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Vita di “Ridolini”: Raccolta dalla sua viva voce, con 21 schizzi dell’autore
Vita di “Ridolini”: Raccolta dalla sua viva voce, con 21 schizzi dell’autore
Vita di “Ridolini”: Raccolta dalla sua viva voce, con 21 schizzi dell’autore
E-book70 pagine40 minuti

Vita di “Ridolini”: Raccolta dalla sua viva voce, con 21 schizzi dell’autore

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Info su questo ebook

“Questo libro è nato soprattutto grazie all’insistenza di Ugo Cornia, che non appena ha saputo che mio padre ha sempre pensato in dialetto ha esclamato Dio bono, devi fargli raccontare le sue storie! e di tanto in tanto me lo ripeteva.”
Così scrive Gianfranco Mammi che, nel corso di vari mesi, ha registrato con un magnetofono le memorie di suo padre, talentuoso narratore orale. Non si trattava solo di mettere in salvo dei ricordi che sarebbero andati perduti, ma anche e soprattutto di verificare ancora una volta la forza, la vitalità e il ritmo della lingua delle persone cosiddette incolte. Egisto Mammi, detto Ridolini per il suo perenne sorriso, ci racconta tutta la sua vita: l’infanzia, la guerra, l’emigrazione in Venezuela, il lavoro di sarto, quello di barbiere, l’impresa di tirar su un ristorante e metter su famiglia, il ritorno difficile in Italia, gli anni del boom economico e l’attività di mediatore immobiliare. Un reinventarsi quotidiano che è molto più dell’arte di arrangiarsi, è una metamorfosi continua che unisce creatività e senso pratico, prudenza popolare e un po’ di ambizione. E tanta voglia di raccontarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2020
ISBN9788833465920
Vita di “Ridolini”: Raccolta dalla sua viva voce, con 21 schizzi dell’autore

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    Vita di “Ridolini” - Gianfranco Mammi

    CELINE

    PARTE PRIMA – INCOMINCIAMO

    Dal falegname

    Mi chiamo Mammi Egisto detto Ridolini. A sette anni andavo a raccogliere le ghiande nei boschi per prendere quattro soldi da giocare a quintiglia alla sera nelle stalle. E poi si giocava anche ai bottoni che io avevo trovato l’America perché glieli portavo via dai pantaloni di mio babbo e poi dopo andavo a giocare cogli amici – dicevano Come fai tu ad avere tutti quei bottoni.

    Eh, ce n’ho io!

    A otto-nove anni o dieci ho cominciato a commerciare, insomma ho comperato una bicicletta per due lire e l’ho verniciata tutta con un dito e poi l’ho venduta a un commerciante per quattro lire, allora la gente lo prendevano un po’ per il sedere perché s’era fatto fregare da un bambino.

    Dunque poi ho fatto il contadino fino a quattordici anni, quindici, e un anno ho zappato un campo, il campo di Sant’Antonio, che ci scambiavamo i buoi io e una ragazza, si chiamava Carolina, e poi dopo per mettere il granoturco bisogna spianare la terra con la zappa, fare i solchi, e piantare il grano con un pezzo di legno – un buco, un grano, un buco, un grano e via. Insomma, ho lavorato quasi tutto il tempo per il raccolto del granoturco, alla fine ho zappato tanto e quando andavo a zappare rubavo due uova a mia mamma da bere tutte le mattine per andare a zappare – allora buttavo i gusci in un cespuglio nel prato di un’altra persona; questa qua andava a pascolare le bestie e vede tutti questi gusci d’uovo e chiama mia mamma e dice Gigia, guardate qua, c’è un nido nuovo, allora la Gigia ha capito che ero io, ha detto Lasciatelo fare, lasciatelo fare, lavora tanto!

    E così ho zappato e lavorato per tutto questo tempo a tirarlo giù, a spannocchiarlo, attaccarlo alla parete, alla fine ho preso ventotto quintali di granoturco. Allora con mio babbo ci ho detto Babbo, io non sono nato per fare il contadino, a quei tempi eravamo per contadini a Mocogno e in più avevamo il poderetto Ca’ d’Mami vicino a Polinago e i miei fratelli eran tutti a militare, tutti via, e son rimasto solo io con mio babbo e mia mamma, abbiam lasciato tutto il resto e siamo tornati nel nostro podere a Polinago. Allora lì ho detto che non ero nato per fare il contadino, il babbo dice Be’, cambia.

    C’era un amico di casa, Rolando si chiamava, stava alla Capanna, che faceva il falegname e dice con mio babbo Datemi quel bocia, che gli faccio fare il falegname.

    Allora io insomma sapevo che non mi piaceva però allora per provare ho detto Be’, vado a provare e vado in paese con un tovagliolo con dentro il mangiare per mezzogiorno, il panino e un po’ di vino, però mi mette a spianare un tronco nella cantina dove c’era già del riccio e veniva su un fumanone di polvere che allora ho detto È peggio che fare il contadino.

    Allora mi sono avvilito, demoralizzato, sono andato fuori in strada che c’eran delle panchine, sono andato lì tutto un po’ pensieroso; arriva un mio amico che non mi aveva mai visto a Polinago nei giorni di lavoro, lo chiamavan Gésba cioè Gisberto, Be’ ma cosa fai qua?

    Ho detto "Taci, va’ là, son venuto per fare il falegname ma

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