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Passione e misteri (eLit): eLit
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E-book390 pagine5 ore

Passione e misteri (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Brethren Guardians 1

Isabella Fairmont, che ha una fervida immaginazione e la segreta ambizione di diventare scrittrice, ha avuto un'infanzia infelice per colpa della madre divorata dalla passione fino a esserne rovinata, perciò preferisce sacrificare i suoi desideri ardenti sull'altare della sicurezza e della tranquillità.
Decisa a cancellare lo scandalo della sua nascita con un matrimonio di convenienza, prova un tiepido interesse per Wendell Knighton, un giovane archeologo, e riversa nelle pagine segrete del suo diario i pensieri più torbidi.
Poi, però, le attenzioni che riceve dall'enigmatico lord Black la turbano, perché il conte, con la sua sensualità oscura e il suo fascino tenebroso, è identico al protagonista del suo romanzo, palpitante d'inconfessabili segreti erotici. Isabella cerca di resistere all'assalto di lord Black ma sa già che prima o poi soccomberà a quella corte spietata.
Lui non vuole solo possederla, ma anche salvarla da criminali pronti a tutto per impossessarsi di preziose reliquie degli antichi Templari.
E mentre lei teme per la sua virtù, il conte invece ha paura di non riuscire a proteggerla proprio da coloro di cui Isabella si fida maggiormente.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2018
ISBN9788858981924
Passione e misteri (eLit): eLit
Autore

Charlotte Featherstone

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Passione e misteri (eLit) - Charlotte Featherstone

    eterna.

    1

    Londra, 1875

    La prima volta in cui ho visto la Morte, ero a un ballo. Abbiamo danzato un valzer. Sopra di noi scintillavano candelabri accesi e tutt'intorno a noi roteavano le gonne ampie degli abiti da sera, con strascichi adorni di perle e pizzi. I gioielli delle dame rilucevano di riflessi preziosi, abbagliandomi mentre la Morte mi guidava facendomi volteggiare fino a lasciarmi senza fiato, in preda a un senso di vertigine. L'immagine delle altre coppie danzanti era offuscata, le sagome si confondevano in una scia indistinta e mi sembrava che ci fossimo solo noi a piroettare in mezzo al salone.

    Avrei dovuto temere il Signore della Morte, rifuggire il suo abbraccio granitico, ineludibile, e invece mi sentivo a mio agio. Era al mio fianco da anni ed era diventato una presenza amica, quasi rassicurante. Il Signore della Morte aveva una bellezza severa, ma anche un volto così freddo da trafiggere qualsiasi cuore. Era un'ombra oscura, uno spettro etereo che si drappeggiava come un velo impalpabile sui mortali di cui un giorno avrebbe reclamato il possesso.

    Aveva le sembianze di un uomo, tuttavia non riusciva a dissimulare il suo isolamento. La solitudine era riflessa nei suoi occhi, affascinanti per l'inquietante mescolanza di gelo e calore che trasmettevano. Le sue iridi celesti, con riflessi di giada, mi ricordavano le acque fredde e turbolente del mare del Nord, ma le sue ciglia lunghe e folte, nere come ali di corvo, mi rammentavano un'avvolgente stola di zibellino, calda, morbida e invitante. I capelli erano altrettanto folti e neri; gli ricadevano sulle spalle come un manto di pelliccia. Avevo voglia di far scorrere le dita tra le sue lunghe ciocche, affondarle in quella morbidezza setosa.

    «Sapete chi sono?» mi chiese con voce profonda e vellutata che scivolava sulla mia pelle risvegliando in me un sentimento indecifrabile, non di timore ma di altra natura. Mi faceva sentire languida, come se non avessi più alcun controllo sulla mia volontà.

    «Il Signore della Morte» risposi senza fiato, in un bisbiglio appena udibile.

    «E non mi temete?»

    Alzai lo sguardo verso le sue iridi gelide. «No» risposi con fermezza.

