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Per amore della Mille Miglia
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E-book422 pagine5 ore

Per amore della Mille Miglia

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Info su questo ebook

È una giornata piovosa quando Sergio Delbello, giovane pastore cresciuto sulle colline della Garfagnana, cercando di radunare le capre di famiglia per riportarle a casa, vede passare le automobili della Mille Miglia e prova un vero e proprio “colpo di fulmine” che si trasforma presto in una grande passione che lo porta a trasferirsi dallo zio Leonello in Liguria e poi a sottomettersi al volere della Viscontessa Tessina, proprietaria di una concessionaria della Lancia a Sanremo. La Viscontessa, separata dal Visconte Alessio Villalta − anch’egli pilota −, seduce Sergio, lo manipola e gli promette di farlo gareggiare nella Mille Miglia in cambio di un piccolissimo favore: uccidere il marito e quale momento migliore se non durante la corsa? La storia di Sergio è il fil rouge dell’intero romanzo ma Per l’amore della Mille Miglia è un testo sviluppato su più piani temporali e più livelli narrativi, cosicché il lettore si trova a seguire le vicende di più personaggi in un susseguirsi incalzante di eventi. Su tutto e tutti domina la Mille Miglia - una gara che su strade pubbliche, in mezzo a città e paesini, attraversa gli Appennini e finisce esattamente nel punto in cui inizia - che riesca ancora a creare tanta meraviglia, una sfida tra l’uomo e le sue paure, le sue ossessioni, un continuo tiro alla fune con la stanchezza e il timore di non farcela. Il romanzo di James Fontana è un racconto appassionante, divertente e toccante, con una narrazione fluida e ricca di dettagli che porta il lettore direttamente sul sedile di un’automobile da corsa, a 180 km/h, con il vento in faccia e la curiosità di scoprire cosa ci sarà dietro la prossima curva!

LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788868152284
Per amore della Mille Miglia

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    Anteprima del libro

    Per amore della Mille Miglia - James Fontana

    Per amore della Mille Miglia

    romanzo

    James Fontana

    Meligrana Editore

    Copyright  Meligrana Editore, 2020

    Copyright  James Fontana

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9788868152284

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    Tel. (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

    Editing: Anja Coso

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    Indice

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    James Fontana

    Copertina

    Postfazione

    Ringraziamenti

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, siete pregati di acquistare la vostra copia.

    Grazie per il rispetto verso il duro lavoro di questo autore.

    James Fontana

    James Fontana vive con la moglie, tre gatti e un cane in Canada (Ontario) dove si dedica alle sue passioni: le vecchie auto sportive, la pesca e la scrittura. Ha pubblicato un libro sulla legge (Crimini Veri) e ha scritto diversi articoli sugli sport motoristici. Occasionalmente è stato invitato a partecipare in Italia come giudice a dei concorsi automobilistici. L’ispirazione per questo romanzo gli è venuta all’età di dodici anni, nel 1950, mentre visitava Lucca, la sua città natale. Jim vide il passaggio della Mille Miglia quell’anno, vinta da Giannino Marzotto che guidava una Ferrari 166/195.

    Contatto:

    jfont29118@aol.com

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, posti, eventi e incidenti o sono il frutto dell’immaginazione dell’autore o sono stati usati in modo fittizio. Qualunque somiglianza a persone reali, vive o decedute, eventi o locali è interamente fortuita.

    1.

    Non c’era gioia nemmeno nell’amarsi.

    Dove avrebbe dovuto esserci gioia c’era solo sospetto. Dubbio. Scaltrezza.

    Risentimento. Era stata un’unione convulsa senza calore né promessa d’amore.

    Il sogno di lui aveva bisogno della messinscena di lei. La messinscena di lei aveva bisogno del sogno di lui. Lo sapevano. Lo capivano. Lo accettavano.

    Una mano lava l’altra.

    La donna si inchinò verso l’uomo che, disteso sul letto con gli occhi chiusi, sonnecchiava. Cominciò a cantargli a bassa voce.

    "Recondita armonia, di bellezze diverse, e carissimo Sergio bello, l’ardente amante mio..."

