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La comunicazione integrata
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E-book488 pagine6 ore

La comunicazione integrata

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Questo libro è la seconda edizione di un testo pubblicato nel 2015, che qui viene corretto, aggiornato e integrato, assumendo un nuovo titolo.
LinguaItaliano
Data di uscita21 lug 2020
ISBN9788831685900
La comunicazione integrata

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    Anteprima del libro

    La comunicazione integrata - Beppe Facchetti

    massa.

    CAPITOLO I

    Natura e finalità della comunicazione

    La comunicazione è un comportamento caratteristico e imprescindibile dell’essere vivente – al pari di respirare, alimentarsi, alternare l’attività al riposo – che si esprime trasmettendo messaggi intelligibili.

    È costituita da uno scambio di segnali – sia parole che comportamenti, anzi questi ultimi sono spesso di peso superiore a quello delle parole stesse – che avviene fra almeno due attori, ciascuno dei quali percepisce l’altro e reagisce all’informazione trasmessagli, replicando all’emittente.

    Il fenomeno può essere descritto come un moto circolare nel quale un soggetto emittente trasferisce un determinato gruppo di significati a un soggetto ricevente. Questi li interpreta, ovvero li decodifica alla luce del proprio sistema di riferimenti culturali, quindi retro-agisce (feed-back) sull’emittente inviando un segnale di risposta, strutturando così un modello di azione-retroazione-azione praticamente infinito, che si interrompe solo con l’uscita di scena di uno dei due attori.

    La comunicazione, insomma, si configura come un sistema di comportamenti in cui non è possibile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto, cosa venga prima e cosa dopo: ogni comportamento è, insieme, azione e risposta a un altro comportamento.

    Infine, il gruppo di significati codificati secondo un codice condiviso fra gli attori e trasmessi attraverso un medium – il mezzo di comunicazione – costituisce il contenuto della comunicazione, ovvero il messaggio.

    Si tratta di un complesso di attività relative all’essere vivente in quanto parte di un tessuto di interrelazioni con i suoi simili.

    L’azione di comunicare, infatti, si configura come un elemento della condizione umana così essenziale che lo studioso americano Paul Watzlavick (Pragmatica della comunicazione umana,1971) giunge ad affermare nel primo assioma della comunicazione che «è impossibile non comunicare».

    Persino la semplice presenza, il solo esserci, comunica qualcosa: se due soggetti mantengono reciprocamente il silenzio, infatti, si trasmettono a vicenda il messaggio non desidero essere disturbato/parlare. Non esiste, insomma, un non-comportamento, quindi, in una interazione ogni comportamento ha sempre valore di messaggio. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio significano sempre qualcosa e hanno la capacità di influenzare gli altri che, a loro volta, non possono evitare di rispondere, comunicando anch’essi. La comunicazione, comunque, può anche essere involontaria: attenzione quindi alla decodifica dei significati, poiché particolarmente i segnali che provengono dal comportamento possono essere fraintesi o rivelarsi ambigui nel significato.

    A questo assioma fanno seguito altri quattro, strettamente correlati al primo:

    • Ogni comunicazione è costituita da un aspetto di contenuto e uno di relazione, ove il secondo classifica il primo, ed è metacomunicazione.

    • Una comunicazione trasmette informazioni, ovvero un aspetto di contenuto (la notizia), e un aspetto comunicativo di elezione (il comando). Ogni comunicazione implica, inoltre, il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevente.

    • La natura di una comunicazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione fra i partecipanti. I soggetti che comunicano segmentano il processo circolare di scambio di informazioni in sequenze dotate di inizio e fine. La relazione, insomma, e quindi il significato del messaggio trasmesso, dipende da come vengono individuate le sequenze di comunicazione tra i comunicanti.

    • I comunicanti usano sia il modulo numerico che quello analogico. Il primo ha una logica complessa ed efficace ma non possiede valore semantico rispetto alla relazione; il secondo ha la semantica ma non la sintassi necessaria a eliminare le ambiguità relazionali. Al fine di decodificare adeguatamente la comunicazione verbale, è necessario l’apporto del messaggio non verbale, quello della relazione.

    La gestualità, il ritmo e il tono della voce, generano rapporti di tipo analogico fra attore della rappresentazione e la cosa rappresentata, che in parte appaiono essere patrimonio universale e naturale del comportamento umano, in parte appartengono a codici culturalmente determinati, che esprimono la relazione fra i dialoganti.

