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I senza legge
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E-book249 pagine3 ore

I senza legge

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Info su questo ebook

Il quartiere West End è in mano al boss Charon Cross, grazie alla connivenza della polizia. Il corrotto Ispettore Capo Stephanie Defazio, il poliziotto Charles Logan, Cross e il suo tirapiedi Baron Delvey sono tutti coinvolti nell’omicidio di un onesto politico che aveva promesso di ripulire il distretto. Dopo essere scampato ad un agguato dei suoi complici, Delvey lascia la città per rifugiarsi in Sardegna, la sua terra d’origine. Vi trova un mondo senza legge, del tutto simile a quello che ha lasciato: lavorando come autista per un uomo d’affari, si trova invischiato in un sistema di corruzione, malaffare e collusione con la malavita.

In Inghilterra, l’ispettore di polizia Reginald Coubert cerca le prove per smantellare il giro di corruzione nella polizia, il che lo porta a scontrarsi con la sua ex-moglie Stephanie e Logan e a dare la caccia a Delvey. Ne conosce la famiglia, prova persino un’istintiva simpatia per la sorella Lavinia, e si convince che si sia rifugiato in Italia. La sua ostinata ricerca finisce per mettere sulle tracce del malvivente anche i poliziotti corrotti.

In Italia, Delvey conosce Elena e comincia a fantasticare di condurre una vita diversa: una vita più onesta, in un paese in cui nessuno lo conosca. Il suo progetto è ostacolato da Santomaso, l’uomo per cui lavora, che, dopo averlo usato per disfarsi di uno scomodo nemico, lo consegna alla mercé del malavitoso Savino Ledda. Delvey è quindi costretto a difendersi su tre fronti: dai killer della malavita, dai poliziotti corrotti che vogliono eliminarlo, e da Reg, che è deciso a consegnarlo alla giustizia. Finirà per incontrare il suo destino durante un inseguimento sulla scogliera a picco sul mare della Sardegna.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2020
ISBN9788831660471
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    I senza legge - Letizia Maselli

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    I SENZA LEGGE

    di 

    Letizia Maselli

    TITOLO | I senza legge

    AUTORE | Letizia Maselli

    ISBN | 978-88-31660-47-1

    Prima edizione digitale: 2020

    ©Letizia Maselli. Tutti i diritti riservati.

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Capitolo 1: It’s a Criminal world

    La neve, che qualche giorno prima era caduta in abbondanza, faceva fatica a sciogliersi al gelo di febbraio e giaceva a mucchietti sui bordi delle strade, lungo i marciapiedi; solo, non era più una bianca coperta, ma si era trasformata in una poltiglia grigiastra, inquinata dai gas di scarico delle auto e dalla sporcizia sotto le suole delle scarpe dei passanti. Sporcizia su sporcizia. Per giunta si era ghiacciata, divenendo pericolosamente sdrucciolevole; d’altro canto, si sapeva che neppure i mezzi spargisale circolavano nel quartiere di Charon Cross senza esplicita autorizzazione. I cittadini più arrabbiati dicevano che, nel quartiere, le forze dell’ordine contavano meno della malavita; la verità era che, nel quartiere di Charon Cross, le forze dell’ordine e la malavita erano una cosa sola.

    I pochi passanti, che rabbrividivano camminando in fretta nel freddo pungente verso le rispettive destinazioni, non avrebbero prestato attenzione ad una macchina ferma sul ciglio della strada neppure se si fosse trovata in un quartiere rispettabile; trattandosi poi del West End, per giunta di Lemon Street, una delle peggiori zone del West End, tiravano dritto senza guardare, senza pensare a ciò che poteva aver luogo dietro i finestrini appannati.

    Passarono molte ore prima che un bobby, durante il suo giro di pattuglia, s’avvicinasse incuriosito all’auto, sbirciando oltre il vetro.

    -Oh, Dio! - esclamò il poliziotto, impallidendo, e si affrettò a gridare freneticamente nella radio: -Centrale, mandate qualcuno, ci sono due cadaveri, qui!

    La scena del crimine, così come si presentò alle forze dell’ordine, era agghiacciante. I due cadaveri giacevano ammucchiati sul sedile posteriore dell’automobile, letteralmente immersi nel sangue. Uno sembrava molto giovane, era completamente nudo, il corpo martoriato dalle cicatrici lasciate dagli aghi per iniettarsi la droga, la gola squarciata da un orecchio all’altro; il secondo era più anziano, almeno da quanto si poteva capire, dato che giaceva a faccia in giù; era in parte vestito, con i calzoni arrotolati alle ginocchia.

