Oltre
Di Luisa Pivato
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Anteprima del libro
Oltre - Luisa Pivato
Luisa Pivato
Oltre
Copyright© 2020 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via dei Casai, 6 – 38123 Trento
www.edizionidelfaro.it
info@edizionidelfaro.it
Prima edizione digitale: aprile 2020
ISBN 978-88-6537-653-9 (Print)
ISBN 978-88-5512-890-2 (ePub)
ISBN 978-88-5512-891-9 (mobi)
In copertina: Cielo, Tombolato Giulia
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Il libro
Che cos’è l’amore? Tutti si sono fatti questa domanda almeno una volta nella vita. Il protagonista di questo romanzo scoprirà nel corso della sua esistenza tutte le sfaccettature di questo sentimento e come spesso gli uomini usino questa emozione in modo inappropriato. A volte, però la realtà riserva sorprese inaspettate. È proprio il caso del nostro personaggio, quando dopo una scorribanda a cavallo scoprirà una dimensione nuova e inaspettata e da quell’avventura imparerà ad amare pienamente. Il suo percorso spirituale lo condurrà a vivere l’amore oltre
se stesso e solo in funzione della felicità altrui.
L’autrice
Luisa Pivato è nata a Cittadella, in provincia di Padova. Nel 2003 consegue il Diploma Universitario in Vigilanza Scolastica per le Scuole Elementari. Nel 2011 partecipa al Corso di Perfezionamento come Formatore Esperto per le Competenze di Scrittura e nel 2014 come Tutor dell’Apprendimento. Insegnate di scuola primaria, ha sempre coltivato la passione per la scrittura scrivendo racconti con e per i suoi alunni. Pubblica il suo primo libro Piedi Scalzi
nel 2015. Oltre
è la sua seconda pubblicazione.
Alle mie figlie Mara e Giulia
con la speranza che la vita
offra loro l’opportunità
di poter guardare sempre oltre.
Oltre
La mia valle
Dall’alto della rupe dominavo tutta la vallata. Ero solito cavalcare fin qui ogniqualvolta mi accingevo a compiere qualcosa di importante. Questo luogo mi permetteva di ricordare tutta la mia vita. Baciato dalla brezza assaporavo il panorama e gustavo i miei possedimenti. Dinnanzi si snodava una vallata orientata a sud baciata dal sole, difesa dai venti da un’alta catena di monti. Nella stagione invernale quelle vette proteggevano la valle dal freddo intenso che scendeva da nord. Le sue pendici erano ricoperte in parte da boschi, il fondo valle, invece, era un alternarsi di campi dalle prospere messi, olivi, alberi carichi di frutti, ogni ben di Dio offriva quella terra da secoli ai suoi abitanti. Il fiume si snodava a fondo valle come un nastro d’argento e il pescato era abbondante, tutti prosperavano. Dall’altra parte della valle si ergeva custode l’antico castello che era stato la dimora dei miei antenati. Il maniero si specchiava sul lago sottostante riflettendo la sua immagine e mostrando così la sua maestosità. Ero orgoglioso di quello che vedevo: era la mia valle, ne ero il signore indiscusso fin da quando da bambino cavalcavo a fianco del falconiere e dietro a mio padre, il Re.
Ricordo come spesso i suoi occhi di ghiaccio sferzavano i miei quando non mi ergevo correttamente sul dorso del destriero. Era suo volere che cavalcassi fin in tenera età un cavallo e non un pony come invece facevano tutti i miei amici. Mia madre, silente, non si opponeva ai suoi ordini, ma faceva in modo che partecipassi il meno possibile alle battute di caccia e alle lunghe escursioni in mezzo ai boschi. Aveva paura che il cavallo si impennasse e potessi cadere, ero l’unico erede maschio, non doveva accadermi nulla. Ma mentre mia madre ostentava tutto il suo disappunto, mio padre spronava il cavallo anche su terreni impervi affinché riuscissi a dominare la bestia in qualsiasi situazione, anche in battaglie future. Ero orgoglioso della fiducia concessami da lui, mi sentivo grande malgrado i miei piedi non arrivassero ancora alle staffe. Così sfidando la sorte, spronavo il destriero e lasciavo le briglie allargando le braccia, il vento mi oltrepassava le vesti e io mi sentivo finalmente libero. A volte quando il terreno era pianeggiante arcuavo indietro anche la testa e mi facevo accarezzare dall’aria. Ero accorto nel concedermi questi momenti di libertà, non volevo essere visto dal resto delle truppe che ci scortavano e così rimanevo sempre alla fine del gruppo per potermi gustare fino in fondo le mie bravate. Ma dietro di me, a mia insaputa c’era sempre una guardia, la più fidata che vegliava in silenzio e garantiva la mia incolumità. All’epoca però non sapevo di essere scortato a vista da quest’uomo che si muoveva nell’ombra.
