della villa. Arazzi sparsi ricamati e rosi dai topi decoravano le pareti ingiallite, stoffe pesanti bloccavano la luce alle finestre, ragnatele decennali rendevano gli angoli simili a matasse ingarbugliate di fili di seta lucida ripiene di cadaveri di insetti. I passi sulla moquette sollevavano sbuffi leggeri di polvere stantia, mentre l’ossigeno diventava sempre più carente man mano che si addentrava nei meandri dell’edificio.

    Alla fine di un corridoio scorse una scala a chiocciola di legno. Incurante degli scricchiolii sinistri prese a salire, un gradino alla volta, sentendo la mano sempre più scivolosa di polvere e sudiciume. Al termine della scala una singola, piccola porta, di fattura molto semplice rispetto al resto della casa: un piccolo chiavistello dorato, chiuso con un lucchetto, era l’unica interruzione sulle linee naturali del legno chiaro; Jonas accarezzò le venature, incerto sul da farsi.

    In tutta la sua vita non aveva mai provato tanti dubbi, nemmeno mentre si apprestava a rubare rischiando il carcere, nemmeno mentre offriva il suo povero corpo alla violenza estrema per un tozzo di pane. La curiosità fu più potente di qualsiasi istinto che urlava prudenza: tirò fuori un piccolo ago di metallo spesso e, manovrandolo abilmente, forzò il lucchetto, che si aprì con uno scatto secco. Fece scorrere lentamente il chiavistello, e lo stridio prolungato rimbombò nel silenzio opprimente della casa.

    Una piccola spinta rivelò una mansarda piena di polvere e detriti, con diversi bauli ammassati lungo il perimetro. Il pavimento di legno scricchiolava costantemente, e lontani zampettii di topi in fuga erano l’unico segno di vita.

    Jonas respirò a fondo, insultandosi intimamente per tutta l’ansia accumulata senza motivo. Molto più a suo agio, iniziò a frugare, trovando diverse carabattole antiche, pile di documenti con sigilli ufficiali, quadri e vassoi d’argento completamente anneriti. Poi, mentre valutava un baule pieno di libri, la sua attenzione fu colpita da un baluginio argentato.

    Osservò con attenzione e vide che il riflesso era stato generato dalla stampa a pressione con lamine metalliche posta sulla copertina di un libro: rappresentava un serpente chiuso a otto rovesciato. Attratto inspiegabilmente, iniziò a sfogliare le pagine fragili, soffermandosi sul fatto che fossero scritte in una lingua a lui totalmente estranea. Alcuni disegni terrificanti corrispondevano a formule incomprensibili: corpi dilaniati da ferite diffuse e profonde, malformazioni fisiche aberranti come teste giganti e gambe lunghe il triplo del normale, rappresentazioni di torture ai genitali e alle membra. Senza potersi fermare, senza controllo, le sue mani e i suoi occhi scorsero il libro fin quasi alla fine, assorbendone la malignità e rendendolo febbricitante e sconnesso.

    Di colpo, si fermò. Le sue pupille si dilatarono al punto da occupare quasi tutta l’iride azzurra fissando l’immagine di un occhio, tanto realistica da spedirgli elettricità pura al cervello: la pupilla contornata dall’iride rosso sangue in cui si snodava, sinuoso, un serpente nero, la palpebra superiore spalancata, fitta di ciglia nere, la palpebra inferiore gocciolante sangue. Il cuore di Jonas sembrò fermarsi. E sentì la propria voce, profonda, sussurrare:

    INFINITUM

    Non sapeva più dov’era: ansimante, spaventato, roteava gli occhi a destra e a sinistra vedendo solo buio, illuminato da rade fiammelle rosse.

    Non poteva muoversi: era appeso al soffitto, nudo, le gambe spalancate; i suoi polsi e le sue caviglie incatenati da pesanti bracciali di ferro. La bocca era aperta, imbottita da qualcosa che sembrava stoffa.

    Preda del terrore più puro, Jonas cercò di tirare le catene, forzando le ossa che iniziavano a scricchiolare sinistre: aumentò la tensione, e i tendini si lacerarono con un rumore secco. Jonas gridò di dolore e sorpresa, ma non intendeva arrendersi. In balia dell’adrenalina ignorò anche la pelle dei polsi che si squarciava, facendo scivolare copiosi rivoli di sangue verso i gomiti.

    Un urlo disperato e soffocato vibrò sulle corde vocali, mentre il panico montava facendogli battere il cuore talmente veloce che pensò potesse esplodere fuori dal petto. L’ossigeno non bastava, e, dopo anni e anni, si ritrovò a pensare alla morte come una liberazione.

