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E-book194 pagine2 ore

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Una storia vera, raccontata da chi l'ha vissuta. Un caso fatale di una qualsiasi persona, che dalla normalità della vita quotidiana, si trova ad affrontare 103 giorni di carcere con conseguenze penali. Si raccontano i pensieri, le sensazioni e la vita vissuta in carcere e quello che succede dietro il traffico di Cocaina nel mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2020
ISBN9788831655538
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    Anteprima del libro

    Visto da dentro - Mirco Davini

    633/1941.

    PREMESSA

    Que­sto rac­con­to vuo­le scan­di­re il tem­po...  Il tem­po che in cer­ti po­sti as­su­me un ruo­lo spes­so dif­fi­ci­le da de­fi­ni­re. Le at­te­se per i col­lo­qui, per le udien­ze e di pa­ri pas­so le spe­ran­ze che mu­ta­no, le prio­ri­tà che cam­bia­no. Lo scor­re­re del tem­po è in­vio­la­bi­le, inar­re­sta­bi­le, ma ci so­no co­mun­que mo­men­ti da ri­cor­da­re, mo­men­ti da.... sem­pli­ce­men­te at­ten­de­re co­me tra­guar­di im­por­tan­ti. Il po­ter met­te­re una cro­cet­ta su un gior­no ap­pe­na ter­mi­na­to e il po­ter­si ren­de­re con­to di co­me la vi­ta ha avu­to una bat­tu­ta d'ar­re­sto for­se trop­po ina­spet­ta­ta. A vol­te guar­dan­do un ca­len­da­rio ci si pro­iet­ta trop­po in là.... nell' at­te­sa di ve­der giun­ge­re la pa­ro­la fi­ne. Il ca­len­da­rio ri­cor­da lo scan­di­re del­le emo­zio­ni stes­se. Lo si cu­sto­di­sce ge­lo­sa­men­te, a ognu­no il suo…. in po­chi me­tri qua­dri ap­pe­si in qual­che mo­do ce ne so­no di­ver­si... ognu­no con le pro­prie vi­cis­si­tu­di­ni mar­ca­te in­de­le­bil­men­te.

    E. L.  un ami­co...

    Que­sta sto­ria è il mio rac­con­to per­so­na­le, la­vo­ro or­mai da più di 20 an­ni nel­lo Sho­w­bu­si­ness, e da 4 so­no re­spon­sa­bi­le di lo­gi­sti­ca e can­tie­re per una gran­de azien­da; la­vo­ro nel Cen­tro sud Ame­ri­ca, la mia ba­se lo­gi­sti­ca è a San Pao­lo, ma l’ho gi­ra­to pra­ti­ca­men­te