Le cavalcate con il re mio padre erano senza sosta. Diventando più abile le nostre scorribande si protraevano per tempi sempre più lunghi. Si cavalcava nel bosco alla caccia di daini, cervi e volpi, se, però, si cacciavano gli orsi, mi lasciavano alle scuderie e malgrado fossi il principe mi obbligavano a strigliare i cavalli assieme allo stalliere. Potevo rincasare solo al ritorno di mio padre e non prima. A volte quando si scorrazzava per i boschi alcuni si allontanavano assieme a mio padre e si ricongiungevano a noi solo quando si era già sulla via del ritorno.
A quel tempo non potevo sapere di essere il signore anche di un altro regno, non visibile agli occhi di un ragazzo. Fin dalla notte dei tempi oltre il fitto bosco un altro reame mi apparteneva. Ero il custode e l’accesso non mi sarebbe mai stato negato. Solo a chi nelle vene scorreva sangue reale poteva accedervi, quel luogo era abitato da creature che con gli uomini non avevano nulla da condividere. Ricordo ancora come durante una cavalcata sfrenata ne venni a conoscenza. Il destriero spronato al massimo delle sue forze fendeva le fronde del bosco, come fruste indomite colpivano di tanto in tanto il mio corpo aggrappato alla criniera dell’animale. L’adrenalina a mille mi costringeva a stringere le ginocchia sulla schiena della bestia con tutta la forza che avevo perché avevo paura di cadere a terra, ma l’ebrezza di quella corsa era paradisiaca, la povera bestia ansimava per la fatica e il sudore acre cominciava a ricoprire il dorso bagnandomi i pantaloni. Poi all’improvviso il bosco si diradò e mi trovai di fronte a un prato di un verde intenso ricoperto di narcisi. Si riducevano in prossimità del muro di cinta che si ergeva di fronte a me. L’animale rallentando la sua corsa, nitriva come non lo avevo mai sentito fare, sembrava impaurito ma non lo era, cercavo di spronarlo per avvicinarsi a quel muro ma non mi ubbidiva. Mi ricordo che all’epoca ero poco più di un bambino e quello non era il mio cavallo ma quello di mio padre. Non conoscevo l’animale e non capivo il suo nitrito insistente. Così decisi di ritornare al castello. Quella volta mi andò bene, riuscii a riportare l’animale alle scuderie, nessuno si accorse di nulla, solo lo stalliere mi vide, ero sicuro del suo silenzio, non avrebbe mai alzato gli occhi in presenza del re, tantomeno gli avrebbe parlato: non gli era concesso.
Ma la curiosità di un bambino non conosce ostacoli e sapevo che prima o poi sarei riuscito a ritornare lì per scoprire cosa c’era al di là di quel muro.
Ora che sono un uomo maturo ricordo con piacere quelle corse sfrenate e tutte le avventure che si susseguirono nel tempo. Già quel muro addossato al prato fiorito di giallo e il cavallo di mio padre che non voleva ubbidire! La mia curiosità di ragazzo aguzzò l’ingegno e ben presto decisi di seguire il re in una delle sue corse per scoprire come faceva a oltrepassare il muro.
