Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il filo rosso del destino
Il filo rosso del destino
Il filo rosso del destino
E-book243 pagine3 ore

Il filo rosso del destino

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Secondo un’antica leggenda orientale, un invisibile filo rosso lega sin dalla nascita le persone che sono predestinate a stare insieme. Durante il suo soggiorno in Italia, Haruki incontra Asia sotto singolari circostanze.
Nonostante inizialmente entrambi cercheranno di negare la forte attrazione tra di loro, finiranno irrimediabilmente con l’innamorarsi. La loro separazione è però purtroppo imminente poiché Haruki deve paradossalmente far ritorno in Europa,  mentre Asia in Giappone. Per anni, entrambi attraverseranno mezzo  mondo pur di potere stare insieme anche solo una manciata di giorni.  
Ma il loro filo sarà così forte da resistere al tempo, alle incognite e alle distanze?
Il filo rosso del destino è il primo capitolo di una trilogia.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2020
ISBN9788835836216
Il filo rosso del destino

Correlato a Il filo rosso del destino

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il filo rosso del destino

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il filo rosso del destino - Elle Tokyo

    Capitolo 1 

    il filo

    Asia

    Come ci si sente ad essere di sangue italiano ma giapponese di nascita? Non è semplice da spiegare, ma quando me lo chiedono io rispondo spesso che mi sento come quando si va all’Osservatorio di Greenwich e ci si mette in posa per fare la classica foto con le gambe divaricate a cavallo del Meridiano, un piede nell’emisfero occidentale e l’altro in quello orientale.

    Mi sento come se a volte vivessi stando in quella posizione, eternamente divisa tra i miei due mondi: l’Italia e il Giappone.

    Convivo perennemente con quella sensazione di nostalgia che mi causa la consapevolezza di non poter risiedere contemporaneamente in entrambi.

    Quella sensazione di incompletezza che si accentua in particolar modo quando in aereo, a circa metà viaggio, osservando il monitor che mostra la posizione in volo, mi accorgo che stiamo sorvolando Novosibirsk. E quella landa sperduta, sull’Altopiano della Siberia occidentale, sembra quasi essere a metà strada tra Italia e Giappone.

    Metà.

    Come lo è il mio cuore, diviso tra questi due luoghi.

    Lo so, è un concetto difficile da capire.

    In giapponese si usa il termine half¹, usato per definire coloro che sono per metà giapponesi e per metà di un’altra etnia.

    Nonostante non sia utilizzato con tono dispregiativo, ho sempre pensato che riferirsi a qualcuno come metà di qualcosa sia un po’ come tacciarlo di incompletezza.  

    Se una volta nell’antico Giappone esistevano i tre gruppi etnici degli Yamato, Ainu e Ryukyuan, dai quali discende oggi l’intero popolo nipponico, è come se oggi ci fosse da aggiungere a loro anche la categoria degli half.

    Il mio problema è che anche se a volte mi sento una half, non lo sono.

    Nonostante io sia nata a Tokyo, il sangue che mi scorre nelle vene è tutto italiano. Mio padre, un ex calciatore che a causa di un brutto infortunio dovette ritirarsi quando stava appunto iniziando la sua carriera, accettò a soli venticinque anni una posizione come Assistente Tecnico di Disciplina per la squadra degli Urawa Reds nella prefettura di Saitama.

    Lì conobbe mia madre, che lavorava come interprete per la JFA². Si innamorarono perdutamente, si sposarono senza il consenso delle rispettive famiglie e, dopo un anno, nacqui io.

    Figlia di due italiani a Tokyo.

    Mia madre morì però quando io avevo solo cinque anni e da allora siamo solo io e papà.  

    Io e papà contro tutti.

    Alberto, mio padre, nonostante siano ormai più di vent’anni che abita in Giappone, ha mantenuto integra la sua italianità. E non parlo solo del forte accento romano che non accenna ad attenuarsi, né del fatto che parli gesticolando. Mi riferisco all’essere estremamente passionale e a mettere il cuore in tutto quello che fa. E anche l’essere terribilmente sfacciato e spesso inopportuno. Ma lo adoro.

