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E-book253 pagine3 ore

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Info su questo ebook

John insieme un gruppetto di altri tre ragazzini, nutrito dalla voglia di avventura e spinto dall'incoscienza, organizza una spedizione in una villa diroccata poco fuori il paese, ma quello che era un giorno memorabile si trasforma presto in un incubo che aprirà le porte a qualcosa di terribile. Svariati anni dopo, quell'entità maligna sotto forma di un enorme lupo bianco, tornerá nella vita del protagonista ormai adulto per riprendersi ció che non era riuscita in passato, in un'inesorabile lotta che si protrarrà nei mondi dei due protagonisti.
 
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2019
ISBN9788834140864
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    Anteprima del libro

    Bianco - Vincenzo Guido

    Vincenzo Guido

    Bianco

    UUID: 8854c1ca-8fd5-11e9-b6dc-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prologo

    Inizio

    La partenza

    Il viaggio

    I° Giorno

    II° Giorno

    III° Giorno

    IV° Giorno

    V° Giorno

    VI° Giorno

    Il risveglio

    L'hotel

    Il ritorno

    Eventi strani

    Bianco

    Prologo

    Betsie avanzò solitaria sulla strada principale per fermarsi poco dopo sul bordo del marciapiede. Bob Mason seduto al posto di guida spinse il pedale della frizione forzando sul cambio per ingranare la folle.

    Dai su Betsey, non fare la scontrosa. Lo sai che non starò via per molto la rassicurò mentre lei grattava il suo disappunto borbottando come un cavallo nervoso. Lui non nascose un sorriso e con il solito gioco di acceleratore e frizione la mise in posizione di riposo.

    Forza vecchia mia, ti prometto che tra poco sarò di nuovo da te la rassicurò calando un paio di vigorose pacche sul cruscotto. Lei scontrosa ma rassegnata rispose sputando uno sbuffo di fumo nero che si alzò in netto contrasto con la distesa di neve che aveva ricoperto le strade della piccola cittadina.

    Quella mattina era una bella giornata di sole.

    Qualche giorno prima durante l’edizione mattutina del telegiornale locale, l’avvenente annunciatrice Sarah Dawson strizzata in un tailleur grigio che ne esaltava le forme, aveva avvisato la popolazione dell’avvicinarsi di una tormenta che era arrivata con insolita puntualità.

    Intense nevicate a partire dalle prime ore della serata interesseranno tutta la zona e rimarranno costanti per i prossimi giorni, aveva annunciato prima di rassicurare i telespettatori che il tempo sarebbe tornato sereno per il fine settimana. Come previsto, in tarda serata il cielo si era ricoperto con densi nuvoloni color pece che non smisero di riversare per tutta la notte ed alcuni giorni successivi copiosi fiocchi di neve dalle dimensioni insolitamente grandi per la stagione. La neve caduta rese presto difficile la vita nella cittadina e quasi impossibile il lavoro dell’unico spazzaneve disponibile nel paese.

    Robert Mason seduto al posto di guida aspettò che il tergicristallo raschiasse la patina di ghiaccio che si era appena formata sul parabrezza, prima di aprire lo sportello. Recuperò la pala dal sedile posteriore ed affondò con un balzo gli stivali sulla neve fresca. Inalò una lunga boccata di aria fredda, inarcò la schiena all’indietro facendola scrocchiare, ed imboccó il vicolo con la pala sulla spalla fischiettando una canzoncina che solo lui conosceva. La pala era conosciuta come Crunchy Sparky e secondo le leggende locali doveva il nome al rumore che produceva quando Bob la affondata nella neve e le scintille che emetteva quando sferragliava a contatto con l’asfalto.

    Ogni estate quando il calore del sole scioglieva il ghiaccio riportando in vita la natura, Betsie veniva riposta nel garage e Fred prendeva il suo posto. Bob si metteva alla guida di un vecchio furgoncino Volkswagen di colore bianco rifinito in azzurro carta da zucchero sul quale spiccava un grosso cono gelato di polistirolo creato in maniera artigianale da lui stesso e con il quale percorreva dalle vie centrali fino a quelle più periferiche della città guadagnandosi da vivere vendendo il migliore dei gelati di tutta la zona. Non era mai stato chiaro a nessuno chi producesse quel gelato, (ed anche quello era un argomento molto discusso nei bar durante il fine settimana) ma rimaneva comunque a detta di tutti il miglior gelato in assoluto.

