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Molière. Amori, opere e lati oscuri
Molière. Amori, opere e lati oscuri
Molière. Amori, opere e lati oscuri
E-book170 pagine2 ore

Molière. Amori, opere e lati oscuri

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Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière raccontato in un saggio che mette a nudo, tra successi e insuccessi, la sua opera e la critica sociale sugli aspetti odiosi di un mondo in palese decadenza: piccineria, ipocrisia, supponenza, gelosia, avarizia, adulazione, conformismo, vigliaccheria.
Molière teatrante che ha partecipato alla messa in scena di una Francia apparentemente splendida, sotto la regia di un essere semi-divino, il Re Sole, nel lusso più sfrenato, mentre l’aristocrazia se ne infischiava se nelle strade di Parigi la gente moriva di fame o se i contadini erano sfruttati senza ritegno come servi della gleba.
Una satira dunque, tra amori, opere e lati oscuri, che sembra sputare nel piatto nel quale lo stesso commediografo mangiava, ma sapendo sempre comportarsi bene a tavola. In questo saggio Molière sembra un umorista propenso a mantenere le proprie critiche nel limite del possibile, trascurando le tragedie sociali autentiche e soprattutto le canagliate compiute da chi della piramide sociale occupava il vertice.
 
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2020
ISBN9788832281439
Molière. Amori, opere e lati oscuri

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    Anteprima del libro

    Molière. Amori, opere e lati oscuri - Giorgio Bertolizio

    edizioni

    Copyright

    © Copyright Argot edizioni

    © Copyright Andrea Giannasi editore

    Lucca, luglio 2020

    1° edizione

    Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).

    ISBN 978-88-32281-43-9

    I lettori che desiderano informazioni

    possono visitare il sito internet:

    www.tralerighelibri.com

    PREAMBOLO

    La casa dove, il 15 gennaio 1622, nacque Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, situata a Parigi in rue Saint-Honoré, non esiste più. Invece, al numero civico 31 di rue du Pont-Neuf, una lapide, sormontata dal busto dell’artista, ricorda che l’edificio sarebbe stato costruito nel luogo dove sorgeva l’abitazione nella quale venne al mondo.

    Una patacca spudorata, probabilmente con la speranza di accrescere il valore dell’immobile escogitata da un ignorante, giacché la data di nascita riportata è il 1620.

    Viceversa, la disadorna tomba del commediografo si può rintracciare nel cimitero di Père-Lachaise, al secolo François d'Aix de la Chaise, un gesuita confessore di Luigi XIV. Tuttavia, è improbabile che ne contenga i resti. Inizialmente, infatti, Molière fu sepolto nel cimitero Saint-Joseph, appartenente alla parrocchia di Saint-Eustache, soppresso intorno al 1781 e distrutto una quindicina d’anni dopo. Durante la demolizione del camposanto, le sue spoglie sarebbero state riesumate per essere deposte nel Pantheon. Chiesa dedicata a Sainte-Geneviève ma trasformata in mausoleo all’epoca della Rivoluzione francese. Tuttavia, allorquando si decise di concedergli il tardivo omaggio, nessuno seppe individuarne la pietra sepolcrale, letteralmente scomparsa così come i suoi manoscritti. Sicché, presumibilmente, furono dissotterrati i resti di qualche sconosciuto che, però, rimasero deposti in una cassa fino al 1817 per poi essere collocati dove oggi si trovano.

    Forse, insorsero intralci burocratici nel conferirgli il privilegio di giacere accanto a Voltaire, Rousseau e Marat. Nel 1794, infatti, era stato espulso dal mausoleo Honoré de Mirabeau, il primo cui era stato conferito tale onore e seppellitovi tre anni prima, dopo la scoperta che aveva mantenuto contatti segreti con Luigi XVI. Perciò era stato risotterrato in un vicino cimitero, prima che i suoi resti fossero nuovamente dissepolti e gettati nelle fogne di Parigi. Insomma, per i suoi rapporti con il Re Sole, Molière difficilmente poteva essere annoverato tra i «rivoluzionari» autentici. Una sorta di «revisionismo» cimiterial-storiografico che avrebbe potuto riguardare anche Voltaire, sovversivo - semmai - a propria insaputa.

    In ogni caso, all’epoca, sembra regnasse parecchia confusione, tanto da rendere problematica la ricerca di un rivoluzionario al di sopra di ogni sospetto. Pertanto, tra il 1791 e il 1794, a essere sepolti nel Pantheon furono soltanto in sei (Honoré de Mirabeau, Voltaire, Louis-Michel le Peletier, Auguste Marie Henri Picot de Dampierre, Jean-Paul Marat e Jean-Jacques Rousseau), ossia tre nobili e tre borghesi. Una penuria davvero imbarazzante. Tanto che, il 12 settembre 1792, l’Assemblea legislativa decise, all’unanimità, di seppellire nel Pantheon Nicolas Beaurepaire, che non era un proletario bensì un oscuro ufficiale dei carabinieri, morto dieci giorni prima a Verdun mentre combatteva contro i prussiani. In realtà, era stato rinvenuto esanime nel proprio ufficio per cause non chiarite. Nondimeno, si ritenne di considerarlo un eroe suicidatosi, piuttosto che subire il disonore della resa. Sennonché, la sua salma non fu trovata perché era stato sepolto, dai propri uomini, a cinquanta chilometri da Verdun, senza una lapide nel cimitero di Sainte-Menehould. Dunque, la cerimonia funebre non ebbe luogo.

