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Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica
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Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica
E-book412 pagine4 ore

Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica

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Info su questo ebook

La forza armata più potente dell'antichità e le armi che l'hanno resa immortale

Il racconto avvincente dell'esercito romano attraverso le armi che lo resero imbattibile

L’esercito romano è considerato la forza armata più potente e preparata che la storia dell’antichità abbia mai visto.
Le legioni furono sicuramente il motore che avviò la conquista del mondo allora conosciuto e lo scudo che difese per secoli i suoi domini. Questi addestratissimi soldati impiegarono armi micidiali, molte derivate dai popoli con cui vennero a contatto o di cui assorbirono le tradizioni. Nella narrazione viene dato ampio spazio anche alla Marina Militare, spesso dimenticata, che tanto contribuì alla realizzazione di un impero globale e alla creazione di una delle più grandi talassocrazie della storia. Un racconto sulla storia militare di Roma, con la descrizione del suo esercito, da Romolo (VIII secolo a.C.) a Maurizio (VI secolo d.C.), passando per il mitico re Artù, affiancato da un’esauriente cronologia delle guerre combattute e dall’elenco delle legioni più famose. Evoluzione, riforme, invenzioni, ingegneria, manualità e armi i cui nomi sono diventati simboli per eccellenza del soldato romano, allo stesso tempo guerriero, artigliere, geniere, operaio, contadino, falegname, muratore e marinaio. 

Le armi letali dell’esercito più potente del mondo antico

In questo volume:

• il gladio • il pilum • la spatha • l’arco composito • la plumbata • lo scutum • la lorica • la torre mobile • l’ariete • l’onagro • lo scorpione • la ballista • la cheiroballista • la carroballista • testudo arietata • il fuoco greco • la mina • il corvo • l’harpax • l’embolon
Marco Lucchetti
È nato a Roma. Laureato in Giurisprudenza, è ufficiale della riserva e Benemerito dell’ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto. Appassionato di storia militare e uniformologia, è anche scultore e pittore di figurini storici e titolare di una ditta produttrice di soldatini da collezione. Consulente per numerosi scrittori, collabora con «Focus Wars». Per la Newton Compton ha scritto 101 storie su Mussolini che non ti hanno mai raccontato; La battaglia dei tre imperatori; 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato; Le armi che hanno cambiato la storia; Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica e I generali di Hitler.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2017
ISBN9788822717436
Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica

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    Anteprima del libro

    Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica - Marco Lucchetti

    Introduzione

    Che cosa può raccontare di diverso un nuovo libro sull’esercito romano e le sue armi, argomento lungamente e ampiamente trattato da numerosissimi studiosi e che dispone di una bibliografia quasi infinita? Probabilmente nulla. Eppure, dopo quasi trent’anni passati al servizio delle legioni, viaggiando per siti archeologici più o meno conosciuti, leggendo testi, consultando fonti (e visionando troppi film e documentari di scarso valore scientifico e storico!), fotografando migliaia di reperti, visitando famosi musei e scolpendo e dipingendo legionari in miniatura (soldatini per capirci meglio), mi sembrava mancasse qualcosa di più scorrevole, che fosse più un manuale che un vero saggio, qualcosa che potesse essere consultato celermente per carpirne informazioni essenziali, ma allo stesso tempo le più complete possibili: una sorta di piccola enciclopedia da cui trarre indicazioni salienti sulle armi e, perché no, anche sugli avvenimenti militari della storia di Roma e sull’organizzazione del suo esercito di terra e della marina militare. Perché, come non si può studiare la storia della Città e del suo Impero senza apprendere quella dei suoi soldati, la conoscenza delle forze armate romane non può prescindere da quella delle armi che i legionari e i marinai portarono in battaglia.

    La scelta di affiancare a questo studio specifico sugli strumenti bellici anche una breve storia sull’evoluzione dell’esercito e della marina romani, in particolare della legione, passata alla Storia come una delle organizzazioni militari più efficienti e micidiali che l’uomo abbia mai creato, mi è sembrata doverosa e consequenziale. Un conciso ripasso per chi già sa e, spero, un facile e comprensivo compendio di informazioni per chi sa meno. Ѐ lo stesso motivo per cui ho ritenuto utile aggiungere una cronologia sui principali avvenimenti militari che si svolsero tra la fondazione di Roma, nel 753 a.C. secondo la data ufficiale riportata dallo storico Varrone, e la morte di uno degli ultimi grandi strateghi romani, l’imperatore d’Oriente Maurizio, avvenuta nel 602 d.C.