    La sua voce era sfumata dal triste tremolo di un soprano, le note, salendo e scendendo nell’oscurità, erano eseguite con cauto controllo, riempendo la stanza di malinconia.

    Sergio Delbello aprì gli occhi.

    Mi hai svegliato, Tessina non sembrava contento.

    Sì, amore. Ho voluto svegliarti. E allora?

    E qui il perpetuo paradosso della coppia dopo aver fatto l’amore: lei vuole parlare, lui vuole dormire.

    "Recondita Armonia disse. Quell’aria dovrebbe essere cantata da un uomo, un tenore, non un soprano, cara. Un soprano la rovina."

    Mamma mia, come sei diventato sofisticato per essere un ragazzo di campagna, Sergio...

    La gente dice che ho avuto un buon insegnante.

    La gente lo dice?

    Sì, la gente ne parla, credici.

    Alcune cose sono difficili da credere, vero, Sergio?, il tono di Tessina si addolcì, diventando conciliatorio, implorante, ma un po’ insincero.

    Cos’è difficile da credere, Tessina?

    Oh, che tu fossi ancora vergine quando ti ho incontrato due anni fa. Guardati adesso. Mamma mia.

    Perché è così difficile credere che fossi vergine? Come ho potuto io credere che tu fossi una Viscontessa? Siamo pari, giusto?

    Nel buio Tessina non poteva vedere il suo sorriso dispettoso.

    Perché non avresti dovuto crederci? Ti ero sembrata così banale? chiese lei.

    No, è solo che non ti sei comportata come un’aristocratica.

    Bene, non sono un’aristocratica protestò storcendo la bocca. Sono Viscontessa grazie ad Alessio. Se sposi un Visconte, diventi Viscontessa. Il titolo si acquisisce al matrimonio, insieme con altri bagagli e stronzate!

    Perché è così difficile credere che io fossi vergine allora?

    Perché impari troppo velocemente. Sei migliorato tantissimo da quella prima volta... però hai ancora quell’aria da rude ragazzo di campagna. Mi piace! Tessina ridacchiava, piegata sul letto, tirò il lenzuolo verso di sé scoprendolo e cominciò a mordere il suo orecchio.

    Ho avuto un buon insegnante anche per quello disse, spingendola da parte. Uno che conosce tutti i trucchi.

    Non essere rude adesso...

    Penso che sia ora che tu vada

    Ma abbiamo appena cominciato...

    Tu fai l’amore con me, Tessina, ma non mi ami...

    Oh, ma io ti amo, Sergio. L’amore va e viene. In questo momento ti amo. Porta avanti il nostro piano e vedrai.

    Non sapevo fosse un piano, nostro per di più... Pensavo fosse solo un’idea, un cattivo pensiero come Eva che tenta Adamo con una mela...

    Per me era un buon piano, amore. Tu eri d’accordo.

    Vai adesso! Ho bisogno di dormire.

    Sei ancora arrabbiato con me, non è vero, Sergio?

    Veramente no.

    È per il cognac, non è vero? Lo so che non avrei dovuto farlo.

    Sì e no.

    Perché ‘sì e no’? Ti ho lanciato del cognac in faccia e ti ho messo in imbarazzo di fronte a tutti quei ridicoli concorrenti lei ridacchiò di nuovo.

    Non è per questo ma perché era un Napoleon da cinque stelle quello che hai rovinato. Oltretutto, non avresti potuto imbarazzarmi più di quanto non hai imbarazzato te stessa.

    Ero ubriaca. Lo sai.

    Tu sei sempre ubriaca, Tessina. Ci ho fatto l’abitudine. Penso che fossi ubriaca anche il giorno che ti ho incontrato.

    Ti ho chiesto di non essere crudele, Sergio.

    Senti, Tessina, sono davvero stanco. Mi hai sfinito con le tue...

    Le mie che cosa?

    Le tue richieste, i tuoi prerequisiti aristocratici Sergio parlò ad alta voce nel buio. Guarda, devo dormire. Devo essere alla partenza presto, per incontrare la squadra. Se perdo la partenza sarò squalificato. La gara comincia tra meno di sei ore. Mi hai sorpreso stanotte venendo qui. Non mi aspettavo di vederti. Ma adesso mi hai stancato...