    I poliziotti non potevano fare altro che osservare senza toccare niente fino all’arrivo della squadra scientifica.

    -Quanti anni avrà avuto? - chiese un poliziotto ad un collega.

    -Sedici, forse meno. - rispose il collega, soffocando un conato di vomito.

    Il primo scosse la testa, con rassegnato disgusto, dicendo: -Probabilmente quello più vecchio era suo cliente; qui è pieno, di questi traffici. 

    -E quella è l’arma del delitto! - osservò l’altro, indicando un coltello a scatto con la lama insanguinata che giaceva abbandonato accanto alla mano destra del ragazzo.

    Finalmente arrivarono i poliziotti della squadra scientifica, con le macchine fotografiche e i guanti e le buste per la raccolta delle prove. Il medico legale fece i suoi rilievi, poi disse: -Giriamo questo a faccia in su.

    -Porca puttana! - esclamò qualcuno -Ma è Zachary Wells!

    -Wells! Ma non è quello che correva per la carica di sindaco…? - fece eco un altro.

    La notizia del ritrovamento del cadavere di Zachary Wells in un posto decisamente equivoco attirò immediatamente i vertici della polizia, il sovrintendente Connick, l’ispettore capo Defazio, il comandante della sezione Crimini Violenti Ennis, persino rappresentanti dell’ufficio del sindaco uscente. E naturalmente, di lì a poco, giunsero sulla scena anche i giornalisti. Attirati come mosche dal miele, si gettarono a capofitto sulla notizia. Dopotutto, Wells si era presentato come il campione della moralità, nemico della criminalità e della corruzione, votato a ripulire la città e riconsegnarla nelle mani dei suoi onesti abitanti…

    -Gli scandali sono come manna dal cielo, per certi giornali. - commentò il sovrintendente capo Connick.

    -Ha ragione, signore. - approvò l’ispettore capo Defazio. Sembrava tutto, fuorché un dirigente della polizia: una bella donna elegante, come appena tornata da un appuntamento, oppure dal set fotografico di una rivista di moda.

    -E quell’idiota di Wells, poteva trovare un luogo più… discreto, per i suoi abboccamenti!

    -Ha ragione.

    Connick questa volta fu indisposto dalla risposta della Defazio: -La smetta di darmi ragione, ispettore capo! Voglio che questo caso sia risolto prima delle elezioni, chiaro?

    -Sì, signore! - sospirò la Defazio.

    -E si ricordi, lei è nell’occhio del ciclone! - disse queste ultime parole mentre si dirigeva verso i rappresentanti dell’ufficio del sindaco -Dopo quello che è accaduto lo scorso Natale…

    La Defazio contrasse lievemente le labbra a quell’accenno; la morte di quel cinese mentre era in custodia alla centrale non era minimamente imputabile a lei personalmente, tanto più che non era neppure in servizio in quel momento, ma ne avrebbe portato la macchia per sempre. Non era giusto. 

    -Ecco come muoiono le speranze della città! - commentò una giornalista televisiva famosa.

    ‘Della città non so, ma le mie, senz’altro!’ pensò la Defazio amaramente.

    Ma quando vide il sovrintendente capo strigliato a dovere dai rappresentanti del Municipio, si sentì sollevata: era la legge del contrappasso.

    La morte di Zachary Wells era avvenuta agli inizi di febbraio; l’inchiesta era stata ufficialmente chiusa a fine marzo: si era trattato di un omicidio-suicidio avvenuto nel corso di un incontro sessuale, probabilmente in seguito ad un raptus causato dalla droga che avevano assunto entrambe le vittime, come aveva inevitabilmente dimostrato il rapporto tossicologico.

    Alle elezioni amministrative trionfò il candidato caldeggiato dal sindaco uscente. Lo status quo era salvo.

    In aprile, solo i giornali scandalistici ricordavano ancora la morte dell’uomo che aveva promesso di eliminare la corruzione dagli uffici pubblici, riproponendo testimonianze, rigorosamente false e subito smentite, della vita dissoluta che conduceva nel privato. Ma questi articoli si facevano progressivamente più rari, confinati nelle ultime pagine dei giornali; lo straniero sbarcato al City Airport in una dolce mattina di aprile non avrebbe saputo nulla di Zachary Wells e dell’efferato omicidio-suicido di due mesi prima, anche se si fosse preoccupato di scorrere i titoli dei giornali in vendita nelle edicole dell’aeroporto; cosa che, comunque, non fece.