    Come già detto, una storia che è inseparabile da quella del suo esercito e dalle vicende dei suoi più importanti comandanti militari, che furono anche tra i principali uomini politici e si distinsero nel campo della legislazione, delle riforme e della scrittura.

    La parte che riguarda lo sviluppo e l’organizzazione delle forze armate è suddivisa secondo i tradizionali periodi storici così come ci sono stati tramandati da studi e testi sia antichi che moderni. Si inizia con il periodo monarchico, quando i primi re costituirono un esercito di volontari di piccole dimensioni per difendere la città e muovere verso le prime conquiste. I soldati di Roma erano scelti (dal latino legĕre, scegliere o raccogliere insieme) per questo importante e civico compito e fin da subito fu adottato il termine legione, che diventerà uno dei sinonimi della potenza dell’Urbe e identificherà i suoi soldati nonostante le trasformazioni sostanziali che questo tipo di unità subirà nel corso dei secoli sino alla fine dell’Impero. Dopo la fondamentale riforma di Servio Tullio, iniziano gli anni della Repubblica, durante i quali Roma si consolidò fino a divenire la maggiore potenza del Mediterraneo. Il i secolo a.C., tra guerre civili che si susseguirono senza soluzione di continuità, vide consolidarsi questo potere e le legioni vennero ulteriormente trasformate con la riforma di Mario: nasce così il soldato professionista, quello stereotipo di legionario romano a noi tanto caro, e conosciuto anche attraverso i fumetti, i film e la televisione, che ci accompagnerà fino alla crisi del iii secolo d.C. L’aspetto del soldato romano, infatti, in questi tre secoli è quello che siamo più abituati a vedere, perché l’immaginario collettivo ha sempre rappresentato i legionari vestiti come appaiono sui bassorilievi della Colonna di Traiano, a Roma. L’esercito e la qualità delle armi individuali e soprattutto delle macchine da guerra e da assedio raggiunsero in quegli anni il massimo dell’efficienza e dell’efficacia e l’Impero il massimo della sua espansione territoriale.

    Con l’assassinio di Caracalla, avvenuto nel 217 d.C., si ripresentò la piaga delle guerre civili, che determinarono un caos superiore a quello degli ultimi tre decenni della Repubblica. Le usurpazioni furono all’ordine del giorno, ma i molti imperatori che si succedettero restarono in carica per lo più solo pochi mesi: i principati che durarono qualche anno, o anche un solo decennio, furono considerati come una insperata novità. Il iii secolo è ancora oggi chiamato il secolo della crisi non solo per le continue lotte intestine, ma anche per l’affermarsi della dinastia sasanide che prese il comando dell’ormai logoro impero partico, il secolare nemico dell’Urbe. I Romani subirono cocenti disfatte a opera dei vecchi/nuovi nemici orientali e, di conseguenza, fu necessario porre mano a fondamentali riforme nell’organizzazione dell’esercito. Diocleziano e Costantino diedero nuovo lustro all’Impero realizzando una rinascita militare ed economica che durò, con alterne vicende, per quasi tutto il iv secolo. Le nuove esigenze portarono alla creazione di un esercito costituito per la maggior parte da coloro che fino a poco tempo prima erano i nemici dell’Impero, i barbari.

    Nel v secolo anche i principali comandanti delle forze armate furono nominati tra i barbari (i Magistri Militum Stilicone, Ezio e Ricimero, ne sono un esempio) che, nonostante la loro fedeltà allo Stato, ne determinarono le sorti, fino alla destituzione dell’ultimo imperatore d’Occidente, il giovane Romolo Augusto detto Augustolo. Ma Roma non era in realtà caduta: le sue armi saranno ancora impugnate a difesa degli antichi territori da personaggi come Giustiniano, che manterrà intatta la parte orientale dell’Impero e riconquisterà, solo per breve tempo, la penisola italica e il Nord Africa, e, nella lontana Britannia, da un eroe che passerà alla leggenda come re Artù.

