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Il castigo di Pulcinella
Il castigo di Pulcinella
Il castigo di Pulcinella
E-book394 pagine5 ore

Il castigo di Pulcinella

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Info su questo ebook

Daniel Esposito è un brillante detective dell’FBI, a cui viene chiesto un consulto per un duplice mistero nella città italiana di Napoli: il brutale omicidio di una donna senza identità e la scomparsa di alcuni bambini da un istituto. Giunto a Napoli, Daniel scopre che l’orrore è solo all’inizio.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2020
ISBN9788835893004
Il castigo di Pulcinella

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    Anteprima del libro

    Il castigo di Pulcinella - Alessandro Ottino Durando

    Alessandro Ottino Durando

    IL CASTIGO DI PULCINELLA

    IL CASTIGO DI PULCINELLA

    Un libro di Alessandro Ottino Durando

    Prima edizione settembre 2020

    Isbn 9788833432601

    Questa è un’Opera di fantasia, ogni riferimento

    a persone, cose o fatti è puramente casuale.

    LFA Publisher

    Lello Lucignano Editore

    Via A. Diaz, 17 -80023-

    Caivano -Napoli, Italy

    Partita Iva 06298711216

    www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione cartacea Libro Co. Italia -Firenze -

    A mia zia Simona

    Ai miei nonni Silvia e Vittorio

    Giovedì 7 giugno 2018

    Italia, Napoli

    Era passata la mezzanotte da un paio d’ore.

    Gli scooter correvano ancora nel Rettifilo, ai più conosciuto come corso Umberto I, a Napoli.

    Le scuole italiane stavano per terminare l’anno accademico, ed i turisti avevano già preso ad invadere la città.

    Tre ragazzi francesi, piuttosto alticci, camminavano ridendo e biascicando parole su quanto le ragazze del posto fossero attraenti. Avevano appena sceso una breve scalinata, ritrovandosi in una piccolissima piazza, che più aveva le sembianze di un incrocio stradale. Lì, il loro bed&breakfast li attendeva, i letti pronti ad accogliere il sonno indotto dall’alcol che a breve li avrebbe sopraffatti.

    Ma uno di loro udì qualcosa, alla sua sinistra. Ehi, avete sentito? chiese, perplesso, sbattendo le palpebre nel vano tentativo di scacciare la nebbia alcolica che gli gravava sulla vista.

    Un altro dei ragazzi s’accigliò. Cosa?

    Il terzo sorrise, e poi lasciò partire un sonoro peto. Scusatemi.

    Porco, lo rimbrottò il secondo.

    No, mi era sembrato di sentire dei passi di corsa. Là. C’è qualcuno. Il primo ragazzo indicò con il braccio verso la via più vicina.

    Gli altri due seguirono le indicazioni del primo ragazzo. Sì, c’era in effetti una figura seduta sul marciapiede, appoggiata al muro di un edificio.

    Quello è più ubriaco di noi, convenne il secondo ragazzo.

    Ma ti dico che ho sentito scappare via qualcuno. Magari lo hanno aggredito.

    Un secondo peto scappò al terzo ragazzo. Io devo andare al cesso.

    Un attimo… chiese tempo il primo.

    Si avvicinò alla persona seduta a gambe parallele sul marciapiede. Era tozza e robusta. Signore? chiese in italiano. Tutò benè? parlò con marcatissimo accento francese.

    Sbatté le palpebre. Non era un uomo, ma una donna. Poi vide qualcosa muoversi alla luce tenue del lampione, in mezzo alle gambe della persona apparentemente ubriaca.

    Si sta pisciando addosso? chiese il secondo ragazzo, avvicinandosi, il tono della voce sconcertato.

    E io mi sto cagando addosso, invece! Andiamo?! disse ad alta voce il terzo.

    No, non è… accennò il primo.

    Era un rivolo scuro.

    Era sangue.

    Giovedì 14 giugno 2018

    Stati Uniti d’America, Washington D.C.

    Il titolo del Post era piuttosto eclatante.

    Lo strangolatore di Washington colpisce ancora.

