Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tripletta di Mezzanotte
Tripletta di Mezzanotte
Tripletta di Mezzanotte
E-book207 pagine2 ore

Tripletta di Mezzanotte

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Mi piace un buon romanzo. È come un bel pugno secco nell’addome. Dato per bene - ha un impatto!

"Una straordinaria morte improvvisa" è stato originariamente pubblicato come una novella a sé. Volevo scrivere un film di serie B - ma ero troppo pigro per imparare a scrivere una sceneggiatura - così ho deciso di scrivere qualcosa che avrebbe divertito sia i lettori che me stesso - tanto quanto un buon film di mostri di serie B - come "Tremors" o "Ragazzi perduti" o "Fright Night-Il vampiro della porta" accanto o "30 giorni di buio".

Sono stato a lungo affascinato nel vedere come la gente comune si comporta di fronte al male. Questi sono i miei personaggi preferiti – persone semplici, comuni. Mi piace immaginarle coraggiose e romantiche e selvagge e piena di vita - perché tutti abbiamo questo potenziale sepolto dentro di noi in profondità. Così - quando mi sono seduto a scrivere "Un straordinaria morte improvvisa" ho preso le persone più difficili che avessi mai immaginato e le ho gettate contro le forze delle tenebre.

"Hammurabi Road" è stato originariamente pubblicato nel 2007 come la seconda novella di una raccolta di due novelle intitolata HARD ROADS - pubblicata da Gray Friar Press. La storia è il mio modo di rivisitare la mia casa d'infanzia di Capreol, Ontario - una piccola città ferroviaria dove sono cresciuto.

L'ultima novella - "Non una storia di fantasmi qualunque" non è mai stato pubblicato prima.

Spero che questi racconti vi piacciano quanto mi sono divertito a scriverli.

LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2020
ISBN9781071524770
Tripletta di Mezzanotte
Autore

Steve Vernon

Everybody always wants a peek at the man behind the curtain. They all want to see just exactly what makes an author tick.Which ticks me off just a little bit - but what good is a lifetime if you can't ride out the peeve and ill-feeling and grin through it all. Hi! I am Steve Vernon and I'd love to scare you. Along the way I'll try to entertain you and I guarantee a giggle as well.If you want to picture me just think of that old dude at the campfire spinning out ghost stories and weird adventures and the grand epic saga of how Thud the Second stepped out of his cave with nothing more than a rock in his fist and slew the mighty saber-toothed tiger.If I listed all of the books I've written I'd most likely bore you - and I am allergic to boring so I will not bore you any further. Go and read some of my books. I promise I sound a whole lot better in print than in real life. Heck, I'll even brush my teeth and comb my hair if you think that will help any.For more up-to-date info please follow my blog at:http://stevevernonstoryteller.wordpress.com/And follow me at Twitter:@StephenVernonyours in storytelling,Steve Vernon

Leggi altro di Steve Vernon

Correlato a Tripletta di Mezzanotte

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Tripletta di Mezzanotte

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tripletta di Mezzanotte - Steve Vernon

    Tripletta

    di

    Mezzanotte

    *

    Tre

    Agghiaccianti

    Novelle

    Canadesi

    di

    Steve Vernon

    DEDICA

    Alle molte strade su cui ho camminato

    Ai cantastorie che ho ascoltato

    A mio fratello, Danny Vernon, che non mi ha mai deluso

    E come sempre alla mia amata moglie Belinda

    UNA STRAORDINARIA MORTE IMPROVVISA

    Prologo

    Basta perdere tempo.

    Lasciatemi raccontare come questa storia è realmente cominciata. È cominciata come qualsiasi altra storia – dall’inizio.

    La storia comincia realmente così – all’inizio del mondo non c’era la morte.

    Nessuno conosceva la tristezza di quella fine definitiva.

    Nessuno conosceva il dolore di perdere qualcuno che amava.

    Nessuno aveva provato una sola lacrima amara.

    Il Popolo cresceva grasso e numeroso.

    Troppo numeroso.

    La terra divenne affollata.

    Il cibo era sempre più difficile da trovare.

    Il Popolo diventò infelice.

    Allora il Grande Corvo guardò giù dalla sua alta montagna e vide tutto questo.

    Questo è male, disse il Grande Corvo. Non ci sono abbastanza cibo e acqua e terra perché il Popolo continui a vivere in pace e in armonia.

    Così il Grande Corvo decise che avrebbe fatto qualcosa per questo problema.

    Creerò un dono tale che il Popolo potrà alzarsi e lasciare questo mondo per fare spazio a coloro che seguiranno il cammino.

    E così il Grande Corvo – nella sua saggezza e nel suo dolore – creò la Morte.