    Quando ci inoltriamo nello studio dell’esercito romano, uno dei più potenti e organizzati della Storia, incontriamo il problema delle fonti iconografiche, le rappresentazioni pittoriche e le descrizioni sui testi contemporanei. Mentre di Greci ed Etruschi possediamo numerosissime immagini riprodotte soprattutto su vasellame, che ci descrivono perfettamente le panoplie e le fisicità dei guerrieri, sui soldati di Roma abbiamo pochissimo. Gli storici classici, Cesare compreso, raccontano dettagliatamente campagne e battaglie, ma quasi mai descrivono i legionari. Un certo spazio, con taglio soprattutto tecnico e scientifico, viene dato alle macchine da guerra e al loro funzionamento, qualche volta all’impiego tattico di armi come il pilum, ma non alla descrizione di come erano vestiti ed equipaggiati gli uomini. Bisogna affidarsi (e interpretare) ai reperti archeologici, pochi fino a qualche anno fa e provenienti quasi tutti dalle zone di confine dell’Impero; a qualche statua; alle lastre tombali (che però ci mostrano quasi sempre soldati senza corazza ed elmo); ai pochi affreschi e, per fortuna, ad alcuni monumenti realizzati dai veterani (come quello di Adamklissi in Romania e Les Antiques in Provenza) e alle Colonne di Traiano e Antonina, più conosciuta come Colonna di Marco Aurelio. Rimaste intatte, i loro splendidi bassorilievi ci mostrano migliaia di legionari completamente equipaggiati, in combattimento, in marcia o accampati, macchine da guerra, navi e nemici. Una fonte inesauribile di notizie, ma limitata al periodo che copre i primi 70 anni del ii secolo d.C. E anche queste immagini, così precise e accattivanti, sono probabilmente adattate più all’uso propagandistico cui erano destinate che a una restituzione esatta della realtà storica.

    Nel periodo da noi trattato non esisteva una standardizzazione degli equipaggiamenti così come siamo abituati a pensare accada in un esercito organizzato (anche se la falange oplitica prima e proprio la legione romana di questo periodo riuscirono a realizzare una sorta di uniformità degli armamenti individuali offensivi, soprattutto lancia e scudo): l’uniforme, intesa come qualcosa che rende uguali i soldati dello stesso schieramento, era un concetto ancora lontano e un certo spazio veniva lasciato alla libera scelta del combattente, sia per gli indumenti che per le armi. In sostanza, i soldati non apparivano tutti vestiti ed equipaggiati in maniera identica, per foggia e per colori, come gli eserciti del Settecento o del periodo napoleonico: ogni tipo di unità aveva una propria originalità, magari legata alla sua provenienza territoriale, e l’armamento poteva essere una questione prettamente individuale. Soprattutto elmi, corazze e scudi, pur apparendo simili a un veloce sguardo d’insieme, appartenevano a tipologie differenti, che dipendevano sia dalla disponibilità e dal costo (non si buttava via niente a meno che non diventasse palesemente obsoleto) che dal teatro operativo in cui le truppe erano impiegate e quindi variavano in funzione del clima o del tipo di nemici che ci si trovava ad affrontare.

    I legionari furono vestiti ed equipaggiati come appaiono sulla Colonna di Traiano – con le palesi semplificazioni dovute alla scultura – per poco più di due secoli, praticamente dagli inizi del i alla metà del iii secolo d.C. Poco, se si tiene conto di tutto il periodo preso in considerazione e soprattutto se si hanno fisse negli occhi e nella mente le immagini di tanti, troppi, film e ricostruzioni approssimative che ci presentano il soldato di Roma dal giorno della sua fondazione fino alla caduta dell’Impero d’Occidente nel 476 d.C. (parliamo di più di 1200 anni!), sempre con indosso la corazza a fasce metalliche (più correttamente la lorica segmentata) e in pugno il classico scudo rettangolare (naturalmente con braccia e gambe nude).

