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Delitto con inganno
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E-book245 pagine3 ore

Delitto con inganno

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Info su questo ebook

Un tranquillo paesino. Un labirinto di misteri. Un thriller perfetto.

Le indagini dell'ispettore Santoni

È un inverno molto freddo e nevoso a Valdiluce. L’ispettore Santoni si trova a dover indagare su un evento accaduto una quindicina di anni prima e che all’epoca sconvolse la cittadina. La drammatica vicenda costringe l’ispettore, assistito dal fedele Kristal Beretta, a recuperare notizie su come avvennero i fatti, ma anche a ripercorrere la sua storia privata, dato che all’epoca era un adolescente innamorato proprio della bellissima Clara Meynet, la ragazza al centro del crimine. La giovane è scomparsa in circostanze mai chiarite, e non è stata più ritrovata. Durante le indagini, nonostante una certa ritrosia degli abitanti a collaborare, una serie di coincidenze riportano alla luce elementi che convincono l’ispettore ad avventurarsi nelle viscere del monte Sassone, luogo ameno e minaccioso dimenticato da decenni, attraverso un dedalo di tunnel, gallerie e cunicoli che nascondono spaventosi misteri. La selvaggia e potente natura dei luoghi, protettrice di un macabro segreto, testimonia che la verità è rimasta sepolta per anni sotto una fitta coltre di neve, ghiaccio e paura…

Una nuova straordinaria indagine dell’ispettore più amato dagli italiani
Un autore bestseller
Finalista al Premio Strega

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«È nel saper cogliere il valore non superficiale dei dettagli che Matteucci, giovandosi della concretezza imposta dal giallo, trova la sua cifra narrativa più convincente.»
Giorgio Montefoschi, Corriere della Sera

«Un romanzo che cattura, che squarcia un velo sui vizi e sui segreti di una piccola comunità di provincia, che appassiona e intriga, che si nutre di indizi che il disgelo potrebbe cancellare.»
Il Sole 24 ore
Franco Matteucci
Autore e regista televisivo, vive e lavora a Roma. Ha scritto i romanzi La neve rossa (premio Crotone opera prima), Il visionario (finalista al premio Strega, premio Cesare Pavese e premio Scanno), Festa al blu di Prussia (premio Procida Isola di Arturo – Elsa Morante), Il profumo della neve (finalista al premio Strega), Lo show della farfalla (finalista al Premio Viareggio – Rèpaci). È autore di una serie di gialli di grande successo che hanno per protagonista l’ispettore Marzio Santoni: Il suicidio perfetto, La mossa del cartomante, Tre cadaveri sotto la neve, Lo strano caso dell'orso ucciso nel bosco e Delitto con inganno. I suoi libri sono stati tradotti in diversi Paesi.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2017
ISBN9788822703354
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    Anteprima del libro

    Delitto con inganno - Franco Matteucci

    Capitolo 1

    Tutta Valdiluce lo sapeva: Clara Meynet non era più vergine da quando aveva tredici anni. La ragazza era stata ricoverata in condizioni critiche all’Ospedale di Valnera per un incidente con uno slittino, aveva perso molto sangue e le furono applicati dodici punti di sutura, ma ciò che appassionò medici e infermieri fu la scoperta che Clara nell’urto fosse stata deflorata. Un’indiscrezione che all’inizio rimase tra gli addetti ai lavori, ma poi spiccò il volo e arrivò a Valdiluce, suscitando grande commiserazione. Ovunque, nei rifugi, nei boschi, nei bar, negli hotel, si parlò di «quella povera bambina umiliata e offesa».

    Le vedette clandestine, anziane signore che spiavano il paese attraverso la finestra di casa e che conoscevano tutto di tutti, dedicarono molto tempo alla questione: «…Con quella menomazione che futuro avrà? Si sposerà mai? Chi crederà all’incidente?».

    Anche don Sergio, il prete del paese, durante la messa domenicale le dedicò l’omelia.

    «…Un avvenimento che ci affligge, ma la nostra giovane paesana è molto devota e, nonostante abbia perso la sua interezza, la Madonna le indicherà la via per stare sempre in grazia di Dio. Magari un giorno la vedremo sposa di Cristo proprio in questa chiesa, con il nome di suor Clara…»

    Nessuno aveva messo in dubbio la dinamica dei fatti, la tredicenne era stata molto precisa nell’esposizione: «Anche se siamo d’estate, mi è presa una voglia matta di andare sullo slittino. Sull’erba bagnata ho acquistato velocità ma all’improvviso la slitta si è capovolta, e l’estremità di un pattino mi ha perforato il ventre. Ho sentito un gran male. Ero sola, perdevo tanto sangue, zio Walter stava a Valdiluce nel suo magazzino. Mi sono trascinata fino ad arrivare sulla strada, poi non ricordo più niente».