    tut­to, con vo­li pri­va­ti, eli­cot­te­ri, vo­li di li­nea, ho­tel su ho­tel, viag­gi su viag­gi, ho pas­sa­to espe­rien­ze bel­lis­si­me, ed ho avu­to mo­men­ti brut­tis­si­mi, si­tua­zio­ni in cui una per­so­na nor­ma­le for­se non avreb­be ret­to al­la si­tua­zio­ne o tro­va­to la so­lu­zio­ne, ma, sic­co­me l'azien­da mi chia­ma l'ita­lia­no paz­zo, è chia­ro che non po­te­vo fa­re un la­vo­ro nor­ma­le. Mi tro­vo a scri­ve­re que­sto li­bro pe­rò do­po il mio ul­ti­mo at­ter­rag­gio in Ita­lia, do­ve que­sta vol­ta le chia­vi di una stan­za d'al­ber­go le han­no in ma­no le guar­die car­ce­ra­rie, e do­ve la mia per­ma­nen­za non è per la­vo­ro, ma  a cau­sa di un rea­to con­te­sta­to­mi, mi tro­vo a tra­scor­re­re 103 gior­ni di car­ce­re. Tro­var­si da li­be­ri a rin­chiu­si, la man­can­za del­la fa­mi­glia, dell' amo­re, la vi­ta che pas­sa dal­la li­ber­tà all'es­se­re chiu­si in un si­ste­ma as­so­lu­ta­men­te sba­glia­to an­che per il più gran­de pro­fes­sio­ni­sta del­la de­lin­quen­za, do­ve non ci so­no di­rit­ti, o ben po­chi, do­ve non va­le nien­te, nean­che la di­gni­tà di es­se­re pa­dre, fi­glio e com­pa­gno, do­ve il tem­po non pas­sa mai, do­ve si de­ve chiu­de­re la men­te del­la nor­ma­li­tà ed apri­re un pen­sie­ro di­ver­so a tut­to quel­lo che ac­ca­de in car­ce­re, do­ve si co­no­sco­no per­so­ne che il car­ce­re lo vi­vo­no qua­si per la­vo­ro, do­ve è me­glio spe­gne­re i pen­sie­ri e vi­ve­re le gior­na­te sen­za gran­di aspet­ta­ti­ve, do­ve la so­prav­vi­ven­za è ve­ra­men­te l'uni­ca op­por­tu­ni­tà che hai per ar­ri­va­re al gior­no in cui usci­rai. Tut­to co­min­cia po­co pri­ma del­la mia par­ten­za da San Pao­lo (Bra­si­le) do­ve pra­ti­ca­men­te ho la mia ba­se lo­gi­sti­ca per poi muo­ver­mi in tut­ta l'Ame­ri­ca del sud. Sta­vol­ta la si­tua­zio­ne in cui mi tro­vo, ol­tre­tut­to da so­lo, per­ché sta­vo per par­ti­re e non ave­vo più i miei col­le­ghi di viag­gio con me, pren­de una pie­ga ve­ra­men­te ina­spet­ta­ta, do­ve mi tro­vo ob­bli­ga­to e mi­nac­cia­to (e in Sud Ame­ri­ca non si scher­za) di do­ver por­ta­re una va­li­gia con­te­nen­te si­cu­ra­men­te qual­co­sa di po­co le­ga­le, in Ita­lia. Era­no ben in­for­ma­ti su me, ave­va­no i miei con­tat­ti te­le­fo­ni­ci, sa­pe­va­no do­ve sta­vo, quan­ti fi­gli ho, chi fre­quen­to, poi, poi c'è il fat­to­re pi­sto­la, che non è da sot­to­va­lu­ta­re! Ho il vi­sto di la­vo­ro, mi muo­vo li­be­ra­men­te, mi co­no­sco­no so­no me­si che mi se­guo­no, mi di­co­no di sta­re tran­quil­lo, so­no pro­fes­sio­ni­sti del set­to­re, è già tut­to or­ga­niz­za­to. Io pren­do la va­li­gia, la im­bar­co sul vo­lo, la re­cu­pe­ro all'ar­ri­vo ed esco, li mi rag­giun­ge­rà uno che ri­ti­re­rà la va­li­gia, e, se fac­cio il bra­vo, mi dan­no an­che un re­ga­li­no per il di­stur­bo. Par­la­no un po' spa­gno­lo un po' por­to­ghe­se, uno al te­le­fo­no in vi­va­vo­ce, un li con me, non è gros­so, po­trei af­fron­tar­lo, ma già il fat­to che mi ab­bia rag­giun­to in ap­par­ta­men­to, vuol di­re che qual­cu­no del­la por­ti­ne­ria è sta­to cor­rot­to, quin­di non con­vie­ne ri­schia­re, san­no tan­te, trop­pe co­se, ma­ga­ri blef­fa­no, ma­ga­ri no; so­no lon­ta­no 18.000 chi­lo­me­tri da ca­sa, in al­tro con­ti­nen­te, do­ve pos­so ap­pog­giar­mi a po­che per­so­ne fi­da­te, e che al mo­men­to