    Questa volta era toccato ad un uomo di colore nel quartiere di Southwest Waterfront, trovato la notte scorsa in un vicolo, vicino ai bidoni dell’immondizia. Soffocato.

    Secondo la Scientifica, con un collant da donna, poi appallottolato nella sua bocca una volta morto.

    Nel corpo del malcapitato erano state trovate tracce di crack ed alcol, in quantità abbastanza elevate, tanto che non aveva potuto opporsi a causa dello stato di semicoscienza.

    Joshua Stragel, questo era il suo nome. Un cinquantenne senza fissa dimora che aveva perso tutto a causa dell’alcol. Finito dentro per aver massacrato di botte la moglie, si era fatto un lungo soggiorno al fresco, ed una volta uscito non era stato più in grado di reinserirsi nella società.

    Come le altre due vittime, pensò Daniel Esposito.

    Infatti la prima vittima dello strangolatore era stato un ragazzo di trent’anni, tale José Gutierrez Machado, un ispanico di origine portoricana già noto alle forze dell’ordine per vari episodi di violenza e spaccio. Inizialmente si era pensato ad un banalissimo regolamento di conti, dato che il giovane apparteneva ai Latin Kings, una delle più pericolose gang sudamericane presenti sul territorio statunitense.

    Poi però era toccato a John Mitchell Lewis, autista del servizio Metrobus operato della WMATA, l’agenzia del trasporto pubblico nella Capitale. Un uomo dall’apparenza bonaria, che però alzava un po’ troppo spesso le mani sui due figli, viste le due comparizioni in tribunale.

    Anche José naturalmente picchiava spesso la sua ragazza portoricana. Lo avevano trovato sotto uno dei due ponti della Undicesima Strada, sul versante di Anacostia. John invece lo avevano trovato giorni dopo, direttamente al posto di guida dell’autobus che stava conducendo, linea 74, ultima corsa. Aveva lo sguardo fuori dalle orbite, la lingua penzolante e i segni dello strangolamento sul collo massiccio. Non sembrava essersi opposto più di tanto nemmeno lui.

    Anche il corpo di José non presentava segni di lotta.

    Non che ne avesse bisogno, dato che contava già un foro rimarginato di proiettile vicino all’appendice, ed il segno di una coltellata sul bicipite. Però sembrava essersi fidato del suo assalitore.

    O lo conoscevano, od era un insospettabile.

    Daniel distolse i suoi occhi verdi dal giornale che non gli apparteneva. Il Washington Post era in mano ad un signore sulla quarantina, seduto al tavolo dello Subway, la famosa catena di ristoranti fastfood specializzata in sandwich.

    Daniel si sedette allo stesso tavolino, nonostante ce ne fossero altri liberi.

    Si stava bene, anche se c’era l’aria condizionata. Fuori faceva già parecchio caldo, e tirava un vento fastidioso.

    Dio benedica l’America, ma non l’aria condizionata. La odio.

    L’Enfant Plaza era il centro commerciale più grosso di tutto il quartiere di Southwest Waterfront, lì nella Capitale, luminoso per via delle sue immense vetrate. Prima di entrare da Subway, era passato di fronte ad un altro fastfood, e quanto avrebbe voluto rovinarsi il venerdì pomeriggio con un gigantesco panino con l’hamburger, dato che a pranzo aveva appena avuto il tempo di una ciambella glassata da un Dunkin’ Donuts qualunque in centro, invece che sedersi lì al tavolino di Subway, con i suoi panini mille gusti più uno, come era solito dire riferendosi ad Harry Potter. E pensare che poi i panini di Subway nemmeno gli piacevano. Infatti si era ben guardato dall’andare al bancone ad ordinarne uno, dove una cassiera ispanica molto carina stava passando delicatamente nel lettore la carta di credito di un ragazzo.

    Sul tavolino restava l’avanzo del panino consumato dal lettore del Post.

    Il solito consumismo americano, osservò sconsolato.