    Lui mi strinse ancora di più a sé, incollando il suo busto al mio. E così danzammo, muovendoci come se fossimo fusi in un solo essere. Era indecente, eppure esaltante al tempo stesso. Il mio cuore batteva forte per l'emozione che aveva acceso la mia pelle di un rossore inusitato. Il suo sguardo si posò sulla vena che pulsava freneticamente nel mio collo e v'indugiò. In quel momento capii che avrebbe potuto soffocare il calore che m'invadeva.

    «Siete venuto a prendermi per portarmi via, milord?» gli chiesi, sfrontata.

    Lui mi fissò negli occhi e abbassò le sue lunghe ciglia color onice, che gli ombreggiarono lo sguardo penetrante. «Sì. Venite con me.»

    Al termine di un giro completo della sala mi prese per mano, intrecciando le dita alle mie, e mi guidò verso la portafinestra e l'oscurità ovattata che mi attendeva fuori.

    Lo seguii docilmente, attirata dalla sua bellezza tenebrosa. Come una sonnambula mi lasciai portare, sospinta da un desiderio senza nome.

    «Sto per morire?» gli chiesi, trepidante.

    Lui si fermò, sollevò la mia mano stretta alla sua e mi baciò delicatamente le dita, a una a una. «Sì, amor mio, e nel vostro sonno eterno diventerete la sposa della Morte.»

    «Tutto qui?» gridò Lucy gettando un cuscino contro Isabella. «Oh, sei impossibile! Ti odio.»

    Lucy si precipitò verso la toeletta davanti a cui era seduta Isabella e le strappò di mano il diario rilegato in cuoio nero. Sfogliò le pagine con gesti frenetici, sperando che la storia proseguisse oltre il punto in cui si era arrestata la lettura.

    «Te l'avevo detto, Lucy» sospirò Isabella, paziente. «Ho appena cominciato.»

    Lucy alzò lo sguardo e la fissò con le gote arrossate dall'emozione. «Avevo le palpitazioni quando hai smesso di leggere. Ti giuro che se avessi descritto il loro bacio sarei svenuta! Sento di essere già innamorata del Signore della Morte.»

    Isabella sorrise orgogliosa e riprese il diario dalle mani della cugina. «Quindi pensi che sia un buon racconto?» le chiese, incerta. «Mi rendo conto che è alquanto insolito avere la Morte come protagonista.»

    «Buono? Santo cielo, Issy, questa volta hai superato te stessa! Neanche Rochester di Jane Eyre può reggere il confronto con il tuo Signore della Morte!»

    Isabella rimise il diario nella borsetta a reticella adorna di perline. «No, Rochester è inarrivabile come bel tenebroso. Charlotte Brontë ha creato un eroe che non ha rivali.»

    «Ma il tuo lord Morte, con i capelli neri e i penetranti occhi celesti, è il sogno di ogni fanciulla. Essere tra le braccia di un uomo del genere sarebbe fantastico» sospirò Lucy ondeggiando per la stanza a occhi chiusi e aria sognante, come se stesse ballando un valzer.

    «Ti confesso che sono piuttosto soddisfatta dell'inizio» ammise Isabella.

    «Oh, non essere sempre così modesta!» la rimproverò affettuosamente Lucy, avvicinandosi allo specchio per aggiustarsi un ricciolo ramato sulla tempia.

    Isabella si voltò sullo sgabello e si guardò, raddrizzando il collier di diamanti e ametiste, dono di suo zio. Era il suo gioiello preferito e lo portava spesso; non avrebbe mai potuto immaginare d'indossare un giorno un monile così prezioso.

    Avrebbe dovuto fare qualcosa per i capelli, pensò, osservando con aria critica il proprio riflesso. I biondi riccioli ribelli continuavano a sfuggire alle forcine con cui li aveva appuntati. Anche se era riuscita a dissimulare le sue umili origini sotto una parvenza di nobiltà, i capelli non obbedivano ai suoi tentativi di addomesticare il riottoso carattere dei nativi dell'aspro Yorkshire. Per quanto si nascondesse dietro gioielli, pizzi e trine, la sua chioma di campagnola non si piegava al ferro che tentava di domarla.

    «Dimmi qualcosa di più della tua eroina che conquisterà il cuore del Signore della Morte» la esortò Lucy.

