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Charlie
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E-book292 pagine4 ore

Charlie

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Info su questo ebook

Che cosa c’è in comune tra un giovane Labrador che ha perso i suoi padroni, un levriero inglese che sogna di ritrovare il comfort di una casa borghese e un bulldog francese che vuole fuggire dal mondo degli uomini?

Niente, probabilmente, se non fosse per l’amicizia che presto li legherà.

Charlie, un labrador agli ultimi anni di vita, ci fa rivivere i suoi ricordi. In questo “dog road trip” gli animali parlano, ci condividono i loro sentimenti e ci inducono spesso a riflettere sul mondo degli esseri umani.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita1 lug 2020
ISBN9781071554203
Charlie

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    Anteprima del libro

    Charlie - Didier Dorne

    Charlie

    Memorie di un cane

    A Léna, Louise e Anaé

    (...) Sul cammino, si accorse del collo spelacchiato del Cane.

    "Che cos’hai lì? gli chiese.

    - Niente.

    - Come niente?

    - Niente di che.

    - Suvvia.

    - La catena alla quale son legato, forse è quella la causa.

    - Legato? esclamò il Lupo. Quindi non puoi correre dove desideri?

    - Non sempre; ma cosa importa?

    - Certo che importa, che non desidero una briciola di tutti i tuoi pasti e a questo prezzo non vorrei nemmeno un tesoro."

    Fu così che il Lupo fuggì, e corre ancora.

    ––––––––

    Il Lupo e il Cane - Jean de La Fontaine (Estratto)

    1

    Charlie è il nome che mi è stato dato da una bambina molto tempo fa. Sono ormai dodici anni. Si dice che per calcolare l’età umana di un cane bisogna moltiplicare il numero degli anni che ha vissuto per sette, il che equivale a dirvi che sono vecchio.

    Sono nato in una casa di cui conservo solo qualche ricordo. Ho in testa l’immagine di una stanza grande e buia le cui pareti erano appena percepibili ai miei occhi da cucciolo. Un posto che possedeva un odore di cuoio ed era pieno di rumori strani. Mi ricordo soprattutto di una cesta di vimini in cui passavo la maggior parte del tempo a dormire, rannicchiato accanto alla pancia dolce e calda della mia mamma, in compagnia dei miei fratelli e sorelle.

    Mamma era una Labrador Retriever di razza pura. I suoi antenati avevano lavorato per i pescatori di un paese lontano, prima di migrare verso le terre britanniche e conquistare l’Europa continentale. Gli affari andavano a gonfie vele e nostra madre diceva, con una certa fierezza, che appartenevamo a una stirpe nobile. Avremmo potuto conoscere la vita da castello se il mondo non fosse stato attraversato da un periodo di crisi e sconvolgimenti. Non sono in grado di fornirvi ulteriori dettagli, ma so che ad un certo punto della storia, la nostra famiglia era stata costretta a raggiungere dei maestri meno fortunati. Quando sono nato vivevamo quindi una vita meno agiata dei nostri antenati, ma questo non significa che non fossimo felici. Mamma era la dolcezza in persona. Emanava un profumo caldo e dolce come il caramello che non dimenticherò mai. Da buona madre, si prendeva cura con amore dei suoi cuccioli, leccandoci con tenerezza, mentre i nostri musi cechi litigavano un po’ impacciati per aggiudicarsi le mammelle. 

    Quando i più coraggiosi tra di noi osavano avventurarsi fuori dalla cesta di vimini, restava sempre al nostro fianco a sorvegliare i gesti più minuti per proteggerci dai pericoli nascosti che ci aspettavano. È vero, infatti, che durante gli anni felici della nostra tenera infanzia, il più piccolo oggetto era motivo di scoperta e il nostro compito era di mordere tutto quello che incontravamo, affinché testassimo i nuovi materiali. Le bottiglie di plastica, i tappi di sughero o gli stracci che incontravamo sul cammino restavano raramente intatti, perché bisognava verificare che fossero commestibili; è chiaro che alcuni si sarebbero strozzati o fulminati senza l’attenta vigilanza di nostra madre. Ogni qualvolta qualcuno di noi si avvicinava ad una presa elettrica, tentava di infilare i piccoli denti ai piedi di una sedia, o mordicchiava con troppa forza il fratello o la sorella più debole, non esitava affatto a strapazzarci un po’ con il muso per farci capire che si trattava di un comportamento inappropriato.