    Perché comprare un panino gigante se poi non lo finisci? Ti sarebbero bastati altri tre morsi, forse quattro, a seconda di come sei abituato ad infilarti il cibo spazzatura in bocca. Invece no, hai dovuto lasciare lì tre o quattro morsi di pane ed insalata sporca di maionese, un pezzettino di pomodoro crudo e quello che dall’odore nauseabondo dovrebbe essere tonno.

    Ma Daniel Esposito non era lì per i panini.

    Fissò lo sguardo sul titolo in prima pagina del Post. Come se non ci fosse bastato il cecchino della Beltway… disse amareggiato, con la sua voce delicata e bassa, calma e chiara.

    Il tizio che si era permesso di avanzare il panino al tonno, insalata e pomodoro con maionese abbassò il giornale e lo guardò da dietro gli occhiali, che teneva bassi sul naso. Era uno della sicurezza del centro commerciale, un uomo di stazza normale, con la faccia normale e due normali baffi sporchi di maionese. Prego?

    Ma sì, quel pazzo che nel 2002 si divertiva a falciare le persone standosene nascosto nella sua auto insieme al complice.

    L’altro spostò il giornale per guardare la prima pagina. Sapeva che non ci avrebbe trovato alcun riferimento, ma gli venne istintivo. Ah, sì, lo ricordo. Che momento terribile per il nostro Paese. Pensi che io rimanevo in casa tutto il giorno.

    Come biasimarla? Ed ora, lo strangolatore di Southwest Waterfront.

    Già. Il mondo è pieno di squilibrati che si credono dei giustizieri.

    Daniel alzò un sopracciglio. Giustizieri?

    A giudicare dalle vittime, intendo. Tutti poco di buono, a quanto sembra. Tirò su con il naso. I miracoli dell’aria condizionata e dei raffreddori che porta. O c’era dell’altro?

    Lei pensa che stia facendo un’opera di bene?

    Oh, no, Dio mi è testimone! Posò il giornale sul tavolo e buttò un’occhiata alla cassiera.

    Secondo me invece è così.

    Il tizio si tolse gli occhiali, li piegò e, mentre se li infilava in tasca, mormorò: Lei dice?

    Daniel si limitò ad osservarlo ed a tamburellare indice e medio sul tavolino.

    L’uomo diede un sonoro colpo di tosse, ed uno più leggero, quasi un riflesso. Ti serve qualcosa, ragazzo? gli chiese, passando ad un tono più informale. Chi era quell’invadente giovanotto sulla trentina? No, no, mi perdoni. Stavo solo pensando… Sa, amo la cronaca nera. Daniel sfoderò il più falso dei sorrisi.

    L’altro assunse uno sguardo perplesso. Ah, sì?

    Secondo me, questa notte colpirà di nuovo.

    E cosa glielo fa credere? Era ripassato al tono formale.

    Colpisce sempre lo stesso giorno. Daniel aveva parlato fissando il tavolino e battendoci l’indice ed il medio tra un parola e l’altra, e la guardia lo aveva fissato quasi ipnotizzato, per poi dire: Di venerdì? Si vede che è il suo giorno libero. Concluse la frase con una risata, riguardando il suo interlocutore.

    Daniel sorrise di gusto, come se gli avessero appena comunicato che la sua risposta all’ultima domanda di ‘Chi vuol essere milionario?’ era corretta. Puntò gli occhi sul tesserino che il tizio portava sulla divisa. Io ho parlato di questa notte, non ho mai parlato di venerdì… Eddie.

    Eddie sbatté le palpebre un paio di volte, si guardò il cartellino di riconoscimento e poi di nuovo Daniel. Non capisco.

    Oggi è giovedì, ed io ho parlato di questa notte, che a rigor di logica riguarderebbe per lo più venerdì, cioè domani, ma inizierebbe già stasera, no?

    L’altro sorrise nervoso. Lo hai detto tu che colpisce lo stesso giorno…

    Ma nessun notiziario ha mai parlato di venerdì come giorno degli omicidi.

    Allora sono fortunato. Si grattò la nuca.

    Già, sei parecchio fortunato, Eddie. Forse non abbastanza, però.

