Non ho mai avuto voce
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Anteprima del libro
Non ho mai avuto voce - Mina Patrizia Paciello
Mina Patrizia Paciello
Non ho mai avuto voce
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Indice dei contenuti
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Postfazione
Note
Ringraziamenti
Ciò che viene taciuto alla prima generazione, la seconda lo porta nel corpo.
(Françoise Dolto)
E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria.
Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami.
Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.
(Tiziano Terzani)
Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle.
(Erri De Luca)
A mia madre Elena.
A Tina, la mia madre psicoanalitica.
NON HO MAI AVUTO VOCE
1
Quell’uomo, esausto per un lungo viaggio di ritorno dall’Africa, si era addormentato su una sedia di paglia vicino al tavolo, con la testa poggiata sulle braccia incrociate. Fuori e dentro di lui il fuoco si era ormai spento. Non aveva potuto entrare nel letto con lei anche se il desiderio gli straziava le carni. Si era ripetuto per tutta la notte che ogni cosa sarebbe andata al suo posto ma non aveva potuto chiederle, dopo due lunghi anni, di essere di nuovo sua moglie. Non era più la sua donna. E lui si sente un vecchio anche se è solo un giovane uomo appena tornato dalla guerra, smarrito. La forza, necessaria per chiedere spiegazioni, per riprendersi ciò che è suo, l’ha lasciata sotto l’infuocato sole africano.
Quella mattina, appena entrato in casa, aveva scorto sul viso di Angelina una paura che aveva avuto difficoltà a capire. Stretta forte a sé la piccola Elena, l'aveva poggiata sul letto senza porgergliela. Gli aveva stretto la mano, così come si fa con un estraneo, ma lui l'aveva tirata a sé, abbracciandola. La sua durezza, quella resistenza non del tutto sconosciuta gli era però parsa singolare dopo tutto quel tempo. Si sarebbe aspettato un po' più di entusiasmo ma aveva giustificato quella ritrosia con la lontananza. Era così felice di essere tornato che non gli era importato. Perciò, messi da parte quei pensieri, l’aveva stretta fra le sue braccia e l'aveva fatta ballare al ritmo di una musica che udiva soltanto lui.
Quella stessa mattina, al suo arrivo in città, le voci della gente lo avevano travolto, gli avevano rovesciato addosso troppe inquietudini. La compassione che aveva visto negli occhi dei suoi compaesani del resto l'aveva capita ma quel mal interpretato senso dell'onore lo aveva fatto rabbrividire. Conosce la sua gente e la loro meschinità. Si aspettano da lui una reazione che non ha nessuna voglia di avere. Lui vuole solo che il ritorno a casa non venga offuscato da maldicenze. Ora è qui tra i suoi affetti e Angelina, quando sarà il momento, gli racconterà ciò che è importante sapere. È appena tornato da una guerra che ha scelto solo per povertà. Laggiù era ancora più desolato, un incubo nel quale l'unica parola che aveva valore era violenza. Il male che sentiva crescere prima di partire, il dolore, la disperazione e la miseria aveva pensato di combatterli arruolandosi in quella guerra insensata.
Ma il male non si combatte con il male.
2
Quel 2 ottobre 1935 ero stato richiamato dalle campane in piazza insieme ad altri compagni.
Cos'è questo rumore? Cosa sta succedendo?
Non lo so, dicono che dobbiamo radunarci in piazza. Mussolini parlerà per darci notizie importanti
spiega Antonio.
Il rullo dei tamburi è assordante. Ovunque, sui balconi del Palazzo del Governo, striscioni, bandiere italiane e drappi neri. Sul punto più alto un suo ritratto enorme. Dagli altoparlanti fissati ai muri è uscita la sua voce. Abbiamo tenuto la testa rivolta verso quel suono irritante per un tempo che mi è parso infinito. Mi sono venute le lacrime agli occhi quando ho capito che ci stava annunciando una nuova guerra.
Dopo, camminando verso casa, quasi inciampando per il peso di quella notizia che portavamo, ne abbiamo parlato e ho capito che molti dei miei amici si faranno tentare da quelle ingannevoli promesse.