so­no in viag­gio per cit­tà del Mes­si­co per un nuo­vo la­vo­ro. Han­no sa­pu­to co­me e quan­do muo­ver­si, non so­no de­gli stu­pi­di, mi di­co­no che qual­cu­no mi se­gui­rà du­ran­te tut­to il viag­gio, per ve­de­re che tut­to ven­ga fat­to se­con­do i lo­ro pia­ni, io non ho mol­to tem­po per de­ci­de­re, an­zi, qual­cu­no ha già de­ci­so per me. Non ho mol­te scel­te, il ti­zio va via, la­scia la va­li­gia nel mio ap­par­ta­men­to, so­no le 9.00 di mat­ti­na, il mio vo­lo c'è sta­se­ra al­le 23.00. ri­man­go in una si­tua­zio­ne di lim­bo, pen­sie­ri, pen­so a ca­sa, pen­so al­le mie fi­glie, pen­so di chia­ma­re il mio ca­po, ma chi mi di­ce che non mi con­trol­li­no, che non c'en­tri qual­cu­no all'in­ter­no dell’azien­da, han­no un sac­co di in­for­ma­zio­ni su me, chia­ma­re la Po­li­zia Fe­de­ra­le? Quel­li so­no i più cor­rot­ti da que­ste par­ti. Esco fuo­ri dal­la mia ca­me­ra, va­do in gi­ro, mi guar­do in­tor­no, guar­do se qual­cu­no mi se­gue, so­no in un bel ca­si­no, so­no al­le stret­te, ho pau­ra, ma non so co­me al­tro com­por­tar­mi. Pas­so la gior­na­ta a fa­re de­gli ul­ti­mi gi­ri, pas­so dall'uf­fi­cio a con­trol­la­re i bau­li del ma­te­ria­le che ri­ma­ne li per set­tem­bre che sia tut­to ap­po­sto, cer­co di di­strar­mi, ma non è fa­ci­le. Nel tar­do po­me­rig­gio tor­no in ca­me­ra, fac­cio una doc­cia, mi pre­pa­ro, guar­do quel­la va­li­gia ne­ra, è chiu­sa con un luc­chet­to, non ho la chia­ve, la guar­do e la ri­guar­do, sem­bra una va­li­gia nor­ma­lis­si­ma; scen­do va­do a ce­na poi tor­ne­rò in stan­za a pren­de­re le va­li­gie per an­da­re all' ae­ro­por­to; al mio ri­tor­no in stan­za pen­so di par­ti­re la­scian­do li la va­li­gia, ma suo­na il te­le­fo­no, mi di­co­no di ri­cor­dar­mi che so­no se­gui­to, e di non scher­za­re. Pren­do le va­li­gie e mi di­ri­go tra­mi­te me­tro all'ae­ro­por­to in­ter­na­zio­na­le di San Pao­lo, do­ve mi spet­ta il vo­lo per rien­tra­re in Ita­lia, so­no pre­oc­cu­pa­tis­si­mo, il viag­gio per l'ae­ro­por­to du­ra un’ora cir­ca, mi guar­do in­tor­no, ma non sa­prei di­stin­gue­re per­so­ne che mi se­guo­no o no, c'è tan­ta gen­te co­mun­que. Ar­ri­vo al check-in il mio bi­gliet­to è già pron­to, ma de­vo im­bar­ca­re que­sto ba­ga­glio, pen­sa­vo di an­da­re in ba­gno e la­sciar­lo lì, ma poi? Se ci fos­se qual­cu­no che mi se­gue, se il con­trol­lo dell'ae­ro­por­to se ne ac­cor­ge? Ri­schio di ri­ma­ne­re in Bra­si­le, e ma­ga­ri es­se­re ar­re­sta­to, qua? E quan­do mai ci tor­no a ca­sa? Ora l'im­por­tan­te è met­te­re i pie­di in ter­ri­to­rio ita­lia­no, do­ve si­cu­ra­men­te con­to di più che qua. Im­bar­co la va­li­gia, da ora in poi, cer­co di non pen­sa­re, ma so­no ner­vo­sis­si­mo, se la tro­va­no? C'è il mio no­me so­pra; que­sti m'han­no det­to che qua c'è qual­cu­no pa­ga­to per im­bar­car­la, mam­ma mia che sto­ria, fi­nal­men­te si sa­le in ae­reo, sto su­dan­do fred­do, mi met­to a se­de­re al mio po­sto cer­can­do di guar­dar­mi in­tor­no e ca­pi­re chi po­treb­be es­se­re a se­guir­mi. Ho pau­ra, ora co­min­cia la pau­ra, il vo­lo par­te, un po' in ri­tar­do, ma par­te; pen­so di non aver mai pre­ga­to tan­to in vi­ta mia, ad un cer­to pun­to pen­so che la ten­sio­ne mi ab­bia fat­to sve­ni­re e ho dor­mi­to per tut­to il vo­lo, co­sa che non fac­cio mai per­ché l'ae­reo mi fa