    Sempre in tema di onori postumi, bisogna anche ricordare che al Théatre Molière, inaugurato nel 1791, durante il cosiddetto Regime del Terrore (1793-1794) fu cambiato nome in Théatre des Sans-Culotte, quasi a voler celebrare il passaggio dalla farsa borghese al dramma proletario. Soltanto nel 1844 a Parigi, dopo la demolizione di quella intitolata a Richelieu, in Place Mireille fu edificata la Fontana Molière con la statua in bronzo dell’artista su un piedestallo, a cui lati due figure femminili rappresenterebbero la commedia seria e quella divertente, che appaiono però fisicamente identiche. Infine, tra le oltre 300 statue raffiguranti importanti personaggi parigini, che adornano la facciata dell’Hotel de Ville, si può osservare anche quella di Molière, ammesso che si sappia dove stia. Non molto, per commemorare il più grande commediografo francese.

    Se le tracce terrene iniziali e finali di Molière a Parigi sono evanescenti, la sua esistenza privata è sostanzialmente avvolta nella nebbia con qualche sprazzo oscuro. Infatti, le narrazioni della sua vita, abitualmente proposte attraverso il susseguirsi delle sue opere, con inevitabili cedimenti ai triviali pettegolezzi contenuti nell’anonimo opuscolo del XVII secolo La famosa attrice, non rivelano chi egli fosse intimamente. Infatti, l’estro creativo può rivelare uno stato d’animo momentaneo di un artista ma prescinde dai suoi pregi e difetti umani. Ciò non toglie che, nell’ordito del tessuto umano dei suoi personaggi, egli abbia potuto inconsciamente rivelare i propri lati oscuri di ipocrita, adulatore, ipocondriaco, geloso, misantropo e libertino in maniera, tuttavia, ambigua. Molière, infatti, con i propri detestabili personaggi ebbe un rapporto affettuoso. Li derise, senza odiarli comprendendo e compatendo le loro sofferenze intime.

    Jean-Baptiste Poquelin avrebbe potuto condurre una vita da tranquillo, agiato e anonimo borghese. Invece, volle affrontare, per parecchi anni, una vita nomade, difficoltà economiche, insuccessi, l’umiliazione di procurarsi la benevolenza di ricchi aristocratici ed ebbe una vita sentimentale deludente. Quali siano state le molle a spingerlo su una strada irta di ostacoli è difficile da cogliere, se non l’ambizione e il desiderio di successo.

    Indubbiamente, Molière fu un grande commediografo, se non addirittura il «creatore» della commedia francese e dunque una sorta di santo patrono dei comédiens françaises, ma soltanto dopo aver compreso la propria inattitudine a emergere come attore e autore tragico.

    La sua critica sociale fu una satira su alcuni aspetti odiosi di un mondo in palese decadenza: piccineria, ipocrisia, supponenza, gelosia, avarizia, adulazione, conformismo, vigliaccheria. Comportamenti biasimevoli pubblicamente, giacché la loro riprovazione non poteva irritare coloro che detenevano il potere, ma semmai compiacerli, perché a quel mondo si ritenevano superiori. Infatti, Molière partecipò alla messa in scena di uno Stato apparentemente splendido, sotto la regia di un essere semi-divino, il Re Sole, nel lusso più sfrenato, mentre l’aristocrazia se ne infischiava se nelle strade di Parigi la gente moriva di fame o se i contadini erano sfruttati senza ritegno come servi della gleba. In altre parole, sembrerebbe quasi che sia stato soltanto un umorista propenso a mantenere le proprie critiche nel limite del possibile, ossia trascurando le tragedie sociali autentiche e soprattutto le canagliate compiute da chi della piramide sociale occupava il vertice. Parrebbe, insomma, che abbia scaracchiato nel piatto nel quale mangiava ma sapendo comportarsi bene a tavola.

    Addirittura, secondo Dominique Labbé dell’Università di Grenoble, tre editori suoi contemporanei misero seriamente in dubbio che Molière fosse stato l’autore di alcune celebri opere attribuitegli (Il dispetto amoroso, Psiche, Don Giovanni), mentre un critico letterario dell’epoca avrebbe scritto: «Non si può dire che Molière sia una fonte viva ma solamente un bacino che raccoglie acque provenienti da altri luoghi, per non dir di peggio inserendolo nel paragone che qualcuno ha fatto […] con degli asini buoni solo a portar pesanti fardelli». Insomma, sarebbe stato persino accusato di essere un plagiario. Indubbiamente, che non sia mai stato rinvenuto alcun manoscritto di Molière, può lasciare spazio a illazioni fantasiose. Tuttavia, non poter provare che Molière abbia scritto o ideato una commedia, in un tempo in cui imitazioni e rifacimenti erano di largo uso, non significa dimostrare il suo contrario.