    Isabella si accigliò. Stranamente non riusciva a concentrarsi nel descrivere dettagliatamente la protagonista che sarebbe diventata la sposa della Morte. Quel primo brano era sgorgato senza sforzo dalla sua penna, come se fosse emerso dalle profondità della sua anima, e Isabella non voleva soffermarsi troppo a frugare nei segreti recessi per paura di vedervi qualcosa di spaventoso. Forse era il suo futuro che temeva in realtà?

    Lucy notò la sua espressione e la scrutò intensamente. «Ma forse sei proprio tu l'eroina del tuo romanzo...» insinuò.

    Isabella arrossì e boccheggiò, e Lucy scoppiò a ridere vedendola confusa.

    «Non essere sciocca, Lucy.»

    Sua cugina la guardò dubbiosa. «Sei veramente una birbantella a immaginare te stessa in quella situazione scandalosa!» la rimproverò scherzosamente, con un sorriso malizioso.

    Era vero?, si chiese Isabella. Era proprio lei la protagonista di quel ballo ai limiti dell'indecenza con il Signore della Morte? Descriverlo come un eroe seducente, desiderabile, non un demonio da temere e sfuggire, era forse un segno della sua perversione morbosa?

    «Andiamo, sto solo scherzando» la rassicurò Lucy, vedendola turbata. «Voi artisti siete così lunatici e sensibili! È per questo che ho respinto il corteggiamento di Eduardo. Era troppo volubile e bizzarro per i miei gusti.»

    «Cosa ti aspettavi? L'hai conosciuto a una seduta spiritica!»

    Gli occhi verdi di Lucy si accesero di bagliori smeraldini per l'eccitazione. «E ce ne sarà un'altra fra qualche giorno» la informò. «Verrai, vero?»

    Isabella era ancora distratta dalle sue elucubrazioni e non rispose. Davvero poteva essersi ritratta come eroina di una storia in cui la Morte l'avrebbe conquistata?

    A ben pensarci, aveva diverse persone care nel regno degli spiriti che le erano state strappate dalla Morte e con cui sarebbe stata contenta di entrare in contatto. Sua madre, sua nonna e ora anche sua zia... Ogni volta le era parso di avvertire la presenza silenziosa e ineffabile della Morte in un angolo della stanza, pronta a portarle via.

    Forse aveva una fantasia troppo sviluppata, ma le sarebbe piaciuto vederla con i suoi occhi. Per timore che il suo desiderio emergesse e si realizzasse, si era rifiutata categoricamente di partecipare alle sedute spiritiche di cui invece Lucy era appassionata, proprio per la paura di fare la conoscenza del Signore della Morte.

    «Allora, vieni?» insistette Lucy. «Se non altro, è una scusa per trascorrere una serata diversa, invece dei soliti balli e concerti. Pensala come un'occasione per fare ricerche per il tuo romanzo. Se vuoi, porta anche il signor Knighton.»

    «Non credo proprio che un archeologo e curatore del British Museum sia interessato a comunicare con gli spiriti» obiettò Isabella.

    Lucy sbuffò mentre s'infilava i guanti lunghi. «Non riesco proprio a capire cosa tu veda in quel gufo impagliato» borbottò.

    «È molto gentile e educato, e poi per me è anche bello.»

    «Su questo sono d'accordo con te, però è anche di una noia mortale quando apre bocca, e non credo proprio che accoglierebbe favorevolmente il tuo sogno di diventare una famosa scrittrice. Knighton è un accademico. Quelli come lui sono tipi concreti, attenti solo ai fatti e a ciò che è dimostrabile razionalmente. Non apprezzano le creazioni della fantasia, come i romanzi. Dubito fortemente che Knighton sia in grado di lasciarsi trasportare sulle ali dell'immaginazione.»

    «Cosa stai cercando di dirmi esattamente, cugina?»

    Lucy le lanciò un occhiata amichevole. «Che probabilmente non potrà comprendere la tua creatività. Siete opposti in tutto.»

