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Il killer e la sirena
Il killer e la sirena
Il killer e la sirena
E-book160 pagine2 ore

Il killer e la sirena

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Fantasy - romanzo (117 pagine) - Non credeva a nulla, poi ha scoperto le favole...


Un killer professionista viene ingaggiato per uccidere una donna che scopre essere una sirena. Incantato dal suo sguardo, abbassa la pistola e diventa paladino di tutte le creature fantastiche. Pare infatti che ci sia un club di ricchi uomini d’affari disposti a pagare somme ingenti pur di mangiare tartare di centauro, sformato d’elfo o spezzatino di fata. Ma la portata più ambita, quella che Antoine Beluga, il più grande chef di tutti i tempi, vuole cucinare a ogni costo, è l’unicorno. Riuscirà l’ex killer a salvare il leggendario animale e, con lui, l’innocenza del genere umano?

Tra boschi scandinavi e cucine infernali, tra reality show gastronomici e laboratori da scienziato pazzo, l’avventura di un uomo che non credeva in nulla e per salvarsi ha deciso di credere alle favole.


Alberto Grandi è nato a Milano dove si è laureato in Lettere Moderne all’Università Statale. Giornalista professionista, ha collaborato con numerose testate come Vanity Faire, GQ e Jack scrivendo di nuove tecnologie, videogiochi e letteratura, con particolare riguardo alle nuove forme narrative online e ai fenomeni del self publishing e delle writing community.

Nel 2014 ha fondato Pennematte, un social network per autori e lettori della rete che organizza concorsi di racconti di genere prevalentemente fantasy e sci-fi e pubblica news sulla passione di scrivere e l’attualità letteraria. Dal 2009 è redattore fisso per Wired Italia dove si occupa, tra le altre cose, della sezione “Idee” del sito in cui sono raccolti gli editoriali riguardanti i fatti del giorno.

Per Delos Digital ha già pubblicato il romanzo L’odissea di Timoteo.

LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788825412093
Il killer e la sirena

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    Anteprima del libro

    Il killer e la sirena - Alberto Grandi

    Personaggi

    In questa storia incontrerete:

    Un killer pentito

    Una sirena che gioca sporco fissandoti con enormi occhi blu mare

    Una tartaruga che gestisce una libreria

    Una donna che sembra una mucca

    Una donna che sembra un ragno

    Un uomo che sembra un serpente e incanta fachiri

    Un uomo che sembra un anfibio

    Odino

    Thor

    Un elfo in cerca di uno smartphone

    Uno chef che organizza cene a base di animali fantastici

    Un bianco unicorno, anzi, il bianco unicorno visto che ce n’è solo uno

    1

    Uno sparo è un viaggio di sola andata.

    Questa è una regola che un killer professionista farà bene ad apprendere fin da subito. Una volta che premi il grilletto, la realtà imbocca una direzione che non conosce deviazioni soprattutto quando viaggia a mille chilometri orari.

    Uccidere è un’azione senza rimedio. Rapida, semplice e ineluttabile. Se pensate che non faccia per voi, il mio consiglio è di trovare un altro mestiere per portare a casa il pane.

    Io non ho mai avuto problemi a premere il grilletto fino tre anni fa, una mattina di cielo grigio che minacciava pioggia.

    Mi trovavo in una località di mare. Qualcuno mi aveva pagato perché andassi a uccidere una persona.

    – Di chi si tratta? – avevo domandato al telefono.

    – Una donna – aveva detto il mio committente. – È un lavoro facile. Si trova legata in una vecchia cabina, nei pressi di una spiaggia abbandonata.

    – È legata?

    – Sì, tutto quello che devi fare è entrare e spararle.

    – E il cadavere?

    – Lo lascerai dov’è. Penseremo noi a disfarcene.

    Il lavoro era anomalo. Di solito venivo incaricato per compiti ben più impegnativi che ammazzare una donna legata e indifesa, tuttavia avevo accettato. Mi era stato versato un buon anticipo.

    Il mio committente mi aveva inviato le coordinate per raggiungere il luogo dove si trovava la vittima.

    Come anticipato, si trattava di una spiaggia separata dalla strada da una recinzione malmessa. Non era stato difficile oltrepassarla. Mi ero tolto le scarpe e avevo camminato a piedi scalzi sulla sabbia resa porosa dall’umidità.

    Era tutto molto strano.

    Avevo sollevato lo sguardo: il sole non si vedeva e il cielo sembrava cosparso di pezzi di ferro arrugginito. Avevo individuato una barca in lontananza, e qualche metro più in là, una catapecchia di assi di legno marcio.

