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La pioggia non mi bagna, non più
La pioggia non mi bagna, non più
La pioggia non mi bagna, non più
E-book134 pagine1 ora

La pioggia non mi bagna, non più

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Info su questo ebook

Un giallo, un romanzo introspettivo, nel confronto tra due epoche...

Il racconto inizia subito con un omicidio, apparentemente immotivato. Il protagonista, un homeless (o "barbone" come lui stesso si definisce) ci si trova coinvolto come se la sua vita attuale di emarginato non fosse già abbastanza pesante...

Un po' giallo, un po' thriller, un po' anche poliziesco per il ruolo del commissario, a cui pure il barbone "ruba il mestiere" quando, a rischio della sua vita, deve improvvisare le sue indagini.

Ma il romanzo in realtà è anche altro, perché arriva per il protagonista il tempo dei bilanci esistenziali, con il confronto, a volte impietoso, tra la sua vita attuale e quella che un tempo aveva fondato su alti valori. Come forse tutti noi ha degli scheletri nell'armadio, ed il suo passato gli pesa ogni giorno, più dello stesso vivere in strada, che anzi percepisce quasi come la giusta punizione per aver tradito se stesso.

Vorrebbe tornare indietro e riscrivere quella parte della sua vita, ma sa bene che in realtà si può solo andare avanti...
LinguaItaliano
Data di uscita22 ago 2014
ISBN9788891154644
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    Anteprima del libro

    La pioggia non mi bagna, non più - Stefano Chierici

    vero?

    1.

    Ormai...

    Giorno 1. 26 maggio

    "Comincio da oggi a prendere un po' di appunti su questo taccuino Moleskine, dalla copertina nera come usava una volta, perché sento che un po' alla volta sto cominciando a uscire pazzo!

    Ed io allora scrivo. Scrivo! Mi metto a scrivere questa specie di diario di bordo, e penso che mi farà bene, quasi una terapia. Forse è quasi come quando le brave ragazze di una volta tenevano il loro diario privato. E ci crescevano insieme, cavalcavano le emozioni più scriteriate, quelle folli della giovane età, scrivendole tutte, e fronteggiandole.

    Anzi, quasi quasi ora inizio subito con: Caro Diario...

    Lo so, lo so com'è, se scrivo ogni giorno qualcosa, vuol dire che ogni giorno allora avrà avuto qualcosa di diverso, e se poi un giorno non trovassi nulla da scrivere almeno ci guadagno che di questo nulla me ne sarò accorto subito, non avendo scritto nulla. Mi sarò accorto che sto girando a vuoto, che mi sto svuotando la vita della forza di vivere. E se me ne accorgo mi posso ribellare! E così poi almeno mi posso inventare qualcosa da fare.

    Se no che faccio tutto il giorno? Anzi, tutti i giorni!!

    Comincio proprio a essere stanco di questa vita! Non ne posso più, prima ero pieno di cose da fare, ora passo ore a non far nulla.

    E sì, caro diario, perché ormai sono tre anni che sono in strada, e i giorni cominciano a sembrarmi tutti uguali: brutto segno! Molto brutto!

    E in più con i primi caldi che iniziano mi accorgo che sto anche incominciando a puzzare, come già l'estate scorsa, anche se approfitto di ogni fontana che incontro per darmi una sciacquata. Ma mi ci dovrei tuffare con vestiti e tutto, come Anita Ekberg! Peccato solo che qui non abbiamo la Fontana di Trevi... dovrei essere un piccione!

    Intorno a me in compenso sento ora odori di fiori... direi gelsomini, che devono essere sbocciati in un giardino qui vicino. Sì, è iniziata la primavera.