    • Ogni scambio comunicativo è simmetrico o complementare a seconda se si basi sull’uguaglianza o differenza che gli agenti si riconoscono reciprocamente.

    • La relazione tra i due soggetti agenti, non si stabilisce una volta per tutte, ma può mutare anche più volte nel corso del processo di comunicazione.

    Gli assiomi della pragmatica della comunicazione, qui richiamati, esprimono anche l’irreversibilità dell’atto comunicativo: il messaggio, una volta inviato, non può più venire cancellato. Oggi, con l’uso del web, ciò è ancor più evidente, perché un messaggio, una volta entrato in rete, sfugge totalmente al controllo dell’emittente: non gli appartiene più.

    Altri fattori intervengono, poi, a caratterizzare la relazione.

    In primo luogo, l’identità dei comunicanti, cioè gli elementi riguardanti l’identità personale – età, sesso, aspetto fisico, – i ruoli sociali svolti – nella famiglia, in un gruppo –, lo status professionale e gli aspetti etico culturali e di fede. Anche la scelta di un linguaggio piuttosto che un altro, in quanto espressione soggettiva della realtà che si vuole condividere, agisce sul livello sia cognitivo che emotivo dei parlanti.

    Rilevanti sono pure il canale di trasmissione, perché evidentemente è diverso il risultato di una conversazione condotta faccia a faccia o al telefono o attraverso sms, o in una chat, o via facebook o attraverso gli altri mille canali oggi disponibili; il contesto spaziale o temporale nel quale avviene la comunicazione interpersonale, poiché ogni messaggio viene automaticamente contestualizzato e decodificato anche rispetto all’ambiente nel quale si produce; la prossemica, che riguarda l’uso dello spazio e quindi la maggiore o minore distanza reciproca e la posizione del corpo, di fianco o di fronte, per esempio; le espressioni del viso, nelle quali si evidenziano le reazioni emotive; la gestualità che enfatizza e punteggia il parlato.

    Influisce poi sull’efficacia dell’atto comunicativo la comunicazione paraverbale, ovvero la prosodia: il tono – con il quale esprimere le emozioni –, il tempo – pause e accelerazioni che funzionano da sottolineature delle parole –, il timbro – una voce acuta, gutturale, nasale e così via – e il volume della voce.

    Esistono, infine, dei fattori che possono interferire con il processo fisico di percezione degli stimoli esterni e quindi delle azioni di comunicazione: fattori fisiologici, fattori socioculturali, che condizionano la capacità cognitiva a causa dell’appartenenza a un dato gruppo etnico, sociale, religioso o culturale; fattori psicologici personali, che possono limitare e potenziare le capacità cognitive ed emotive di ciascun soggetto.

    Insomma, in questo quadro complessivo, «la comunicazione è il processo attraverso il quale gli uomini creano, mantengono e alterano l’ordine sociale, le relazioni tra loro, e la loro stessa identità» (V.E. Cronen, W.P. Pearce, L.M. Harris, The coordinated management of meaning, Harper & Row, 1982) e ciò avviene in quanto la comunicazione è il processo attraverso cui si traspone un certo gruppo di significati da chi li possiede a chi li riceve.

    Non esiste società e vita senza comunicazione e la complessità di questi intrecci porta a conclusioni impegnative: non c’è sistema sociale se non esiste comunicazione.

    L’aspetto sociale della comunicazione influisce poi direttamente sulla comunicazione integrata professionale, perché se ogni azione di comunicazione è costituita da una parte di contenuto e una di relazione, il contenuto – il verbale – pesa solo per meno del 10 per cento rispetto al non verbale e al paraverbale, ovvero rispetto al come questo viene prodotto e trasmesso.

    Un’intuizione che dopo Paul Watzlavick fu approfondita dalle ricerche a livello specificamente massmediologico di Marshal McLuhan, il primo a riflettere organicamente sulla Comunicazione globale: per lui, il medium stesso è il messaggio, perché «il messaggio di un medium o di una tecnologia è il mutamento di proporzioni, di ritmi e di schemi che introduce nei rapporti umani».

    Già nel Settecento il grande filosofo dell’economia liberale Adam Smith distingueva tre diverse tecniche di comunicazione, così come ci riferiscono gli appunti dei suoi studenti del corso Considerazioni sulla formazione delle lingue.