    Non dimenticare il nostro patto! Quando rientri domani, voglio essere una vedova.

    Mi chiedi troppo.

    Lo puoi fare se vuoi. Se desideri godere dei frutti che nasceranno dalla sua scomparsa. Hai già assaporato un po’ di quelle cose, no? Ti sto offrendo di più. Più di quello che tu possa immaginare. Ciò che hai avuto fino adesso è niente. Vivrai come un re. Vestiti, automobili, una magnifica casa, l’amicizia di gente importante. Tutto quello che devi fare è essere più maturo. Basta sforzarsi un po’ per raggiungere l’obiettivo. Mai in vita tua avrai un’altra opportunità come questa.

    Ci penserò... Sergio fece una pausa. Scusami per i miei sospetti.

    Sospetti?

    Tu ti presenti così, senza avviso, mi vieni addosso come una puttana dopo avermi insultato.

    Tessina ignorò l’insulto, si alzò dal letto e scivolò nuda nel suo solo indumento: l’impermeabile.

    Lo sai che cosa mi infastidisce di te, Sergio?

    No ma sono sicuro me lo dirai.

    Tu fai l’amore proprio come quegli arroganti tizi da Ferrari, quelli che guidano le loro macchine da corsa...

    In che senso?

    Tu devi sempre finire per primo, gli diede un bacetto sulla guancia, augurandogli un secco buona fortuna nella gara e uscì nel corridoio.

    Va bene, meglio di niente.

    Quando lei chiuse la porta della camera dietro di sé, Sergio stava già dormendo.

    2.

    Era la più grande gara su strada nella storia delle corse automobilistiche. E la più pericolosa. Era una celebrazione nazionale, un festeggiamento durante il quale la Morte raccoglieva annualmente il suo tributo di guidatori ottimisti e spettatori spericolati. Un gruppo di politici la voleva ostacolare.

    La gara era un flusso continuo di oltre trecentocinquanta automobili di ogni marca e modello in un singolo e attentamente sincronizzato giro intorno al perimetro d’Italia, a caccia di una coppa d’argento sterling: l’ambita Coppa Mazzotti.

    Era stata concepita trent’anni prima, a Brescia, in Nord Italia. Nel parossismo di un concitato entusiasmo, quattro giovanotti, preoccupati per il declinante stato della loro nazione per quanto riguarda la scena della gara internazionale dell’automobile, decisero di attrarre l’attenzione internazionale organizzando una gara.

    Doveva essere una gara come nessun’altra.

    Due dei quattro idealisti erano nobiluomini: i conti Aymo Maggi e Franco Mazzotti. Il terzo, Canestrini, era un giornalista sportivo. Il quarto, Renzo Castagneto, un dirigente dell’Alfa Romeo: sarebbe diventato l’organizzatore logistico principale. Come segnalatore ufficiale dell’evento, ha avuto l’onore, ogni anno, di avviare le macchine, una ogni minuto, dal lungo, tricolore Viale Venezia in centro città.

    Una gara di gentiluomini era diventata l’invidia del mondo automobilistico. Candidati di tutti i tipi lottavano per entrare. La competizione per essere accettati come concorrenti era accanita quanto la gara stessa.

    Ai partecipanti era richiesto di circumnavigare un percorso definito intorno alla parte più alta della zona. Cominciando a nord da Brescia, il percorso si incrociava sull’Adriatico, verso sud lungo il mare di Pescara, verso ovest su Roma, e di nuovo in direzione nord verso Firenze, Bologna e indietro in direzione Brescia. Il percorso era stato cambiato frequentemente. Tra il 1927 e il 1957 era stato modificato quattordici volte.

    Qualunque percorso venisse presentato ogni anno, due pericolosi incroci degli Appennini mettevano alla prova i guidatori e le automobili.

    Era una gara unica, costosa per i partecipanti e senza premio ma solo gloria. Il vincitore – colui che completava il circuito nel minor tempo possibile − vinceva un posto d’onore al banchetto di premiazione e la Coppa Mazzotti, che sarebbe rimasta fieramente sulla mensola del suo camino per un anno.