pau­ra. Mi sve­glia la vo­ce del co­man­dan­te di­cen­do che tra mezz'ora sa­rem­mo at­ter­ra­ti all'ae­ro­por­to di Mal­pen­sa, Mi­la­no. Ti­ro un so­spi­ro di sol­lie­vo, so­no in Ita­lia, ma co­min­cio ad aver pau­ra. At­ter­ria­mo, uscia­mo dall’ae­reo, pas­so il con­trol­lo pas­sa­por­ti, tut­to ap­po­sto, ap­pe­na ar­ri­vo nel­la sa­la di at­te­sa al­la con­se­gna dei ba­ga­gli, mi chia­ma­no, sta­vol­ta è un ita­lia­no, par­la mi­la­ne­se, mi di­ce che è fuo­ri che mi sta aspet­tan­do, ha una mia fo­to, mi ri­co­no­sce lui, de­vo so­lo ri­ti­ra­re il ba­ga­glio ed usci­re. Nel frat­tem­po che aspet­to chia­mo a ca­sa per di­strar­mi, chia­mo le mie fi­glie, la mia don­na, di­co che so­no ar­ri­va­to in Ita­lia, pren­do la va­li­gia e pren­do un tre­no per tor­na­re a ca­sa. Aspet­to, pas­sa tem­po, tut­ti ri­ti­ra­no le va­li­gie ma la mia non ar­ri­va, so­no pre­oc­cu­pa­to, spe­ria­mo sia sta­ta per­sa, do­po qua­si un’ora, usci­te tut­te le va­li­gie, la mia an­co­ra non ar­ri­va, co­min­cia un mo­vi­men­to stra­no in ae­ro­por­to, più agen­ti del­la fi­nan­za, ca­ni an­ti­dro­ga...  e qui co­min­cio a ca­pi­re la si­tua­zio­ne. Ar­ri­va­no dal na­stro al­tre 5 va­li­gie, la mia ed al­tre, più gran­di, il ca­ne an­ti­dro­ga gli gi­ra in­tor­no, ma non da cen­ni di nien­te, pren­do la va­li­gia e mi di­ri­go ver­so l'usci­ta, chia­ra­men­te al pas­sag­gio del­la do­ga­na mi fer­ma­no. pas­sa­por­to, da do­ve ar­ri­va? Io crol­lo, gli di­co che so­no in un pa­stic­cio gros­so, gli di­co di ac­com­pa­gnar­mi fuo­ri in­tan­to, c'è qual­cu­no che mi aspet­ta, tre­mo, scop­pio a pian­ge­re, lo­ro ca­pi­sco­no la si­tua­zio­ne, mi por­ta­no su­bi­to in una stan­za, e mi di­co­no di aver in­tui­to co­sa sia suc­ces­so, ma che chi mi aspet­ta­va fuo­ri è già par­ti­to con tut­to quel­lo che do­ve­va ri­ti­ra­re. Ini­zia un in­ter­ro­ga­to­rio mas­sa­cran­te, io in la­cri­me, men­tre mi spo­glia­no, mi per­qui­si­sco­no e apro­no le va­li­gie, il mio zai­no, e la va­li­gia che mi ave­va­no da­to, io gli di­co che non ho le chia­vi del luc­chet­to, lo­ro già si im­ma­gi­na­va­no tut­to, apro­no il ba­ga­glio, ci so­no den­tro un po' di cian­fru­sa­glie va­rie, pren­do­no un pun­te­ruo­lo e bu­ca­no il dop­pio­fon­do, esce pol­ve­re bian­ca, da un pri­mo te­st ve­ri­fi­ca­no che la so­stan­za ha prin­ci­pi di co­cai­na, ma la va­li­gia ver­rà si­gil­la­ta e por­ta­ta al co­man­do del­la G. di F. di Bu­sto Ar­si­zio per poi fa­re dei con­trol­li più ac­cu­ra­ti, in­tan­to mi met­to­no le ma­net­te e con­ti­nua l'in­ter­ro­ga­to­rio, il te­le­fo­no me lo han­no re­qui­si­to e mes­so in mo­da­li­tà ae­reo, da ora non pos­so più par­la­re con nes­su­no, e mi di­co­no che mi por­te­ran­no in un car­ce­re in at­te­sa di giu­di­zio da un giu­di­ce. Io rac­con­to la mia sto­ria, sem­bra che la Do­ga­na e la G.di F. que­sta non sia una gros­sa no­vi­tà; mi di­co­no che ne pren­do­no uno al gior­no, chi lo fa per la­vo­ro e chi vie­ne mes­so di mez­zo co­me me. Cer­ca­no di ras­si­cu­rar­mi, che tut­to si ri­sol­ve­rà, nel frat­tem­po io ho ai pol­si le ma­net­te e sto an­dan­do al co­man­do del­la G. di F. per fa­re le im­pron­te e le fo­to di ri­to. Mam­ma mia, mi sen­to spor­co, mi sen­to co­me un de­lin­quen­te, co­sa che ma­ga­ri un de­lin­quen­te non si sen­ti­reb­be co­sì, ma poi?