    Smith individuava, infatti, innanzitutto i discorsi narrativi, che esigono oggettività e le argomentazioni didattiche, che spiegano causa ed effetto.

    La terza categoria era secondo l’autore, quella delle esposizioni oratorie, che puntano a suscitare emozioni e riflessioni in chi ascolta.

    Sono soprattutto queste ultime che impegnano i comunicatori professionali, in una gara a rappresentare sempre meglio le emozioni razionali o le razionalità emotive che stanno alla base della comunicazione nella moderna società di massa.

    I meccanismi della relazione interpersonale

    Le possibilità di relazione fra due o più individui sono pressoché infinite e sarebbe opportuno che il comunicatore professionale le conoscesse sempre, al fine di selezionare gli strumenti adeguati rispetto agli obiettivi.

    Vediamo quindi di fissare alcune strutture teoriche generali sulla relazione interpersonale, che saranno utili nel prosieguo del lavoro.

    La relazione interpersonale è il rapporto che si stabilisce fra due soggetti quando entrano tra loro in contatto e quindi in comunicazione.

    Paul Watzlawick distingue due possibili modelli:

    • la relazione simmetrica, dove le persone coinvolte si confrontano su un piano di parità (siamo uguali)

    • e quella di complementarietà, in cui uno dei partecipanti ritiene di occupare una posizione di superiorità o inferiorità nei confronti dell’altro (io sono migliore/peggiore di te).

    La consapevolezza dei soggetti che comunicano si realizza su due livelli distinti: quello razionale e quello emotivo, rispettivamente coinvolti in maggiore o minore misura a seconda del modo in cui si realizza la comunicazione. Su questi due livelli si distribuiscono i bisogni dell’essere umano, generando la percezione di una distanza, di uno squilibrio tra una situazione attuale e una situazione desiderata.

    La Piramide dei bisogni di Maslow

    Lo psicologo americano Abraham Maslow (Motivation and Personality,1954) concepì la cosiddetta piramide dei bisogni (hierarchy of needs) che riconduce alla sfera della consapevolezza emotiva le esigenze di tipo fisiologico (basic physiological needs) – nutrirsi, coprirsi, riposare, conservare la salute del corpo – e quelle relative alla sicurezza (safety and security), mentre al livello della consapevolezza razionale fanno prevalentemente riferimento i bisogni della sfera della socialità e autorealizzazione individuale (belonging and social activity), quelli di autostima e di status sociale (esteem, status), di autorealizzazione (self-realization and fulfilment).

    Sono i cosiddetti bisogni primari e secondari, ovvero una serie di necessità di tipo materiale e spirituale che l’essere umano avverte in progressione crescente, a seconda del grado di sviluppo sociale e psicologico in cui si trova in quel momento della sua vita o dell’epoca storica in cui vive.

    Il comportamento del singolo uomo, quindi, è motivato da questi bisogni, che devono essere soddisfatti in modo progressivo – dal più basso verso il più alto –, secondo il grado di sviluppo individuale e sociale di appartenenza: gli individui risultano motivati ad agire dalla necessità/volontà di soddisfacimento del bisogno, nella forma corrispondente al livello di sviluppo raggiunto.

    Successivi studi hanno criticato il modello di Maslow, in quanto semplificherebbe troppo drasticamente i reali bisogni dell’uomo e il loro livello di importanza e in quanto la dinamica motivazionale verrebbe ritenuta troppo riduttiva e incapace di dare conto della complessità umana. Altre critiche, infine, hanno sottolineato che la successione dei livelli e delle connesse motivazioni non corrisponderebbe alla realtà effettivamente condivisa da tutti gli individui.

    Anche il concetto di motivazione sulla base del bisogno è stato sottoposto a critica, in quanto ritenuto eccessivamente semplicistico nel caso dell’uomo, per il quale possono rivestire il ruolo di potenti leve motivazionali anche fattori connessi ai valori.

    Le basi primarie della comunicazione professionale

    Se dunque l’organizzazione comunica sempre, anche quando non intende farlo, il problema non è se comunicare, ma piuttosto come, quanto, dove comunicare.

    Comunicare in modo intenzionale non è semplice, occorre una capacità altamente professionale, per ben distinguere tra quanto si può, si deve, non si deve fare.

    I principali errori da evitare sono:

    • comunicare solo quando fa comodo;

    • comunicare a intermittenza;

    • comunicare solo in casi d’emergenza;

    • risparmiare sulla comunicazione.