    Ecco, sono queste le cose devo scrivere, le cose belle, che poi ci sono sempre anche per chi non ha un euro in tasca, se uno le sa vedere: gli ultimi soldi che avevo ieri in tasca li ho spesi per questo taccuino. Potevo prendermi un quadernino più economico, ma questi sono i taccuini neri che usava anche Hemingway quando scriveva, sono sempre stati il mio mito, e nella mia vita precedente, quella prima della strada intendo, ero abituato a trattarmi bene! Quindi, visto che non ho più un lavoro ho deciso che mi inventerò questo: cronista di viaggio della mia vita di strada.

    Toh, guarda, un cane si sta avvicinando alla mia panchina... è lui il primo personaggio della mia cronaca..."

    Giorno 2. 27 maggio

    "Ieri ho smesso di scrivere quando è venuto quel cane: ci siamo fatti compagnia e mi è passato completamente di mente il taccuino nero. Poi ho dovuto cominciare a pensare al mangiare: sono ora senza buoni per la Caritas – bisogna che passi a rompere le scatole perché me li ridiano – e allora ho chiesto in giro un po' di monete per comprarmi un panino.

    Le ultime le avevo spese per comprare questo taccuino. Già, ma questo lo avevo già scritto ieri! Si vede proprio che non ci sto proprio con la testa. Sì, credo proprio che scriverò tutti i giorni qualcosa, mi farà bene, perché quando si scrive non si può ripetere la stessa cosa dodici volte come se si girasse a vuoto, e invece quando si pensa eccome se si gira a vuoto! Eccome se si ripetono i pensieri!

    Ah, oggi ho conosciuto un tipo strano, un polacco piccino piccino, con i capelli crespi, biondo rossastri, che sembrava un piccolo elfo.

    Parla poche parole in italiano, e io mi sono ricordato del po' di russo che sapevo per divertirmi a sentirmi internazionale! Očein kharashò! Anche lui è in strada come me, ma da più tempo. Mi ha offerto una sigaretta, e l'ho accettata, Spassìba, Očein spassìba, gli ho detto per ringraziarlo, ma lui mi ha detto che sbagliavo, che dovevo rispondergli invece qualcosa che suonava come... una specie di..."gencùia"... (?).

    Ho preso la sua sigaretta, sì, anche se a me invece piacciono i sigari toscani, a dire il vero. Ma lui non ce li aveva.

    Mi ha detto che la notte la passa in un posto non lontano da lì, che ha scoperto lui, e che non vorrebbe venisse frequentato troppo se lo conoscono tutti. Ma io gli ero simpatico, e me lo voleva mostrare, la prossima volta che ci vediamo. Intanto mi ha detto a voce da che parte stava, vicino alla Coop di quartiere, dove c'erano delle vecchie rimesse dismesse, e ad una di queste lui aveva forzato la porta, a quella di mezzo, mi ha detto.

    Abbiamo passato così mezza mattinata in piazza della Stazione su una panchina, a dar fastidio alle ragazze che passavano, e a tirare sassini ai piccioni."

    Giorno 3. 28 maggio

    "Maledizione! Il polacco è morto. Ero andato in piazza della Stazione per incontrarlo alla solita panchina, la mattina presto. Mi aveva svegliato il primo sole dell'alba.

    ….. "

    Qui finivano le note scritte sul Moleskine del barbone. La sua idea era di scrivere un po' tutto quello che gli capitava, fare un giornale di bordo, per nobilitare un po' la sua vita di strada, per uscire un po' da quella noia che uccide, ma ora le cose erano già cambiate. Aveva appena iniziato da due giorni, e subito il terzo aveva dovuto scrivere che il suo nuovo amico polacco era morto: non se l'era sentito di scrivere altro, almeno per quel giorno, e aveva rimesso il Moleskine in fondo nello zaino.

    Non era ancora, e forse non sarebbe mai stato, un freddo cronista che scrive come osservatore distaccato quello che vede. Non era questo il suo mestiere nella vita precedente, e certe cose non si improvvisano, e per di più forse alla cronaca nera non ci si abitua mai.