    Isabella abbassò lo sguardo sulle mani giunte in grembo, poi sfiorò il braccialetto di giaietto da cui pendeva la chiave del lucchetto del suo diario. Lisciò le lucenti pietre nere con una carezza e mormorò pensosa: «Mi farebbe bene non indulgere in questa fantasia e tornare alla realtà. Forse ho proprio bisogno di un uomo che mi aiuti a restare con i piedi piantati per terra e mi allontani dal reame etereo dei sogni». Alzò lo sguardo e scrollò le spalle. «Comunque poco importa, perché so che le mie possibilità di pubblicare un romanzo sono praticamente nulle. In fondo il mio è solo un passatempo.»

    Lucy guardò Isabella con affetto. «Devi essere più convinta. Non puoi rinunciare ai tuoi sogni» la esortò. «Ripeti dopo di me. Io, Isabella Fairmont, giuro che finirò il romanzo e lo presenterò a tutti gli editori di Londra, e non avrò pace finché non sarà pubblicato.»

    Isabella si alzò e abbracciò con affetto Lucy che non era solo sua cugina, ma anche la sua migliore amica. Anzi, erano praticamente sorelle, ora che Isabella viveva con Lucy e suo padre.

    «Te lo giuro» disse commossa. «Lo finirò e lo pubblicherò. Non solo, ma trasformerò il signor Knighton in un appassionato di narrativa.»

    «E promettimi che ogni sera mi leggerai quello che hai scritto di nuovo.»

    Isabella arrossì. «Tanto lo so che sei interessata solo alle parti romantiche.»

    «Ma certo! Altrimenti per quale motivo si leggono i romanzi? Per palpitare con l'eroina!» Lucy sospirò. «Avanti, dobbiamo andare. Siamo già in ritardo e papà sarà fremente. Non dobbiamo far attendere il marchese di Stonebrook» sorrise, maliziosa. «Papà è un aristocratico così pomposo!»

    Sì, lo zio d'Isabella era attentissimo all'etichetta e si dava sempre molta importanza, ma era un brav'uomo, buono e generoso. Aveva accolto in casa la nipote, pur non essendo sua consanguinea e malgrado lo scandalo dell'unione dei suoi genitori. Aveva provveduto a lei in tutto e per tutto, e Isabella gli voleva bene come se fosse il padre che non aveva mai conosciuto. Suo zio l'aveva salvata da un futuro incerto e lei gli era veramente riconoscente. Tuttavia sentiva sempre la mancanza delle storie che le raccontava sua madre e degli abbracci consolatori di sua nonna. Le mancava anche Whitby, con la sua sinistra abbazia, la brughiera, le aspre scogliere spazzate dai venti, su cui si rovesciavano onde rabbiose, candide di schiuma. Isabella aveva segretamente nostalgia di casa, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rivedere sua madre e sua nonna.

    «Mi fanno già male i piedi al pensiero della serata che ci aspetta» disse Lucy, strappandola alle sue riflessioni malinconiche. «A volte trovo proprio stancante la vita mondana.»

    Isabella annuì. «Ti capisco. Sarei molto contenta di restare chiusa in camera a scrivere, con le dita macchiate d'inchiostro, finché i miei poveri occhi rossi resistono.»

    «Per quanto io desideri che tu prosegua con la tua avvincente storia, dobbiamo proprio presenziare al ballo di mio padre, Issy.»

    «Sai, quando ero solo una ragazzina t'invidiavo molto per la tua vita, gli abiti eleganti, i balli, ma ora non sono più tanto sicura che tu fossi più felice di me.»

    Lucy le sorrise. «Difatti io invidiavo te per la tua vita spensierata nel bel cottage in mezzo a prati e boschi, dove potevi giocare con gli altri bambini del villaggio senza dover fare attenzione a non sporcarvi. Io non ho avuto un'infanzia felice, Issy, tu sì. Non è ironico che ci siamo invidiate a vicenda?»

    «Già, oltre al fatto che ora sto per andare a un ballo, come ho sempre sognato, e non ne ho alcuna voglia» sorrise Isabella.