Così silenziosamente cominciai a sorvegliarlo con fare guardingo per non insospettire i domestici. All’epoca a palazzo vivevano con noi alcune donne che si occupavano della cucina, le ricordo con nostalgica tristezza, erano, infatti famose per le pietanze che giornalmente servivano e malgrado mia madre imponesse una vita austera, a tavola non mancava mai nulla. Ma ahimè, come erano magiche nel preparare deliziose vivande che con dovizia servivano ai commensali, altrettanto facilmente distribuivano pettegolezzi a tutti gli ospiti del castello fornendo prontamente tutti gli spostamenti dei suoi abitanti. Diveniva difficilissimo mantenere un segreto e ancora di più tentare di uscire da palazzo in incognito. Solo mio padre riusciva a non essere investito da quest’orda di chiacchiere. Quando lui passava tutti chinavano il capo e non fiatava nessuno. I suoi passi risuonavano ritmici sulle assi di legno del pavimento e un lungo mantello penzolava dalle sue spalle gonfiandosi d’aria a ogni spostamento. Nessuno si permetteva di interferire. Tutti ma proprio tutti chinavano la testa al suo passaggio interrompendo immediatamente ogni faccenda domestica. Tentai più volte di seguire il re per soddisfare la mia curiosità, ma fui bloccato e miseramente rinviato al castello una volta dietro l’altra. Vani furono tutti i tentativi di uscire al seguito del re fino a quando diventando un po’ più grande riuscii a indossare stivali e mantello simili a quelli di mio padre e imitando la sua andatura cominciavo a uscire indisturbato. Ma una volta fuori si poneva il problema di come accedere al muro e come oltrepassarlo visto che il cavallo si rifiutava di saltarlo. Non mi restava che seguire mio padre con la speranza di non essere scoperto per l’ennesima volta. Così quando mi si presentò l’occasione non persi tempo.
Era una mattina d’autunno, una leggera nebbia copriva con un velo grigiastro la campagna circostante stendendosi ad altezza d’uomo. Lo stalliere aveva commentato più volte che anche a cavallo sarebbe stato difficile vedere chi partiva dal palazzo. Mi aggiravo spesso per le stalle era l’unico posto in cui potevo stare senza che nessuno mi obbligasse a seguire la rigida etichetta di corte. Ero nascosto dietro ad alcuni covoni di fieno quando sentii il commento dello scudiero del re e vidi il suo operare veloce nel preparare il cavallo. A giudicare dalla fretta con la quale bardava l’animale compresi che mio padre sarebbe uscito da lì a poco e la nebbia avrebbe garantito il suo anonimato. Un’occasione così non si sarebbe ripresentata facilmente, dovevo preparare il mio cavallo e uscire al seguito della staffetta reale. Così feci, ero diventato abile nell’accudire il purosangue e sapevo destreggiarmi con scioltezza. Rimasi immobile, in silenzio in groppa al mio destriero, nascosto nell’angolo più remoto della stalla, anche il respiro si era fatto leggero e l’animale sembrava capire l’importanza della sosta, mi sentivo un tutt’uno con la bestia che aspettava in silenzio. Solo un rivolo di sudore scendeva dalla fronte e potevo sentire il ritmico battere del mio cuore ansimante per l’attesa. All’improvviso il rumore di passi decisi riecheggiava sul selciato antistante la stalla, erano quelli di mio padre: ero pronto l’avrei seguito a qualsiasi costo. Entrarono nella stalla cinque uomini, tutti vestiti di nero salirono velocemente in groppa ai cavalli fecero aprire le porte della scuderia e uscirono mestamente cercando di scomparire velocemente nella nebbia.
Fra loro c’era anche mio padre, lo riconobbi dalla cappa nera che indossava quando voleva uscire in incognito. Erano giorni concitati, c’erano tanti ambasciatori che si susseguivano a corte, solitamente il re, non avrebbe mai abbandonato gli ospiti per andarsene come un fuggiasco. Sicuramente stava succedendo qualcosa di importante. Non ci pensai due volte, spronai il cavallo, un attimo e mi trovai fuori dalla stalla. Cavalcavo nella nebbia ma la coltre grigia non mi impediva di intravvedere il corteo di fronte a me. Cercavo con insistenza di non perdere di vista l’ultimo cavaliere, ero deciso a ogni costo di carpire il segreto di mio padre. Quando a palazzo giungevano gli ambasciatori di altri regni usciva sovente e con regolarità. Forse c’era una battaglia imminente? Ne avevo sentito parlare tempo addietro.
Ma perché andarsene adesso, non capivo e mentre riflettevo non mi accorsi che ci eravamo già inoltrati nel bosco, la nebbia rendeva tutto grigio e il verde cupo degli alberi gettava un’ombra sinistra sul sentiero che diventava sempre più tenebroso. Avevo paura, ero circondato da un silenzio irreale, nessun rumore echeggiava nel fitto bosco, sentivo solo il rumore degli zoccoli dei cavalli davanti a me, al loro passare si levava solo un acre odore di muschio. Poi all’improvviso la nebbia cominciò a diradarsi lasciando penetrare il bosco da