    Tutto sembrava chiaro, ma l’arrivo nel posto di polizia di Valdiluce di una lettera anonima aprì un nuovo capitolo sulla vicenda. La busta emanava un forte odore di mandorle amare e subito si ebbe il sospetto che potesse contenere del cianuro. La polizia scientifica invece stabilì che quel profumo proveniva da una colla tipo Coccoina con la quale probabilmente erano state appiccicate le parole sul foglio. La busta fu aperta e il contenuto risultò assai più tossico del cianuro:

    Chi berrà il sangue di una vergine sciolto sull’erba diventerà farfalla. Lasciatelo a me che possa assaporarlo, goderlo, ogni stilla mi entri nel cuore e abbia il volo più bello della mia vita…

    Poi in caratteri più piccoli, un post scriptum.

    Clara Meynet non ha perso la verginità sullo slittino, è stato lo zio Walter Burlando a stuprarla.

    Il messaggio anonimo era stato infilato nella cassetta della posta della polizia il giorno stesso dell’incidente. Uno strano tempismo che allertò gli inquirenti. Chi si nascondeva dietro quel foglio? La lettera fu subito confrontata con le altre missive, raccolte nel corso degli anni, con caratteristiche simili: utilizzo di una busta filigranata Olimpia Fabriano, raffinata carta da lettere Florenzia, abbondante impiego della Coccoina per attaccare i ritagli presi dal giornale locale «L’eco di Valdiluce», precisione maniacale nel comporre il testo, assenza di qualsiasi traccia identificativa, un gusto perverso nell’eccitarsi con il sangue. Non poteva che essere Mister Coccoina, come era stato soprannominato dai poliziotti. Di lui non si era mai scoperta l’identità, e questa presenza oscura, ogni volta che a Valdiluce accadeva qualcosa di cruento, omicidi o violenze, appariva con una lettera anonima.

    Le precedenti missive erano state molto circostanziate, con sottolineature e dettagli morbosi. Quando Veronica Mayer, la lattaia di Valdiluce, fu uccisa e barbaramente mutilata, Mister Coccoina aveva tra l’altro scritto:

    Splendido il tuo corpo bianco tagliuzzato nelle vene, solo il sangue lo tiene ancora in vita e scorre rossa nella neve la tua vita di puttana…

    Né aveva perso l’occasione di commentare l’omicidio di Angelo Tovoli, il pastore di capre che era stato trovato sgozzato e attaccato a un gancio dello skilift.

    Vorrei ubriacarmi, berne fino a dissetarmi, far cadere nella mia gola arsa le gocce del tuo sangue, una dopo l’altra come perle preziose: ho una sete di te che non si estinguerà mai…

    Sembrava che Mister Coccoina dovesse per forza raccontare le sue emozioni alla polizia. Un’insistenza che faceva pensare a una persona malata. Fu studiato a lungo il suo profilo. Scriveva dotto, frasi originali, senza alcuna citazione, poteva essere un intellettuale, uno scrittore, un professore, un poeta, un prete, un giornalista… Lo psicologo della polizia si era spinto in là immaginando che Mister Coccoina fosse realmente pericoloso. Una personalità complessa che lo avvicinava a un serial killer: avrebbe potuto commettere un omicidio in qualsiasi momento. Nonostante la polizia avesse seguito molte piste, indagato a lungo, non si era mai arrivati a una conclusione certa.

    Adesso Mister Coccoina tornava allo scoperto con una novità inaspettata. Nelle precedenti lettere aveva svelato solo il suo lato oscuro, l’attaccamento morboso al sangue e alla menomazione fisica, nell’ultima missiva invece si era sbilanciato formulando un’accusa terribile che gli inquirenti non potevano trascurare.

    Walter Burlando, lo zio che aveva in affidamento Clara Meynet, poteva aver commesso un atto tanto grave sulla nipotina tredicenne per poi inventarsi la messinscena dello slittino?