    E ora giochiamo a hockey!

    Martedì sera, ore 21:00

    Nessuno notò esattamente quando il lungo autobus nero entrò nel parcheggio dell'Anchor Pub. Per quel che se ne seppe, l’autobus scivolò nel villaggio costiero Labrador di Hope's End come una raffica di neve inaspettata.

    Le cose accadono in questo modo nella città di Hope’s End.

    Lente e inaspettate e tutte in una volta.

    Judith Two Bear appoggiò i gomiti sul legno venato del tavolo non verniciato. La sigaretta brillava come la luce solitaria di un faro, ondeggiando mentre annuiva lentamente per tre volte al ritmo della musica della radio statica. Si era piazzata al tavolo vicino alla finestra dall’ora di cena. Le piaceva guardare il mondo passare al riparo dell'unico locale della città dove si poteva bere: l'Hope's End Drink & Drop Tavern and Grill.

    Diverse lunghe, lente e calde birre dopo, Judith Two Bear si ritrovò a fissare vagamente i nomi e le date incise e disegnate sul tavolo. Ne conosceva qualcuno. Poteva indovinarne alcuni e si chiedeva chi diavolo fossero veramente tutti gli altri. Quante anime solitarie avevano lasciato il segno su questo tavolo e si erano posate qui come tanti bicchieri semivuoti di birra calda alla spina - aspettando solo di essere mandati giù, anche se non subito.

    Per la verità, non ha pensato niente di tutto questo.

    Non con queste esatte parole, comunque.

    Le persone non pensano davvero in questo modo - solo nei libri, nelle poesie, nei film e in altre cazzate del genere. Piuttosto, Judith Two Bear lo sentì, forse. Lo inspirò con l'aria stantia del pub. Si unì in qualche modo alla sua stessa solitudine, nutrendo il suo drink e la sua crescente delusione e la sua immutabile noia, che faceva parte di lei tanto quanto il sangue che scorreva nelle sue vene stanche.

    Non era rimasto niente.

    Aveva vissuto la sua vita e non le restava altro che tempo per la sua solitudine. Aveva visto i figli crescere e andarsene, i suoi amanti raffreddarsi e battersela, aveva visto la vita voltare l’angolo e salutarla allegramente una o due volte prima di spengersi proprio accanto a lei.

    Le sue mani si appoggiavano pesantemente sul tavolo di pino sfregiato. Le nocche erano screpolate e indurite come la pelle di un vecchio alligatore, tatuata dalla nicotina e dalla vecchiaia. I suoi occhi erano diventati opachi e non c’era niente che lasciasse intravedere la ragazza che era stata se non una sparata di lentiggini che giocavano a nascondino tra le rughe e le linee della preoccupazione che le scendevano lungo le guance come un ricordo di lacrime.

    Fissò la sua birra sgasata.

    Il tempo passò oltre l’ora in cui poteva sperare che qualcuno le offrisse un passaggio a casa per nessun’altra ragione se non per pietà. Fergus McTavish aveva detto che l’avrebbe incontrata qui, ma per ora non si era visto. Pensava che le avesse detto così solo per essere gentile. Fergus McTavish era un brav’uomo, dopotutto, anche se passava troppo tempo là fuori su quella maledetta pista da hockey con il vecchio Sprague.

    Per la terra ghiacchiata di Dio, cosa ci trovavano uomini adulti nello sbatacchiare dei bastoni, nel fendere dell’acciaio affilato sul ghiaccio e nei maglioni da hockey consumati ben oltre la decenza?

    Judith Two Bear sedeva lì, ascoltando senza interesse la soffusa corrente di gossip che si diffondeva nel Drink and Drop Tavern; la gente si stava domandando da dove fosse arrivato l’autobus nero. Forse era una nuova squadra della piattaforma petrolifera, o forse una rock band in viaggio. Forse un gruppo di turisti, molto fuori strada, con le tasche tintinnanti di argento americano rotolante e la promessa di giorni migliori.

    Judith Two Bear non era così ingenua.

    Nessuno sano di mente VORREBBE venire a Hope’s End, Labrador, dove l’unica cosa che mandava avanti la città era il flusso di lavoratori della piattaforma petrolifera che si fermavano qui tra un turno e l’altro per ubriacarsi, mangiare e scopare; le tre settimane di cacciatori di foche che si fermavano qui per ubriacarsi, mangiare e magari scopare; e la promessa occasionalmente ventilata di fondi governativi in arrivo.

    Ce n’erano molte di quelle – così tante promesse gettate come onde sulla spiaggia rocciosa solo per essere portate via altrettanto velocemente.

    Fissò la sua birra.

    Le luci si affievolirono mentre il generatore della città aumentava di una tacca.