    L’uomo si chiamava Eric Jutard, veniva dal Belgio, era in viaggio per lavoro, ammesso che si potesse dire così: era un corriere della droga. Veramente non era un vero e proprio lavoro: di mestiere, il belga faceva il rappresentante di macchine multifunzione per ufficio. Si era appena concesso un’avventura esotica in Tailandia: per la prima volta in vita sua voleva sperimentare il brivido della trasgressione. Non una delle sue idee più brillanti, questo è certo. 

    I primi giorni erano stati assolutamente all’altezza delle sue aspettative: spiagge bianche, mare azzurro, e la gente più ospitale che si potesse immaginare.

    Poi, una sera, aveva deciso di osare: si era informato presso un intraprendente fattorino del suo hotel su come avrebbe potuto procurarsi un po’ di compagnia nelle lunghe e movimentate serate passate in giro per locali. Il ragazzo gli aveva fatto il nome di una certa casa, nei quartieri bassi di Phuket. Eric aveva così fatto la conoscenza di una bella ragazza, con cui aveva trascorso qualche ora in allegria. Solo quando quei due scalmanati dei suoi fratelli avevano fatto irruzione nella stanza, solo allora aveva scoperto che la ragazza aveva solo quindici anni. Si era sentito morire: sarebbe finito in galera, accusato di violenza sessuale, chissà se sarebbe mai riuscito a tornare a casa! 

    Aveva pianto e supplicato, aveva chiesto perdono, ripetuto che non sapeva che lei fosse così giovane; avrebbe fatto qualunque cosa per non finire in prigione. 

    Proprio qualunque cosa? Sì, qualunque cosa. Incluso trasportare una certa merce in un certo posto in Inghilterra? Così, per un’imprudenza, era diventato un trafficante di droga. Gli avevano detto che sarebbe stato solo per quella volta, perché loro non usavano mai due volte lo stesso corriere, e lui si era fidato. Del resto, che altro poteva fare?

    Gli avevano infilato degli ovuli di cocaina su per il retto; molto umiliante, e terribilmente scomodo. Eric aveva chiesto se, una volta passato lo scanner, avrebbe potuto toglierli, ma gli era stato tassativamente proibito: se gli ovuli si fossero accidentalmente rotti, tutta quella cocaina sarebbe entrata in circolo nel suo corpo, e lui sarebbe morto.

    Eric aveva sudato freddo per tutto il volo, agitandosi a disagio sulla sua poltrona; era certo che si sarebbero accorti di cosa nascondeva solo a vederlo camminare in quel modo curioso. Non avvenne. Il suo aereo atterrò nella città inglese dove avrebbe finalmente consegnato la cocaina. Che sollievo!

    Fuori dall’aeroporto fermò un taxi, all’autista diede l’indirizzo che aveva avuto dai suoi ‘amici’ in Tailandia: si sarebbe liberato della droga prima di andare a rilassarsi finalmente nel suo hotel. E mai, mai più avrebbe ceduto alla tentazione di provare qualche esotica emozione!

    Il taxi lo lasciò davanti ad una decorosa fila di casette a schiera; trovò quella che gli interessava: vi abitava un certo Tamblyn. All’uomo che aprì la porta, Eric balbettò:-Io sono…cioè, mi hanno dato questo…

    -Venga, entri. - disse Tamblyn, che evidentemente aspettava il suo arrivo; era un uomo di mezza età, con occhiali dalle lenti spesse che facevano sembrare i suoi occhi ridicolmente grandi, simili a quelli di un pesce; i capelli erano in fuga precipitosa dal cranio a cui appartenevano, grigiastri e unticci; la carnagione di un colore malato e il ventre prominente testimoniavano uno stile di vita poco salutare; Eric Jutard rabbrividì al pensiero di come quell’uomo rivoltante avrebbe potuto aiutarlo.

    Tamblyn lo guidò verso una stanza sul retro della casa, che evidentemente fungeva da ambulatorio clandestino; -Tranquillo, sono un medico, ho la laurea. - disse, a mo’ di rassicurazione. La sua persona, quella stanza, la situazione risultavano tutt’altro che rassicuranti. Eric fu raggelato dalla vista del lettino e degli strumenti medici: -Mica mi farà un’operazione?!

    -No, tranquillo! - lo rassicurò il dottore -Si tolga i pantaloni e si sdrai a pancia in giù; ci vorrà poco.

    Eric fece quello che gli aveva detto il dottore.