    Su quell’uomo alto, soprannominato Antiquario, con lo sguardo leggermente spiritato, che gestiva un magazzino di roba vecchia, ne correvano di storie, ma non aveva mai avuto a che fare con la giustizia. A Valdiluce molti paesani erano rimasti sorpresi che il giudice avesse affidato Clara proprio a lui. Che futuro restava a questa ragazzina, che aveva già sofferto tanto per colpa dei genitori arrestati e condannati a venti anni di prigione per aver ucciso un pastore, loro vicino di casa? Erminia Passi, detta la Telecamera, leader delle vedette clandestine, era stata drastica durante il tè con le amiche: «Io a quell’essere così rozzo e sporco avrei dato piuttosto la prigione, sono sicura che nel suo deposito vende roba rubata. Come si fa a consegnare un angelo biondo come Clara a un malfattore? Lui bestemmia, si lava solo la domenica quando va a puttane, è violento, alcolista all’ultimo stadio, pronto a tirar fuori il coltello alla prima questione. Sperpera tutto il denaro al gioco d’azzardo».

    La polizia seguì le tracce della lettera anonima ed effettivamente, in base all’analisi della cartella clinica e alla perizia del medico della scientifica, non si poteva escludere che la ferita all’addome di Clara fosse stata causata da un coltello e non dall’impatto con lo slittino. Anche sulla perdita della verginità restavano dei dubbi. Così concludeva il dottor Giovanetti, medico della scientifica: «…Né si può escludere l’ipotesi di una rottura dell’imene avvenuta attraverso penetrazione durante un rapporto sessuale».

    Domande senza risposta che gettarono un’ombra inquietante sull’avvenimento.

    Ad esempio, perché Clara Meynet dopo l’incidente non si era recata a casa sua che distava pochi metri – dove avrebbe potuto telefonare e chiedere aiuto allo zio – e invece si era diretta verso la strada statale, lontana più di un chilometro, tutta da percorrere in salita?

    Bruno Carrai il verduraio aveva raccontato così alla polizia il ritrovamento: «Ho visto dopo la curva di Torre mozza un corpicino per terra. Ho fermato il camion e sono sceso. All’inizio ho pensato che Clara fosse morta, magari colpita da un pirata della strada. Indossava una magliettina e un paio di pantaloncini imbrattati di sangue. Quando mi sono accorto che respirava e gemeva, ho capito che dovevo portarla subito in ospedale».

    Nessuno pensò di andare a prendere e analizzare quello slittino abbandonato sul prato. Solo in seguito la polizia lo cercò e Walter Burlando raccontò così la sua versione dei fatti: «Dopo che Clara era stata ricoverata, sono tornato a casa per prendere alcuni suoi oggetti personali e sul prato ho trovato lo slittino. Era capovolto e insanguinato, ma non aveva subito danni. L’ho costruito con le mie mani usando legno di faggio stagionato, certo non avevo considerato la pericolosità del pattino che spuntava sul frontale. A noi serviva per farlo scivolare sulla neve fresca – per trasportare il formaggio o i bidoncini del latte delle due mucche che teniamo in stalla – non potevo immaginare che quella incosciente l’avrebbe usato sull’erba. Comunque appena ho avuto tra le mani la maledetta slitta, d’istinto l’avrei voluta distruggere, buttare nel fuoco, poi ci ho ripensato e l’ho lavata e riposta nella cantina».

    La scientifica analizzò a lungo l’oggetto ma non furono trovati elementi significativi. Burlando aveva sterilizzato le stecche di legno con la varichina cancellando qualsiasi impronta. Se si fossero rinvenute tracce di sangue di Clara Meynet, l’indagine sarebbe finita lì. Invece la prima domanda che si pose la polizia fu perché l’Antiquario aveva voluto sottrarre all’inchiesta un elemento così importante? Cosa nascondeva quell’uomo? Il secondo ragionamento degli inquirenti fu che Walter Burlando aveva sì un alibi, ma facilmente contestabile. Era stato visto nel suo magazzino verso le 9, l’ora in cui il fruttivendolo Carrai aveva rinvenuto il corpo di Clara sul bordo della strada, ma avrebbe potuto commettere il misfatto molto prima e poi correre a Valdiluce per farsi vedere nel suo posto di lavoro. Andando ancora più in là con l’immaginazione, chi poteva negare che nella convivenza con la ragazzina – di una bellezza sorprendente e che dimostrava più della sua età – l’uomo, così ombroso e strano, in un momento di follia, si fosse gettato su Clara, tentando di violentarla? E per riuscirci, visto che la tredicenne era piuttosto selvatica e si muoveva veloce come un diavoletto, Walter avesse sfoderato il coltello che teneva sempre attaccato alla cintola, ferendola gravemente?

    L’indagine della polizia andò avanti con la mano pesante, e anche se si cercavano le parole adatte per rivolgersi a una minorenne, in ogni interrogatorio aleggiava sempre l’ipotesi di una violenza sessuale.