Tu che ne pensi? Sei particolarmente silenzioso. Capisci che è una buona opportunità? I soldati-coloni di cui hanno bisogno potremmo essere proprio noi. In fondo non è come andare in guerra, vero?
chiede Antonio sperando di non essere smentito.
Non lo so, non dimentichiamoci che invece si è parlato sempre di guerra. Credo che ancora una volta saremo trattati solo come se fossimo carne da macello!
Eh! va bene, sempre il solito diffidente, per una volta ringrazia Dio per questa fortuna e non ci pensare
ribatte. Io ho deciso, tenterò questa strada, devo cercare di mantenere la mia famiglia e non ne posso più di questo disperare.
Capisco che cerchi di convincere prima di tutto se stesso ma non posso più tollerare questo comportamento servile! Molti partiranno, tenteranno la strada dell'arruolamento volontario dimenticando il pericolo che li aspetterà. Io ho ventisette anni, sono un uomo. Devo prendere una decisione responsabile per me e la mia famiglia. Ma partire non mi piace. E se mi toccherà morire?
Più tardi a casa riferisco ad Angelina ciò che ho sentito.
Ho idea che dovrò partire prima o poi.
Ma io come farò qui da sola a tirare avanti?
Non preoccuparti in qualche modo ce la caveremo. Purtroppo non ci sono alternative. Lo capisci? È l'unica strada che mi rimane.
Sento la sua angoscia ma evitiamo di parlarne. Dietro ai suoi silenzi ci sono paura e rassegnazione.
Cerco di abbracciarla per tranquillizzarla un po’ ma mi scaccia.
Così si tratta un marito che rischia di andare a morire in guerra?
provo a scherzare.
Non mi risponde, evita il mio sguardo. È come se avesse timore ad incrociare i miei occhi, come se potessi leggerle qualcosa nei suoi. Sì, ma cosa? Quant'è bella, ogni volta che ci penso mi tornano in mente i suoi capelli scuri sempre ribelli, le mani nervose ed ossute, gli occhi dorati come quelli di una gatta ma soprattutto i discorsi che non si fermano un attimo più del necessario sulle parole. Mi sono innamorato fin dalla prima volta che la vidi, ogni cosa in lei esprimeva tristezza ma anche orgoglio. È per questo che l'ho scelta. Ora però, in momenti così difficili per me vorrei che mi dicesse che si aggiusterà tutto, che mi rassicurasse. Vorrei che mi dicesse che le mie decisioni saranno le sue. So che invece non lo farà mai, è irritata con me, l'ho delusa. E adesso, anche se è terrorizzata, è lei a spingermi a partire.
Anch'io sono deluso di me, per questo ultimamente la mia meta preferita è la cantina. Mi faccio servire un vino che non posso pagare ma proprio in questo c'è la mia speranza. Fino a quando berrò vino a credito so che gli altri mi daranno una possibilità per farcela.
Ehi Ernesto! Prenditi una sedia e vieni a giocare a tressette con noi!
mi dice qualcuno.
Mi sono arruolato, ho pensato che potrò stare via solo qualche anno, il tempo di mettere un po’ di soldi da parte e poi tornerò. La guerra servirà pure a qualcosa, o no?
chiede Gerardo. E poi le hai viste le africane? Sono bellissime, nere come la pece. Sono sicuro che sono capaci di dare ciò che le nostre mogli non sanno
e mi strizza l'occhio.
Non riesco a dirgli come la penso. Il vino mi è salito alla testa e sento un disgusto di me, della mia vita, una rabbia smisurata che mi trattiene dal buttare all'aria ogni cosa. Esco dal locale e piango. Ho bisogno di aria. Cerco di riprendere il controllo di me stesso, mi vergogno della mia debolezza. Corro via da quel posto e da quella gente, testimoni della mia vigliaccheria. Piove e cado nelle pozzanghere a faccia in giù. Vorrei scomparire.
Vado all'ufficio di collocamento
dico la mattina dopo, prima di uscire. Non mi resta altro da fare.
Mi hanno detto che è lì che raccolgono le adesioni per la partenza.
Hai la tessera del partito? Lo sai che senza quella non puoi andare
mi hanno detto. Li vedi quegli uomini? Si sono dichiarati antifascisti e perciò a loro è negata anche questa opportunità. Ci hanno riferito che tu sei una testa calda, è vero?
"Ma no, vedete