    Che ti salta in mente? Eddie iniziò a spazientirsi. Ma da dove era saltato fuori quel ragazzo sbarbato dagli occhi verdi, con i capelli castano chiari pettinati ai lati e con la riga in mezzo, arrogante, in camicia azzurra stirata e pantaloni di tessuto blu?

    Vedi, Eddie, la ragazza al registratore di cassa da cui non riesci a staccare gli occhi di dosso si chiama Angela. Ma tu lo sai già, perché era la fidanzata di quel verme di José che tanto disprezzavi, anche se ti vendeva il crack che ti mantiene in linea nonostante le schifezze che mangi. Forse hai pensato di conquistarla sbarazzandoti di quel delinquente, ma sei troppo imbranato con le donne, visto che da giovane sei stato cacciato dal liceo di Chicago, dove sei cresciuto, perché ti avevano beccato nell’intervallo, in classe, a farti le seghe su dei collant che una tua compagna aveva sciaguratamente portato a scuola per mostrarli alle amiche.

    Ma come ti permetti? sibilò Eddie.

    Forse questa tua malsana passione per i collant ti ha portato ad usarli come arma, ed a comprarli al negozio di Dressbarn, poco più avanti in questo corridoio, dove sicuramente la storia che volevi fare un regalo alla tua moglie immaginaria hai creduto potesse andare bene per una cassiera obesa e dall’aria idiota, che però ha notato come alle tue dita non ci sia alcun tipo di fede nuziale, e ce lo ha detto quando l’abbiamo contattata per indagare su di te. Sono certo, Eddie, che ne vedi tante lavorando in questo posto affollato, ed avrai notato i lividi sulle braccia, ora che fa caldo, di quel bambino che teneva la mano a quel signore che spesso vedevi alla guida dell’autobus che ti riporta a casa. Così come suppongo che il tuo caro collega chiacchierone Earl, il cui fratello lavora nel più vicino penitenziario, ti avesse informato che stavano per scarcerare un violento ubriacone. Daniel aveva ripreso a battere indice e medio sul tavolo, ipnotizzando di nuovo il suo interlocutore. Hai cominciato strangolando José con i collant, e poi non ti sei più riuscito a fermare. Forse perché vuoi farla pagare a tutti coloro che assomigliano a tuo padre, che non poteva fare a meno di alzare le mani su di te e tua madre. Non prima di essersi caricato di rabbia alcolica tamburellando le dita sul tavolo come sto facendo io, mentre si scolava una Ichnusa dietro l’altra.

    Quel figlio di troia… mormorò Eddie riferendosi al padre, poi alzò gli occhi su Daniel. Provalo, testa di cazzo. Aveva un tono di voce completamente diverso, quasi rauco.

    Non ce n’è bisogno, Eddie. I panini al tonno, insalata, pomodoro e maionese di Subway che tanto ti piacciono sono stati il tuo primo errore, insieme al fatto che i collant hai pensato di comprarli con la tua carta di credito da Dressbarn, dimenticandoti che infilarli nella bocca di un povero balordo non ne cambia la marca. Forse la tua, di bocca, su cui porti con tanta fierezza quei baffi, dovresti pulirtela più spesso. Briciole insignificanti del pane di Subway miste a tracce di tonno e maionese nei capelli della seconda vittima, John Lewis, erano evidenti.

    Devi fare di meglio, coglione.

    Oh, ma l’ho già fatto. Vedi, José è stato trovato ormai in stato di putrefazione da una ragazza che stava facendo jogging, alla quale hai fatto vomitare la colazione quasi digerita dritta su di lui, perciò era difficile capire quando fosse stato ucciso. John è stato trovato poche ore dopo, e Joshua il pomeriggio seguente. Facile immaginare il venerdì. Ma per José non è stato mica facile, Eddie. Grazie per avermi informato che lo hai strangolato di venerdì notte come gli altri due, quando stacchi prima del solito per andarti a comprare il crack.

    Come pensi di dimostrare la tua teoria secondo cui sarei io quello che cerchi?

    Non serve, è già dimostrata. Sai qual è il problema di voi serial killer disorganizzati? Che avete l’ego troppo sviluppato, e commettete degli errori.