    Sotto il sole cocente delle mezze mattinate di Agosto la cantilena stonata del carillon si faceva largo tra le grida dei bambini che giocavano nel parco ed il frinire delle cicale preannunciando il suo arrivo. Poco dopo Fred sbucava in lontananza come un miraggio tra i vapori dell’asfalto cocente e la fremente attesa dei piccoli compratori e quando si fermava al lato del marciapiede, i giochi venivano abbandonati e tutti i minori di dodici anni accorrevano richiamati da quella cantilena che continuava sempre uguale ad uscire distorta dalle casse di bassa qualità. Bob si sporgeva dal portellone per allungare coni ricolmi di gelato con tre gusti a scelta venduti al prezzo di un dollaro e venti. Tre gusti! Non uno di più e non uno di meno! come era il motto scritto sul portellone del furgone in caratteri rossi affinché risaltassero sulla fiancata.

    Con in testa il tipico cappello da gelataio a coprire i capelli bianchi come le nuvole, allungava il cono, sfoggiava il suo miglior sorriso con il braccio teso e godeva dell’istante di trepidazione che leggeva negli occhi del bimbo mentre avveniva il passaggio del cono da un proprietario all’altro. Quando le monete tintinnavano sul ripiano di vetro del bancone ed il cono passava nelle mani dell’ultimo bambino, la magia finiva, Bob rientrava nel suo ruolo di gelataio e si allontanava con Fred dirigendosi verso una nuova meta per accontentare altri bambini che in fermento già sentivano il carillon preannunciare che da lì a poco avrebbero avuto in tasca un dollaro e venti in meno ma tanta felicità in più.

    Come era stato annunciato e confermato dalla Dawson nell’ultima edizione del telegiornale, la mattina di sabato il sole era tornato a splendere ma gli eventi di quella settimana avevano riportato un’aria di pesante grigiore tra la gente del posto. Quel pomeriggio però John non sarebbe uscito a giocare con gli amici data la violenza e la brutalità dei fatti che erano accaduti solo poche ore prima e che avevano indotto le forze dell’ordine a consigliare a tutta la popolazione di non uscire fino a nuovo avviso. Inconsapevolmente e per un fortuito caso, lui era sfuggito al tragico destino che aveva brutalmente falciato i suoi amici e membri della Banda del Buio.

    Segregato nella sua camera, sconsolato e senza capire bene cosa fosse realmente accaduto, fissava malinconicamente con il mento poggiato sulle mani e la punta del naso quasi a toccare la finestra ghiacciata, quella distesa luccicante che si estendeva oltre l’immagine appannata dall’alito sul vetro.

    Guardó Betsie sbuffare fumo nero due isolati più avanti, mentre Bob a pochi metri da lei sistemava gli ultimi vicoli che gli rimanevano da ripulire. Qualche automobile passò creando dei riflessi sul vetro prima di svoltare l’incrocio principale e perdersi dietro la curva. Una decina di metri più in giù, la sede della polizia locale pullulava come un formicaio anche se meno ordinato. Sembrava che tutte le volanti inclusi i due furgoni in dotazione alla polizia Silver Lake fossero stati mobilitati, ed ora sostavano sulla strada davanti all’ingresso con i lampeggianti accesi mentre i poliziotti entravano ed uscivano dall’edificio in maniera scomposta e frenetica.

    In casa regnava il silenzio più assoluto. Gli unici rumori erano quelli delle stoviglie che venivano riposte nello scolapiatti da sua madre che in cucina stava finendo di lavare la stoviglie del pranzo e di tanto in tanto lo sfogliare delle pagine del periodico del padre che scorreva le ultime notizie in cerca di novità sull’andamento delle indagini.

    Ogni tanto John li sentiva bisbigliare, poi sua madre singhiozzava e riprendeva il rumore di stoviglie. Non capiva esattamente cosa fosse successo quello che i genitori parlando etichettavano come il giorno prima, ma aveva capito che non ci sarebbe più stata una Banda del Buio, non avrebbe mai più rivisto Ben, Marco né tanto meno Jasmine e che tutto ciò che era stata la sua infanzia era terminata tanto velocemente come era iniziata.