    «Oh, andiamo, sii ottimista. Magari riuscirai a sgattaiolare in un salottino appartato e scrivere ancora.»

    «Oppure avrò frotte di spasimanti ai miei piedi» brontolò Isabella, scettica. «Gli uomini adorano le aspiranti scrittrici!»

    «Scommetto che lord Black invece apprezzerebbe la tua arte.»

    Isabella prese i guanti color avorio e fulminò con lo sguardo sua cugina. «E tu che ne sai? Lord Black non esce mai da quel mausoleo di casa!»

    Lucy si lisciò la gonna dell'abito color salmone. «Ieri l'ho visto» annunciò con sussiego.

    «No, non posso crederci!»

    «Lo giuro. Quando sono tornata dalla serata dagli Anstruther non riuscivo a dormire. Ero alla finestra a guardare le stelle e ho visto aprirsi il cancello della sua casa. Ne è uscita una lucente carrozza nera tirata da quattro cavalli color della pece. Si è fermata per un istante e ho visto all'interno un'ombra illuminata dalle lanterne della carrozza, poi ho notato il suo volto pallido al finestrino, rivolto verso l'alto. Sono sicura che avesse lo sguardo fisso sulla finestra accanto alla mia... quella della tua camera, Issy.»

    «Sciocchezze.»

    «È la verità.»

    «Lucy, dovresti proprio cominciare a scrivere romanzi anche tu perché sei dotata di un'immaginazione davvero fervida.»

    «Pensa quel che vuoi, ma ti assicuro che l'ho visto con i miei occhi. E ricorda quello che ti dico ora. Il nostro vicino sarà qui stasera. Mio padre non avrebbe mai accettato un rifiuto al suo invito, te l'assicuro. Nessuno può dire di no al marchese di Stonebrook.»

    Dopo essere andata a vivere da suo zio, il marchese di Stonebrook, Isabella aveva scoperto con sua enorme sorpresa che detestava le feste da ballo.

    Finché stava nel modesto cottage che sua madre aveva in affitto, era solita sedere alla finestra e pensare con invidia alla sua bella cugina che rideva, danzava e civettava nel salone da ballo della sua elegante dimora, indossando abiti sontuosi e smodatamente costosi. Il suo giovane cuore era pieno di desiderio; avrebbe voluto anche lei avere un invito a un ballo, un abito elegante e un bel corteggiatore al fianco.

    Per ironia della sorte, ora che possedeva tutte e tre le cose non ne era affatto felice. Avrebbe preferito di gran lunga sedere davanti al caminetto acceso in camicia da notte di flanella, a scrivere storie, come faceva prima che suo zio venisse a prenderla a Whitby per portarla con sé a Londra.

    La novità della vita di società e l'interesse per la grande città si erano spenti subito. Pur essendo ottobre, la settimana era stata fitta d'impegni e di feste danzanti. Sembrava proprio che l'aristocrazia non sentisse più il bisogno di recarsi nelle tenute in campagna alla fine della stagione mondana, forse perché i ricchi borghesi si spostavano raramente da Londra e un nobile non poteva combinare le nozze della blasonata figliola con un facoltoso imprenditore se se ne stava rintanato con tutta la famiglia nello Yorkshire tra pecore e alberi.

    Ormai la ricerca di un buon partito non restava confinata entro i limiti della stagione mondana e, quell'anno, era chiaro che il marchese non voleva solo sistemare sua figlia, ma anche sua nipote.

    All'inizio Isabella era stata entusiasta dell'idea. Le era parsa molto romantica la prospettiva del corteggiamento tra balli, serate a teatro e passeggiate nel parco. Ben presto, però, si era resa conto che uscire tutte le sere e agghindarsi per trovare marito era faticoso nonché umiliante. Neanche Lucy, che era nata e cresciuta in quello stile di vita, sopportava di dover partecipare a una festa dopo l'altra.