    Svegliato la mattina presto dal sole caldo di quasi estate era andato in piazza della Stazione pensando di incontrare il suo amico, ma sulla panchina del giorno prima non c'era. E neanche in quelle accanto c'era.

    Il barbone pensava già che forse quel giorno non era venuto, o almeno non ancora, e magari fra un po' sarebbe apparso da dietro una pianta.

    Forse, scherzoso, burlone, sarebbe spuntato tutto un tratto da dietro un tronco per fargli fare la figura del fesso, e per questo motivo il barbone si era guardato molto tutto intorno.

    Aveva guardato anche intorno alle siepi che stavano dietro le panchine, e alla fine sì, era spuntato il polacco, ma non nel modo che si aspettava.

    Spuntavano solo le sue ciocche ricciolute, rossastre, ora sporche di terra, da dietro una siepe. E nascosto dalla siepe c'era attaccato il resto, sdraiato, immobile, morto... I vestiti, gli stessi del giorno prima, la sola differenza ora una larga macchia rosso scuro sul centro della camicia. Questa toglieva ogni dubbio. Appoggiò un attimo due dita sul collo, all'arteria carotidea, per la conferma definitiva.

    Per il barbone non era il primo cadavere che vedeva, ma era il primo che scopriva, ancora ignoto al resto del mondo.

    Da ex avvocato, e da ex cittadino modello, era perfettamente consapevole che il suo dovere era di avvicinarsi ad un rappresentante della Polizia Municipale, o, entrando in stazione, della Polizia Ferroviaria, e segnalare il ritrovamento.

    Da ex... qualunque cosa nella vita invece si allontanò rapidamente senza dire nulla. Solo ogni tanto voltandosi indietro per dare un colpo d'occhio al suo amico.

    Come per accertarsi che rimaneva sempre lì.

    Che non si rialzava.

    L'ultimo sguardo lo dette quando ormai era dall'altra parte della piazza, e ancora si vedeva la testa ricciuta dell'amico, un piccolo puntino che solo lui sembrava poter vedere, ma come invisibile al resto del mondo. In realtà sapeva che in capo a mezz'ora la stazione avrebbe cominciato ad essere affollata e qualcun altro avrebbe fatto il suo stesso ritrovamento.

    Ma quanti di loro avrebbero potuto dire io lo conoscevo?

    Quanti l'avrebbero trovato perché lo cercavano?

    E per quante persone sarebbe stata una mancanza?

    Domande retoriche di cui sapeva già la risposta: quell'uomo non era nessuno e, come pure avveniva anche per lui stesso, ora che aveva tagliato ogni rapporto, socialmente non esisteva, o esisteva solo in qualche anagrafe lontana, e l'unica differenza tra loro due era proprio solo questa... l'anagrafe in cui esisteva lui era più vicina di quella del polacco.

    Ma fuori di quegli archivi non esisteva più nessuno dei due. Esistenze cancellate.

    E ora uno di quei nessuno era morto: il concetto di non esistenza prendeva davvero un nuovo, più pieno significato. Nessuno si ricordava di lui in vita, nessuno lo cercava più, e ora nessuno lo avrebbe pianto, nessuno lo avrebbe rimpianto.

    Il barbone si allontanò dal cadavere, ma non resistette alla tentazione di restare nei paraggi, di guardare da lontano se succedeva qualcosa, se qualcuno scopriva, o meglio riscopriva, quel morto sconosciuto.

    A quell'ora così mattutina non si vedeva ancora nessuno intorno, e dovette aspettare un po'. Solo frettolosi partenti entravano dalla porta della stazione, ma arrivavano direttamente lì senza passare dalla piazza.

    Poi fu un cameriere del bar della stazione a traversare la strada con un grande sacco nero della spazzatura, in direzione cassonetto, a fermarsi a metà strada con il sacco in mano, appoggiarlo in terra e allungare la testa come per guardare meglio. Qualche altro passo nella direzione giusta e quella che in lui era stata solo una impressione era diventata una certezza: c'era un uomo per terra sotto

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