    Più che una competizione, la gara era diventata una celebrazione, un festival nazionale. Esponenti dell’alta società, politici, divi del cinema e grandi del mondo dell’automobile si incontravano a Brescia per l’evento della settimana.

    Presto, l’evento della settimana diventò famoso come Mille Miglia.

    A quel tempo nessuno poteva immaginare che quello sarebbe stato l’ultimo anno della gara. Certamente, nemmeno i dieci dei migliori concorrenti che si riunirono a Brescia per competere se lo aspettavano.

    Senz’altro non Sergio Delbello, che accelerò con la sua Lancia lungo la strada che costeggiava il Lago di Garda nel tragitto verso Verona e Ferrara e – sperava − verso la gloria.

    3.

    Il mondo sembrava bello a 200 chilometri all’ora.

    Era bello vedere lo spuntare dell’alba sul calmo Lago di Garda, che rifletteva una muta lucentezza di color rosso e giallo. Anche se ad alta velocità, era meraviglioso intravedere i pioppi e i cipressi che ricoprivano la costa, screziati dalla luce del sole che sorgeva. L’asfalto dell’autostrada era liscio e ancora asciutto: andava bene.

    Soprattutto, l’auto − una Lancia Sport Spider D55 SS nuova di zecca − andava bene.

    Sergio Delbello era seduto con il capo sul poggiatesta. Maneggiava la D55 a grande velocità con la stessa confidenza congenita di Zingaro, la vecchia capra del padre, che aveva dimostrato di saper attraversare uno scosceso precipizio roccioso vicino alla fattoria.

    Delbello guidava con le braccia distese, le mani sullo sterzo nella posizione dieci alle due come aveva visto fare all’inglese Crosley. Era concentrato sulla strada, confortato dal calore degli otto cilindri della Lancia, con il calore che penetrava la parete antifuoco, riscaldando le sue gambe.

    Guardò il pannello, fermando gli occhi per un millisecondo sul contagiri, cercando un segnale di fluttuazione. Non ce n’era alcuno. Il tachimetro stava fermo sui 4.200 giri al minuto, circa 205 chilometri all’ora. Un suono rassicurante arrivò dalle gomme e il trombettare del tubo di scappamento lo seguì da dietro, rincorrendolo sulla strada, spingendolo ad andare più veloce, per superare il suono.

    Sì, le cose andavano bene quella mattina.

    Ammise con se stesso che, in effetti, le cose andavano bene perché Tessina non lo aveva abbandonato. La visita inaspettata nella notte l’avevo rianimato, rendendolo euforico. Non che se ne fosse mai andata fisicamente, ma emotivamente l’aveva lasciato qualche notte prima, quando lo aveva messo mortalmente imbarazzato: di fronte a tutti i suoi amici, Tessina aveva rifiutato, con rabbia, la sua proposta di matrimonio.

    Mentre guidava con il vento che spingeva indietro la bocca e le guance, non poté non impaurirsi pensando a che vita sarebbe stata senza di lei. Ma, nonostante la desiderasse, il prezzo che lei chiedeva era troppo alto. È più un ricatto che un compromesso, pensò. E in più è troppo rischioso.

    Sergio era confuso dalla sua stessa indecisione. Deriso dalla sua ambivalenza.

    La notte precedente, all’albergo, lei era arrivata quando lui stava riposando, facendo ricorso alla solita strategia nuda sotto impermeabile. Lui la conosceva già.

    Era arrivata da sola. Lui era andato in bagno per spruzzarsi un po’ d’acqua sul viso, confuso e desideroso di conoscere il perché della sua presenza.

    Quando era uscito, aveva ricevuto la sua risposta.

    Lei si era messa di fronte a lui, aveva lasciato scivolare l’impermeabile dalle spalle, e poi si era seduta nuda su una poltrona fumando una sigaretta e sorseggiando da una bottiglietta d’argento. Tutto il resto era partito da lì.

    Poi l’aveva dovuta cacciare via.

    Adesso, all’improvviso, mentre il mondo andava avanti, lui si dispiacque di averlo fatto. Si pentì di non averle permesso di restare quelle poche ore prima della sua partenza. Peggio, si era fatto indietro rifiutando qualunque parola d’affetto.