    «Tuo zio Walter ti ha mai baciato, o carezzato? Dove dormi? Nel suo letto? Ti ha mai picchiato?…».

    La tredicenne confermò la versione dei fatti, ma soprattutto nei numerosi incontri con il giudice ribadì con decisione che Burlando si era comportato con lei sempre con affetto e non aveva mai subito violenze o cattiverie. Né uno schiaffo né un rimprovero.

    «Per me zio Walter è più di un papà e mamma, mi vuole bene e non mi fa mancare niente».

    Il giudice fu d’accordo con Clara. Visto che l’Antiquario – anche se non godeva di una buona immagine – non aveva mai subito rilievi o denunce e che riceveva il gradimento incondizionato della Meynet, essendo tra l’altro l’unico parente disponibile, decise di confermargli l’affidamento in attesa degli sviluppi dell’indagine.

    Purtroppo il fatto diventò di dominio pubblico. «L’Eco di Valdiluce» cavalcò il caso fino a farlo diventare un avvenimento di portata nazionale. Pubblicò in esclusiva la lettera anonima di Mister Coccoina che accusava Walter Burlando della violenza sessuale. C’erano gli ingredienti per un giallo a tinte fosche: una ragazzina deflorata, uno zio potenziale stupratore, un incidente assai improbabile messo in scena per nascondere la truce realtà. I giornalisti e le tv aggredirono senza pietà la vicenda di Clara Meynet. Non fu rispettata la privacy di una minorenne e si andò al massacro mediatico, dividendo il pubblico tra colpevolisti e innocentisti. Anche l’assalto a Walter Burlando fu senza rispetto. L’uomo con quell’aria introversa diventò il mostro da sbattere in prima pagina. Il fatto che riuscisse a difendersi solo con lunghi silenzi, lo rese ancor più colpevole. Non poteva che essere un pericoloso maniaco. Su una rivista apparve una foto di Clara che svelava il suo volto di ragazzina seducente. Anche la trasmissione Tv Giallo aprì uno spazio settimanale intitolato Il giallo dello slittino. Il corpo della tredicenne veniva trattato come se fosse quello di un cadavere, sembrava che si parlasse di un omicidio. Si alternavano in studio medici che commentavano con dovizia di particolari la differenza tra la rottura dell’imene per traumi esterni e la deflorazione per violenza carnale.

    Fu un intreccio morboso che avanzò come uno tsunami su Meynet e Burlando. La polizia brancolava in un buio illuminato soltanto dai continui assalti mediatici che cercavano di alimentare in tutti i modi l’idea dello stupro. Anche il giudice dovette cambiare parere e dispose che Clara fosse ospitata in un convento di suore.

    In quel monastero costruito sulle rocce della Pietraia, al centro della Valle del Vento, la tredicenne non trovò pace perché subì un assedio che si rivelò più molesto di quello dei giornalisti. Don Sergio, un uomo maturo, alto e forte, ex campione di sci, che si era fatto prete a trent’anni, non preoccupandosi della giovane età della ragazza, in ogni ora del giorno e della notte correva a parlarle per convincerla a prendere i voti. Clara riusciva a sottrarsi, con difficoltà sgattaiolava, si nascondeva nei posti più segreti del convento. Una cella abbandonata, sotto il tetto, diventò il suo rifugio. Condivideva lo spazio con i piccioni e non rispose ai richiami del prete e delle suore che la cercavano. Purtroppo anche quell’ultimo nascondiglio fu scoperto e lei fu guardata a vista dalle monache: le sembrò di essere finita in carcere come i suoi genitori.

    Furono giorni complicati, a Clara mancavano gli spazi della sua natura, i prati, i boschi, gli alberi, le mucche. Le suore erano gentili e premurose ma appena don Sergio entrava in convento, la madre superiora consegnava Clara in ostaggio a quel prete. Lui la costringeva a stare in ginocchio nella stanza dei paramenti, la confessava, le parlava spesso mettendola a disagio.

    «Scappa da ciò che ti sta facendo male, abbraccia il mondo che io ti offro, fatti suora, troverai la sicurezza e la certezza di stare in grazia di Dio e guadagnerai il paradiso, nonostante tutto».

    Era quel Nonostante tutto che Clara non riusciva a capire e che la inviperiva. Nonostante cosa? Che fosse stata deflorata? Ma se era stato solo un incidente! E nonostante quali peccati? Non ne aveva commesso alcuno. Ma doveva pur inventarsi qualcosa da dire durante la confessione, lei che era sempre stata religiosa e non aveva avuto pensieri impuri. E dài che don Sergio insisteva. E Clara decise di accontentarlo.