    Due giorni prima

    La tormenta di neve che ormai si era stabilizzata nella zona, non accennava a dare tregua. Ben, il più piccolo componente del gruppo nonché figlio del capo della polizia contattò John con il walkie talkie che i membri della comitiva avevano per comunicare durante i giorni in cui era vietato o fortemente sconsigliato dalle autorità locali uscire per via delle intemperie.

    La sua voce gracchiò sopra il crepitante rumore di fondo prodotto dal walkie talkie acceso sul canale 8 mentre, appoggiato con la fronte sul vetro della finestra guardava la neve turbinare con forza intorno al cono di luce gialla che il lampione davanti a casa proiettava sul marciapiede.

    John…shhh... la voce attese qualche secondo per dargli il tempo di rispondere. John guardò oltre la spalla verso il comodino dove si trovava il walkie talkie che in quell’istante gracchiò una seconda volta.

    ...shhh… Joh...Ben..c...ei? ...shhh... la comunicazione era talmente distorta dalla tormenta da non permettergli di capire se erano parole o solo fluttuazione del rumore dovuto alla corrente elettrostatica. Rimase in ascolto finché non arrivò la comunicazione forte e chiara: ...John sono Ben... ci sei?!...shhh... Riconoscendo la voce di Ben si staccò dalla finestra e lanciandosi sul letto rimbalzò sul materasso afferrando il walkie talkie ed alzando il volume con un unico movimento.

    Ciao Ben, sono qua! rispose.

    Hai visto che nevicata?!...shhh... gracchiò la voce dell’amico.

    La stavo giusto guardando dalla finestra...cazzo Ben, non ho mai visto una cosa del genere! annuì schiacciando il bottone per attivare la comunicazione mentre il materasso continuava a sobbalzare per il salto.

    ...eh già…shhh...ci sta dando dentro di brutto...shhh...senti John...shhh...ho sentito mio padre parlare al telefono con un tizio a proposito di alcuni ritrovamenti vicino alla villa... la comunicazione rimase in sospeso per alcuni secondi lasciando il fruscio di sottofondo.

    ...villa Berth intendi?!.. domandò pronunciando il nome del luogo scandendo bene le parole.

    ...ehm...sì John...pare che qualcuno abbia trovato un sacco di animali morti nel bosco che la circonda, sembra che siano stati mutilati o sbranati e non sto parlando di topi o conigli ma di animali grossi, cervi, cinghiali o animali del genere

    ...shhh…

    mio padre sta indagando ma credo che sarebbe una bella avventura andare a dare un occhio appena smette di nevicare

    ...shhh…

    John rimase senza parole cercando di immaginarsi la scena.

    Wow! Una decina di cervi e cinghiali morti hai detto?! Certo che sarebbe una figata andare a dare un occhio! prese un respiro per riordinare le idee ...allora Ben…facciamo che io avviso Jasmine e tu senti Marco, digli di organizzare la spedizione, manteniamoci in contatto e pronti a partire appena smette di nevicare rispose carico di eccitazione.

    Ok John, avviso Marco ...shhh...

    ci teniamo aggiornati, passo e chiudo...shhh...

    Il rumore di fondo tornò ad essere costante. John abbassò il volume del trasmettitore pregustando l’avventura che avrebbe vissuto, anche se non capiva come Ben volesse tornare nel luogo in cui l’estate precedente aveva quasi rischiato di lasciarci le penne.

    Villa Berth era quella che tutti i ragazzi della zona conoscevano come la casa stregata del luogo, la villa dove accadevano fatti strani più o meno inventati o farciti con le fantasie più strampalate che i più grandi raccontavano ai più piccoli per spaventarli con puro spirito di macabro divertimento. La realtà dei fatti era che quella villa, un tempo abitata da un certo signor Alan Berth, venne abbandonata dopo la sua morte che avvenne in maniera quasi contemporanea alla scomparsa della moglie Elisabeth che da un giorno all’altro venne portata via da un inaspettato quanto fulminante infarto. Nessuno dei due lasciò il benché minimo straccio di testamento e la villa rimase dimenticata anche per il fatto che nessuno in vari anni si presentò per rivendicarne la proprietà, lasciandola quindi invenduta ed a marcire alle intemperie. Lentamente il tempo con il suo impietoso ed incessante impegno, iniziò ad erodere le facciate trasformandola nell’aspetto fino a renderla lugubre, tetra e perfetta per guadagnarsi tra i ragazzi del luogo la medaglia per la miglior casa stregata della zona.