    Le cose sarebbero potute andare bene. Era la gente che, contradittoria e ipocrita com’era, le complicava.

    Stava andando sempre più avanti, la strada di fronte a lui si distendeva come un nastro scuro da una distante bobina, e Sergio sentì un’ondata di gioia, la gioia della fortuna. Gliene serviva parecchia. La prospettiva di vincere la gara non era solo la ragione del suo continuo ottimismo: era la sua unica ragione. La sua sola fame e il suo unico e urgente bisogno. Sarebbe potuto essere l’inizio della nuova vita che desiderava con la donna che l’aveva portato così lontano.

    L’unica persona che poteva impedire che accadesse tutto ciò era partita da Brescia dieci minuti dopo di lui e probabilmente stava guadagnando da qualche parte poche miglia, guidando con la stessa fame e la stessa ferocia che lui aveva. Ma quell’uomo poteva non sopravvivere fino alla fine la gara. Sergio Delbello, contadino diventato noto automobilista da gara, scacciando ogni nobile istinto che fosse stato mai infuso in lui, lottava con il pensiero di uccidere l’uomo che gli stava dietro prima che la gara finisse.

    Già, eccetto per quell’inconveniente, tutto andava bene.

    E così anche il futuro. Forse.

    E sarebbe andato ancora meglio, molto meglio, se avesse potuto trovare in sé il perverso coraggio di liberare la mente da tutte quelle considerazioni. E avrebbe dovuto farlo entro dieci ore. Entro le successive 900 miglia.

    La gara, dopotutto, non è solo guidare più veloce di tutti gli altri concorrenti. Uno deve anche guidare più intelligentemente di tutti. Suo zio Leonello gli disse così una volta e adesso lo poteva costatare lui stesso.

    Eccetto che loro a quei tempi parlavano della vita in generale, e non di gare automobilistiche. E non di un omicidio.

    4.

    La partenza di Delbello da Viale Venezia nell’antica città di Brescia era avvenuta con un’ora d’anticipo, all’alba. I numeri che erano stati pitturati meticolosamente a mano in bianco sulla rossa D55 SS annunciavano ai tremanti spettatori mattinieri raggruppati lungo la strada esattamente a che ora era partito. Fu mandato giù dalla rampa di partenza alle 6.38. Renzo Castagneto gli aveva personalmente dato il via, con uno scatto all’ingiù del Tricolore italiano di fronte alla Lancia... Che onore!

    Il suo orario di partenza era stato fissato dagli organizzatori di gara giorni prima, determinato da una complicata combinazione di dislocamento di motore e lotteria. Le leggere automobili di piccolo calibro erano scese in strada molto prima; le automobili da corsa di grossa cilindrata e di pura razza − come la sua Lancia – erano partite alla fine.

    Prima della partenza da Brescia, il capo squadra della Lancia aveva dato per l’ultima volta un’occhiata alla mappa del percorso con Sergio, indicando le zone critiche lungo la strada.

    Prima aveva viaggiato verso est, attorno al bacino del Lago di Garda, passando il famoso Sirmione, attraverso Desenzano e verso Verona. La polizia aveva chiuso e messo al sicuro quella sezione del percorso e lui aveva tenuto su la velocità per tutta Verona, mentre la folla di tifosi si allontanava quando si avvicinava a loro.

    Dopo Verona, la strada curvava verso il mare mentre un alone di luce aveva cominciato a brillare di rosso-sangue ad est dell’orizzonte dell’Adriatico.

    Più di trecento automobili avevano lasciato Brescia prima di lui, cominciando la sera antecedente appena prima di mezzanotte. Loro erano un misto eclettico, un serraglio automobilistico − una famiglia di Fiat di piccola cilindrata alla ricerca di riconoscimento, auto sportive compatte e auto da gara alla ricerca di fama. Aveva già superato una Siata e una Stanguinelli, come ricordava, tutte e due avevano 750 c.c., motori a quattro cilindri. Quelle erano partite ore prima di lui.