    In quanto a esplorazioni e birichinate, devo dire che non me ne perdevo una. Conservo ancora lo spiacevole ricordo del giorno in cui feci un salto nel tessuto di una doppia tenda, aggrappandomi con i miei piccoli denti affilati. Da lì cominciai a dimenarmi miseramente ai lembi della tenda, incapace di uscirne senza l’intervento del padrone di casa, che mi ha rifilato la prima pacca sul sedere. Ma andava così, da quando ho mosso i primi passi, ho sentito quel bisogno di esplorare il mondo. Ma non fraintendetemi, la parola mondo per me significava l’unica stanza in cui io e miei fratelli potevamo circolare, considerando che, durante il primo periodo di vita, ero convinto che l’intero universo si limitasse a quella stanza e neanche per un istante avevo sospettato l’esistenza di un mondo esterno.

    2

    Per gli esseri umani è naturale stare accanto a padri, madri, fratelli e sorelle per tutta la vita. Anche se a volte la distanza li separa, la maggior parte di loro avverte la necessità di rimanere in contatto con la propria famiglia nel corso della vita. Come noi, gli uomini hanno sempre amato la vita in collettività. Tuttavia, stando a quello che iniziavo rapidamente a comprendere, ciò che è possibile per gli uomini non lo è necessariamente anche per i cani. Come la maggior parte dei miei simili, non ho mai conosciuto mio padre e sono stato separato da mia madre dopo qualche settimana di vita. Ancora oggi, conservo intatta la nostalgia di quei momenti rari e preziosi che ho vissuto al suo fianco. L’uomo è il migliore amico del cane ripetono spesso i miei simili e non lo metto assolutamente in dubbio, perché gli uomini ci allevano e ci nutrono, ci donano affetto e carezze. Ragion per cui ci ameranno sicuramente, ma bisogna pure ammettere che il comportamento che hanno alla nostra nascita è un bel po’ strano. Cosa c’è, infatti, di più terribile che separare un figlio dalla madre quando questo non è che un bambino?

    La prima volta che ho assistito a un episodio del genere, è stato mio fratello la vittima. Quel giorno eravamo tutti eccitati, perché i padroni ricevevano la visita di estranei e scoprimmo per la prima volta che alcuni esseri vivevano in un altrove di cui non avevamo mai presunto l’esistenza. Si trattava di una coppia anziana dall’aspetto del tutto rispettabile. Il signore ci osservò a lungo e ci prese uno ad uno in braccio per esaminarci con più attenzione, come se cercasse un’etichetta che indicasse il marchio sotto il pelo. Il signore e la signora discussero a lungo puntando le dita verso di noi, discussero ancora e infine, se ne andarono portando via uno dei nostri. Non avevo capito cosa si fossero detti, perché non comprendevo ancora bene il linguaggio umano. Resta il fatto che non avremmo mai più rivisto nostro fratello.

    Questo scenario angosciante si ripeté diverse volte. In seguito a ogni partenza, nostra madre cercava nervosa sotto la cuccia il piccolo che ci aveva appena lasciati, come se sperasse che si fosse nascosto per evitare di essere sequestrato. Alla fine, era costretta ad ammettere la triste verità: i suoi piccoli sparivano uno dopo l’altro. Mamma comprendeva sicuramente meglio di noi che questo dramma era inevitabile, ma faceva di tutto per non esternare il suo dolore e caricarci di un’ulteriore angoscia. In seguito a ogni sparizione, moltiplicava il suo affetto per coloro che restavano e noi non eravamo mai sazi di quei teneri gesti. Ci dimenavamo contro i suoi fianchi per approfittare della minima briciola di tempo che ci restava da trascorrere insieme, come se fossimo tutti impegnati, contro la nostra volontà, in una corsa che sapevamo essere persa fin dall’inizio. 

    Ho afferrato subito che i sequestratori di cuccioli si interessavano di solito al più giocherellone o a quello che appariva più vivace. Di conseguenza, ho deciso di metter su un muso lungo e imbronciato ogni qualvolta arrivassero nuovi visitatori. Restavo in fondo alla cesta e rifiutavo qualsiasi contatto con loro, simulando un carattere cupo e antipatico. Quando uno di questi si spinse fino a prendermi in braccio, decisi di svuotare un po’ la vescica. Mi rimise a posto immediatamente e se la squagliò in men che non si dica, probabilmente per cercare di salvare il bel maglione in cachemire che avevo appena macchiato. Questo stratagemma funzionò così bene che poco tempo dopo l’inizio di questa serie di sequestri, sono rimasto solo io accanto a mia madre. Le persone che sono venute in seguito, mi hanno osservato con sospetto per diversi minuti per poi concludere che il mio comportamento era dovuto ad una malformazione o ad una degenerazione genetica. Non intendevano investire soldi nell’acquisto di un cane malaticcio con una speranza di vita dubbia e ripartivano quindi a mani vuote. 