    Mi ha cresciuta da solo, e nonostante le tante difficoltà, non mi ha mai fatto mancare niente. Mio padre è il mio eroe.

    Ecco cosa rispondo a chi mi chiede perché io stia al momento trascorrendo le mie vacanze estive con lui, nonostante abbia quasi diciotto anni.

    Anche se questa volta non si tratta proprio di una vacanza.

    Al momento ci troviamo in Italia, perché papà è stato ingaggiato come preparatore atletico per il ritiro estivo della squadra Under-20 dell’ FC Munich.

    Dal canto mio, per seguire le orme di mia madre, vorrei diventare interprete, e per me queste sono sempre ottime occasioni per vedere come operano i professionisti del campo.

    Approfittando di quella che sarà probabilmente la mia unica mattina libera per fare shopping, sono andata in centro a Roma.  

    Il tempo è sempre troppo poco per fare acquisti, ma devo assolutamente comprare tutti i prodotti di vitale importanza di cui ho bisogno, irreperibili in Giappone:

    - I deodoranti NIVEA Roll-On;

    - I Kinder Cereali;

    - Le Gocciole;

    - I Pocket Coffee.  

    Ok, so che non sono esattamente beni di prima necessità, ma davvero non riesco a vivere a Tokyo senza il NIVEA Roll-On.

    E senza i Poket Coffee mi sarebbe oltremodo difficile affrontare indenne la botta di spossatezza che mi arriva col fuso orario ogni volta che viaggio. Sto appunto scartando il sesto cioccolatino, quando mi accorgo che l’autista del bus sta annunciando il capolinea.

    Maledetto Jet Lag.

    Ho sbagliato autobus e sono salita sul 12 barrato invece del 12.

    Sto per chiamare un taxi, ma appare il nome di papà sullo schermo: Asia! Ma lo sai che ore sono?, quando porto l’iPhone all’orecchio la sua voce mi sfonda quasi un timpano.

    Le tre, anzi le tre e tre per volere utilizzare la puntualità giapponese, gli rispondo cercando di sdrammatizzare. Ma non funziona.

    Vedi di far poco la spiritosa, Signorina!

    Ecco, nonostante il Giappone mi abbia dato i natali, e abbia acquisito negli anni tantissime caratteristiche comportamentali giapponesi, una, la peggiore, senza ombra di dubbio italiana, l’ho mantenuta: sono sempre in ritardo.

    Ah, rilassati papà siamo in Italia! Sono tutti in ritardo!  

    Ma non dire sciocchezze! E poi da oggi lavoriamo con i tedeschi! Non hai ancora finito di comprare tutte le cose inutili di cui non puoi fare a meno?, mi prende in giro come sempre.

    Ehm... no. Veramente mi sono... un po’ persa, ma adesso chiamo un taxi, gli faccio, continunando a guardarmi intorno alla ricerca di un’altra fermata del bus.

    Ma che vuol dire che ti sei un po’ persa? Dove sei?, alza la voce che trapela preoccupazione.

    Non sono molto lontana, sono proprio all’inizio di Parco dell’Axa a un paio di km dal Campus, gli rispondo, osservando in lontananza la lunga strada asfaltata che porta alla collina dov’è situato il ritiro.

    "Inviami subito la tua posizione su Line³ che mando immediatamente un’auto a prenderti! Te l’avevo detto di non usare mezzi pubblici!"

    Lo so. Ma volevo solo risparmiare quei quaranta euro per comprarmi quella meravigliosa giacca con le perline da Zara.

    E ti prego, Asia - intercala papà ammorbidendo un po’ il tono della voce - stai attenta, questa è una solitaria zona di campagna, non si sa mai che becchi qualche squilibrato.

    Ah non ti preoccupare - lo rassicuro - a quest’ora, e con questo caldo, non c’è nessuno in giro!  