    Era una gara per tutti, principianti e professionisti, gentiluomini di nobiltà, commercianti e industriali. Come lui d’altronde: erano tutti dei sognatori. Speravano, prima di tutto, di sopravvivere fino alla fine della gara, e, secondo, di vincerla, anche se nessuno aveva il coraggio di ammetterlo. Per rimanere iscritti per sempre nell’esclusivo turno dei vincitori della Mille Miglia e per avere i loro nomi incisi sulla Coppa Mazzotti.

    Per tutta la notte le macchine erano partite, una ogni sessanta secondi, e la lunga fila di automobilisti aspettava ansiosamente il turno per salire la rampa ed essere spedita nel viaggio delle mille miglia.

    Mentre la notte passava, le auto più grandi con potenza in aumento si facevano avanti. La partenza di Delbello era appena prima dell’alba quando il cielo non era né scuro né chiaro, ma grigio.

    Adesso, finalmente su strada, era contento di se stesso e della sua auto e fece un sorriso al piccolo cartone animato che lo raffigurava e che il capo squadra aveva disegnato sul libro del percorso. Una pecora gli era a fianco come passeggero.

    Il sole spuntava sopra l’orizzonte mentre si avvicinava a Ferrara, il primo posto di controllo e l’ultima città prima della spiaggia. Un freddo improvviso, più psicologico che fisico, gli fece momentaneamente distogliere gli occhi dalla strada e lo portò a inclinare la testa indietro verso il cielo. Percepì che il clima sull’Adriatico era in procinto di sfoggiare la sua nota imprevedibilità.

    Gli aliti di brezza marina improvvisamente colpirono ripetitivamente la Lancia. Strinse la presa al volante e guardò avanti mentre poche gocce di pioggia macchiavano i suoi occhialini. Curiosamente, il cielo era ancora chiaro e dorato.

    Pioggerellina da un cielo così chiaro? Sergio ricordava questo fenomeno dalla sua adolescenza, da quel giorno di tanti mesi prima, mentre si occupava del piccolo gregge di pecore e capre nelle colline pedemontane delle montagne toscane di Garfagnana.

    Le vecchie donne del suo villaggio dicevano che la pioggia che proviene da un cielo chiaro preavvisa una malvagità metereologica, o peggio, un evento cataclismico che gli avrebbe cambiato la vita.

    Era un giorno di maggio, appena tre anni prima, lui aveva diciassette anni, il giorno in cui gli sembrò di sentire tuoni e poche gocce di pioggia cadere dal cielo chiaro. Cominciò a gridare, cercando di raccogliere le capre in un gruppo stretto. Fece in modo di raggiungere una superficie sull’autostrada principale dove avrebbe avuto una chiara vista della strada sottostante. Uno alla volta, i potenti tuoni si ripeterono a intervalli irregolari.

    Ma i tuoni provenienti dal cielo improvvisamente si mescolarono a quelli provenienti dalla strada. Da una posizione sopraelevata guardava le auto da corsa che facevano chiasso, una alla volta, il fumo dalle marmitte echeggiava sul granito delle colline come delle incessanti cannonate, le stesse che ancora lo perseguitavano dalla guerra.

    Mentre le auto passavano, gruppi di contadini riempivano l’autostrada sottostante, con zappe e falci nelle mani, facevano il tifo in modo pazzesco. Forza, Castellotti! Forza!, Forza, Taruffi. Forza! Sergio era incantato dalla scena.

    Dal suo piedistallo sulla superficie granitica, alta sulla strada, ebbe appena pochi secondi per dare un’occhiata ad ogni auto che rombava sulla ruvida strada asfaltata e per sentire l’eco dei tuoni che seguivano. Ma ogni occhiata era abbastanza per tenerlo incantato fino all’arrivo della successiva auto. Stette seduto sulla collina per un’ora, ammaliato, guardando lo spettacolo finché l’ultima auto passò. Poi gli echi cessarono e le colline furono di nuovo silenti. I contadini tornarono ai loro campi e Sergio alle sue capre.

    Quell’ora era passata velocemente come le auto. E, eccetto per quelle prime gocce, la pioggia che era prevista non era ancora arrivata.

    Ora, viveva finalmente il suo sogno: guidare una di quelle auto nella stessa gara. Come erano potute cambiare così tanto le cose in soli tre anni, da quando si era sdraiato sulla superficie erbosa vicino alla fattoria di famiglia? Le vecchie avevano ragione.