    Credevo fosse possibile scappare definitivamente alle grinfie dei sequestratori e cominciavo a gioire all’idea di passare l’intera esistenza accanto a mia madre, quando dei nuovi visitatori si presentarono.

    Si trattava di una giovane coppia accompagnata da una bambina dal profumo vanigliato. Mentre restavo adagiato sul cuscino con il solito atteggiamento più fiacco possibile, lei si accovacciò e cominciò ad accarezzarmi. Dietro, i genitori erano chini ad osservarmi e furono presto assaliti da un dubbio. Quel cucciolo era sicuramente molto malato per restare così inerte e insensibile di fronte alle carezze della figlia. Si guardarono per decidere chi dei due dovesse prendere la parola e infine, fu il padre che prese coraggio:

    - Marie, questo cucciolo non mi sembra in forma, guarda com’è tutto storto.

    - Ma no papà, è normale, è ancora un bebè! Guarda che carino! Ribatté Marie a raffica, avvertendo il bisogno di opporsi con un entusiasmo all’altezza dello scetticismo del padre. Questi lanciò un’occhiata alla moglie per chiamarla silenziosamente alla riscossa. La mamma di Marie che all’inizio, quando mi aveva visto, aveva aggrottato le sopracciglia, adesso sorrideva beatamente alla vista della sua piccola che mi coccolava. Eppure, sussultò e tentò di appoggiare il marito in una dimostrazione di solidarietà:

    - Tesoro, credo che papà abbia ragione. Questo cucciolo non sembra in gran forma.

    - Ma dai mamma, è solo che è ancora troppo piccolo! Ce ne prenderemo cura e gli daremo da mangiare così che possa recuperare le forze, e poi sarò io ad occuparmene! Papà, mamma, me l’avevate promesso! Vi prego! Vi prego! Vi prego!

    La ragazzina si era alzata e aveva portato le mani al petto come in preghiera, implorando i genitori con lo sguardo. Sopra i grandi occhi azzurri, le sopracciglia bionde disegnavano un arco perfetto e sotto il naso all’insù, si intravedeva un accenno ad un bacio sulle labbra.

    La piccola Marie appariva senza dubbio convincente. Ero perfettamente consapevole di ciò che mi aspettava se i genitori avessero ceduto e sorvegliavo la scena con la coda dell’occhio in un crescente stato d’ansia. Dal momento in cui la madre ha alzato la testa e cercato con insistenza lo sguardo del marito, ho capito subito che stava per cedere. Era come se ci tenesse che fosse il marito ad annunciare la decisione da cui dipendeva la felicità della figlia. Taceva per dargli l’illusione che avesse ancora in mano la scelta e per non destare l’ego del capofamiglia, ma taceva soprattutto per generosità, affinché lui si prendesse tutto il merito di una tale decisione agli occhi della figlia. Nel suo silenzio, albergava tanto amore quanta abnegazione e avvertivo l’utilizzo di una forza misteriosa dalla potenza irresistibile. Nonostante tutto, volevo continuare a credere che l’uomo sarebbe stato capace di resistere e pregavo affinché fosse forte, ma non era facile ora che gli sguardi della moglie e della figlia erano puntati su di lui. Così come avrei scoperto più tardi a spese mie, le due diavolesse stavano usando uno dei poteri più forti di tutto l’universo, un potere al quale uomini e cani sono sottomessi allo stesso modo, anche se esitano spesso ad ammetterlo: il potere femminile. Mi ha osservato sogghignando per alcuni istanti, perché la decisione che la ragione gli imponeva era opposta a quella che gli dettava il cuore. Era teso come un arco, combattuto tra il desiderio di cedere e la volontà di mostrarsi deciso, ma la sicurezza del padre, così come tutta la mia speranza, si sgretolava a vista d’occhio.

    Come per sollevare il marito dalla pressione che stava sopportando, la donna gli poggiò una mano sul braccio e gli sorrise. In quell’istante preciso ho capito che la piccola bambina aveva vinto la partita.

    - Va bene, va bene, borbottò il padre, sconfitto. D’accordo, lo prendiamo, ma alla sola condizione di ricevere un rimborso nel caso non sopravviva.