    L’ultima canzone del jukebox finì di crepitare, solo per essere sostituita da un’altra dannata partita di hockey.

    Judith Two Bear si alzò cautamente.

    Fergus McTavish non sarebbe venuto, decise.

    Rise fra sé.

    Non c’era mai stata speranza che venisse.

    La vita non funziona così.

    L’amore non è altro che una bugia detta durante una partita di poker di mezzanotte dove tutti imbrogliano e nessuno vince davvero.

    Si stirò all’indietro e ascoltò gli scricchiolii e gli schiocchi nel fossile che il suo dottore ridendo chiamava colonna vertebrale.

    La serata era trascorsa lentamente come un anno di stitichezza cronica.

    Il tempo era andato avanti inesorabilmente.

    Judith Two Bear era più vecchia di sei birre – senza una candela che lo dimostrasse.

    Forse sette birre – chi cazzo aveva contato?

    Il commentatore televisivo gridò quando qualcuno spedì il disco a casa. Alcuni spettatori gemettero e qualcuno applaudì svogliatamente. Nessuno notò Judith svuotare il suo bicchiere di birra calda e capovolgerlo sul tavolo.

    Uscì dalla porta principale.

    Faceva freddo per una sera di gennaio. Si avvolse nello scialle, stringendolo a sé. Lo scialle era l'ultimo regalo che Little Whalen Pinto le aveva fatto prima di ubriacarsi cinque mesi prima e cadere dal traghetto, a metà strada da Newfoundland.

    Whalen Pinto era ricomparso a riva tre giorni dopo. La corrente lo aveva trasportato sulla spiaggia, avvolto dalle alghe e beccato dai gabbiani. C’erano notti in cui Judith aveva incubi al ricordo di Whalen Pinto gonfiato dalla marea, gli occhi affogati nelle lacrime, un granchio che piluccava fiaccamente un po’ di cerume dall’oreccio.

    Altre notti sognava di lui che cantava - stonato e lanciato rumorosamente in quel vecchio classico di Gordon Lightfoot, The Wreck of the Edmund Fitzgerald, ancora e ancora – l’unica canzone che conosceva per intero. Gli incubi erano la sua sola compagnia in questi giorni. Li accoglieva come una donna sola accoglie la visita notturna di un amante fantasma.

    Al diavolo, imprecò contro le ombre.

    Aveva davvero sperato che Fergus McTavish sarebbe venuto quella sera. Aveva sperato che avrebbe sostituito i ricordi con un po’ di compagnia reale.

    Ma Fergus non sarebbe venuto.

    Dio-e-Gesù, al diavolo.

    Il vento era freddo nel parcheggio.

    C’erano solo poche auto. La maggior parte della gente viveva abbastanza vicino da andare a piedi.

    L’autobus nero incombeva nel buio. Non c’era altra parola. Incombeva – come l’ombra di una montagna stesa sopra una lapide grigia e solitaria.

    Era pesante.

    Massiccio.

    Nero e implacabile.

    Per un mezzo istante Judith Two Bear sentì l'impulso di voltarsi e correre di nuovo nel pub e urlare nel panico - sovrastando la partita di hockey e il tintinnio delle bottiglie di birra e il vocio stanco delle conversazioni.

    Ma cosa diavolo avrebbe ottenuto?

    Si trascinò un po’ più vicino all’autobus nero – come se volesse provare qualcosa a se stessa.

    Così vicino vide che i finestrini erano dipinti.

    Anche il parabrezza, tutto di nero.

    Come faceva l’autista a vedere la strada di notte?

    Potrebbe essere un vetro a specchio, pensò. Puoi vedere fuori, ma nessuno può vedere dentro. Ma sembrava più che il vetro del finestrino fosse stato verniciato a spruzzo. Tutto di nero, come se qualcosa cercasse di nascondersi. Una parte di lei voleva scappare dall’autobus e dal parcheggio ma era troppo stanca per darle retta.

    Si sporse e toccò gentilmente la fiancata dell’autobus.

    Sentì un ritmo, come una marea, come un battito cardiaco, pulsante tra le strane pareti annerite del veicolo.

    Musica, forse?

    La sua mano affondò nella fredda vernice scura, come se la stesse immergendo in una bacinella di fredda acqua nera. Si sporse ancorà più giù. Qualcosa vibrò, nella profondità del colore dell’autobus. Qualcosa vibrò e la attirò dentro. Sentì la vernice dell'autobus inspirare - come un vecchio che risucchia l’ultimo sbuffo di fumo della sua sigaretta.

    Le ginocchia di Judith Two Bear cedettero leggermente.

    La sua pelle impallidì e la vernice dell’autobus si scurì voracemente.