    Con un’abilità sospetta, Tamblyn sfilò gli ovuli dal retto del ‘paziente’. Le dita esperte rivelavano che il dottore aveva eseguito quella operazione innumerevoli volte; Jutard era capitato nella rete di un’organizzazione di professionisti; chissà se l’avrebbero davvero lasciato in pace. Ma il sollievo di essere finalmente libero dal suo pericoloso carico era più prepotente di qualsiasi preoccupazione per il futuro.

    -Ecco! - disse alla fine, soddisfatto -Sono intatti! Abbiamo finito.

    Tamblyn tese una busta bianca al belga, dicendo: -Mi hanno lasciato questa per lei. Il suo compenso, credo.

    Eric controllò la busta, quando ebbe contato le banconote, si lasciò sfuggire un sorriso: quel viaggio gli aveva fruttato 5.000 sterline. Non male!

    Quando uscì dalla casa di Tamblyn era molto più allegro, e più ricco. Come poteva festeggiare la sua improvvisa fortuna?

    Era una mite e frizzante notte di aprile, una berlina verde petrolio girava per Langham Lane; se il West End avesse avuto una zona residenziale, quella via di case un tempo eleganti, ma al presente in decadimento, si sarebbe qualificata al titolo.

    L’auto si fermò davanti ad una casa di mattoni grigi a due piani; ne smontarono, quasi contemporaneamente, due poliziotti in divisa che, guardandosi intorno con circospezione, si diressero alla porta. Dopo aver suonato il campanello, aspettarono una risposta portandosi le mani alle fondine delle pistole.

    Sul campanello non c’era una targhetta col nome di chi vi abitava, ma tutti nel quartiere sapevano che quella era la casa di Lettie; in un qualsiasi giorno della settimana era più frequentata della chiesa la domenica mattina, e più o meno dalla stessa clientela, con le dovute, pochissime eccezioni.

    La porta si aprì a spiraglio, una ragazza scarsamente vestita puntò gli occhi bistrati sui due poliziotti: - Che volete ancora? Lettie ha già pagato, questo mese!

    I due si guardarono, le loro dita si serrarono intorno alle impugnature delle pistole.

    In quel momento, tutte le finestre della casa erano illuminate; in una stanza al secondo piano, mentre le sue ragazze intrattenevano i clienti, Lettie faceva il suo resoconto settimanale a Baron Delvey, che era passato a ritirare l’incasso per conto di Charon Cross.

    - La verità è che c’è troppa concorrenza, Baron. - disse Lettie, spingendo una pila di banconote verso l’uomo. - Giù in fondo alla strada, proprio davanti al banco dei pegni, le hai viste quelle ragazze? Si accontentano di pochi soldi, e così ci portano via i clienti!

    Lettie era ormai in pensione, ma nei suoi cinquant’anni di lavoro aveva contribuito a svezzare almeno tre generazioni di abitanti del quartiere; conosceva Delvey da quando era un adolescente pelle ed ossa ed era stata lei ad iniziarlo alle gioie del sesso, esperienza che ricordava con affetto e nostalgia; ancora adesso, dopo tanti anni, quando s’incontravano per la consegna dell’incasso settimanale, la donna si agghindava tutta da capo a piedi e sfoggiava le sue smorfie più civettuole. Dal canto suo, Delvey non disdegnava di farle dei complimenti e persino di allungare le mani, di tanto in tanto; la vecchia sapeva che era solo per cortesia, ma gli era grata ugualmente; nessuno, nel quartiere, era gentile con lei come Baron Delvey.

    Delvey si dondolava con indolenza sulla sedia, in bilico sulle due gambe posteriori; fece a Lettie un mezzo sorriso compiacente e rispose: - Va bene, Lettie, andrò a farci due chiacchiere.

    Trentotto anni, capelli e barba neri, occhi color carbone, duri e impassibili, Delvey aveva un fisico asciutto e muscoloso che comunicava una notevole forza fisica. Dalla cintura dei jeans scoloriti spuntava il calcio di una pistola. Quando fissava qualcuno dall’alto del suo metro e ottantotto, anche il più incallito avanzo di galera non poteva fare a meno di sentirsi intimorito, anche perché era cosa nota che Delvey andava piuttosto per le spicce. 

    - Fallo, Baron; oltretutto, è anche rischioso battere la strada così, senza protezione, quando la casa di Lettie offre un tetto sopra la testa, un comodo letto e pasti caldi!

    Per chiunque altro, ‘fare due chiacchiere’ con quelle ragazze significava picchiarle, violentarle, costringerle a mettersi sotto la protezione di Cross; non per Delvey. Lui non amava prendersela con i più deboli, e non maltrattava le donne. Non per niente, le ragazze di Lettie se lo litigavano. Un paio d’ore con lui significavano una gran soddisfazione e una lauta mancia, e se lui era in casa, nessun cliente si permetteva di alzare le mani.