    Davvero? Tipo pagare delle calze con la carta di credito e non pulirsi la bocca?

    No. Ti sei dato del giustiziere. Vi vantate troppo, e lo fate ad alta voce. Daniel estrasse un piccolo registratore dal taschino della camicia, riponendolo subito dentro. La storia del venerdì ti ha fottuto, Eddie. Solo tu potevi saperlo. La carta di credito, i panini di Subway e la tua storia a cui non è stato difficile risalire, mi hanno solo condotto fino a te. Oh, e risparmiami la triste storia di quando te ne stavi rintanato in casa per paura del cecchino della Beltway. In quel periodo eri ancora a Chicago a venire nei collant di tua madre.

    Bastardo! gridò Eddie, e si alzò di scatto. Fece per tirargli un montante in faccia, ma Daniel inarcò la schiena e sentì l’arto del killer passare a pochi millimetri dal suo mento.

    Nello slancio, Eddie si era protratto verso di lui, così Daniel ne approfittò. Alzò una mano, la calò sulla testa del suo assalitore e sfruttò tutto il suo corpo per imprimere forza nella spinta verso il basso.

    La faccia di Eddie si schiantò sul tavolino, tramortendolo.

    La prossima volta, Eddie, i collant comprali in un negozio cinese.

    Eddie mugugnò soltanto.

    Daniel sentì arrivare di corsa i suoi colleghi che si erano appostati in incognito nei dintorni, vestiti come normali avventori. Tenne la faccia di Eddie premuta sul tavolino, e con l’altra afferrò i resti del suo panino, addentandoli e strappandone quasi metà.

    Masticò per un paio di secondi, poi si lamentò a bocca piena. Che merda…

    Si scostò, mentre tre suoi colleghi giunsero in suo aiuto, tiravando su di peso il serial killer fra gli sguardi sbigottiti della gente. Eddie Rogers, ti dichiaro in arresto per gli omicidi di José Gutierrez Machado, John Mitchell Lewis e Joshua Stragel. Aveva parlato con la bocca piena ed una smorfia disgustata sul volto. Probabilmente quasi nessuno dei presenti, che si erano scansati appena scoppiata la rissa, capì molto di ciò che aveva detto.

    Bel lavoro, Esposito. A complimentarsi fu un uomo di colore con il grosso distintivo dell’FBI appeso al collo tramite una catenina.

    Daniel voleva ringraziarlo, ma evitò di parlare con la bocca infarcita di quello schifo di panino, e si limitò ad annuire alzando una mano.

    Tonno. Io odio il tonno.

    Ricordò quando suo padre, italiano di origine, organizzava i pranzi domenicali per lui e sua madre a Providence, nel Rhode Island. Di solito venivano a pranzo anche i nonni paterni, italiani emigrati, ed allora non avevano di meglio da cucinare della pasta con pomodoro, olive (e fin qui tutto bene) e tonno. Lui la detestava, ma per non deludere sua nonna taceva ed ingoiava. Dicevano che era una ricetta della loro terra, anche se mancava un qualche ingrediente che non ricordava. Quando poi il nonno era mancato per un attacco di cuore e la nonna, sorda da tempo immemore, era andata in una casa di riposo, nessuno aveva più cucinato la pasta con il tonno.

    Che diavolo hai in bocca? gli chiese l’agente.

    Daniel masticò e trangugiò il boccone. Niente, Stan.

    Stan, il responsabile del suo dipartimento, assunse un’espressione perplessa e sconsolata, ma poi aggiunse: Beviti qualcosa, poi raggiungimi fuori. Andiamo in ufficio a stendere il rapporto.

    Ad occhi chiusi, Daniel disse un sofferto: Va bene.

    D’accordo che hai fame, ma se sapevi che in quel panino c’era il tonno, perché lo hai addentato?

    Con questi pensieri autocritici, si avviò verso la cassa. Vorrei prendere da bere. Trattenne un rutto per non fare rumore e non sembrare sgarbato, ma un piccolo rigurgito al saporaccio di tonno gli arrivò in bocca.