    Dopo aver chiuso la chiamata, faccio per inviargli la mia posizione ma mi si spegne il telefono. Accidenti. Anche la power bank portatile è fuori uso. Non avrei dovuto ascoltare i Flumpool⁴ a palla per tutto il giorno.

    Sto per pensare di incamminarmi, in attesa che papà mandi qualcuno a prendermi, ma fa davvero un caldo boia e mi fermo sotto un albero.

    Poco dopo sento il rombo del motore di un’auto in lontananza.

    Wow, che velocità. Papà deve avermi mandato KITT⁵.

    Non appena il veicolo rallenta intravedo il tizio alla guida: altro che David Hasselhoff. Questo avanzo di galera non può assolutamente essere la persona mandata da mio padre.

    Ciao bellezza, ti sei persa?, mi dice dopo aver abbassato il finestrino.

    No, stanno venendo a prendermi, stringo la borsa sulla spalla.

    Ah sì?, fa ironico spegnendo il motore dell’auto e apprestandosi a scendere.

    Mi passa la vita davanti.

    Deglutisco a fatica e so che sto fallendo miseramente nel mio tentativo di apparire sicura di me.

    Indietreggio appena, abbasso lo sguardo e intravedo in una busta la mia nuova giacca Zara comprata al 70% off.  

    Non la indosserò mai perché adesso questo qui mi violenta e poi mi uccide.

    Vuoi vedere che è il destino che ci ha fatti incontrare?, mi si avvicina mentre io indietreggio istintivamente.

    Il destino! Se non fossi congelata dalla paura, riderei. Non esiste il destino.  

    Nel frattempo scorgo una figura in lontananza che sembra quasi correre nella mia direzione.  

    Ma neanche quella può essere la persona incaricata da mio padre di venirmi a prendere, perché non manderebbe mai qualcuno a piedi.

    Perfetto. Adesso verrò violentata e fatta a pezzi non da uno, ma da due delinquenti.  

    Vieni, andiamoci a fare un giro, vedrai come ci divertiamo, l’orribile individuo riesce ad afferrarmi il polso e mi fa cadere le buste dalla mano.  

    Ma non ci penso nemmeno!, gli urlo contro pestandogli un piede con il tacco della scarpa, ma non mi molla.

    E non fare la difficile!, insiste rinforzando la presa sul mio braccio.  

    Lasciami immediatamente!, tento di dargli un pugno, ma non ci riesco perché questo tizio è estremamente muscoloso.

    Take your hands off her immediately!⁶, grida una voce alle mie spalle.  

    Il malvivente guarda dietro di me e allenta la presa. Ne approfitto per sfuggirgli. Mi volto anch’io e osservo il ragazzo che si trova alle mie spalle. Ha il Bundesadler⁷ sulla tuta, ma è asiatico.

    Ed è anche terribilmente bello, ma non credo sia la considerazione più adatta da fare al momento.  

    Is everything ok?⁸, mi chiede in inglese, ma adesso riconosco chiaramente l’accento giapponese.  

    Potrei rispondergli senza alcun problema nella sua madrelingua, visto che è anche la mia, ma al momento sono davvero scossa e non mi esce la voce.

    Come here, you can trust me⁹, mi tende la mano.  

    So bene che anche lui è un perfetto sconosciuto, ma decido di fidarmi del mio istinto e metto la mia mano nella sua. Ci becchiamo entrambi una terribile scossa e la ritiro immediatamente.

    Anche lui sembra sorpreso quanto me, ma si affretta a riprendermi subito per il polso.

    Per la prima volta in vita mia decido di fidarmi di qualcuno che non conosco e lascio che mi tiri accanto a sé. Un’inaspettata sensazione di protezione mi assale non appena mi ritrovo al suo fianco.

    Cosa vuoi, cinese? Fatti gli affari tuoi e torna alla corsa, fa il delinquente facendo un passo in avanti, ma il ragazzo giapponese sbarra prontamente un braccio davanti a me e gli impedisce di avvicinarsi.