    Ma oggi la pioggia era arrivata. Lui era già a buon punto sulla tabella di marcia mentre guidava veloce verso Verona e Ferrara. Delbello vide che quel mattino era più luminoso ma una fine pioggia cominciò a picchiare ripetutamente sulla Lancia con un’intermittente forza, resa ancora peggiore dalla velocità dell’auto. Prima cercò di contenere la sua velocità ma la prudenza lo fece rallentare a 150 chilometri all’ora, e poi a 120. Adesso il tachimetro era fisso e il motore si era raffreddato bruscamente come se succhiasse vapore acqueo dall’ambiente.

    Una pesante nuvola di pioggia si depositò sulla zona ma lui poteva ancora vedere il tramonto. Delbello sapeva che era una burrasca locale e sarebbe finita in pochi minuti. Tenne il piede sull’acceleratore ed un bozzolo di velocità cominciò a circondarlo. La velocità sostenuta dell’auto, il flusso d’aria e la vista lo mandarono in un’altra realtà, estraniandolo dal mondo esterno.

    Delbello riconobbe l’inesplicabile, falso senso di pace e d’invincibilità che sopraffà un pilota: un’illusione pericolosa.

    I pensieri lo assillavano, pensieri cattivi, indebolendo la sua concentrazione proprio come la pioggia, distraendolo pericolosamente su un’autostrada bagnata mentre viaggiava più veloce di quanto la natura potesse tollerare.

    Avrebbe dovuto uccidere o no?

    La proposta di Tessina era diventata una tentazione, diffondendosi nella sua testa, tormentandolo, prendendolo in giro, aumentando di fascino ogni volta il pensiero assaliva la sua mente. Lei l’aveva resa così dannatamente invitante: lo aveva convinto con semplicità e lo aveva sedotto con la promessa di un risultato allettante. Lui aveva ignorato la proposta come se fosse la folle idea di una donna ossessionata, e valutando i rischi e i premi.

    Era da matti credere a tutto ciò e lui lo sapeva. Era la cautela che continuava a ripetere a se stesso come un mantra sacro, come se incoraggiasse la Lancia ad andare ad una velocità ancora più vorticosa verso il primo posto di controllo.

    Ma la tentazione, come una sanguisuga sulla sua anima, rifiutò di lasciar perdere.

    5.

    Il giorno che Sergio vide le auto tuonare sulla strada sotto la fattoria di famiglia fu il giorno in cui la sua vita cambiò direzione.

    Quel giorno sembrava così lontano adesso. Sergio era ritornato dalle capre di suo padre del tutto diverso. Era il giorno in cui decise che avrebbe smesso d’essere un osservatore della vita e ne sarebbe divenuto un partecipante. A qualunque costo.

    Mesi dopo, Sergio avrebbe capito quanto era stato fortunato quel giorno. Quello fu l’unico anno in cui la gara fu dirottata sulla stretta autostrada oltre il campo ai piedi della collina. Lui scoprì la ragione della deviazione ma poi se ne dimenticò.

    Il giorno successivo, in maniera discreta, evitando di svegliare la curiosità del padre, fece tante domande sulla gara agli uomini riuniti in piazza di fronte alla chiesa. Lo frastornarono di informazioni, entrando in competizione per dimostrare chi tra loro ne sapesse di più sulla gara. Ognuna di quelle sessioni si trasformò in una tarantella di corpi gesticolanti mentre gli uomini anziani ridevano sguaiatamente e gridavano la loro incredulità in risposta a quello che gli altri stavano dicendo. Era uno spettacolo a beneficio di Sergio.

    Finalmente uno degli uomini, esasperato dagli argomenti, camminò furtivamente verso Sergio.

    Sai leggere, ragazzo? Sei andato a scuola?

    Sì, signore. Ho completato la scuola media.

    "Bene, prendi questo e vai all’edicola e comprati la Gazzetta dello Sport. Il giornale rosa. L’edizione di oggi avrà le risposte alle tue domande."

    L’uomo diede a Sergio una banconota da dieci lire.