    Ricordi dell’estate precedente

    La Banda del Buio, così si facevano chiamare tra i ragazzi di Silver Lake da quando una sera d’estate di un paio di anni prima, un ufo (o perlomeno così lo definirono con la loro fervida immaginazione di bambini), sfrecciò in cielo sopra le loro teste mentre giocavano a palla nel parco del paese, seguito da uno strano blackout che durò per tutta il tempo del passaggio e che immerse tutta la città nel buio più completo per qualche decina di secondi che a loro sembrò un tempo infinito. Con la bocca aperta ed il naso all’insù seguirono la traiettoria mentre il pallone con cui stavano giocando fino a poco prima, continuò a rimbalzare spinto dall’ultimo tiro fino a colpire il muretto di delimitazione dal quale staccò un po’ di calcinaccio.

    I giorni successivi i telegiornali locali trattarono il caso spiegandolo con l’aiuto di alcuni scientifici come un normale fenomeno elettromagnetico. Normale o no per John ed il gruppo di amici fu un evento straordinario tanto che il giorno dopo il capogruppo Marco Franchetti li convocò a casa sua per una nottata in tenda nel giardino di casa, per parlare di una cosa di assoluta importanza.

    Quella sera tutti e quattro si riunirono nel giardino della casa di Marco, armati di sacchi a pelo e torce si riunirono seduti in circolo all’interno di una canadese che il padre aveva montato per l’occasione.

    John passò in rassegna con lo sguardo i suoi amici riuniti in attesa che Marco prendesse la parola. Guardò Ben che nonostante fosse il più piccolo del gruppo, assumeva il ruolo di trascinatore grazie alla sua forte personalità che lo portava facilmente all’incoscienza, Jasmine (l’unica ragazza del gruppo) e l’unica per cui John provasse una particolare simpatia, sarebbe potuta anche essere la sua fidanzata se non fosse stato tanto timido da considerarla sempre e solo una grande amica. Ottusa e talmente determinata nell'organizzare tutto con meticolosità maniacale che era riuscita a strappare a Marco (dopo vari litigi per decidere di chi fosse l’ultima parola) lo scettro di capo spedizioniere. Infine, a chiudere l’elenco dei componenti c’era il capo del gruppo Marco Franchetti, un ragazzino con padre italiano ormai naturalizzato da anni in Kansas e madre originaria di Silver Lake. Era praticamente coetaneo di John anche se Marco era di Marzo ed John di Dicembre, ma erano quei pochi mesi che lo facevano rientrare nella veneranda categoria dei tredicenni rendendolo a tutti gli effetti il più grande del gruppo e di conseguenza il capo.

    Innanzitutto benvenuti a tutti. Direi che è il momento di aprire le patatine e le bibite per brindare alla nascita di una nuova banda sentenziò aprendo per primo una lattina mentre gli altri si guardarono senza capire bene di cosa stesse parlando. Senza curarsi del discorso principale, Ben si lanciò su di un pacchetto di palline al formaggio che aveva adocchiato appena era entrato nella tenda.

    Come vi dicevo, l’evento di ieri sera mi ha dato l’idea di creare una banda continuò Marco prima di venire interrotto dal rumore di una lattina che veniva aperta. Lanciò un'occhiata verso Ben che con la bibita in mano si rese conto di essere l’unico ad aver disturbato il discorso.

    Scusa ma le patatine mi hanno messo sete si lamentò stringendosi nelle spalle. Jasmine gli assestò una gomitata sul braccio facendo riversare il contenuto del sacchetto sul pavimento.

    E dai Ben, così togli la solennità alla serata lo sgridò. Marco le indirizzò un cenno di ringraziamento prima di continuare, ...e visto il black out dell’altra sera, ho pensato che il nome più appropriato per la nostra banda potesse essere: la Banda del Buio. Se avete qualche obiezione o altre proposte... lasciò la domanda in sospeso mentre ci passava in rassegna con lo sguardo attendendo qualche secondo per darci la possibilità di obiettare.