    Erano proprio una coppia originale, pensò Isabella mentre s'infilava al polso la cordicella d'argento della borsetta. Lucy era interessata all'occulto e lei ai romanzi; erano due cugine eccentriche, ben diverse da come avrebbero dovuto essere le ragazze di buona famiglia. Forse avevano entrambe preso dalla madre d'Isabella, che non si era mai conformata ai canoni di sobrietà e rettitudine di una vera lady, contrariamente a sua sorella. La zia Mildred era riservata, dignitosa, altezzosa persino. La madre d'Isabella, invece, si era sempre fatta beffe delle regole e delle convenzioni della società. Lucy le assomigliava; era più simile alla zia che alla propria madre, sia per aspetto sia per carattere. Anche zia Mildred se n'era accorta e spesso si lamentava che Lucy sarebbe diventata simile a quella sciagurata di sua sorella, come diceva spesso. Aveva così tanto timore che Lucy si facesse influenzare dalla zia che, dopo il decimo compleanno della figlia, si era rifiutata di mettere piede in casa loro. Non era più andata a trovare Isabella e sua madre da allora aveva tenuto lontana Lucy dallo Yorkshire per evitare che diventasse anche lei una dissoluta ribelle.

    Quanto a Isabella, non c'era pericolo che finisse come sua madre. Aveva imparato la lezione ed era decisa a non seguire le sue orme.

    «Mi fanno già male le scarpe» le bisbigliò all'orecchio Lucy mentre entravano nel salone affollato di coppie che volteggiavano in un valzer. «E ho paura di avere la fronte lucida di sudore.»

    Isabella la scrutò attentamente. «Solo un po'. Non puoi tamponartela con discrezione con il fazzolettino?»

    «No, ho l'impressione che tutti abbiano gli occhi puntati su di noi.»

    «Su di te, non su di noi» la corresse Isabella. «Credo che stiano aspettando di vedere come procede il tuo corteggiamento da parte del duca di Sussex, e se stasera accetterai le sue attenzioni.»

    «Dio, non credo proprio di volerlo al mio fianco! Non riesco a immaginarlo a una delle mie sedute spiritiche!»

    Isabella nascose una risatina coprendosi la bocca con una mano e si guardò intorno in cerca del duca che faceva una corte spietata a sua cugina. Quando il loro sguardo s'incrociò, l'espressione del duca cambiò immediatamente. La sua aria di garbato disinteresse si tramutò in un cipiglio intenso che gli donava immensamente. Isabella non riusciva a capire come mai Lucy non riuscisse a trovarlo affascinante.

    «Ma non ti piace proprio, Lucy?» le chiese sottovoce, incredula.

    «È bello, ricco e blasonato. Ha quattro immense tenute e ho sentito dire che è un vero filantropo. Insomma, è la virtù fatta persona...» borbottò Lucy, distogliendo lo sguardo da Sussex che la fissava acutamente. «Purtroppo non provo alcun sentimento per lui tranne una certa amicizia. È virtuoso fino alla noia, come un santo. Ti confesso che ho un debole per gli angeli caduti, ma dietro il bel viso di Sussex, incorniciato da riccioli neri, c'è solo purezza senza vizi.»

    «Gli uomini tenebrosi e ribelli servono solo nei romanzi, per vendere più libri» mormorò Isabella. «Nella vita di tutti i giorni sono più dannosi che utili. Te lo dico per esperienza. Io sono il prodotto dell'unione di un libertino con una donna ingenua e schiava delle passioni.»

    Lucy sospirò. «Nessuno sa descrivere un seduttore meglio di te, Issy. Non dirmi che sei in grado di creare personaggi così deliziosamente licenziosi senza desiderare di vivere un'avventura emozionante e pericolosa. La tua scrittura è il riflesso della tua anima, non negarlo. Dentro di te esiste un angolino segreto e remoto in cui racchiudi la voglia di perdere la testa per un dongiovanni.»

    «Assolutamente no» protestò Isabella scuotendo la testa. «Se incontrassi un libertino correrei urlando nella direzione opposta.»

    Lucy rise, incredula, mentre Isabella guardava il duca di Sussex. Alto, aitante, elegante, aveva anche un carattere solare. Gli piaceva ridere e divertirsi, era allegro e socievole come Lucy; e Isabella era convinta che sarebbero stati una coppia bene assortita se sua cugina ne avesse accettato la corte. Il duca si era fatto presentare dal pretendente d'Isabella, Wendell Knighton. Purtroppo Lucy restava ostinatamente indifferente al suo fascino.