    Poteva vedere la mascherina e i fari sorriderle. Si domandò come fosse possible. Era appoggiata sul lato dell’autobus, per niente vicino al cofano. Non avrebbe dovuto essere in grado di vederlo.

    Non le importava.

    Fergus non sarebbe venuto.

    Rimase appoggiata all’autobus, lasciando che qualunque cosa si nascondesse all’interno bevesse a volontà.

    Non era intrappolata - ma a suo agio.

    La porta dell'autobus si aprì.

    Judith Two Bear estrasse la mano dal torpore cullante della vernice ed entrò nell'autobus di sua volontà, sognando ancora Edmund Fitzgerald.

    La porta dell’autobus si chiuse dietro di lei. Se ci furono grida furono ingoiate in un colpo solo dalla notte del Canada Settentrionale e svanirono. Cominciò a nevicare, soffici grossi fiocchi che promettevano una tempesta in arrivo. I fiocchi di neve si scioglievano e scivolavano contro il cofano ghignante dell’autobus scuro come la notte.

    Fergus McTavish arrivò alla teverna, un’ora troppo tardi.

    Mercoledì mattina, ore 6:00

    Sprague Deacon passò alla sua ala destra, che piegò a sinistra, ruotò a destra e bombardò il disco verso la rete avversaria. Il portiere deviò efficacemente il goal anticipato, ma Sprague non si fermò, giocando in avanti e spingendosi con forza, premendo contro il disco come una valanga di pura determinazione. Il fendere dei suoi pattini fischiava contro il ghiaccio come se si vi avesse legato un paio di serpenti ghicciati di acciaio blu.

    Il difensore dell’ala destra gli ostacolava la strada. Sprague guardò la paletta del bastone dell’uomo falciare a pochi centimetri dalla sua stessa gola. L’arbitro non fischiò per fermare il gioco, forse perché non c’era stato nessun contatto.

    A Sprague non importava niente. La folla era una confusione di urla selvagge. La pista era vasta quanto un bianco mare ghiacciato. Sottili segni e tracce erano incisi e rigati dietro di lui, intersecati e intersecati di nuovo e rimossi dal costante lavoro di silenziosa cancellazione dello Zamboni.

    Non sono niente di più che un paio di pattini e un bastone, pensò Sprague.

    Sollevò il suo bastone da hockey mezza tacca indietro, come un pistolero che alza il grilletto di una Colt eccessivamente dentellata e spedì il disco a casa.

    Punto!

    Il brivido della pista gli anestetizzò i denti in un largo sorriso mezzo paralizzato, mentre gridava fino a svegliarsi.

    Dio-bastardo-che-tu-sia-dannato.

    Sprague Deacon aprì di poco le palpebre e lasciò entrare la mattina a poco a poco.

    Rimase steso a fissare il soffitto, contanto i respiri. Dentro, fuori, dentro, fuori – aspettò finché non trovò il ritmo perfetto, solo un po' desincronizzato rispetto al moto delle onde dell'Atlantico che ruggivano e assediavano la spiaggia dietro casa sua.

    Allungò una mano dietro di sé.

    Dannazione.

    Il materasso era bagnato di nuovo.

    Era questo quanto c’era da aspettarsi?

    Un vecchio che si pisciava addosso?

    Merda.

    Almeno non era arrivato a questo.

    Non ancora.

    Sprague Deacon si alzò a sedere dall’alcova del letto che tre anni prima Helen gli aveva fatto comprare per lei, prima che le mura del suo stesso cuore crollassero e lasciassero entrare il freddo, solo tre anni prima. Il materasso vecchio di sei anni puzzava di scoregge e saliva e di nuovo piscio stagnante e tabacco che lei non gli aveva mai permesso di fumare a letto quando era ancora viva.

    Sollevò le gambe, le fece oscillare fino al bordo e le lasciò cadere, lasciando che lo slancio lo portasse in posizione verticale. Accese la prima sigaretta della mattina. Infilò i piedi negli stivali di gomma che teneva accanto al letto e uscì fuori, nudo come un neonato. Inverno o estate, lasciava che il peso degli stivali di gomma lo portasse giù alla spiaggia dove si fermava in piedi, inspirando la salsedine e il rombo delle onde prorompenti, appoggiando le mani indietro contro i fianchi da vecchio, secchi e senza culo, per lasciare che un arco di limonata calda e sporca schizzasse libero e gocciolasse nelle onde che si abbattevano – non che ci fosse rimasta così tanta acqua dopo aver bagnato il letto, ma era il principio dell'atto che contava.

    Pisciava fino a svuotarsi e poi camminava fino alla pista che aveva costrutito

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1