    In ogni caso, giacché della vita di Molière si conosce poco, gli interrogativi sono molti. Fu un personaggio che scelse di vivere in un proprio mondo rendendolo intellettualmente impenetrabile ai contemporanei nonostante l’apparenza popolare? Oppure, si adattò a vivere in un mondo per il quale provava ripugnanza e al quale si sentiva estraneo? Oppure, ancora, fu un individuo intimamente tormentato dalla consapevolezza di essere riuscito a emergere non come drammaturgo e attore tragico, capace di portare in scena i drammi esistenziali che sfoceranno nella Rivoluzione, bensì come commediografo e formidabile guitto?

    Sul piano personale, forse, fu tristemente conscio di non saper amare o almeno di non saper manifestare il proprio amore, senza che nessuno fosse capace di capire il pudore che provava per i propri sentimenti o che era costretto a camuffare. Perciò, sebbene ammirato, non fu profondamente riamato, poiché ebbe diversi rapporti amorosi ma di nessuna donna fu l’ultimo uomo e sulla sua tomba non sarà mai posto un fiore. Per tutti questi interrogativi esiste soltanto una risposta: fu un uomo malinconicamente solo, come spesso capita ai grandi artisti. Sicché. dopo la sua morte, nemmeno la moglie si rese conto di essere stata l’unica donna amata da un genio davvero incompreso, talvolta persino da sé stesso, anche se aveva fatto ridere la Francia intera.

    GIOVENTÙ

    Figlio di Jean Poquelin, mercante di tappeti, tendaggi e tessuti d’arredamento, e di Marie Cressé, sposatisi nel 1621, della sua infanzia si conosce quasi niente. Probabilmente, nella scuola parrocchiale, imparò a leggere, a scrivere e a far di conto per quel tanto che sarebbe bastato per mandare avanti la bottega paterna, collocata in un pianterreno semibuio. Doveva ancora nascere l’Académie Française, con il compito di rendere la lingua francese patrimonio comune di tutta la nazione, e mancava mezzo secolo alla fondazione della prima scuola gratuita per i bambini poveri che vivevano in mezzo alla strada, da parte di Jean-Baptiste de La Salle. Un sacerdote che aveva capito che non occorreva andare fino in Africa per «civilizzare» dei selvaggi.

    Jean Poquelin, dopo aver messo al mondo sei figli, tre dei quali morti in tenera età, nel 1632 pianse la scomparsa della moglie, distrutta dalla tubercolosi polmonare. Tuttavia, trascorso un anno, l’addolorato Jean si risposò con Catherine Fleurette, diciannovenne figlia di un sellaio che, dopo due gravidanze, lo renderà per la seconda volta vedovo nel 1636. Nonostante i lutti, tuttavia, non aveva trascurato i propri affari. Era un uomo onesto dai buoni ma pochi sentimenti, con ambizioni piuttosto limitate.

    Lasciata l’abitazione in rue Saint-Honoré, acquistando due botteghe, si era trasferito a Les Halles dove, nel 1183, era stato creato un mercato coperto per riparare i commercianti che giungevano dalla provincia per vendere le loro merci. All’epoca del piccolo Molière, oltre ai veditori di derrate alimentari all’ingrosso vi regnavano imbonitori e saltimbanchi. Nel quartiere, un attore di strada si distingueva tra gli altri, il mitico Dauphine Tabarin, al secolo Antoine Girard forse di origine napoletana, che indossando un tabarro bianco senza bottoni bordato di rosso e un imponente cappello di feltro scuro ornato da una piuma verde, incantava i bimbi, come Jean-Baptiste, con la propria abilità trasformistica e i giochi di prestigio. Individuo divertente ma anche pericoloso, perché spingeva il pubblico ad acquistare i medicamenti «miracolosi» messi in vendita dai ciarlatani.

    Inoltre, nel 1631, quando Jean-Baptiste aveva nove anni, Jean Poquelin aveva messo a segno un colpo gobbo, acquistando la carica di tappezziere e cameriere ordinario del re. Titolo che comportava, a rotazione con l’aiuto dei valets de chambre, il rifacimento e la pulizia del letto e lo spolvero degli arredi personali del regnante nella sede dove soggiornava. Una fatica non immane, ripagata con un discreto stipendio annuo e con la possibilità di avvicinare una facoltosa clientela conquistandone la fiducia. Un ottimo investimento, dunque, salvo il problema degli aristocratici debitori che dilazionavano all’infinito i pagamenti, da trasmettere al proprio primogenito. Il prudente Poquelin, tuttavia, sembra concedesse anche prestiti a interessi molto elevati.

    Dunque, in previsione di una possibile arrampicata sociale del figlio, nel 1635 lo iscrisse come allievo esterno nel Collegio Clermont, retto dai gesuiti, destinato a diventate Lycée Louis-le-Grande e «serbatoio» della classe colta. Anche se, nel 1594, era stato chiuso dopo la scoperta che Jean Châtel, mancato omicida di Enrico IV di

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