    Ma cosa è successo? chiese un po’ trafelata la giovane cassiera dalla pelle color tabacco. Perché avete arrestato Eddie?

    Perché il caro Eddie è l’uomo che tutte le forze di polizia della città stavano cercando da un mese a questa parte.

    Lo sguardo sofferente della giovane donna mostrò la sua incredulità.

    E va bene, tesoro. Daniel appoggiò il gomito sinistro sul bancone, proprio davanti il registratore di cassa, e buttò uno sguardo nella scollatura della maglietta della ragazza, da cui compariva un tatuaggio di Harley Quinn sopra il seno sinistro. Devi sapere che il tuo amico Eddie è la persona che ha ucciso quel bravo ragazzo di José.

    Come? Aveva quasi sussurrato, con tono sconvolto.

    Oh, sì. Ed ha anche ucciso l’autista ed il senzatetto. Vedi, a quanto pare, Eddie era una di quelle persone dai trascorsi familiari un po’ complicati, e probabilmente l’averti vista venire a lavoro con uno zigomo nero gli ha fatto saltare qualche rotella.

    La ragazza lo guardò, incapace di reagire.

    Sì, il buon Eddie aveva deciso di liberare la città dai poco di buono che usano violenza verso compagne e figli. Quasi mi dispiace averlo arrestato… disse l’ultima frase volgendo lo sguardo altrove, e rivolto a se stesso.

    Eddie ha ucciso José?!, parlò la ragazza. Il tono era una via di mezzo fra un’affermazione ed una domanda. Ruotò gli occhi in più direzioni. Ma come può averlo fatto?

    Il tuo ex era il suo pusher di fiducia.

    Non riesco a crederci…

    Già. Peccato che abbia deciso di strangolare le sue vittime con dei collant comprati al Dressbarn… con tanto di carta di credito. Daniel fissò la ragazza negli occhi, con espressione divertita.

    Diavolo, sarai pure un serial killer con intenti apparentemente nobili, ma per la miseria… comprare i collant di marca sul tuo posto di lavoro! A meno che volessi usarli inizialmente come carta igienica per le tue passioni erotiche.

    Daniel fece una smorfia all’idea.

    Il negozio qui dietro?

    Daniel annuì solenne, ad occhi chiusi. Raccontando poi che li acquistava per la moglie. Sarà pure un po’ fuori forma Theresa, l’impiegata, ma proprio stupida non lo è.

    La donna, sulla cui maglietta di Subway era attaccato il cartellino con scritto Emilia, e che portava il cappellino da cui fuoriusciva una lunga coda di cavallo nera, si limitò a tacere e fissare seria il ragazzo. E lo avete incastrato con delle calze?

    Si è incastrato da solo in mille modi. Gli mancava un po’ di ordine nel suo modo d’agire. Quanti negozi Dressbarn ci sono a Southwest Waterfront, questo quartiere dove sono stati ritrovati i cadaveri? E soprattutto, quanti uomini comprano collant? chiese con un pizzico di divertita malizia. Ora, ti dispiace darmi un bicchiere? chiese, allungando un bancanota da cinque dollari piegata in due. Quel panino aveva il tonno, ed io odio il tonno.

    Uscì poco dopo dall’Enfant Plaza con un grosso bicchiere di cartone ed una cannuccia.

    Stan lo stava aspettando fuori, ed aveva un sacchetto di carta scura in mano. Dr Pepper, scommetto…

    Daniel alzò il bicchiere in gesto affermativo. Mi conosci.

    La sua fottuta bevanda preferita. Una specie di coca cola al gusto di ciliegia e piena di caffeina. Che ne sarebbe stato della sua vita senza Dr Pepper, lui che il caffè non lo avrebbe bevuto nemmeno gratis?

    Stan gli porse il sacchetto.

    Cos’è?

    L’agente fece spallucce. Bagel alla cannella, di Starbucks. Mi spiace, niente Dunkin’ Donuts qui.

    Daniel prese il sacchetto e lo annusò.

    Cannella. E Dr Pepper. Ora sì che il mio pomeriggio ha un senso. ‘Fanculo l’arresto di Eddie.