    Dalla stanza accanto venne un oh! prolungato, emesso da una voce di donna colma di finta ingenuità e stupore esagerato; -Certo che le istruisci a dovere, le tue ragazze, Lettie! - disse Delvey.

    -Questa è Martinique! - rispose la vecchia, non senza fierezza.

    Martinique era una bellissima ragazza dominicana di diciassette anni - beh, in realtà si chiamava Martha, era nata nel West End e aveva abbondantemente superato i trenta, ma aveva inventato quella storia per i clienti che cercavano un tocco di esotismo in più.

    -Dopo me la fai conoscere, eh? - le propose l’uomo.

    -Ma certo, caro, lei non vede l’ora! - fu la risposta di Lettie.

    Nella stanza attigua a quella in cui Lettie e Delvey discutevano di affari, Martha/Martinique intratteneva un nuovo cliente. Eric Jutard, dopo la sua estemporanea avventura come corriere della droga, aveva deciso di festeggiare alla grande il fatto di non essere morto per overdose o ammazzato dai narcotrafficanti. Gli avevano detto che la vecchia Lettie aveva un posto proprio carino, un sacco di belle ragazze ben educate e pulite; lui, da parte sua, aveva un bel po’ di soldi da spendere. Quando Martinique gli si mise davanti, esibendo tutto lo splendore del suo corpo snello, reggendo in una mano il reggiseno che si era appena sfilata, l’impacciato turista prese a sudare per l’eccitazione. Incoraggiato dall’esclamazione di Martha, il belga si lanciò in un approccio piuttosto goffo: volendo attirare la ragazza sulle sue ginocchia, a momenti la scaraventava a terra. Martha emise un risolino deliziato: - Calma, romeo! - e gli si accoccolò in grembo, avvolgendogli le braccia intorno al collo.

    Dai piedi della scalinata salì una voce concitata: - Attento, Baron, c’è la polizia!

    -Sta’ zitta, troia! - a queste parole seguì uno sparo e poi un grido.

    Delvey estrasse fulmineo la pistola, si appostò dietro la porta, benché Lettie cercasse di trattenerlo: -Ma no, deve essere un errore!

    -Ma quale errore, se sparano! - fu la secca risposta.

    Nella stanza attigua, il belga scattò in piedi, bianco di paura: - No! La polizia, no!

    Che avessero saputo della droga…? Ma come avevano fatto? In un attimo, si vide in manette, bollato come trafficante, rovinato per sempre, lui, che non aveva fatto altro che commettere un’ingenuità!

    -Tranquillo, siamo coperti, Lettie paga sempre puntualmente! - cercò di calmarlo Martha. Ma il belga era ormai lanciato verso la porta; nudo come un verme, si precipitò in corridoio e venne a trovarsi tra i poliziotti e Delvey. I poliziotti spararono per primi, investendo il belga con una pioggia di proiettili. 

    -Cazzo! - proruppe uno dei due.

    Riparato dall’involontario scudo umano, Delvey poté fare fuoco con tutta calma; con un colpo ferì uno degli agenti ad una coscia, con un altro gli centrò la gola. Il secondo agente scavalcò imprecando il corpo del collega e si lanciò incontro a Delvey, che, rotolando sul pavimento, andò a finire proprio tra i suoi piedi. Per una frazione di secondo, i due uomini si guardarono tenendosi sotto tiro, poi Delvey sparò, un attimo prima dell’altro, che crollò di schianto con il cranio frantumato; dalla pistola del poliziotto, mentre cadeva, partì un proiettile che si conficcò nel pavimento a pochi centimetri dalla testa di Delvey.

    Poi la casa di Lettie piombò in un silenzio irreale. 

    Delvey si tirò su, sferrò un violento calcio al cadavere per girarlo a faccia in su: -Pezzo di merda! Fammi vedere chi sei! - sbottò rabbioso.

    Lettie si affacciò sul corridoio, con le mani che le tremavano per lo spavento. 

    -Ma non può essere! Abbiamo un accordo con la polizia…

    -Lo riconosco, l’ho visto di pattuglia qui nel quartiere! - insisté lui -Che valgono gli accordi, per quelli?

    -L-l’hanno ammazzato…- dalla soglia della sua camera, venne la voce tremolante di Martha, era sotto choc.

    -Un cliente nuovo – disse Lettie, facendo un cenno verso il belga, che giaceva a pancia in su sul pavimento viscido –

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