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Vi racconto...la mia
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E-book102 pagine1 ora

Vi racconto...la mia

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Info su questo ebook

"In quali momenti una persona può sentirsi veramente viva?

Tra le lamiere di un'autovettura e sul lettino di una sala operatoria, dopo un terribile incidente stradale, il confine tra la vita e la morte è così sottile che il tempo tende a rallentare, quasi fino a fermarsi.

In questo limbo inizia la di...partita di Mario.

Un fantastico viaggio al fianco di Meme, l'angelo custode, con cui inizia un dialogo introspettivo. Una serie di fotografie che guardano al passato e al futuro: dalle passioni per il calcio e per la musica, all'amore e all'amicizia, passando per il luoghi del cuore.

A metà tra un sogno a occhi aperti e una chiacchierata al bar, il libro porterà Mario a festeggiare i suoi settant'anni e a pronunciare quelle poche, ma importanti parole che riassumono il senso della vita."
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2020
ISBN9788831673495
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    Anteprima del libro

    Vi racconto...la mia - Caccialanza Mario Giuseppe

    C.

    Prologo

        Un'il­lu­mi­na­zio­ne, un'idea. Una del­le tan­te che, fin da gio­va­ne, mi bal­za­va­no al­la men­te. Un lam­po che, ben pre­sto, si spe­gne­va, sen­za la­sciar trac­cia, sen­za fa­re se­gui­re il tuo­no. Ar­ri­va­va l'il­lu­mi­na­zio­ne, ma nes­su­na ispi­ra­zio­ne. A par­te le poe­sie, scrit­te per i ma­tri­mo­ni de­gli ami­ci, una baz­ze­co­la, non so­no riu­sci­to a rea­liz­za­re nien­te di se­rio, fin do­po i ses­sant'an­ni.

        L'idea al­la ba­se di que­sto rac­con­to è ab­ba­stan­za re­cen­te, na­sce una se­ra di feb­bra­io di qual­che an­no fa.  Per­cor­re­vo, co­me mia abi­tu­di­ne, la pro­vin­cia­le che da Pia­nen­go con­du­ce a Pan­di­no, at­tra­ver­san­do Tre­sco­re.

      Mi è par­sa su­bi­to in­tri­gan­te, di­ver­sa dal­le al­tre. Con­vin­to del­la bon­tà del pro­get­to, il gior­no do­po ho aper­to il mio com­pu­ter e ho ini­zia­to a bat­te­re sui ta­sti, con len­tez­za, ma con una cer­ta con­vin­zio­ne. Per un po' so­no an­da­to avan­ti, ho mes­so in­sie­me una ven­ti­na di pa­gi­ne, pri­ma di are­nar­mi. La lu­ce si era spen­ta, ogni ten­ta­ti­vo di ri­par­ti­re, ri­sul­ta­va va­no.

        Quel­le ven­ti pa­gi­ne so­no ri­ma­ste lì, sen­za tro­va­re com­pa­gnia, per più di un an­no. Ho pro­va­to a ria­pri­re il fi­le, ho cer­ca­to di pi­gia­re sull'in­ter­rut­to­re, nien­te da fa­re: buio pe­sto. La lu­ce ri­ma­ne­va spenta, l'ispi­ra­zio­ne ina­ri­di­ta; non sa­pe­vo co­me ri­pren­de­re il cam­mi­no.

      Se hai il mio li­bro tra le tue ma­ni, se hai let­to le pri­me ri­ghe, e, in­cu­rio­si­to, hai de­ci­so di pro­se­gui­re nel­la let­tu­ra o, ar­rab­bia­to, sei con­vin­to di aver pre­so una fre­ga­tu­ra, vuol dire una sem­pli­ce co­sa: ci so­no riu­sci­to. Per me­ri­to o per for­tu­na, la lu­ce è tor­na­ta, la mia per­se­ve­ran­za pre­mia­ta. Ho por­ta­to a ter­mi­ne con co­stan­za e un piz­zi­co di fol­lia, il pro­get­to ini­zia­to an­ni fa, ho da­to al­la lu­ce un nuo­vo rac­con­to.

        Tut­to na­sce da quel­la stra­da, ma­le­det­ta stra­da. Una ve­ra os­ses­sio­ne, al­me­no da trent'an­ni, dal gior­no dell'in­ci­den­te, spet­ta­co­la­re ma in­no­cuo, di cui vi par­le­rò nel pros­si­mo ca­pi­to­lo. Ogni vol­ta che pas­so di lì, mi ri­ve­do ai bor­di del­la car­reg­gia­ta, bloc­ca­to nel­la ne­ve. Fi­no­ra un in­cu­bo, un as­sur­do in­cu­bo, che si è tra­sfor­ma­to in una op­por­tu­ni­tà. Spe­ro di aver­la col­ta,  spe­ro di es­ser­mi li­be­ra­to, fi­nal­men­te, dai fan­ta­smi di quel gior­no di trent'an­ni fa.

      La se­ra in cui è scoc­ca­ta la scin­til­la, so­no an­da­to pra­ti­ca­mente in tran­ce. Mi so­no tal­men­te con­cen­tra­to su quell'idea, sul­la pos­si­bi­li­tà di svi­lup­par­la, che ho gui­da­to per iner­zia, qua­si aves­si il pi­lo­ta au­to­ma­ti­co. Rag­giun­ta una gran­de ro­ton­da, mi so­no guar­da­to at­tor­no, do­man­dan­do­mi do­ve mi tro­vas­si. Ero a Pan­di­no, la mia de­sti­na­zio­ne, non c'era­no dub­bi, ma da tutt'al­tra par­te ri­spet­to al­la mia me­ta.