    Alla base di questo studio, probabilmente, vi è l’idea di restituire un po’ di giustizia alla realtà storica, soprattutto per chi non ha avuto l’occasione di poter approfondire l’argomento. Durante questi dodici secoli i guerrieri di Roma seguirono la moda del momento sia per quanto riguarda i capi d’abbigliamento, sia per le armi e gli equipaggiamenti, spesso mutuandoli dagli eserciti nemici, quando questi erano più potenti, o imponendoli quando i più potenti erano divenuti loro. Dai guerrieri villanoviani dei tempi di Romolo, si passò agli opliti alla greca o all’etrusca della monarchia e degli inizi dell’era repubblicana; venne poi il momento in cui il legionario sviluppò una propria panoplia che lo rese unico e distinguibile dai suoi avversari, anche se molte parti dell’equipaggiamento derivavano da altri popoli, come gli elmi gallici, la cotta di maglia e il gladio. Dalla fine del iii secolo d.C. in poi il soldato romano cambiò radicalmente il suo aspetto e cominciò ad assomigliare sempre più ai barbari che combatteva ma che, allo stesso tempo, andavano ad ingrossare le file dell’esercito imperiale. 1200 anni in cui non solo cambiarono le fatture e le stoffe degli indumenti, il taglio dei capelli e della barba e le composizioni etniche dell’esercito e della marina, ma anche e soprattutto le armi. Gli armamenti furono inventati, adottati, sviluppati, cambiati, abbandonati, sostituiti, tornarono di moda con aggiustamenti e migliorie. E di qualsiasi arma si trattasse, i Romani fecero un uso efficace e micidiale e la fama che i soldati di Roma si guadagnarono sul campo non fu mai usurpata. Divennero praticamente invincibili, perché anche se perdevano le battaglie, a volte in maniera disastrosa, vincevano tutte le guerre.

    Esattamente come avvenuto in un mio lavoro precedente (Le armi che hanno cambiato la storia, Newton Compton 2015) ho preferito dividere le armi in tipologie e considerare come tali anche quelle difensive, come elmi, scudi e corazze. Grande spazio è stato riservato alla marina militare, perché i romani non furono solo soldati di terra, ma anche formidabili guerrieri sul mare: Roma fu infatti una delle più grandi talassocrazie della Storia. Sempre per rendere più completo questo lavoro ho voluto concedere un breve sguardo anche al genio militare e ad alcuni mezzi e strumenti da esso impiegati. Spero piacciano i brevi curricula relativi alle legioni, almeno su quelle le cui notizie sono arrivate fino a noi.

    La scelta di allargare le vicende militari, con il relativo impiego di armi specifiche create in quelle epoche come il fuoco greco, fino al periodo di Giustiniano, Maurizio e Artù è una scelta personale, motivata dal fatto che, sempre secondo le mie convinzioni, i combattenti di quel periodo erano ancora in tutto e per tutto soldati del Tardo Impero, romani comunque, e non ancora bizantini, intesi come guerrieri proto medievali dell’Oriente cristiano. Un’ultima precisazione: nel testo viene usato il termine bizantino per indicare i soldati dell’Impero Romano d’Oriente. Non sarebbe corretto, perché, anche se Bisanzio era il nome antico della piccola città che avrebbe dato origine a Costantinopoli, una tale definizione per i romani dell’Est sarebbe diventata comune solo a partire dal romanticismo ottocentesco. Fino alla caduta di Costantinopoli per mano degli Ottomani, avvenuta nel 1453, i Bizantini si consideravano a tutti gli effetti gli eredi della tradizione di Roma e si facevano chiamare Romani. Nonostante la lingua ufficiale con il trascorrere del tempo fosse divenuta il greco, non accettavano neanche di farsi chiamare Greci. Ho preferito comunque tale termine in quanto di uso corrente nei testi storici cui siamo abituati e di più immediata comprensione ai non addetti ai lavori per non confonderli. Per lo stesso motivo ho preferito riportare i nomi dei popoli con l’iniziale maiuscola, all’inglese tanto per intenderci, in modo da renderli immediatamente riconoscibili e da sottolinearne l’importanza.

    Non ho la pretesa di essere stato completamente esaustivo con le informazioni racchiuse in questo testo: data la vastità dell’argomento e la sua specificità tecnica sarebbe stato impossibile. L’idea era di non tediare il lettore con complicate descrizioni ingegneristiche delle tecniche di costruzione e di impiego delle armi e delle macchine da guerra, ma semplicemente di far conoscere un aspetto fondamentale dell’esercito romano nel corso della sua storia più che millenaria. Per gli approfondimenti vi rimando a opere di fama consolidata, una parte delle quali potete trovare indicate nella bibliografia essenziale da me allegata in calce al volume.