    «Ti sei toccata?».

    Anche se non lo aveva mai fatto, disse: «Sì».

    E don Sergio con la voce che vibrava di strane sollecitazioni: «Con chi? Hai avuto piacere? Eri nuda?…».

    Il prete faceva un rosario di situazioni scabrose in cui si sarebbe dovuta trovare la ragazzina. E Clara confermava tutto e sempre. Alla fine don Sergio paonazzo chiudeva la confessione con un gran numero di Ave Maria e Pater Noster da dire per penitenza.

    La Meynet aveva capito che il prete era suggestionato da lei, ma non cedette mai alla sua insistenza e rifiutò sempre con decisione l’ipotesi di diventare suora.

    Nel frattempo la polizia approdò alla conclusione del caso, grazie anche al fatto che i media iniziarono a trascurare la storia della ragazza con lo slittino. Finalmente prevalsero alcune considerazioni di buon senso che non erano state mai vagliate con attenzione: se Burlando avesse commesso un simile obbrobrio, perché mai avrebbe dovuto abbandonare la ragazzina stuprata e ferita su un prato, in più obbligandola a raccontare la balla dello slittino? Perché dare tanto clamore al fatto? Era un comportamento illogico. Più normale sarebbe stato mantenere la vicenda tra le mura domestiche, magari facendo assistere la bambina da un medico consenziente o da una levatrice. E perché Clara, ragazzina dal carattere piuttosto vivace, dopo aver subìto un tale sopruso non aveva denunciato il suo aggressore?

    L’esperienza insegnava che l’oggettività era la strada più semplice da percorrere. E la frase subdola, ingigantita da tv e giornali, che aveva sviato le indagini, non era altro che la provocazione di una mente malata come quella di Mister Coccoina. In base agli elementi raccolti, la polizia arrivò all’unica conclusione possibile: l’incidente era realmente accaduto, Clara aveva raccontato la verità e di conseguenza venne riconosciuta la totale estraneità di Walter Burlando, che non aveva mai stuprato la tredicenne. Il giudice decise quindi di riaffidare Clara allo zio.

    L’Antiquario, anche se era uscito indenne dall’indagine, non ebbe l’assoluzione del paese e in molti continuarono a guardarlo come un pericoloso pedofilo in libertà.

    In più il suo magazzino dell’usato iniziò a perdere clienti e ben presto anche Clara dovette lavorare come raccoglitrice di frutti selvatici e funghi per aiutare economicamente lo zio.

    Capitolo 2

    Per Clara Meynet non fu facile riprendersi da quella disavventura. L’avvenimento non solo le aveva lasciato una grande cicatrice sul ventre ma anche le tracce di un intimo disagio, l’onta della vergogna. Era come se d’un tratto avesse perso la sua età e fosse diventata donna. Questo dettaglio non era certo sfuggito ai maschi del paese. La ragazza suscitava, con le sue gambe slanciate, il corpo acerbo, candida di pelle con i capelli biondi, un’attenzione spasmodica, non era più un frutto proibito, una bambina timida e magra da rispettare, ma un oggetto che ciascuno poteva bramare. Sembrava che su di lei brillasse un semaforo verde con il diritto d’accesso per tutti.

    In più Clara era cresciuta in modo spettacolare. Aveva un sorriso leggendario. Gli occhi grandi, abbracciavano scenari ampli, complessi, maturi, era di una bellezza adulta. La sua timidezza, il disagio di essere sempre al centro dell’attenzione, la rendevano ancor più affascinante. Sgattaiolava, schivava gli sguardi, si rifugiava negli angoli, ma quando riappariva con quell’incedere sinuoso tornava preda.

    Lei si nascondeva indossando giacche a vento ampie, o tute nere, tentava di scomparire, le sarebbe piaciuto essere invisibile, talvolta buttava giù il cappuccio sugli occhi, ma le sue labbra rosse e il passo ondeggiante esplodevano sempre e comunque. Era impossibile sottrarsi al fascino di Clara Meynet.

    A sedici anni aveva difeso strenuamente la sua innocenza, e non si era mai concessa ai tanti pretendenti, aveva solo un amorino platonico con il diciassettenne Marzio Santoni detto Lupo Bianco, colui che sarebbe diventato un giorno l’ispettore di polizia di Valdiluce.

    Un bel giovane, biondo, atletico, che sembrava uscito dalla costola di san Gualberto, il protettore di Valdiluce. Il santo, esposto vicino all’altare, era raffigurato in un bosco di abeti, appoggiato a un bastone nodoso, circondato da un branco di lupi mansueti.

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