      Cre­do di non aver pau­ra del­la mor­te, al­me­no per ora, po­ten­do sce­glie­re, pre­fe­ri­rei non sof­fri­re, non pen­so di es­se­re l'uni­co. L'ho sem­pre det­to ai miei gio­ca­to­ri, per al­len­ta­re la ten­sio­ne, per far­li ren­de­re al me­glio. La scon­fit­ta, co­me la mor­te, fa par­te del­le re­go­le del gio­co, del­la vi­ta. La pau­ra di per­de­re ti bloc­ca, ti fa ren­de­re me­no, ti im­pe­di­sce di gio­car­ti tut­te le tue car­te, ti por­ta al­la scon­fit­ta. Idem la pau­ra di mo­ri­re:  ti stres­sa, ti met­te an­sia, ti fa vi­ve­re ma­le, ti im­pe­di­sce di go­der­ti la vi­ta.

        La vi­ta? La mor­te? Il fa­to? Di co­sa sto per par­lar­vi? In que­sto mo­men­to, non sa­prei co­sa ri­spon­de­re. Lo sco­pri­re­mo in­sie­me, stra­da fa­cen­do.

    Un segnale

        Un gior­no di fe­sta, di  trent'an­ni fa o giù di lì. Non una do­me­ni­ca, era il pe­rio­do na­ta­li­zio. Ve­dia­mo: Na­ta­le? San­to Ste­fa­no? Ca­po­dan­no? Pro­ba­bil­men­te il 6 gen­na­io, il gior­no del­la Be­fa­na. Ave­vo in pro­gram­ma, con mo­glie e fi­gli, la gi­ta in quel di Co­lo­gno, pae­se na­tio, per re­car­mi a tro­va­re la mam­ma. 

      Al ri­sve­glio, la mat­ti­na, la si­tua­zio­ne si era com­pli­ca­ta. Dei fioc­chi di ne­ve era­no sce­si du­ran­te la not­te, le stra­de era­no im­bian­ca­te: un ve­ro im­pre­vi­sto. Non una co­pio­sa ne­vi­ca­ta, ta­le da do­ver ri­nun­cia­re al viag­gio, ma una sec­ca­tu­ra, da non pren­de­re sot­to gam­ba. Sen­ti­ta la mo­glie, su­pe­ra­ti i dub­bi, de­ci­do di par­ti­re, con­vin­to ba­stas­se un po' di at­ten­zio­ne. Avrem­mo fat­ta fe­li­ce la non­na, è ve­ro, ma so­prat­tut­to avrem­mo evi­ta­to di tro­var­ci nei guai con pran­zo e ce­na, ai qua­li, vi­sto il pro­gram­ma, non ave­va­mo per nien­te pen­sa­to. A Co­lo­gno, l'Al­di­na ave­va pre­pa­ra­to, sen­za al­cun dub­bio, un pran­zet­to coi fioc­chi e, al­la se­ra, sa­rem­mo tor­na­ti a ca­sa con la mac­chi­na pie­na di te­glie. In or­di­ne: la pa­sta al for­no, il vi­tel­lo ton­na­to, il ti­ra­mi­sù e, es­sen­do le fe­ste na­ta­li­zie, i car­di in be­scia­mel­la, ol­tre a qual­che pa­net­to­ne.

      Ca­ri­ca­ti in mac­chi­na, una Opel Ka­det fa­mi­lia­re bian­ca qua­si nuo­va, la mo­glie, i due fi­gli ma­schi e, so­no qua­si si­cu­ro, la pri­ma fi­glia fem­mi­na an­co­ra in fa­sce, con bi­be­ron e pan­no­li­ni, mi so­no mes­so in viag­gio. Con pru­den­za, na­tu­ral­men­te; al­la gui­da, non so­no uno spe­ri­co­la­to, le con­di­zio­ni stra­da­li esi­ge­va­no la mas­si­ma at­ten­zio­ne.

      Era­va­mo par­ti­ti con un cer­to an­ti­ci­po, ri­spetto al so­li­to. Avrem­mo po­tu­to im­pie­gar­ci un pa­io d'ore, in­ve­ce del­la so­li­ta oret­ta. Per­cor­ro la via Pie­tro Do­na­ti, mi la­scio al­le spal­le ca­sci­ne e vil­let­te, ar­ri­vo al­lo stop. Svol­to a de­stra, in di­re­zio­ne Pia­nen­go, cer­can­do di sfrut­ta­re i sol­chi la­scia­ti da di chi mi ave­va pre­ce­du­to. Pro­ce­do len­ta­men­te, sia­mo in po­chi sul­la stra­da. At­tra­ver­so il pic­co­lo pae­se, ba­cia­to dal fiu­me Se­rio, e, rag­giun­ta la ro­ton­da, im­boc­co la ter­za usci­ta, la pro­vin­cia­le per Pan­di­no. La stra­da è di­rit­ta, pro­vo ad au­men­ta­re il pas­so di mar­cia.

      Tut­to sot­to con­trol­lo. Su­pe­ro l'in­cro­cio per Ca­pral­ba, i ra­gaz­zi so­no tran­quil­li. A un trat­to sen­to uno stra­no ru­mo­re al­le mie spal­le, gi­ro la te­sta al­la mia de­stra, istin­ti­va­men­te. An­che la mac­chi­na, leg­ger­men­te, de­via sul­la de­stra, ab­bandona i sol­chi. Sen­to le ruo­te ar­ran­ca­re nel­la ne­ve fre­sca, rea­gi­sco d'istin­to, do un col­po di ster­zo a si­ni­stra, un vio­len­to col­po di ster­zo,  per ri­tor­na­re in car­reg­gia­ta.

      Una rea­zio­ne spro­po­si­ta­ta, un di­sa­stro. Non rie­sco più a go­ver­na­re la mac­chi­na, muo­vo il vo­lan­te

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