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La lupa, le stelle e il diavolo
La lupa, le stelle e il diavolo
La lupa, le stelle e il diavolo
E-book146 pagine2 ore

La lupa, le stelle e il diavolo

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (116 pagine) - Una fiaba dark per adulti ambientata in Lapponia alla fine dell’800, ispirata alle leggende finniche e al mondo incantato delle illustrazioni dello svedese John Bauer


LA LUPA è Claudia, una bimba di sei anni, figlia di Alma, strega Kalè finlandese. Fin dalla nascita sa trasformarsi in lupa artica.

LE STELLE vogliono che conosca una magia più grande della metamorfosi. È quello che sostiene Vil, il lupo Stellare che guida Claudia attraverso i sogni e gli incubi quotidiani, e insegna a Claudia a parlare con gli Astri, a sentire le loro risate.

IL DIAVOLO è Hiisi, oscura divinità delle foreste, nel quale i Finnici riconoscono il Demonio. Durante un rito di mezz’estate Claudia gli viene affidata dagli Astri e il demone non sa opporsi al loro volere.

La bimba cresce, tra incanti e giochi, danzando nel vento e scherzando insieme ai troll. Cresce anche l’amicizia tra lei e Hiisi, nel quale vede una creatura buffa e gentile, del quale conosce anche il volto nascosto dietro le sembianze mostruose.

Anche Hiisi si lascia incantare da tali speranze ma è consapevole che, nella sua natura demoniaca, rischia di condure Claudia per un cammino di atrocità interminabili.


Gabriella Mariani nata a Crema nel 1972 vive e lavora tra Milano e la bassa. È specializzata in letteratura russa e lavora in una biblioteca scientifica. Si occupa di letteratura fantastica dal 2006, scrive autonomamente e a più mani e ha pubblicato con Montag (romanzi e racconti) e Delos Books (racconti brevi).

Antonella Pisconti è nata a Manduria nel  1985,  vive e lavora tra  Roma e il  Salento. Ha studiato lingue. Si interessa di fantastico, di gioco di ruolo narrativo e di cosplay da sempre e ha alle spalle una lunga esperienza di scrittura a più mani. Questa è la sua prima opera destinata alla pubblicazione.

LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2020
ISBN9788825412697
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    Anteprima del libro

    La lupa, le stelle e il diavolo - Gabriella Mariani

    pubblicazione.

    Notte di San Giovanni

    Quando egli giunse il rito era già degenerato in orgia.

    Le invocazioni erano state ripetute all'infinito in tono sempre più isterico, ostentato e osceno. Le streghe, dopo essersi accarezzate tra di loro,si stavano concedendo ai loro compagni occasionali: fanatici che si erano uniti volontariamente alla tregenda e uomini irretiti da folli richiami.

    Non per la luna si celebrava quel sabba, ma per una potenza più antica, innominata. Per non brillare sotto i bianchi raggi e sotto quelli dorati del sole di mezzanotte che faceva capolino dall'orizzonte i corpi erano stati spalmati di torba e di grasso, fino a farsi neri come la Madre Terra, simili a statue d'ebano che si intrecciavano lascive, a grumi d'humus pullulanti di lussuria.

    Ogni tanto si levava un grido d'invocazione al Signore dell'Abisso. Un grido atroce d'orfani. Orfani gioiosi di essere tali, che temevano una rinascita del padre più di ogni altra cosa.

    Egli giunse, però, e il sole si coprì. La notte si fece scura come un pozzo senza fondo, all'improvviso, e i fuochi lanciarono le loro lingue in alto, verso le stelle. All'inizio, quando la figura ammantata di nero si sedette in mezzo ai corpi impegnati negli amplessi scomposti, fu preso per un estraneo, un profanatore. Una megera si levò, abbandonando il fortunato giovane che si accoppiava con lei, e gridò, puntando verso il nuovo venuto l'indice gibboso.

    – Via! Via! Bandite il profano!

    Ma il profano puntò il dito a sua volta. La donna divenne una statua di ghiaccio di un candore perfetto ed esplose in una bruma leggera.

    L'incappucciato svelò il suo volto. Pura tenebra e occhi di fiamma azzurra. E lunghe corna, poi, che serpeggiavano verso il cielo: non era un intruso ma l'ospite d'onore.

    Nessuno degli adoratori del Diavolo si aspetta concretamente di trovarselo di fronte. Come nessun fedele della Vergine pensa di poter vederla di persona quando prega davanti agli altari. L’apparizione scatenò il panico tra molti devoti. Passi veloci di fuggiaschi frusciarono nella boscaglia, tra grida d’allarme. Grida che si intrecciarono agli ululati: i traditori non potevano diffondere le conoscenze segrete agli uomini e finivano in bocca ai Branchi.

    La maggior parte dei partecipanti però volle continuare a godere di quell’infernale miracolo.