    Sembrerà impossibile, ma quasi tutte le organizzazioni, in particolare le imprese, prima o poi, in parte o completamente, cadono su almeno uno di questi errori, nonostante sia chiarissimo a tutti che, in un mondo e in mercati globali come gli attuali, l’essere dell’organizzazione è il risultato di una sommatoria davvero semplice:

    saper fare + far sapere

    Possedere un know-how è completamente inutile – se non forse a se stessi, alla propria autorealizzazione, al proprio hobby - se non lo si rende noto: non basta cioè saper fare – anche se, come ovvio, è prioritariamente necessario –, ma occorre sempre far conoscere la propria esistenza innanzitutto come organizzazione e poi come risultato produttivo della stessa, in termini di capacità/validità.

    Ma anche l’informazione (far sapere) in sé, statica e non applicata a regole di tipo professionale, non basta.

    La sfida vera, per la comunicazione integrata sta nella necessità di far sapere andando però oltre la semplice erogazione di informazione, che è altra cosa. Vedremo anche che far sapere non è sufficiente, altrimenti basterebbe la pubblicità.

    Comunicazione e informazione

    Ma allora ciò che è indispensabile chiarire in premessa è la differenza sostanziale tra comunicazione e informazione. L’informazioneè il prodotto utilizzato nel processo comunicativo: non vi è informazione senza che essa sia comunicata, poiché solo così essa acquisisce significato.

    La comunicazioneè un processo molto più sofisticato e complesso, in quanto essa mira a conseguire un risultato non solo cognitivo ma anche emozionale e se possibile razionale, misurando l’efficacia del suo operato attraverso il feedback fornito dal destinatario della comunicazione stessa. Perciò, il canale di feedback è una componente essenziale del processo comunicativo:

    Senza feedback non sussiste la comunicazione. (Robertson)

    Se il concetto non fosse ancora chiaro, potremmo ricorrere ad una citazione colta, da Henry Luis Bergson, il filosofo dello slancio vitale. Non a caso un precursore della psicologia, che in comunicazione è un elemento fondamentale:

    La comunicazione avviene quando oltre al messaggio, passa anche un supplemento d’anima

    (Bergson)

    Essenziale è selezionare anche cosa è necessario far sapere, al fine di contribuire significativamente al perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione.

    Su questo punto, le riflessioni di James Grunig, diffuse in Italia da Toni Muzi Falconi, sottolineano che la risposta al quesito cosa occorre far sapere è complessa e passa attraverso l’esplicitazione – da parte dell’organizzazione che comunica – di almeno cinque parametri ben precisi, che costituiscono l’abc della buona comunicazione:

    • la missione (ciò che si è);

    • la visione (ciò che si vuole diventare);

    • i valori-guida (ciò che si vuole affermare);

    • la strategia (il percorso da seguire);

    • il programma e gli strumenti (le modalità d’azione).

    James Grunig, il più moderno teorico delle relazioni pubbliche, sottolinea che il ruolo della comunicazione relazionale consiste nel perseguire l’integrazione dei valori dell’organizzazione con quelli dei pubblici influenti.

    I cinque parametri citati sono dunque il punto di confluenza e transito di qualunque strategia operativa di comunicazione. I primi tre focalizzano la filosofia di fondo dell’organizzazione, i due successivi le danno compiuta realizzazione.

    Tutte le organizzazioni, anche le più piccole, esistono in quanto chiamate-a-far-sapere l’insieme complesso e al tempo stesso essenziale di questi presupposti di base.

    E soprattutto deve essere chiaro a questo punto che comunicare non è un se ma un come, quando, quanto. La comunicazione è ad esempio un elemento dell’azione imprenditoriale, e un vero imprenditore non si chiede, ovvero non deve chiedersi se, ma come-quando-quanto comunicare.

    Spetta solo all’imprenditore (ovvero alla coalizione dominante all’interno dell’impresa-organizzazione) stabilire gli obiettivi, che appartengono alle sue strategie, ma occorre poi un supporto specialistico qualificato per definire, con il comunicatore professionale, il percorso da seguire in termini di creatività, strumenti, budget, pianificazione temporale delle risorse.

    Oggetto del comunicare è anche il suo fine

    Ognuna delle singole organizzazioni chiamate a comunicare, dovrà considerare che l’oggetto dell’azione di comunicazione è contemporaneamente anche il suo fine.