    Tornarono verso la sede centrale dell’FBI a bordo delle auto nere dell’FBI. Stan naturalmente aveva sparato l’aria condizionata al massimo. Fortuna che il vento caldo all’esterno aveva già asciugato ogni traccia di sudore su Daniel, o si sarebbe preso una congestione. Lui non era il classico americano dallo stomaco di ferro, abituato al cibo spazzatura. Sì, aveva qualche debolezza, come le ciambelle del Dunkin’ Donuts e la Dr Pepper, ma non è che ne avesse fatto la sua dieta. Suo padre era un italiano di seconda generazione, e gli aveva insegnato a mangiare da italiano, e di questo gli era eternamente grato (tranne che per quella stramaledettissima pasta col tonno).

    Uomo tosto, suo padre. I suoi genitori erano emigrati negli Anni ‘50 dopo la Seconda Guerra Mondiale, per sfuggire alla povertà, e lui era nato nel Queens, dove aveva fatto il pescatore fin da quando era adolescente, in un quartiere che ai tempi era già un’amalgama di emigranti europei di prima, seconda o addirittura già terza generazione. Italiani, greci, polacchi, ucraini. Non esattamente una vita facile. Poi però aveva conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, una donna di origini irlandesi con i capelli ramati, e si erano trasferiti a Providence quando Daniel era bambino, aprendo un ristorante italiano. Un’ottima idea per la loro economia, un po’ meno per il diabete che a suo padre sarebbe venuto in seguito. Troppo pesce fritto e troppi dolci.

    Daniel aveva solo sedici anni quando una mattina come tante il padre non si svegliò, ma lui e sua madre avevano comunque tirato avanti, e finiti gli studi liceali aveva scelto di studiare lingue in Florida.

    Begl’anni, quelli del college. Aveva imparato lo spagnolo e perfezionato il suo italiano che già nonno e papà gli avevano trasmesso fin da quando era in fasce. La nonna, poi, sorda da che si ricordasse, gli aveva insegnato il linguaggio dei segni italiano. Utile per parlare con lei, ma inutile con tutti i sordi americani. Al college era entrato nella squadra di pallanuoto, aveva partecipato ad un mucchio di feste, e da nerd si era trasformato in un baldo giovane dedito a feste e party sulla spiaggia. Alto un metro ed ottantacinque, fisico da nuotatore, occhi verdi, viso sbarbato e capelli sempre pettinati con una riga in mezzo e la frangia ondulata alla Dawson Leery, era diventato l’idolo delle matricole, ma per lui a quei tempi esisteva solo Lei.

    Scosse la testa.

    I capelli, che erano rimasti invariati sul viso rimasto altrettanto invariato nonostante gli otto anni passati dalla laurea al college, si mossero appena sulla frangia. Quel vento rompiscatole aveva seccato il gel effetto acqua, e la pettinatura si stava già allentando.

    Qualche problema? Stan lo aveva notato scuotere la testa.

    No, no. Fece il vago. Aveva solo scacciato un pensiero. Addentò l’ultimo boccone di bagel, e bevve un ultimo sorso di bibita.

    Scesero più tardi davanti agli uffici del quartier generale dell’FBI in Pennsylvania Avenue, la principale arteria di collegamento fra la Casa Bianca ed il Campidoglio. Il traffico era sostenuto, e ci avevano messo un’eternità, limitandosi a parlare della nuova stagione di Major League Baseball. Stan era uno di quei dannatissimi tifosi dei Nationals di Washington. Da aprile a novembre, a Stan interessava solo catturare criminali, mangiare e guardare partite di baseball davanti alla tv, o direttamente al Nationals Park.

    A Daniel non dispiaceva il baseball, ma lo trovava uno sport troppo monotono. Da buon ragazzo del Nord, preferiva l’hockey su ghiaccio e i Boston Bruins, anche se da adolescente, a Providence, andava sempre a vedere i Bruins della sua città. Ma parlare di hockey con Stan era come spiegare ad un terrapiattista che il pianeta è in realtà rotondo. O ellittico, che dir si voglia. Non vedo il disco! Che razza di sport è uno sport dove non vedi l’oggetto chiave? Soleva dire il suo capo, e lui ribatteva: Perché, allo stadio la pallina da baseball la vedi volare? Ma era una causa persa.