    L’esercito romano

    L’esercito, come già accennato, ebbe un ruolo fondamentale nella storia di Roma: grazie a esso la città poté espandersi a partire dai territori che la circondavano fino all’intero bacino del Mediterraneo, occupando tutte le terre che su di esso si affacciavano. Nel corso della sua millenaria storia l’esercito romano subì importanti cambiamenti ed evoluzioni che, a partire dalla falange di tipo oplitico, lo trasformarono in quella legione che, ancora oggi, è considerata uno dei modelli di massima efficienza militare.

    La Monarchia

    Secondo la tradizione, fu Romolo a creare il primo nucleo dell’esercito romano e come modello si ispirò alla falange di tipo greco. Servire nell’esercito era un dovere spettante ai cittadini tra i 17 ed i 46 anni che appartenevano alle classi libere, capaci di equipaggiarsi in proporzione alle proprie possibilità economiche. Per facilitare il sistema di arruolamento, Romolo divise inizialmente la popolazione adatta alle armi in tre contingenti militari, ognuno formato da 1000 fanti (pedites) e 100 cavalieri (equites). Questi contingenti erano arruolati tra le tre tribù che formavano la primitiva popolazione di Roma e cioè i Tities, i Ramnes e i Luceres, per un totale di 3000 fanti e 300 cavalieri.

    L’esercito che ne era costituito fu chiamato legione, da legĕre, «scegliere, raccogliere insieme», in quanto i suoi componenti erano scelti fra i cittadini idonei alle armi. In combattimento la legione si disponeva su tre file, nella tipica formazione a falange di origine greca con la cavalleria posta ai due lati. Ogni fila, composta da 1000 armati, era comandata da un tribunus militum, mentre ogni squadrone, formato da 100 cavalieri, era guidato da un tribunus celerum. Il re (rex) era a capo dell’esercito per tutta la durata della campagna che, di solito, non superava l’anno, perché i cittadini che componevano l’esercito non potevano assentarsi troppo a lungo dalle proprie occupazioni personali e dalle attività lavorative.

    Nel primo periodo della monarchia, il modo di combattere e il tipo di armamento erano ispirati a quelli della cultura villanoviana, originaria della vicina Etruria. I guerrieri combattevano a piedi nudi con lance, giavellotti, spade di bronzo e asce. I più ricchi potevano permettersi un’armatura composta da elmo, corazza e scudo rotondo di tipo oplitico, il clipeus. Tutti gli altri indossavano al massimo una protezione pettorale in bronzo con scudi leggeri di varie forme e dimensioni. Gli elmi erano delle più svariate fogge, con la prevalenza di quelli conici con cresta di metallo appuntita o a calotta, questi ultimi per i guerrieri meno ricchi. Alcuni scudi di tipo oplitico di origine villanoviana che sono arrivati fino a noi erano realizzati in bronzo sbalzato, lavorati con una eccezionale finezza di particolari. Le protezioni pettorali, di solito solo anteriori, erano costituite da piastre di bronzo, anch’esse scolpite e lavorate a disegni geometrici, e assicurate al tronco mediante cinghie di cuoio. Anche se all’epoca i guerrieri di maggior prestigio cercavano di risolvere le battaglie con duelli individuali, la spada non era molto usata: nella penisola italica era molto diffusa la falcata, arma corta dalla leggera forma di falce. I colori delle tuniche e del cuoio degli scudi erano vari, anche se probabilmente i più diffusi erano il bianco ed il rosso, a tinta unita o arricchiti con disegni geometrici di stile greco. Sempre a Romolo si attribuiscono la costituzione di una personale guardia del corpo, costituita da 300 cavalieri detti celeres, e l’aumento dell’esercito fino a 6000 uomini e 600 cavalieri, con la costituzione di una seconda legione a partire dal momento in cui i Romani ebbero a disposizione un maggior numero di uomini idonei al combattimento con l’integrazione dei Sabini. Tarquinio Prisco, ritenendo troppo esiguo il numero dei cavalieri e comprendendone l’utilità sia come forza esplorante che come forza decisiva per risolvere l’esito delle battaglie, istituì un contingente di riserva di 1800 equites, chiamati posteriores.

    Durante il vi secolo a.C. la riforma di Servio Tullio cambiò radicalmente l’esercito: i cittadini romani rimanevano gli unici ad avere il diritto/dovere di prestare il servizio militare e perciò erano obbligati ad armarsi a proprie spese. Furono quindi suddivisi in cinque classi sociali sulla base del proprio censo, ognuna ordinata in ulteriori quattro categorie.