    Ad esempio in generale:

    • nella comunicazione commerciale risulta prevalente l’intento di creare un rapporto fra il pubblico e un prodotto o un servizio;

    • al centro della comunicazione sociale si situa lo stimolo al cambiamento di una convinzione o un comportamento;

    • con la comunicazione politica si persegue lo sforzo verso la formazione, il mantenimento o il consolidamento di un’idea, cioè di un progetto.

    Le finalità – non mai generiche ma comunque generali – non vanno comunque confuse con gli obiettivi, sempre specifici e misurabili: se non lo sono, infatti, non sono obiettivi veri e seri. Un obiettivo di comunicazione, deve essere sempre formulato secondo parametri che corrispondano ad adeguate unità di misura.

    CAPITOLO II

    La comunicazione integrata, cosa è

    Riprendendo il filo del ragionamento fatto sulla pluralità degli strumenti della comunicazione moderna, vediamo dunque di chiarire un punto che in premessa diventa fondamentale per capire e avere corretti strumenti interpretativi: le caratteristiche e la natura della cosiddetta comunicazione integrata.

    Secondo il massimo interprete contemporaneo del marketing, Philip Kotler, il dato caratterizzante della comunicazione integrata è il valore aggiunto di un piano globale e coerente che valorizza di fatto il ruolo strategico di un insieme di discipline della comunicazione e le mette insieme a fini di chiarezza, coerenza e massimizzazione dell’impatto attraverso la continua integrazione dei messaggi (Kotler, Keller, Il marketing nel nuovo millennio").

    Secondo il più classico e autorevole degli studiosi italiani di marketing, GianPaolo Fabris (si veda Societing, edizioni Egea), la comunicazione integrata supera quello che è un vero e proprio equivoco, e cioè che la pubblicità rappresenti il mezzo e non un mezzo, attraverso il quale la comunicazione si esprime, quasi fosse la sola forma di comunicazione autentica e legittimata.

    Così non è, e se lo fosse, ribadisce Fabris, sarebbe un’interpretazione monca e riduttiva di cosa significhi comunicare.

    La comunicazione sia d’impresa che non, si configura quindi quale comunicazione integrata in quanto frutto dell’azione coordinata e del concorso di diverse discipline comunicazionali, ciascuna con specifiche caratteristiche, al fine di generare sinergie comunicazionali in grado di raggiungere il risultato più efficace con il miglior rapporto fra costi e benefici".

    Alla base di tale integrazione sta la capacità del comunicatore di saper leggere i possibili risvolti e le ricadute comunicative anche delle attività dell’impresa/istituzione non specificamente rivolte alla comunicazione, e di saper coniugare queste attività con gli strumenti classici della comunicazione stessa.

    Fare comunicazione integrata, quindi, significa individuare ed applicare un’unica strategia complessiva di comunicazione alla cui realizzazione concorrano tutti gli strumenti disponibili, in modo che i risultati di ciascuna azione possano riflettersi positivamente sulle altre e sul risultato finale complessivo, nel perseguimento di obiettivi espliciti e condivisi.

    Due aspetti, nell’ambito di questa definizione, è bene mettere chiaramente in primo piano.

    Innanzitutto il significato stesso dell’aggettivo integrata. Esso non indica che si deve aggiungere qualche ulteriore apporto alla comunicazione di base, ma che integrata va

    intesa come completata.

    La comunicazione, insomma, nel perseguimento dei suoi fini, non deve perdere la spinta che viene da ciascuno degli ingredienti che sono stati utilizzati. Nessuno escluso.

    La seconda considerazione riguarda l’aspetto decisionale e la regia. Tra le varie discipline messe in gioco ce n’è una che prevale sulle altre? Chi guida il piano di comunicazione? Questo è un punto delicatissimo, che talvolta ha a che fare con la distribuzione stessa del potere interno di una organizzazione.

    Tendenzialmente avrà più ruolo e più potere chi maneggia maggiori risorse economiche, e questo significa – all’interno di un’azienda – chi governa i budget della pubblicità, che sono per definizione più corposi, in quanto capital intensive.

    Ma non è detto che questa sia sempre la soluzione ideale.

    Il direttore d’orchestra ha il compito di perseguire l’armonia e la sintesi.