    Avevo infilato la mano sotto la giacca per estrarre la pistola. Cautamente mi ero avvicinato alla catapecchia, mi ero rimesso le scarpe ai piedi, poi avevo scostato la porta che aveva cigolato come succede nei pessimi film dell’orrore. Avevo buttato lo sguardo oltre la soglia, con la pistola puntata, e avevo riconosciuto una forma umana all’interno. Per fare entrare più luce avevo spalancato la porta e allora avevo visto una ragazza legata a una sedia, con un calzino infilato in bocca, assicurato da una striscia di nastro adesivo.

    La ragazza avrà avuto vent’anni, non di più. Aveva i capelli biondi e sporchi, la pelle pallida e occhi che risplendevano come gemme. Indossava una maglietta bianca e sporca e, sotto, una minigonna di jeans.

    Era lì, sola, legata, impaurita e io non dovevo fare altro che spararle.

    Mi erano stati versati cinquantamila euro su un conto corrente estero perché premessi il grilletto e me ne sarebbero stati versati altrettanti una volta che lo avessi premuto.

    Non mi ero mai trovato tra le mani un lavoro più semplice di quello, ma non appena avevo incrociato gli occhi di quella bionda, avevo capito che sarebbe stato difficile.

    Quegli occhi, ancora oggi, a distanza di tempo, non saprei dire quale effetto ebbero su di me.

    Mi ero sforzato di ignorarli. Avevo sollevato la pistola e mirato alla fronte.

    La ragazza mi fissava piena di paura, col petto che ansimava, il seno, sotto le corde che la assicuravano alla sedia, che saliva e scendeva, saliva e scendeva…

    Fallo e basta mi ero detto.

    Di solito mi bastava pensarlo una volta per premere il grilletto. Quel giorno non era stato sufficiente.

    Fallo e basta mi ero ripetuto.

    Ma il mio indice destro non voleva saperne di piegarsi.

    Fallo e… ma, vaffanculo!

    Ero uscito dalla cabina per prendere un po’ d’aria e schiarirmi le idee.

    Mi ero seduto sulla sabbia a gambe incrociate. Avevo guardato il mare. Quel giorno era grigio, sembrava un’immensa pozzanghera. Non c’erano barche e il sole spioveva giù debolmente, simile ai drappi di un velo sporco.

    Avevo guardato la mano destra che stringeva la pistola accorgendomi che tremava.

    Non era mai capitato. Quando impugnavo una pistola, la mano diventava ferma come la pietra. L’unico movimento era quello della falange dell’indice destro che premeva il grilletto. Quel giorno, a eccezione dell’indice, tutta la mano tremava come una gelatina.

    Perché?

    Di scatto mi ero alzato, ero rientrato nella catapecchia e, nuovamente, la bionda mi aveva rivolto i suoi occhioni colmi di paura. Avevo posato la pistola su un ripiano e, con un colpo secco, le avevo strappato il nastro adesivo dalla faccia per cavarle di bocca il calzino, dopodiché le avevo posto una domanda che un serial killer non dovrebbe mai porre alla sua vittima:

    – Perché?

    – Co… cosa? – aveva domandato la bionda.

    – Perché ti vogliono uccidere? Chi sei?

    La bionda mi aveva fissato immobile alcuni secondi, sempre con quegli occhi che parevano un abisso chiaro, un fondale diamantato, poi aveva risposto: – Perché vengo dall’abisso.

    – Tu… cosa?

    La bionda aveva deglutito e si era passata la punta della lingua sulle labbra secche.

    – Non sono di questo mondo. Io vengo dal mare. Sono… una sirena.

    Disorientato da quelle parole, avevo lo sguardo per controllare se per caso la ragazza aveva una coda di pesce al posto delle gambe, ma no, dalla minigonna di jeans spuntava un paio di gambe regolare, tra l’altro bello.

    – Mi vuoi prendere per il culo?

    La bionda aveva scosso la testa. – No, ti giuro! Sono una sirena e vivo nell’abisso del mare.

    – Se sei una sirena com’è che hai due gambe anziché una coda di pesce?

    Lei aveva indicato un punto alle mie spalle. – Quel secchio, riempilo d’acqua di mare e poi bagnami le gambe e scoprirai che ciò che dico è la verità.

    Mi ero voltato e avevo fissato un secchio arrugginito, buttato a un angolo della cabina insieme a una scopa.

    – Che succederà alle tue gambe una volta che le avrò bagnate con l’acqua di mare? – Ero tornato a fissare la bionda.

    Lei aveva risposto: – Tu fallo e capirai.