    Le quattro categorie in cui era divisa ogni classe erano così costituite: i seniores, gli uomini con più di 46 anni; gli iuniores, coloro che avevano tra i 17 ed i 46 anni; i pueri, i ragazzi di età inferiore ai 17 anni, e gli infantes, quelli che non avevano ancora compiuto gli 8 anni. Le ultime due categorie comprendevano i cittadini che, a causa della giovane età, non erano considerati ancora adatti al combattimento.

    La prima classe era la più facoltosa, in quanto i suoi appartenenti disponevano di un reddito superiore ai 100.000 assi. Era costituita da 40 centurie (una centuria era composta da 100 uomini) di iuniores e da 40 di seniores, tutte di fanteria pesante. Questa classe formava il nucleo principale dell’esercito, quello costituito dalla falange e posizionato in prima linea: i guerrieri che la componevano potevano permettersi l’equipaggiamento completo, composto da elmo, corazza a scaglie o muscolare, schinieri, scudo rotondo, la spada e la lancia (hasta). Facevano parte di questa classe anche due centurie di ingegneri, incaricati della costruzione e del funzionamento delle macchine da guerra, oltre che responsabili delle operazioni di assedio.

    La seconda classe era reclutata tra i cittadini con un reddito tra i 100.000 ed i 75.000 assi ed era costituita da 10 centurie di iuniores e 10 di seniores, che formavano la seconda linea. I guerrieri erano equipaggiati con elmo di tipo conico, scudo oblungo, pettorale e schinieri in bronzo, una spada e l’hasta.

    Posizionata in terza linea, la terza classe era composta anch’essa di 10 centurie di iuniores e 10 di seniores, ma, essendo il suo reddito inferiore ai 75.000 assi, l’equipaggiamento che poteva permettersi era costituito, di solito, solo da elmo, scudo e hasta o giavellotto.

    Anche la quarta classe, i cui componenti erano scelti fra i cittadini che disponevano di un reddito che andava dai 50.000 ai 25.000 assi, era costituita da 10 centurie di iuniores e 10 di seniores. Il suo equipaggiamento si riduceva ancora, limitandosi ad hasta, giavellotto e forse spada.

    La quinta classe era, tra quelle idonee a servire nell’esercito, la meno abbiente e forniva 15 centurie di iuniores e 15 di seniores. L’armamento era composto solo dalla fionda e da proiettili di pietra: il reddito andava dai 25.000 agli 11.000 assi. Appartenevano a questa classe anche due centurie di musicanti, il cui compito era quello di inviare gli ordini all’esercito attraverso brani e note musicali, suonati da strumenti a fiato.

    La sesta classe era costituita dai proletarii, uomini liberi, addetti al lavoro manuale. Potevano disporre di un reddito inferiore agli 11.000 assi, troppo basso per adempiere agli obblighi militari. Erano perciò dispensati dal servire nell’esercito e si occupavano dei lavori necessari al sostentamento della città. Solo in caso di grave ed eccezionale pericolo potevano essere arruolati e, in questo caso, erano armati a spese dello Stato.

    Le prime tre classi costituivano la fanteria pesante, di tipo oplitico e si schieravano in battaglia su tre file, mentre la quarta e la quinta erano formate da fanteria leggera, posizionata in ordine sparso a protezione della falange o, in caso di necessità, pronta a combattere in linea con la falange stessa. La cavalleria era costituita dalla aristocrazia cittadina e divisa in 18 centurie, di cento equites l’una. Durante la battaglia si schierava ai due lati della formazione di fanteria, con il compito di proteggere i fianchi del proprio esercito e cercare di aggirare il nemico nel momento decisivo dello scontro. Altro incarico fondamentale della cavalleria consisteva nelle missioni esplorative e nelle razzie per l’approvvigionamento dei rifornimenti durante le campagne militari.