    Poi mi invita con un cenno della testa a mettermi dietro di lui con fare protettivo. Non sono abituata a obbedire agli ordini di nessuno, ma l’istinto mi spinge ancora una volta a dargli retta.

    I’m not Chinese, I’m Japanese¹⁰, gli risponde con tono grave.

    Sono quasi sicura che questo ragazzo non parli italiano, ma avrà di certo capito la parte in cui questo stupido gli ha dato del cinese e ovviamente si sarà sentito offeso da quell’illazione, come spesso accade ai giapponesi quando confondono Cina con Giappone.  

    Guardo il profilo del mio soccorritore dalla mia nuova prospettiva e ho come l’impressione che il mio cuore perda un battito. È dannatamente bello. Mi do immediatamente uno schiaffo mentale per aver fatto ancora una volta una considerazione così fuori luogo in momento così delicato e mi stringo appena dietro di lui.  

    Senti, cinese, ti consiglio di farti gli affari tuoi, se ci tieni ai tuoi occhi a mandorla, il malvivente cerca di spingerlo indietro con una mano, ma lui gli afferra prontamente il polso e lo spinge in avanti.

    Indietreggio impaurita perché percepisco che la situazione sta diventando esplosiva.

    Il tizio cerca di colpirlo al volto, ma il mio bel soccorritore lo precede e gli molla un pugno in viso così forte da farlo finire per terra.  

    Mio Dio!, urlo in preda allo shock. È la prima volta che assisto a una scena del genere dal vivo.  

    Everything is ok, don’t worry¹¹, mi dice tentando di rassicurarmi.

    Everything is ok?!, ripeto ironica.

    Ha... hai appena steso quel tipo! - inizio a parlargli in giapponese senza pensarci due volte - Come cavolo fa ad essere tutto ok?  

    Il ragazzo sgrana gli occhi su di me, guardandomi incredulo: Tu... parli la mia lingua?, mi chiede completamente stordito.  

    Attento alle spalle!, grido, accorgendomi che, mentre stiamo discutendo, il balordo si è rialzato e sta cercando vigliaccamente di aggredirlo da dietro.

    Ma lui si libera con facilità e piazza una testata al delinquente sul naso, facendolo finire ancora una volta a tappeto. Si passa il dorso della mano sulla fronte perché sono sicura che un colpo del genere debba fare un male boia, ma poi lo risolleva da terra afferrandolo per il collo della maglietta.

    Nel frattempo una macchina si sta avvicinando a tutta velocità verso di noi e questa volta non può che trattarsi della persona mandata da mio padre.

    For the last time, I am Japanese - sembra quasi ruggire mentre lo sbatte sul cofano della sua macchina - And now, you better disappear and never try to do something like that ever again¹².

    Ho i miei dubbi che questo avanzo di galera parli inglese, ma credo che il tono minaccioso del ragazzo giapponese funga da perfetta traduzione simultanea.  

    Infatti il poco di buono si affretta ad infilarsi in auto dolorante, per poi sparire.

    Asia!, fa una voce dall’interno dell’altra vettura che nel frattempo sta accostando vicino a noi. Non appena apre la portiera, riconosco immediatamente Mister Honda, un vecchio amico e collega di mio padre, anche lui convocato come C.T. per questo ritiro.

    Honda San!¹³, faccio sollevata nel vederlo mentre mi corre incontro.

    Haruki! - fa poi rivolgendosi al ragazzo che mi sta raggiungendo - Cos’è successo?, fa guardandoci entrambi.  

    Quel delinquente ha cercato di aggredirla, risponde colui che so ora corrispondere al nome di Haruki.

    Mi viene accanto guardandomi con aria interrogativa, ma poi si affretta a digitare qualcosa al telefono: Gli ho preso il numero di targa e l’ho appena inoltrato alla Polizia. Spero serva a impedire che riprovi a fare una cosa del genere la prossima volta.  

    Non so a quanto potrà servire informare le Forze dell’Ordine, ma di sicuro, il fatto di avergli spaccato il setto nasale è stato un buon avvertimento.