    In un’azienda, può essere un soggetto esterno, purchè in stretto collegamento con la coalizione dominante dell’organizzazione (cioè il manager apicale e i suoi stretti collaboratori), così come può essere uno degli attori specialistici della comunicazione integrata: Il professionista che gestisce la pubblicità, o quello che organizza le relazioni pubbliche, o quello che dirige la realizzazione di un evento.

    Dipende, dalla qualità dell’obiettivo, la prevalenza di uno degli strumenti sugli altri. Ma sempre il risultato deve essere armonico.

    Più in generale, del resto, le funzioni aziendali conoscono ciclicamente fasi molto diverse.

    Vi è stato un periodo in cui la funzione-personale è stata la funzione-chiave nel vertice della coalizione dominante; ciò corrisponde generalmente a fasi espansive importanti in cui il fattore umano è determinante nella competizione di mercato.

    In altre fasi, è stata molto importante (e dunque molto ben remunerata sia in termini retributivi che di potere) la funzione finanziario-amministrativa, in corrispondenza con crisi esterne che esaltano la capacità di allocazione della risorsa denaro.

    I capi azienda di queste fasi di crisi sono in genere di estrazione amministrativa, e selezionati per la capacità di ottimizzare la risorsa denaro.

    In altre fasi, con l’accentuarsi della concorrenzialità a livello globale, stressata dalla crisi economica, è cresciuta la funzione comunicazione e marketing, che ha scalato la gerarchia aziendale, ponendosi a fianco del capo azienda per influire sugli investimenti da scegliere.

    Nei rapporti interni di potere, questi cambiamenti sono stati occasione di scontro, di riequilibrio, di riassetto, talvolta occasione di crescita, talaltra, viceversa, addirittura di paralisi.

    Il problema comunque esiste, e non è di facile soluzione. Ma come si misura il potere all’interno di un’organizzazione? Di norma su fattori economici e di allocazione delle risorse finanziarie e umane.

    La pubblicità, ad esempio, ha un peso d’investimento anche 100 volte superiore a quello delle relazioni pubbliche. Il marketing, a sua volta, è il luogo in cui si tende tradizionalmente a misurare il successo o l’insuccesso della produzione (vendere o non vendere fa la differenza decisiva…).

    Storicamente, marketing e pubblicità sono stati al vertice delle priorità – e quindi delle disponibilità di risorse da usare - al centro cioè dell’attenzione del management, soprattutto nelle aziende di beni di largo consumo.

    Questa situazione, però, oggi sta cambiando, sia perché il mondo globale ha rivisto molte priorità, sia perché sono emerse aspre necessità di riduzione dei costi o anche semplicemente perché in questi spazi c’era una potenziale maggiore possibilità di tagliare budget consistenti.

    Già nel 2000 il libro dei coniugi Ries (The fall of advertising ad the rise of PR Harper Business Nev York, 2000), ragionava su questi tagli, anche in termini di ruolo, trasferendo ad attività di comunicazione meno capital intensive il compito strategico di influire sul mercato.

    La partita è comunque ancora tutta da vedere, e alcuni osservatori sostengono che un ciclo come quello della crisi economico-finanziaria apertasi nel secondo semestre 2008 dovrebbe aprire la strada, anche nei paesi più lenti a recepire le novità, ad una svolta verso una comunicazione integrata con un mix meno condizionato dalla pubblicità e la netta ascesa delle relazioni pubbliche.

    Di quest’ultime è stata riconosciuta nel periodo 2007/2016 la capacità anticiclicica, cioè la capacità di fronteggiare i tagli di budget della pubblicità riconvertendosi ad un maggiore uso di attività non capital intensive.

    Orchestrazione e convergenza

    Tutto questo introduce più direttamente al concetto di orchestrazione, che è la sostanza di fondo della comunicazione integrata cui corrisponde per analogia, nel campo degli strumenti tecnologici della comunicazione, quello di convergenza,cioè della possibilità di concentrare in unico strumento di comunicazione l’efficacia delle diverse proposte tecnologiche disponibili, esaltando le capacità multitasking degli operatori anche meno esperti.

    L’orchestrazione è in concreto il dosaggio reciproco delle diverse componenti specialistiche attivate per costruire un efficace progetto di comunicazione. L’utilizzo plurimo e congiunto degli strumenti disponibili, ha modificato le strategie di investimento tradizionali: ad esempio, il maggior investitore pubblicitario del mondo, Procter&Gamble, nel 1995 spendeva l’89% del budget in tv, e il 7% in RP: 15 anni dopo, l’investimento nel medium televisivo era sceso abbondantemente sotto il 50%.