    Con la riforma serviana, l’esercito era costituito da 17.000 fanti e 1800 cavalieri, divisi in due compagini legionarie: quella costituita dai seniores aveva il compito di difendere la città e interveniva in battaglia solo come ultima risorsa. L’altra, composta dagli iuniores, e cioè dagli uomini nel pieno vigore delle proprie forze, aveva l’incarico di condurre la guerra all’esterno delle mura cittadine. Lo schieramento e le tattiche di combattimento rimanevano quelli della falange oplitica di tipo greco, che furono per lungo tempo ideali in uno scontro su un terreno aperto contro uguali schieramenti nemici, come quelli etruschi, ma che si rivelarono meno adatti per le schermaglie e le azioni di guerriglia contro le popolazioni celtiche e dell’Italia meridionale. L’armamento dei legionari di questo periodo, come abbiamo già anticipato, dipendeva dalla disponibilità economica degli stessi. I più ricchi potevano permettersi elmi in bronzo di varie fogge e tipologie, quali i corinzi, italico-corinzi, apulo-corinzi, calcidici, attici, frigi, in molti casi con alte creste colorate, abbelliti con penne e piume dei più svariati colori. Gli opliti impugnavano uno scudo rotondo in bronzo, detto clipeus, decorato sulla parte esterna con disegni di carattere mitologico o rappresentanti animali. La lancia pesante (hasta), non veniva tirata, ma usata nello schieramento come arma di arresto e, nel caso di attacco, per portare gli affondi. La corazza di tipo muscolare era di solito composta da due valve, una anteriore e una posteriore, incernierate da un lato e chiuse dall’altro con laccetti di cuoio o di lino. Era solitamente realizzata in bronzo o, sulla moda greca ed etrusca, in strati sovrapposti di lino, rinforzati da scaglie di bronzo. Gli schinieri, a protezione delle gambe, erano anch’essi in bronzo e venivano indossati allargandone la parte aperta per poi farla richiudere a scatto intorno all’arto. La spada, il cui fodero era sorretto da una cinghia portata a tracolla (balteus), rimaneva corta e veniva usata solo nel corpo a corpo ravvicinato. I guerrieri dell’epoca erano soliti combattere a piedi nudi.

    Man mano che si scendeva di classe, il reddito a disposizione diminuiva, obbligando il soldato romano a equipaggiarsi sempre in maniera più leggera, sia per quanto riguardava l’armamento difensivo che quello offensivo. Lo scudo non era più di bronzo, ma di legno o di vimini, dalle forme più svariate, rivestito di cuoio o tela colorata, su cui si trovavano applicati i più svariati disegni (sempre con la preferenza di rappresentazioni animali o segni zodiacali). I cavalieri indossavano varie fogge di elmi aperti, perché quelli della fanteria pesante erano troppo ingombranti e, calzati, limitavano la visibilità. Le corazze erano preferibilmente di lino e lo scudo rotondo, ma leggero, con lancia o giavellotti. Non esistendo selle e staffe, combattere a cavallo e lanciare i giavellotti non era molto semplice, soprattutto per i Romani che preferivano combattere come fanti. Nulla di preciso si sa sui colori di tuniche, vesti, mantelli, creste e scudi e quindi è probabile che ognuno indossasse il colore che preferiva o che risultava meno costoso (per esempio il bianco o le terre naturali). Dai ritrovamenti archeologici e dalle pitture giunte fino a noi si può notare un predominio del rosso e del bianco.

    La Repubblica fino a Gaio Mario

    Durante i primi anni della Repubblica, la falange rimase lo schieramento base dell’esercito romano, ma fu divisa in due legioni, non più in funzione dell’età dei suoi appartenenti, ma per poterne assegnare ognuna al comando di uno dei due consoli in carica. Fu anche istituita la figura del dictator, un magistrato che assumeva il comando assoluto per sei mesi in caso di eccezionale pericolo per la patria, sostituendosi ai due consoli. Man mano che Roma si espandeva a spese dei territori limitrofi, cresceva il quantitativo di potenziali soldati, con il conseguente aumento del numero delle legioni. Il modo di schierarsi dell’esercito si rivelò però eccessivamente lento e privo di flessibilità e manovrabilità. La legione fu così riorganizzata non più sulla distinzione per censo, ma in funzione dell’età dei soldati che la costituivano. Non solo: anche le tipologie degli equipaggiamenti cambiarono, con la sparizione dell’oplita, sostituito da un fante pesante armato in maniera sostanzialmente diversa. Dalla metà del iii secolo a.C., secondo Polibio, ogni legione era composta da circa 4200 fanti e 300 cavalieri e disposta su tre linee con la cavalleria legionaria ai lati: per renderla ancora più mobile, ogni linea fu divisa in manipoli, ciascuno costituito da due centurie di 60 uomini l’una.

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