    Alcune streghe, le più audaci e avvenenti, si avvicinarono al demone e cominciarono a esibire ai suoi occhi di fuoco fatuo le grazie procaci. Due di esse aprirono il suo mantello e la carne livida, preziosa e intatta come il marmo di un idolo antico, si plasmò letteralmente sotto le loro mani, e prese vigore. Le fattucchiere risero, titillando l’oggetto della loro adorazione: era degno di un titano.

    Una di loro si arrampicò sul corpo del Demonio, gli mise le braccia al collo, intenzionata a baciargli quel volto imperscrutabile, a saggiare la sua lingua, pur consapevole che da essa non poteva stillare che veleno. Ma nella tenebra non si palesò alcuna bocca. Alcuna lingua.

    Baciandogli il petto gelido, mordendolo voluttuosa si calò allora lentamente verso il simulacro priapico che le sorelle eccitavano sempre di più, accarezzando e leccando. Intanto i confratelli avevano riallacciato gli amplessi, e si muovevano lenti, in attesa dell'abominevole connubio.

    Che non avvenne. Non si lasciò fagocitare dalla carne umana la verga demoniaca. L'aspirante sposa del Maligno fu presa per la gola dalla sua mano e gettata via come una bambola rotta, il collo spezzato, in mezzo all'assemblea.

    − Voi non avete idea di quello che fate… della profanazione che state operando. Non toccatemi!

    Crepitò una voce inconcepibile, atroce per l'orecchio umano. Possente come mille valanghe, ricca di toni acuti e stridenti. Le amanti superstiti si allontanarono tremando.

    − Mi sceglierò un'eletta! E se ne sarò contento vi lascerò andare vivi, e ricchi della consapevolezza di avermi incontrato. Altrimenti di voi non rimarranno nemmeno le ossa!

    Lasciò cadere il mantello. Accarezzò la terra con la mano unghiata e la Madre s'animò di una fosforescenza mai vista che si trasmise di roccia in roccia, in superficie e sotto il muschio compatto. Un sentiero luminescente si tracciò davanti a lui, fino a raggiungere una fanciulla. Anzi, una bimba.

    Poco lontano, dietro una coltre di cespugli, ai piedi di un grande albero, era seduta infatti una bambina. Non una vittima, ma la figlia di una delle streghe. Sapeva che Mamma aveva da fare con le sue sorelle, le era stato proibito avvicinarsi troppo al luogo dell'incontro, se solo avesse provato ad avvicinarsi avrebbe avuto una punizione, ma non una punizione qualsiasi; aveva paura quando la mamma si rabbuiava, la guardava con sguardo torvo e le puntava il dito contro, quante volte le aveva disubbidito e quante volte era stata lasciata al buio da sola a piangere, a pregare la mamma di perdonarla.

    Claudia, si chiamava, non era cattiva, era solo curiosa come lo erano tutti i bambini della sua età, sei anni, non conosceva molti bambini suoi coetanei. La mamma non la faceva uscire spesso di casa se non con lei per andare a raccogliere erbe e bacche per le tisane. Le tisane della mamma le piacevano tanto.

    Quella notte Claudia attendeva e tirava su con il naso, gli occhi lucidi, segno che sarebbe scoppiata a piangere di lì a poco, era spaventata dalle urla che ogni tanto sentiva ed era tanto affamata, voleva tornare a casa e stare tra le braccia della mamma.

    − Mamma… Mamma… Mamma torniamo a casa!

    La mamma però non ascoltava, era ipnotizzata da quanto avveniva, come tutti.

    Ma poi Claudia sentì come una sferzata alla schiena. Si alzò e con piccoli passettini si avvicinò dove pensava di trovare la madre, seguiva le urla e i gemiti.

    E non appena varcò il confine del luogo di tregenda sentì la voce della madre

    − No! – gridava – Lei no! Mia figlia no! Ti prego… fai di me qualsiasi cosa ma non prendere lei!

    La madre di Claudia si era svegliata dall’estasi per cadere nell’incubo. Era consapevole del suo errore, del suo delitto. Fu messa a tacere dalle sue consorelle.

    − Sì. Lei sì.

    Rispose una voce profonda. La figura scura avanzò verso la bimba, seguendo quel sentiero di luce. La piccola, che era arrivata in quel luogo chiamando la mamma tra le lacrime, piangendo così tanto da essere scossa dai singhiozzi, sentì un vento gelido che passò tra i capelli color miele in una sorta di carezza. Si fermò allora, abbassò gli occhi e si vide la scia di luce che attraversava quel luogo dove prima c'erano grida, ove adesso regnava un silenzio assordante interrotto dai suoi singhiozzi.

    Camminava con la testolina bassa e solo all’ultimo momento si accorse che davanti a lei c'era una creatura dall'aspetto spaventoso, andò a sbattere contro la sua gamba e finì a terra, ricominciando a piangere per il dolore al sedere.