    Sono situazioni rare, molto rare, quelle in cui un canale tv riesce ad assumere un ruolo totalizzante, come se i televisori avessero un solo canale: quando lo avevano davvero, agli albori della TV in Italia, non c’era alternativa possibile e allora si l’efficacia del mezzo era totale! E non dimentichiamo che oggi il consumo televisivo è fortemente in calo, con trasformazioni qualitative in linea con la composizione demografica del Paese.

    Al contrario, gestendo un’abile orchestrazione sopra e sotto la linea della visibilità immediata, si possono oggi ottimizzare gli investimenti e i risultati, e si riesce a generare un miglior rapporto costi-benefici con effetti oltretutto più duraturi, perché quando si scende sotto la linea della visibilità si entra più nel profondo della coscienza e conoscenza generale.

    Il risultato che si attende dall’integrazione è l’immagine corporate, che è, appunto, l’esito concreto del lavoro di comunicazione integrata. Si tratta, sottolineiamo, di un risultato concreto, non transitorio, fondamentale per l’efficacia comunicazionale complessiva: l’immagine corporate è infatti la percezione razionale stabile dell’organizzazione da parte dei suoi pubblici.

    Essa determina una progressiva relazione di percezione identitaria e di reputazione con tutti i pubblici di riferimento, in modo coerente e coordinato, in linea con quanto l’organizzazione stessa ritiene di essere (mission) e voler essere (vision).

    Essa, quindi, segna un’analogia con i valori di marca, che sono al centro dell’impostazione pubblicitaria, anzi di fatto con essi metodologicamente si identifica: anche questi, infatti, sono il risultato delle azioni che nel tempo si possono e si vogliono fare per dare identità al prodotto, e all’organizzazione che lo ha creato.

    Il percorso verso questo obiettivo è fatto di passi avanti ma anche passi indietro, di faticose conquiste in termini - non solo, o non tanto - di visibilità ma anzitutto di credibilità, sempre pericolosamente a rischio.

    In termini di comunicazione integrata, è possibile ottimizzare gli obiettivi dei diversi soggetti, ciascuno dei quali ha le sue specificità da salvaguardare.

    Per comprendere cosa questo significhi, si possono fare tre esempi:

    - Negli ambiti della Pubblica amministrazione: contribuire sostanzialmente a garantire obiettivi di interesse generale secondo principi di rispetto dell’economicità: tocca alla comunicazione il non facile compito di evidenziare la corrispondenza tra efficacia ed equità.

    - Nell’ambito dell’impresa, occorre mostrare che il profitto può essere garantito nel rispetto delle compatibilità generali, evidenziando quindi la rilevanza e soprattutto la riuscita dell’equazione tra interessi dei singoli privati e quelli pubblici.

    - Nelle organizzazioni di altro genere, non legate al profitto o all’interesse generale, si deve garantire capacità di attrazione, coinvolgimento e adesione del pubblico di riferimento agli interessi promossi dall’organizzazione stessa, in genere sociali, evidenziando la corrispondenza e la convenienza della partecipazione agli obiettivi.

    Si tratta di tre esempi, tre tipologie, molto utili ad indicare anche quella che è la sostanza quotidiana effettiva del lavoro della comunicazione integrata. In tutti i casi, infatti, si tratta di lavorare più sui profili di qualità della mission dell’emittente e molto di meno sulla quantità delle issues.

    Nella comunicazione moderna, caratterizzata dalla maturazione progressiva dei destinatari, ciò che conta è dunque sempre più la qualità delle relazioni con i diversi pubblici.

    Naturalmente, parlare di integrazione significa anche parlare di un rischio: quello della sovrapposizione di diverse esigenze.

    Le 4 C di Kotler e le due R di McKarty

    La presenza di una disciplina-guida, ovvero di una disciplina che viene riconosciuta strategicamente prevalente rispetto alle altre, per il conseguimento dello specifico obiettivo, costituisce la chiave per risolvere in positivo i problemi di competizione tra RP, pubblicità e altre discipline. La scelta dovrà essere in qualche modo asettica, perché dipendente non da conflitti di potere aziendale ma dalle reali condizioni suggerite dalla singola situazione. Certo, occorre capacità di coordinamento e soprattutto è necessario che vi sia un professionista cui venga delegato il potere decisionale di tale coordinamento, da parte della coalizione dominante, se non è proprio quest’ultima nel suo insieme a rivendicarlo collegialmente per sè.