    Aveva appena pronunciato queste parole, quando la piccola Marie si precipitò alle sue braccia. Per diversi minuti ci furono solo grida e abbracci. L’esplosione di gioia fu tale che il padre ne fu quasi deriso. Quanto a me, merce di transazione, munito persino di una garanzia sulla speranza di vita, approfittai di quel momento di confusione per nascondermi sotto i fianchi di mia madre, sperando ancora di scappare all’adozione. Tuttavia, quello che doveva succedere successe e sentii presto delle mani che mi sollevarono tutto tremolante al di fuori della cuccia. Pietrificato dall’ansia e trasportato verso l’ignoto da braccia sconosciute, ho combattuto con determinazione grazie alle piccole zampe per poter liberare il muso dalla stoffa di un mantello. Con il collo che sporgeva al di sopra di una spalla, ho potuto incrociare per l’ultima volta lo sguardo rassegnato e amorevole di colei che mi aveva messo al mondo.

    È proprio questa l’ultima immagine che avrei avuto di mia madre.

    3

    Nella disgrazia, ho avuto la fortuna di essere accolto in un ambiente amorevole dove il cibo non mancava mai. La nuova famiglia si è rivelata molto affettuosa nei miei confronti e ha fatto del suo meglio per pacare la mia angoscia. Pensavo spesso a mia madre e mi chiedevo se mi avessero consentito un giorno di rivederla. Spesso mi accoccolavo vicino ai nuovi padroni per ritrovare un po’ di quel calore che tranquillizza e consola i cuccioli, anche se non avevano lo stesso profumo di mamma che, nonostante la loro buona volontà, continuava a mancarmi terribilmente durante le prime settimane. Ma per fortuna, il tempo lecca tutte le ferite e che siano umani o cani, i piccoli hanno quella straordinaria capacità di sapersi adattare all’esistenza che viene loro imposta. E così, mentre scoprivo la mia, completamente diversa, il dolore è sfumato a poco a poco e sono riuscito a ritrovare la gioia di vivere.

    Tra tutti gli umani con cui sono entrato in contatto, Marie era sicuramente colei che trascorreva più tempo a giocare con me. Era una bambina sorridente e adorabile che non smetteva di coccolarmi e di raccontarmi storie, a tal punto che ho iniziato a comprendere le basi del linguaggio umano. Divenne ben presto la mia confidente e migliore amica. Quando non c’era, passavo la maggior parte del tempo in cucina, dove i padroni avevano sistemato la mia cuccia, e aspettavo impaziente il suo ritorno da scuola. Jeanne, sua mamma, era una cuoca eccellente. Adoravo i momenti i cui si metteva ai fornelli. Di solito, mi mettevo tra le sue gambe, con il muso puntato all’insù per godere a pieno dei profumi appetitosi che invadevano la stanza e andavano a coprire quel profumo di fiori che impregnava i suoi vestiti. Fra i tre esseri umani che abitavano in casa, Paul era probabilmente il più severo. Quando mi capitava di fare qualche guaio era il primo ad alzare la voce per sgridarmi. Emanava un odore di legno e tabacco quando parlava e il tono cupo della sua voce mi spaventava molto. Mi aveva chiaramente impedito l’accesso ad alcune stanze, così come la possibilità di addormentarmi sulle poltrone o sul divano, sicuramente più comodi. Quando qualcosa non gli andava bene, lo capivo dal suo modo di arricciare il naso e allora, in quei casi, cercavo di farmi il più piccolo possibile. Quando era contrariato, mi avvicinavo a lui a testa bassa e gli leccavo le mani o qualsiasi altra parte del corpo vicina. Era il mio modo di dimostrargli che riconoscevo la sua autorità e lo facevo ancora più volentieri se sentivo che aveva bisogno di essere rassicurato rispetto al suo ruolo di capofamiglia. Di solito, si lasciava avvicinare e si metteva subito a grattarmi la pancia se mi addormentavo ai suoi piedi. In fin dei conti, il papà di Marie era un buon capo branco. Sotto quell’aspetto un po’ severo, Paul nascondeva un animo sensibile e un cuore tenero, e se a volte combinavo dei guai, non alzò mai le mani su di me.

    C’era un ultimo personaggio nella nostra famiglia. Quando l’ho visto per la prima volta, nonostante il suo odore acre e sgradevole, ho pensato in un primo momento che fosse un cane, perché si muoveva su quattro zampe ed era ricoperto di peli, proprio come me. Quando mi sono avvicinato a lui, scodinzolando per fare conoscenza, si è bloccato come una statua e ha emesso un ruggito che non apparteneva al mio vocabolario. E nel momento in cui ha rizzato il pelo e aperto la bocca, ho capito che mi stava invitando a mantenere le distanze. Un po’ sconcertato, ho comunque tentato di avvicinarmi e gli ho rivolto un guaito gioioso e acuto per invitarlo a giocare con me. Oh, cari antenati! Se solo aveste visto la sua reazione! Neanche il tempo di poter abbaiare che mi son beccato una graffiata eccezionale sul muso. Il gesto era stato così rapido che non avevo potuto prevederlo. Una goccia di liquido rosso è iniziata a colare dal mio tartufo. Mentre Marie accorreva a prendere le mie difese e a far scappare l’aggressore, ho iniziato a leccare quel liquido e, dal gusto metallico che aveva, ho capito che si trattava di sangue, del mio sangue. È in quest’occasione che ho conosciuto Mistigri.