    John con un cenno del capo diede la sua approvazione, Ben rimase in silenzio con la bocca piena di patatine ancora scosso dalla gomitata e Jasmine facendo spallucce annuì di approvazione.

    Perfetto, ho scritto un paio di righe che ognuno di noi dovrà ripetere a turno davanti agli altri per suggellare la sua partecipazione. Cominciamo da te... terminò passando il foglio verso sinistra a John che lesse sotto lo sguardo degli altri. Quando terminò Marco fece cenno di passare il giuramento. Ben che si stava succhiando dalle dita i resti di patatine si affrettò a pulirle sulla maglietta prima di prendere il foglio e dopo aver recitato la formula lo passo a Jasmine che recitò lo scritto e lo ripassò a Marco chiudendo il cerchio. Fu così che i quattro ragazzi, il 23 di Giugno di quell’anno, davanti alla luce altalenante di una torcia legata all’interno di una tenda montata nel mezzo di un giardino, giurarono fedeltà ad ognuno dei componenti.

    Dopo quella notte la Banda del Buio passò il resto dell’estate facendo scorribande tra risate ed avventure nei boschi limitrofi fino a quel maledettissimo 15 di Agosto in cui tutto ebbe inizio.

    L’obiettivo organizzato ed approvato all’unanimità era quello di entrare a villa Berth ed esplorarla per intero: scantinato, piano terra e primo piano. Non sapevano a cosa stavano andando incontro, nessuno di loro avrebbe potuto minimamente immaginare quello che sarebbe successo.

    A volte un gioco non finisce sempre come ci si potrebbe aspettare.

    Quel giorno la Banda si riunì nella piazza principale con gli zaini pieni di provviste ed i cuori assetati di avventura, scherzando e fantasticando su quello che avrebbero trovato una volta arrivati alla villa. Si avventurarono verso la periferia lasciando i posti conosciuti ed addentrandosi lungo la statale. Costeggiarono le sponde del fiume Kansas notando come gli edifici passavano da essere prevalentemente palazzi, per diventare casette sempre più sporadiche finché si lasciarono completamente la città alle spalle per ritrovarsi soli. La strada risultò essere più lunga del previsto e dopo circa tre ore di cammino, Ben iniziò a diventare insofferente lamentandosi che le scarpe gli facevano male e che probabilmente gli stavano uscendo delle vesciche.

    E dai Ben non fare lo stronzo, ti avevo avvisato che non sarebbe stato semplice. Se non vuoi venire la prossima volta sei libero di restare a casa, ma ora sei qua. Quindi cammina e non rompere. lo redarguì stizzito Marco avanzando sicuro della direzione e delle strade prese. Anche Jasmine ed John, nonostante non si lamentassero come Ben, iniziavano a dubitare che la strada fosse quella corretta e l’idea o la paura di essersi persi, iniziava a stringere la bocca dello stomaco.

    Ben sbuffò rumorosamente e Jasmine fu sul punto di proporre al gruppo di rinunciare e organizzare meglio il viaggio quando Marco la anticipò: Ecco il cancello! Ve l’avevo detto che mancava poco! Siamo arrivati!

    Tutti e tre si fermarono a fissare il lato della strada dove un intreccio di rovi e sterpaglie avevano ingoiato un ammasso di ferro arrugginito che un tempo era stato un imponente cancello. Della sfarzosa entrata di un tempo, ora rimaneva solo una delle due cancellate mentre l’altra pendeva su di un cardine lasciando uno spiraglio sufficiente grande da garantire un passaggio.

    Hey guardate qua! esclamò Jasmine liberando dall’edera un’insegna di ottone annerita dal tempo sulla colonna che faceva da montante.

    Villa Berth sussurrò Ben troppo eccitato perché la voce gli uscisse normale fiiiigo, siamo arrivati! aggiunse dimenticandosi del dolore ai piedi.

    Marco dando le spalle al cancello li fissò soddisfatto.

    "Ragazzi siamo arrivati al cancello, da qua imbocchiamo il sentiero che ci porterà alla villa, ma

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