    Philip Kotler, proprio il guru del marketing mondiale contemporaneo, riprendendo in questo un’intuizione precedente di Jerome McCarthy, già molto tempo prima dei Ries (vedi testo citato sul tramonto finale della pubblicità), aveva fatto uscire l’insieme del below the line dal ghetto di semplice supporto alla promozione nel quale gli anni ruggenti del marketing lo avevano relegato.

    L’intuizione di Kotler, infatti, è stata quella di affiancare alle 4 P del venditore, già individuate da MacCarthy, le 2 R che marcano il ruolo essenziale delle relazioni pubbliche. Ovvero accanto a Prodotto, Prezzo,Place (sistema distributivo), e Promozione, devono emergere in modo decisivo le Relazioni Istituzionali e appunto le Relazioni Pubbliche.

    Kotler ha in realtà con questo anticipato con chiarezza un dato di fatto fondamentale: la prevalenza degli stakeholders, che giocano un ruolo decisivo nell’ambito reputazionale.

    Vedremo tra poco la centralità del ruolo degli stakeholders nella comunicazione integrata, ma ora occorre sottolineare che – nell’evoluzione della comunicazione – vi è stato un momento culturalmente rivoluzionario: quello in cui l’obiettivo fondamentale non è stato più solo vendere ma anche vendersi, poiché questi sono due segmenti che compongono in definitiva un unico dover essere:

    Venderecomporta la necessità di contribuire a collocare sul mercato il prodotto, sia materiale che immateriale, innanzitutto facendolo conoscere, in un contesto di regole competitivo e concorrenziale.

    Vendersi (= relazionarsi)comporta a sua volta la necessità che, in vista dell’obiettivo finale (anche quando resta comunque quello di vendere) o di specifici obiettivi intermedi o collaterali, l’impresa deve entrare in rapporto profondo con pubblici molto diversi che sono tutti rilevanti per il raggiungimento degli scopi aziendali e quindi vanno debitamente considerati ed ascoltati.

    Si tratta di una vera e propria rivoluzione, in quanto anche le imprese che realizzano quasi esclusivamente comunicazione di prodotto, non possono più trascurare l’importanza della comunicazione reputazionale dell’impresa nella società. La reputazione ha davvero assunto in concreto un’importanza crescente, talvolta determinante in un quadro concorrenziale. Se dunque la comunicazione di prodotto viene affrontata e risolta prevalentemente con tecniche di advertising, cioè con le attività above, la seconda richiede un attento uso degli strumenti below, prime fra tutte, appunto, le relazioni pubbliche.

    Di qui si può anche compiere un passaggio ulteriore, che ha il pregio di preparare meglio a costruire le logiche della comunicazione integrata: se, infatti, vendere e vendersi diventano le due facce della stessa medaglia, pubblicità ed RP non sono più da concepire in termini alternativi ma piuttosto come sostanziali e complementari alleati nel conseguimento degli obiettivi strategici. Alla luce di questo, si può affermare che la pubblicità e le relazioni pubbliche sono strumenti strategici, insieme rilevanti ed efficaci a tal punto da influire sul destino stesso dell’organizzazione.

    Numerosi altri strumenti di comunicazione svolgono invece il ruolo tattico, ovvero sono utilizzati per svolgere un’importante, spesso determinante, azione di appoggio a quelli strategici, per raggiungere specifici obiettivi di carattere particolare. Essi sono – per citarne alcuni - le sponsorizzazioni, le promozioni, il direct marketing - ovvero quei segmenti operativi della comunicazione che volta a volta, come vedremo appartengono all’uno o all’altro dei pilastri della comunicazione integrata.

    Ne parleremo più avanti.

    Sopra e sotto la linea della visibilità

    Giunti a questo punto è forse necessaria una distinzione se si vuole molto scolastica, e che va comunque ricordata anche se in parte superata dallo sviluppo della stessa comunicazione integrata: quella tra le attività che stanno sopra o sotto la linea della visibilità.

    E’ un punto molto importante per capire meglio il senso stesso della comunicazione integrata, che alla fine assorbe e supera

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