    Oh Santo Cielo - fa Honda San mettendomi le mani sulle spalle e ispezionandomi - Stai bene? Ti ha fatto del male?  

    Scuoto la testa con decisione: Sto bene. Lui... è arrivato appena in tempo, lo indico e i nostri sguardi s’incrociano.

    Honda San espira sollevato: Sei stata davvero fortunata che il destino abbia voluto che Haruki passasse di qui.  

    Il destino. Non ci ho mai creduto. Non inizierò di certo a farlo adesso.

    Lo guardo. Mi guarda.  

    Come fa a conoscere questa ragazza, Mister?, gli chiede lui sempre più confuso mentre osserva con attenzione il nostro scambio di parole.

    Direi di passare alle spiegazioni in macchina - la indica - Iniziate a salire mentre faccio una telefonata in Campus per avvertire tuo padre che ti ho prelevata.  

    Sto per dirigermi verso il SUV nero, ma quasi dimenticavo i miei acquisti.  

    Mi appresto ad andarli a recuperare, ma Haruki incrocia le braccia e si ferma ad osservarmi perplesso, mentre mi chino a predere le buste da terra.

    Oh andiamo! - sbuffo guardandolo - Non pretenderai mica che lasci i miei abiti nuovi qui?

    Sul suo viso si fa largo un piccolo sorriso. Mi tremano un attimo le gambe e mi si secca la gola, ma tento di far finta di nulla.

    Sali in auto, ci penso io a recuperare i tuoi preziosi vestiti, tenta di prendermi le buste dalle mani, ma ci becchiamo un’altra scossa.  

    Accidenti - fa sorpreso - Sei davvero elettrica, eh?  

    O magari sei tu ad esserlo, gli rispondo col suo stesso tono derisorio porgendogli le buste e facendo stavolta attenzione a non sfiorarlo.

    Scuote la testa e sorride, ma stavolta di un sorriso pieno.

    Mi si contorce lo stomaco e tutti i miei organi interni sembrano iniziare una partita a Tetris in completa autonomia. Nessun ragazzo mi ha mai fatto questo effetto.  

    Andiamo, s’incammina invitandomi con un cenno della testa a seguirlo.  

    Mi fermo un attimo, perché è come se mi stesse impartendo degli ordini ancora una volta. E io non prendo ordini da nessuno.

    Ma, ancora una volta, le mie gambe si muovono per inerzia e mi ritrovo ad affiancarlo.

    Mi fa davvero senso parlarti in giapponese, lo sai?, dice mentre raggiungiamo l’auto di Mister Honda.

    Be’, se preferisci possiamo parlare in italiano, prima ho visto che lo parli perfettamente, faccio ironica.

    Si ferma a guardarmi intrigato e, questa volta, sorridiamo insieme.

    Poi porta entrambi i pacchi in una mano e mi apre la portiera posteriore della vettura con l’altra, invitandomi a salire.

    Non mi aspettavo proprio maniere del genere da uno che fa a pugni in quel modo.

    Grazie, gli faccio d’istinto un piccolo inchino e sento che trattiene l’ennesima risata.

    Cosa?, sbotto un po’ infastidita.

    Mi hai appena fatto un inchino. Sei estremamente giapponese - mi guarda interessato - si può sapere chi sei?  

    Apro la bocca per iniziare la solita complicata spiegazione della mia vita, quando Mister Honda ci raggiunge: Forza ragazzi, andiamo. Siamo davvero in ritardo. Non sono riuscito a rintracciare tuo padre, ma gli ho lasciato un messaggio in segreteria, aggiunge rivolto a me, mentre Haruki mi guarda in modo sempre più interrogativo. 

    Fa poi fa il giro della vettura e viene a sedersi accanto a me, poiché il sedile davanti è pieno delle scartoffie di Mister Honda. Una volta seduti guardo la piccola ferita che si è fatto Haruki sul sopracciglio: "Mi spiace che

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1