    Inizialmente, Sergio fu tentato di mettere i soldi in tasca e scappare. Ma la curiosità vinse e comprò il giornale. Quella notte, vicino alla luce di una lanterna a olio nella sua stanza nella soffitta della casa, impazientemente divorò le sei pagine della dettagliata copertura della gara. Risultati, tempi, nomi, automobili, contrattempi. Continuò a leggere fino a tarda notte, assorbendo tutto il brivido e l’eccitazione dei suoi nuovi eroi e delle loro automobili.

    C’era un mondo dietro a quelle colline di cui lui aveva sentito parlare e che poteva solo immaginare. Aveva ascoltato il suo babbo parlare con viaggiatori itineranti e mercanti che apparivano una volta ogni mese alla Sagra della Capra in città. Aveva sentito dire di un posto con opulente ville, alberi di palma, spiagge con ombrelloni colorati, bar, ristoranti, sorgenti termali, viali e casinò. I viaggiatori raccontavano di automobili enormi, ricercate come gemme, con a bordo belle ragazze che non avevano mai dovuto camminare. Gli uomini in piazza lo chiamavano il posto dove si fanno i quattrini.

    Sanremo.

    La meraviglia e l’eccitamento di Sergio aumentarono con il passare dei giorni, ed un ardente desiderio lo guidava verso la sua decisione.

    Il giorno successivo fu anche segnato dallo schiaffo sulla mandibola che gli diede suo padre per aver affermato che la vita da capraio non faceva per lui. Voleva guidare automobili, qualunque automobile, in qualunque modo, ma preferibilmente in maniera veloce. Suo padre s’infuriò ma la mamma vide il desiderio negli occhi di Sergio.

    Durante i seguenti dodici mesi, Sergio tenne nascosto il suo piano e confidò solo qualcosa a sua madre. Lei capiva. Lui aveva bisogno di soldi e così cominciò a mettere da parte le poche lire che aveva. Durante tutta l’estate prendeva lavoretti giornalieri aiutando i contadini più anziani a piantare grano e mais e a preparare i vigneti per la vendemmia dell’anno.

    In autunno, quando la raccolta dell’uva era terminata ed il lavoro giornaliero andava finendo, si avviava verso la foresta e raccoglieva le castagne che crescevano in abbondanza in Garfagnana: il dolce pane quotidiano che la gente mangiava durante i tempi duri. Le comprava la gente di città che visitava il paese nel giorno del mercato in cerca di prodotti freschi.

    Finalmente, con l’arrivo dei giorni soleggiati e le fresche umide notti di ottobre, salì le colline cercando l’ombrosa vegetazione bassa alla ricerca di grossi funghi porcini; i porcini erano ambiti per la loro fragranza afrodisiaca, tanto che la gente di città guidava per le strade di campagna in cerca dei veditori ambulanti che li vendevano.

    Sergio continuò a compiere le sue faccende impeccabilmente per tutta la durata dell’inverno, senza far sapere a suo padre del suo piano. In primavera era pronto a partire. Pianificò tutto per il suo diciottesimo compleanno.

    La notte prima della partenza, sua madre andò al piano di sotto, recuperò la sua piccola provvista di monete dalla dispensa e diede a Sergio abbastanza lire per comprare delle scarpe a poco prezzo. Le sue prime scarpe. Lui se ne andò quella mattina dopo aver dato un bacio di addio a sua madre. Suo padre dormiva ancora. Non lo svegliarono. Sua madre gli preparò un pranzo fatto di formaggio, pane, salsiccia e gli diede la sua benedizione.

    Per tre giorni Sergio camminò e fece l’autostop sulle colline di Garfagnana verso la costa del Mediterraneo. Il suo viaggio fu una serie di brevi salti tra fattorie locali e fattorini, tutti curiosi di sapere dove andava e perché. Ognuno di loro gli augurò Buona fortuna quando lo salutò.

    Ogni notte si sdraiava sull’erba sul ciglio della strada, guardando le stelle e sgranocchiando con parsimonia il pane e il formaggio che sua madre gli aveva dato: sapeva che gli sarebbe dovuto bastare fino a che non avesse raggiunto la costa. Il suo desiderio di vedere il mondo di cui

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