Vi racconto...la mia
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Anteprima del libro
Vi racconto...la mia - Caccialanza Mario Giuseppe
C.
Prologo
Un'illuminazione, un'idea. Una delle tante che, fin da giovane, mi balzavano alla mente. Un lampo che, ben presto, si spegneva, senza lasciar traccia, senza fare seguire il tuono. Arrivava l'illuminazione, ma nessuna ispirazione. A parte le poesie, scritte per i matrimoni degli amici, una bazzecola, non sono riuscito a realizzare niente di serio, fin dopo i sessant'anni.
L'idea alla base di questo racconto è abbastanza recente, nasce una sera di febbraio di qualche anno fa. Percorrevo, come mia abitudine, la provinciale che da Pianengo conduce a Pandino, attraversando Trescore.
Mi è parsa subito intrigante, diversa dalle altre. Convinto della bontà del progetto, il giorno dopo ho aperto il mio computer e ho iniziato a battere sui tasti, con lentezza, ma con una certa convinzione. Per un po' sono andato avanti, ho messo insieme una ventina di pagine, prima di arenarmi. La luce si era spenta, ogni tentativo di ripartire, risultava vano.
Quelle venti pagine sono rimaste lì, senza trovare compagnia, per più di un anno. Ho provato a riaprire il file, ho cercato di pigiare sull'interruttore, niente da fare: buio pesto. La luce rimaneva spenta, l'ispirazione inaridita; non sapevo come riprendere il cammino.
Se hai il mio libro tra le tue mani, se hai letto le prime righe, e, incuriosito, hai deciso di proseguire nella lettura o, arrabbiato, sei convinto di aver preso una fregatura, vuol dire una semplice cosa: ci sono riuscito. Per merito o per fortuna, la luce è tornata, la mia perseveranza premiata. Ho portato a termine con costanza e un pizzico di follia, il progetto iniziato anni fa, ho dato alla luce un nuovo racconto.
Tutto nasce da quella strada, maledetta strada. Una vera ossessione, almeno da trent'anni, dal giorno dell'incidente, spettacolare ma innocuo, di cui vi parlerò nel prossimo capitolo. Ogni volta che passo di lì, mi rivedo ai bordi della carreggiata, bloccato nella neve. Finora un incubo, un assurdo incubo, che si è trasformato in una opportunità. Spero di averla colta, spero di essermi liberato, finalmente, dai fantasmi di quel giorno di trent'anni fa.
La sera in cui è scoccata la scintilla, sono andato praticamente in trance. Mi sono talmente concentrato su quell'idea, sulla possibilità di svilupparla, che ho guidato per inerzia, quasi avessi il pilota automatico. Raggiunta una grande rotonda, mi sono guardato attorno, domandandomi dove mi trovassi. Ero a Pandino, la mia destinazione, non c'erano dubbi, ma da tutt'altra parte rispetto alla mia meta.
Credo di non aver paura della morte, almeno per ora, potendo scegliere, preferirei non soffrire, non penso di essere l'unico. L'ho sempre detto ai miei giocatori, per allentare la tensione, per farli rendere al meglio. La sconfitta, come la morte, fa parte delle regole del gioco, della vita. La paura di perdere ti blocca, ti fa rendere meno, ti impedisce di giocarti tutte le tue carte, ti porta alla sconfitta. Idem la paura di morire: ti stressa, ti mette ansia, ti fa vivere male, ti impedisce di goderti la vita.
La vita? La morte? Il fato? Di cosa sto per parlarvi? In questo momento, non saprei cosa rispondere. Lo scopriremo insieme, strada facendo.
Un segnale
Un giorno di festa, di trent'anni fa o giù di lì. Non una domenica, era il periodo natalizio. Vediamo: Natale? Santo Stefano? Capodanno? Probabilmente il 6 gennaio, il giorno della Befana. Avevo in programma, con moglie e figli, la gita in quel di Cologno, paese natio, per recarmi a trovare la mamma.
Al risveglio, la mattina, la situazione si era complicata. Dei fiocchi di neve erano scesi durante la notte, le strade erano imbiancate: un vero imprevisto. Non una copiosa nevicata, tale da dover rinunciare al viaggio, ma una seccatura, da non prendere sotto gamba. Sentita la moglie, superati i dubbi, decido di partire, convinto bastasse un po' di attenzione. Avremmo fatta felice la nonna, è vero, ma soprattutto avremmo evitato di trovarci nei guai con pranzo e cena, ai quali, visto il programma, non avevamo per niente pensato. A Cologno, l'Aldina aveva preparato, senza alcun dubbio, un pranzetto coi fiocchi e, alla sera, saremmo tornati a casa con la macchina piena di teglie. In ordine: la pasta al forno, il vitello tonnato, il tiramisù e, essendo le feste natalizie, i cardi in besciamella, oltre a qualche panettone.
Caricati in macchina, una Opel Kadet familiare bianca quasi nuova, la moglie, i due figli maschi e, sono quasi sicuro, la prima figlia femmina ancora in fasce, con biberon e pannolini, mi sono messo in viaggio. Con prudenza, naturalmente; alla guida, non sono uno spericolato, le condizioni stradali esigevano la massima attenzione.
Eravamo partiti con un certo anticipo, rispetto al solito. Avremmo potuto impiegarci un paio d'ore, invece della solita oretta. Percorro la via Pietro Donati, mi lascio alle spalle cascine e villette, arrivo allo stop. Svolto a destra, in direzione Pianengo, cercando di sfruttare i solchi lasciati da di chi mi aveva preceduto. Procedo lentamente, siamo in pochi sulla strada. Attraverso il piccolo paese, baciato dal fiume Serio, e, raggiunta la rotonda, imbocco la terza uscita, la provinciale per Pandino. La strada è diritta, provo ad aumentare il passo di marcia.
Tutto sotto controllo. Supero l'incrocio per Capralba, i ragazzi sono tranquilli. A un tratto sento uno strano rumore alle mie spalle, giro la testa alla mia destra, istintivamente. Anche la macchina, leggermente, devia sulla destra, abbandona i solchi. Sento le ruote arrancare nella neve fresca, reagisco d'istinto, do un colpo di sterzo a sinistra, un violento colpo di sterzo, per ritornare in carreggiata.
Una reazione spropositata, un disastro. Non riesco più a governare la macchina, muovo il volante