    Co­me si sen­ti­reb­be un de­lin­quen­te? Fat­te le car­te di ri­to tor­no all'ae­ro­por­to in at­te­sa di es­se­re por­ta­to in car­ce­re, nel frat­tem­po mi di­co­no se de­vo­no av­ver­ti­re qual­cu­no, e di no­mi­na­re un av­vo­ca­to o di fi­du­cia o di uf­fi­cio. Chie­do di po­ter chia­ma­re l'av­vo­ca­to di fa­mi­glia, al­me­no per dir­gli che av­vi­si tut­ti dell'ac­ca­du­to, ma mi sem­bra più op­por­tu­no no­mi­na­re un av­vo­ca­to di qui, al­me­no per sa­pe­re qual­co­sa, per­ché nes­su­no mi di­ce che fi­ne fa­rò. Mi pre­pa­ra­no, re­cu­pe­ro lo zai­no con i ve­sti­ti, ma te­le­fo­no, com­pu­ter, car­te di cre­di­to e la mia agen­da do­ve ap­pun­to tut­to ven­go­no se­que­stra­ti per in­da­gi­ni. Or­mai è se­ra. Non so più nean­che che ore so­no, ma ca­pi­sco che sia tar­di, non ho fa­me, è dal­le 15.30 del po­me­rig­gio che pian­go e mi di­spe­ro e so­no sot­to­po­sto ad in­ter­ro­ga­to­ri.  Si par­te, è qua­si mez­za­not­te, mi ri­met­to­no le ma­net­te e mi di­co­no che mi por­te­ran­no nel car­ce­re di Bu­sto Ar­si­zio, i fi­nan­zie­ri cer­ca­no di tran­quil­liz­zar­mi, ma, non è co­sì fa­ci­le, so­no qua­si due gior­ni che so­no sot­to ten­sio­ne e so­no a pez­zi.

    15.06.2019

    En­tro in car­ce­re al­le 00.36 del­la not­te o me­glio la mat­ti­na del 15.06.2019. mi met­to­no in una stan­za di at­te­sa,

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