    Nei giorni seguenti, ho passato la maggior parte del tempo a osservare lo strano animale, affascinato dall’incredibile abilità che dimostrava di avere in ogni circostanza. Oltre alla rapidità fenomenale, Mistigri era di un’elasticità considerevole, capace di balzare da un mobile all’altro, di arrampicarsi sui tetti e di raggiungere i rami più alti degli alberi per inseguire gli uccelli più imprudenti. Scalava e scendeva dai muri con una facilità sconcertante e poteva camminare in equilibrio sui bordi di una recinzione, come un vero funambolo. Mistigri era un temibile cacciatore e non aveva eguali nella cattura dei topi che avevano il coraggio di attraversare il nostro giardino, o ancora delle mosche in volo. Nonostante cercassi di imitarlo, non avevo un’unghia del suo equilibrio, abilità e rapidità. Sono arrivato alla conclusione che per ottenere quei risultati, Mistigri era stato senz’altro allievo di una scuola di acrobazia o di arti marziali e, a meno che non fossi diventato anch’io alunno di un gran maestro, non avrei mai potuto competere con lui. Al di là di queste qualità, Mistigri si rivelò anche molto subdolo, come con le sue prede alle quali si avvicinava con lentezza e in un silenzio assoluto, prima di piombare su di loro senza via di scampo. Aveva un dono innato per il camuffamento e poteva spuntare di colpo da un momento all’altro. A partire dal nostro incontro quindi, cercavo di mantenere le distanze, ero sempre in guardia quando c’era lui e per nulla tranquillo quando non ce l’avevo sotto gli occhi.

    Bisogna quindi ammettere che passò del tempo prima che la nostra relazione, piuttosto fredda e distante, si evolvesse in una certa complicità. Questa volta, fu lui a prendere l’iniziativa. Come tutti gli sportivi di alto livello, Mistigri dava molta importanza al recupero e passava gran parte del tempo a dormire. La sua zona era il salone, all’interno di una scatola posta in cima a un albero artificiale che i nostri padroni avevano volontariamente sistemato lontano dalla mia cesta. Fu quindi una grande sorpresa il giorno in cui Mistigri si diresse verso di me con nonchalance per venire a dormire fra le mie zampe!

    Si trattava di una strategia per intimidarmi? Aveva deciso di mandarmi via? All’epoca non ero più il cucciolo del tutto inesperto di una volta. Ero ormai cresciuto e diventato senza dubbio più grosso di lui. Tenevo molto alla mia cesta ed ero pronto a difenderla, ma sapevo che con Mistigri la sola forza non era sufficiente. Mistigri era un esperto nell’arte del combattimento corpo a corpo e temevo più che mai i suoi artigli affilati. Convinto che l’aggressione fosse imminente, ho sollevato la testa lentamente e sono rimasto sull’attenti senza fare un solo movimento. Dopo qualche minuto, si sentiva un ronzio regolare e ho constatato, con mia grande sorpresa, che Mistigri si era appena addormentato! 

    A forza di restare immobile, i muscoli cominciavano a paralizzarsi. Dovevo assolutamente muovermi, ma non volevo svegliarlo, perché temevo la sua reazione. Allora, ho appoggiato con attenzione la testa sulla zampa ed è così che, per la prima volta, ho fatto un pisolino con un gatto. Questo evento è stato per i padroni un motivo inspiegabile di gioia e soddisfazione. Mostravano a tutte le persone che incontravano le foto che avevano fatto mentre io e Mistigri stavamo dormendo. A me dava fastidio vedere la nostra intimità esposta agli occhi di estranei, mentre invece i nostri padroni erano orgogliosi di essere testimoni di un’intesa così cordiale tra cane e gatto. D’altra parte, Mistigri sembrava del tutto indifferente a questo entusiasmo eccessivo, a tal punto che arrivai a chiedermi se non stessi prendendo troppo a cuore la questione. Nonostante la rabbia, ci tenevo comunque a salvarmi la faccia per non rovinare il rapporto con i padroni. Fortunatamente,

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