    Avevo sospirato. Una parte di me, sicuramente la più ragionevole, mi diceva che avevo perso fin troppo tempo, che ero un professionista e dovevo comportarmi come tale; un’altra parte, quella che subiva la magia di quegli occhi azzurri, mi diceva invece di fare come la bionda aveva detto.

    Avevo afferrato il secchio ed ero uscito dalla cabina. Ero corso verso la riva, mi ero arrotolato i pantaloni perché non mi bagnassi, mi ero immerso in acqua fino alle ginocchia e avevo affondato il secchio nella schiuma di un’onda. Ero ritornato alla cabina col secchio pieno.

    La bionda aveva detto: – Apri del tutto la porta.

    – E perché?

    – Perché così vedrai chiaramente ciò che succede una volta che mi avrai bagnato le gambe.

    Avevo sospirato un’altra volta. Sentendomi ridicolo, avevo spalancato la porta di modo che la luce dialogasse in ogni anfratto di quella lurida catapecchia, poi, senza troppo riguardo, avevo gettato l’acqua sulle gambe della bionda fino a bagnarle anche la gonna.

    Quel che era accaduto in seguito, mi aveva lasciato senza parole.

    La pelle pallida delle gambe aveva cominciato a cambiare colore, a diventare d’un verde ramato e poi a incresparsi fino a suddividersi in piccole squame, le gambe si erano incollate in un solo arto al termine del quale anche il piede aveva mutato in una grossa pinna.

    – Ecco, vedi? – aveva detto la bionda. – Sono una sirena. All’asciutto sono come un essere umano, ma basta bagnarmi con un po’ d’acqua, che la mia natura ritorna.

    L’avevo fissata incredulo. Anche il suo aspetto, come dire, dal pube in sù era mutato, per quanto non in modo così decisivo. La pelle si era fatta più luminosa, i capelli ancora più biondi e gli occhi ora sembravano risplendere di una luce divina.

    – Io non ci credo! – avevo balbettato.

    – Sono una sirena! – aveva ripetuto la bionda, sbattendo la pinna contro le assi del pavimento come a essere più convincente. – Lo so che per un uomo di superficie è difficile accettarlo, ma le cose stanno così.

    Ero tornato a fissare la coda d’un verde smeraldo, lucida, flessuosa. Avevo strizzato le palpebre un paio di volte. Poi, mi ero ripreso e avevo domandato: – Ok, sei una sirena, ti credo. Ora spiegami perché ti vogliono ammazzare.

    – Hai mai sentito parlare del Club dei divoratori folli?

    – Club di cosa…?

    – Dei divoratori folli. È un club di personaggi loschi ma molto ricchi, per lo più politici, imprenditori e uomini di potere che ogni tanto si riuniscono in luoghi segreti per consumare cene a base di animali fantastici, cioè, fantastici per la gente comune, ma che in realtà esistono per davvero.

    – Sul serio esiste un Club del genere? – avevo domandato.

    La sirena – ora non avevo più dubbi che la bionda fosse tale – aveva annuito. – È un club segretissimo di cui faranno parte al massimo una ventina di persone. Le cene vengono organizzate quando è stato catturato un esemplare raro, una creatura che, per la maggioranza delle persone, esiste solo nei romanzi o nei film fantasy. L’ultima cena era stata servita tagliando e cucinando i pezzi di un centauro.

    Per poco non mi era caduta la mascella a terra. – Un centauro?

    – Esatto – aveva confermato la sirena. – Uno dei pochi che ancora vivono, nascosti presso il monte Parnaso in Grecia. Il poveretto è stato catturato, ucciso, macellato e infine servito in un’infinità di modi per i membri del Club dei divoratori folli.

    – E quale razza di chef lo ha cucinato?

    – Uno chef pluristellato, molto celebre, si chiama Antoine Beluga, è probabile che tu lo conosca.

    Certo che lo conoscevo! Tutto il mondo conosceva Antoine Beluga, il cosiddetto chef del secolo, un italo-francese che aveva più stelle Michelin di una bandiera americana, presenza fissa dei salotti televisivi, autore di ricettari divenuti best seller mondiali e co-proprietario di una catena di ristorazione sparsa in tutto il mondo, la Beluga Experience.

    – Beluga ha cucinato un centauro? – Non ci credevo

    – E non solo – aveva detto la sirena. – Quel porco ha ammazzato, macellato e servito un’infinità di altre creature rarissime, incluse un folletto.

    – Un… un folletto?

    La sirena aveva annuito. – E ora vuole cucinare me, per questo ti ha mandato qui ad ammazzarti.

    – Ma perché

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