    Tutto, pur di uscire da quella situazione incomprensibile: si sentiva nuovamente in gabbia, oppresso, obbligato dalla circostanza. Violato, ancora.

    Quasi al limite della sopportazione vide un cambiamento avvenire nel suo ormai flebile campo visivo: una presenza umana apparve proprio davanti a lui.

    La sorpresa fermò il panico. Gli occhi neri dello sconosciuto perforavano la carne della vittima, mentre una scintilla maliziosa li accendeva; il ragazzo del ritratto si passò la lingua, con oscena lentezza, sulle labbra esangui, che si aprirono in un breve sorriso beffardo.

    Sei proprio come ti ricordavo sussurrò, avvicinandosi velocemente e sfilandogli il tessuto dalla bocca. La seta rossa era resa scura in più punti dalla saliva di Jonas.

    Non so chi tu sia esalò questo Lasciami andare.

    "Oh, so che tu non ti ricordi di me… alla fine sono trascorsi tanti anni.

    Ma dammi il tempo: la tua anima presto si ricorderà di me… e anche tu".

    Tempo? Tempo per fare cosa? Chi diavolo sei?! urlò frustrato in risposta. Lo vedrai alitò il ragazzo sulle sue labbra, guardandolo fisso negli occhi. Le iridi nere mutarono di colpo, trasformandosi in rossi tizzoni ardenti in cui si muoveva, lentamente, un serpente; appena il tempo di rendersi conto del cambiamento e la mente di Jonas iniziò a rievocare diverse immagini, sepolte nella sua coscienza.

    Quella volta in cui la proprietaria della drogheria l’aveva sorpreso a rubare e poi era venuto a sapere che era stata trovata morta poche ore dopo, appena prima che potesse denunciarlo, con la lingua mozzata e soffocata con il suo stesso moncone. E vide se stesso, gli occhi rossi, con le dita sporche di sangue e saliva.

    Quella volta in cui un signore era stato particolarmente violento, penetrando il bambino senza lubrificazione, senza prepararlo, in un colpo solo, secco, che lo aveva squarciato dentro: il giorno dopo era stato trovato, con molto scalpore, impalato fino alla gola da una pesante asta in metallo. E ancora se stesso, gli occhi rossi, che rideva sguaiato mentre la vittima gorgogliava sangue.

    Quella volta in cui un delinquente aveva osato aggredire e rapinare Vinicio e Laura mentre tornavano dal cinema. Stavano ancora deponendo la denuncia quando un poliziotto, sconvolto, gli comunicò che avevano appena trovato il soggetto crocefisso con diversi paletti al muro del vicolo dove era avvenuto il fatto, morto, sgozzato con un taglio netto alla gola. E vide se stesso, gli occhi rossi, il coltello grondante sangue.

    E tante, tante altre vendette, tanto odio, tanto dolore…

    Sei tu… sei sempre stato tu esalò, sconvolto, tornando in sé.

    No. Siamo noi. Siamo sempre stati noi due, insieme. Siamo sempre stati una cosa sola. Ci apparteniamo. Ora e sempre, nel presente, nel passato, nel futuro. All’infinito rispose compiaciuto il moro, aprendogli un taglio sul fianco sinistro con una piccola, affilata lama Questo è per non farti illudere che sia stato solo un incubo.

    FINITUM

    Jonas aprì gli occhi: era nuovamente in soffitta, sdraiato sul pavimento.

    Il ragazzo del dipinto, che ora sapeva chi fosse, era svanito insieme alle catene e alle ferite.

    Solo il dolore e il sangue coagulato sul fianco provavano l’accaduto. E quel nome, insieme alla consapevolezza di ciò che aveva fatto.

    Christian sospirò Jonas Colui che mi ha fatto sopravvivere in ogni occasione. Ti ho trovato.

    E, incurante di tutto, con gioia selvaggia, si avvicinò al libro nero e lo aprì all’ultima pagina, come se sapesse da sempre cosa cercare e dove. Lesse rapidamente la formula e lui, che di latino non aveva nemmeno mai neanche sentito parlare, la comprese. Si alzò faticosamente in piedi. La paura scomparsa, il corpo arreso, l’anima finalmente completa. Allargò le braccia e pronunciò:

    INFINITUM, SIMUL IN SEMPITERNO

    I suoi occhi divennero rossi, un serpente vi galleggiava placido.

    Ἄτροπος

    Àtropo: l’immutabile,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1