    − Vo-voglio tor-tornare a-a ca-sa.

    Balbettò e alzò il viso, puntò i suoi occhioni azzurri in quelli del mostro. Lui aveva occhi di fuoco freddo che avrebbe fatto gelare chiunque, gli occhi della bambina sembravano avere costellazioni dentro, una luminosa scia di stelle.

    La piccola sussultò per lo spavento e iniziò a urlare a pieni polmoni. Il Demonio avanzò fino a lei e si chinò, sorridendo. Ed era quanto di più atroce ci fosse al mondo quel sorriso umano in mezzo a quella tenebra informe.

    − Non ti dico di non avere paura, stellina, è giusto aver paura. – disse con voce tranquilla ma abissale – Ma dovrai venire con me per uscire da questo bosco e tornare a casa. E come e quando tornerai a casa lo decideremo insieme.

    Le grida della piccola provocavano nella povera madre, immobilizzata e dalle altre streghe, che le tenevano le mani sulla bocca, furia cieca e ringhi sordi.

    − Calmati! – le dicevano le compagne – in fondo è un’illegittima. Un peso.

    − Doveva andar così. Doveva essere presa da Lui. Era destino.

    Il demone tese la mano verso la bambina.

    − Mi hai fatto del male, forse, tu? Tu sei l'unica in questo luogo che non mi fa alcun torto. Non mi hai invocato con nomi assurdi e offensivi, non mi hai tentato di sedurre inutilmente, non hai profanato i luoghi a me sacri con atti osceni. Tu non hai fatto nulla. Potrei farti del male, forse?

    Le prese la manina, senza stringerla. Doveva essere lei a stringere la sua mano. Solo allora l'avrebbe portata via di lì. La piccola mano però tremava, non ricambiò la stretta. La piccina era terrorizzata da quello strano essere, ovvio. La mamma le aveva di certo raccontato dell'uomo nero che rapiva i bambini cattivi, e non voleva essere portata via, lo guardava con occhi spalancati.

    − Mamma! Mamma perché? Non ho fatto la cattiva, perché l'uomo nero vuole portarmi via? Mamma! Perché io? Prometto di essere buona, non voglio essere mangiata!

    Scalciò per allontanarlo, afferrò le sue dita e provò a morderlo, sentiva le urla strozzate della madre; voleva aiutarla e tornare a casa con lei, anche se non avrebbe mai dimenticato quella creatura, lo avrebbe visto nei suoi incubi per molte notti, non si poteva dimenticare in fretta una cosa simile: quei suoi occhi di fiamma, il sorriso demoniaco e allo stesso tempo umano.

    Si bloccò di colpo, poi, e lo fissò per un attimo che sembrò un’eternità. Poi sorrise. Un sorriso storto, furbetto. Si aggrappò alle sue corna e lo tirò giù alla sua altezza. Hiisi cadde. E la sua caduta la fece ridere d’una risata cristallina.

    − Che buffo sei! Ti mangio io!

    A quel gesto spontaneo, innocente, il demone trasalì.

    − Sono buffo, eh? Mi vuoi mangiare? – le sussurrò – allora non lasciarmi scappare piccola belva.

    Si raddrizzò e sollevò la bambina insieme alla sua testa, se la mise in spalla e corse via mentre lei aveva le manine ancora aggrappate alle sue corna. La portò via attraverso la foresta, mentre la notte d'estate, nei luoghi da lui abbandonati, ritornava alla sua luce purissima. Ma dove lui passava la tenebra si addensava di nuovo, e nell’ombra più cupa era immersa la radura dove la fece scendere a terra. Però sopra il prato e tra i fili d’erba si muovevano le lucciole, a centinaia.

    − Adesso rincorrimi, e se mi acchiappi potrai mangiarmi.

    Si mise a correre per quello spiazzo tra gli alberi in modo ridicolo, al rallentatore, come farebbe un padre per giocare con i propri bambini. Rideva, intanto, e la seguiva con lo sguardo. Forse temeva che lei sarebbe semplicemente scappata via. Forse sperava che lo avrebbe rincorso veramente.

    − Forza, vieni! Non vorrai darla vinta a questo vecchio caprone?

    La bambina mosse i passettini verso di lui ma fu distratta dalle lucciole, inseguiva i piccoli insetti invece che il demone burlone, afferrava l'aria con le mani e saltellava felice, spesso inciampava nei suoi stessi piedi o nel vestitino un po' troppo lungo, che la mamma non le aveva ancora accorciato. Era una tunica color terra, che faceva apparire la sua pelle ancora più pallida.

    − È bello qui. La mamma non viene? Dove è la mia mamma?

    − La tua mamma verrà qui guidata dalle lucciole. La porteranno qui, a giocare con te, e sarà qui che ti troverà. Non ti tratterrò a lungo. – Le parlava con dolcezza e la guardava con curiosità – Voglio solo scoprire una cosa: voglio

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