    Te lo dico io, disse Stan in quel momento, questo è l’anno dei Cubs. Me lo sento.

    Daniel gli diede corda finché non parcheggiarono l’auto di servizio, poi salì nel suo ufficio dopo una rilassante salita in ascensore.

    Girò le tende verticali a bande del vetro del suo ufficio, in modo che la luce s’affievolisse. Si buttò sul divanetto di pelle nera che stava proprio di fronte alla sua scrivania, sospirò e buttò uno sguardo al quadro appeso dietro alla sua postazione. Era una foto in cui case bianche (ma ce n’erano anche un paio gialle e rosse) erano arroccate come dei pezzi di Lego su una collina. Era un comune del Sud Italia, il paese natale di sua nonna. Calitri, si chiamava. Suo padre, quando era ancora vivo, teneva molto a quel quadro, e lui se lo era portato in ufficio.

    Chiuse gli occhi e si concesse qualche minuto di pace.

    Aveva messo nel sacco lo strangolatore di Southwest Waterfront. Doveva aspettarsi un encomio? Magari una promozione? Con questo, era il decimo assassino seriale che catturava. Non che avesse mai dato la caccia a mostri del calibro di Ted Bundy, il killer delle studentesse, o John Wayne Gacy, che violentava giovani uomini e li seppelliva nelle fondamenta della casa, ma si era comunque trovato ad inseguire pluriomicidi di ogni genere: dai nerd schizzati male per i troppi videogames violenti, agli affiliati delle gang latine od afroamericane che volevano guadagnarsi rispetto sparando ai rivali o compiendo rapine.

    No, in realtà un pazzo lo aveva fermato quando era ancora un giovane agente fresco di accademia. Il killer copiatore. Aveva ucciso un bel po’di persone su e giù per l’America emulando le gesta di gente proprio come Bundy e Gacy.

    Il caso che lo aveva reso famoso nell’FBI.

    Era uno dei migliori giovani agenti che il quartier generale avesse mai avuto. Se c’era un omicidio, Daniel aveva la capacità di leggere i particolari che agli occhi dei più sfuggivano, ed era soprattutto in grado di collegarli fra loro e tessere una trama che spesso portava all’identificazione sicura del colpevole. Una volta aveva messo insieme una serie di indizi ed era riuscito a fare arrestare due giovani che avevano fatto secco il proprietario indiano di un piccolo shop nello stato della Virginia. Li aveva inseguiti fino in Tennessee e li aveva arrestati in un motel, insieme ai suoi colleghi.

    Qualcuno lo distolse dal gongolare nel suo ego, che a volte era un po’ troppo grande. Aprì gli occhi senza capire bene cosa lo avesse distratto, poi vide la porta dell’ufficio aprirsi, ed entrare Stan. Aveva bussato, ma lui era troppo impegnato a ricordare le sue imprese. Daniel, hai un minuto?

    Il detective Esposito si stiracchiò. Anche due, boss.

    Vuoi interrogare tu Eddie?

    Non ne vedo il motivo.

    Lo hai arrestato tu. Stan aveva usato un tono irriverente e un po’ fastidioso. Era solito avere questi atteggiamenti irriverenti, il buon Stan. Faceva parte del suo modo di essere. I suoi genitori, entrambi afroamericani, erano stati rispettivamente un professore di liceo con una seconda vita da cabarettista, ed una casalinga che faceva da babysitter ai figli dei bianchi facoltosi. E Stan era davvero figlio di suo padre, simpatico e sempre pronto a fare il teatrino, che su quel faccione rotondo con la testa pelata ed il fisico prominente calzava alla perfezione.

    Io ho quasi finito il mio turno e, se non ti dispiace, stenderei il rapporto e me andrei a casa. Mandaci qualcun altro ad interrogarlo. È una mezza sega, confesserà tutto.

    Stan consultò l’ora sul suo orologio da polso

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