Il vento nei capelli
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Anteprima del libro
Il vento nei capelli - Massimo Ghellini
poetica
Capitolo 1^
Quella notte tra il 25 e 26 luglio del 2007 il temporale non aveva permesso a Marco di dormire; il frastuono del tuono ed il crepitio delle gocce d'acqua che battevano sul davanzale della finestra di quella casa in Via Tripoli, da sempre arteria pulsante nel quartiere Santa Rita a Torino, gli impedivano di rilassarsi.
Marco Bianco era stanco, aveva da poco terminato la sua tesi ed il giorno prima aveva ritirato la copia della sua fatica, dal suo relatore.
Era un ragazzo di corporatura media, capelli sempre tagliati corti e castani, occhi castani, un folto pizzetto e gli occhiali tondi. Amava indossare Jeans con camicia e maglione d'inverno e maglietta a mezze maniche d'estate.
Nulla di più. Marco era il ritratto della semplicità e dell'onestà intellettuale e morale.
Aveva studiato sodo per tutto il periodo universitario ed ora si accingeva a raggiungere la tanto attesa Laurea.
Per scrivere il suo elaborato egli dovette passare molti giorni tra l'Archivio di Stato e la biblioteca dell'ateneo, perché il tema era L'evoluzione dell'ordinamento dalla caduta dell'assolutismo all'introduzione del codice penale di Carlo Alberto.
Un tema che richiese molti sforzi intellettuali per dar vita ad un testo i cui argomenti potessero incastrarsi l'uno all'altro con senso compiuto.
Marco da quel momento non avrebbe mai più dimenticato quel volto fine , quegli occhi grandi dietro gli occhiali da lettura, quella pettinatura tirata a brillantina e spazzola e quell'accento cortese ed educato di una Torino ormai lontana.
Uscì raggiante, quel 25 luglio 2007, dalla biblioteca e si recò in quella copisteria che si trovava in Via Roero di Cortanze proprio dirimpetto alla facoltà. Ivi giunto consegnò il manoscritto, pagò il costo di rilegatura e, dopo aver riposto, ben piegata nel portafogli, la ricevuta con la data del ritiro indicata, si riavviò verso casa.
Doveva essere contento? Aveva finito con le nottate sui libri, le domeniche passate a prepararsi prima di un appello, le serate lasciate sfuggire senza viverne l'incanto.
Invece nel cuore grande di Marco c'era un senso di vuoto immenso che ribolliva e non si placava, metro dopo metro camminando per Via Sant'Ottavio percorsa da anni e quel giorno per l'ultima volta.
Appena giunto all'imbocco di Via Po, si voltò e vide quell'imponente palazzo; gli occhi si riempirono di tristezza e stava quasi per lasciarsi andare ad un pianto quando si sentì toccare una spalla, si voltò e vide Piero Ricci, un amico ed un ragazzo dalla figura esile, ed un inconfondibile accento toscano.
Piero e Marco erano molto legati l'uno all'altro per via che erano cresciuti assieme nello stesso quartiere ed avevano frequentato le scuole elementari insieme.
Anche le rispettive famiglie erano diventate amiche con gli anni e, a volte, si frequentavano ancora come allora.
Piero incarnava la figura del Dongiovanni, alto, bruno, occhi azzurri e con un aspetto sempre curato ed elegante.
Accompagnò la battuta con un sorriso semplice e nella sua naturalezza, sincero.
La domanda giunse a Marco come una vibrazione impercettibile al punto che rimase in silenzio e questo fece arrabbiare non poco l'amico.
Marco guardò prima verso il cielo, poi verso il palazzo e quindi verso Piero, fece un sospiro e poi finalmente cominciò a parlare.