    Come se pensare a lui l'avesse fatto materializzare, Isabella vide apparire Wendell Knighton accanto al duca ed ebbe un tuffo al cuore quando lui la trovò con lo sguardo e le sorrise. Lei ricambiò il sorriso, arrossendo leggermente.

    «Il tuo signor Knighton è chiaramente invaghito di te, Issy» le bisbigliò sua cugina.

    Il rossore d'Isabella s'intensificò. «Mi piace molto, devo ammetterlo.»

    Lucy inclinò leggermente la testa e la scrutò con intensità. «Eppure ho l'impressione che non sia l'uomo giusto per te. Tu hai bisogno di avere al tuo fianco un uomo più profondo, dalla personalità complessa, qualcuno che capisca veramente come sei fatta.»

    «Che stupidaggini!» sbuffò Isabella. «A sentire te, sarei una persona misteriosa e affascinante, invece sono solo una campagnola dello Yorkshire.»

    Ma, anche mentre pronunciava quella frase, Isabella sapeva che non era vero. Dopo gli avvenimenti della primavera precedente, a cui i suoi parenti si riferivano con l'eufemismo spiacevoli circostanze, tutti sapevano che lei era diversa. Isabella non ne parlava mai in famiglia, ma la sua sventura appariva sempre in agguato, sul punto di emergere.

    «Oh, guarda! È venuto davvero» sussurrò Lucy, estasiata.

    «Chi?»

    «A sinistra, là.»

    Lucy le indicò la balconata in cima alle scale. La folla si zittì di colpo, come se tutti gli invitati avvertissero una presenza inquietante. Tutte le teste si voltarono verso il maggiordomo che, impettito e compunto, annunciò con voce stentorea: «Il conte Black».

    Il brusio delle voci e il frastuono di musica e risate si spense all'istante, e gli ospiti si accalcarono verso le scale per cercare di sbirciare il nuovo arrivato. Nel salone scese il silenzio e il conte apparve in cima alla scalinata, come un mago che emerge da una nuvola di fumo.

    Guardò in basso con espressione ineffabile, scrutando i volti che lo fissavano pieni di stupore e curiosità. La sua bellezza non era di questo mondo; aveva capelli neri come la notte che gli scendevano sulle spalle in morbide onde, una carnagione pallida e liscia che, illuminata dai candelabri, riluceva come se fosse di trasparente alabastro, e occhi di un insolito turchese e con un leggero taglio esotico all'insù, incorniciati dagli archi perfetti di sopracciglia corvine.

    Arricciò le lunghe dita sensibili intorno alla balaustra mentre guardava verso il basso come un sovrano che scruta i suoi sudditi. Era altissimo e aveva torace ampio e spalle possenti, fasciate da un abito nero di squisita fattura. Il cravattone di seta candida gli illuminava il volto. Ora tutti portavano il papillon che era di moda, ma l'eleganza del cravattone ormai antiquato gli si addiceva perché gli conferiva un fascino aristocratico di altri tempi, come d'altronde la sua giacca di velluto nero di foggia orientale, con il collo tagliato come una tunica cinese e due file di bottoni d'oro con gli alamari.

    Sembrava un antico principe rumeno, un boiardo dallo spirito guerriero che passava in rassegna le sue truppe mentre spostava lentamente lo sguardo sugli invitati.

    Lui sì che era un uomo di mondo, pensò Isabella scrutandolo affascinata. Ombroso, attraente, circondato da un alone di mistero, suscitava bisbigli eccitati dietro i ventagli da parte delle dame presenti e diffidenza negli uomini che lo fissavano rigidi e circospetti. Tutti sembravano muoversi lentamente, a piccoli scatti, come se temessero di attirare l'attenzione del famigerato conte con un gesto di troppo.

    Isabella avvertì un calore inusitato diffondersi in tutto il corpo mentre lo guardava scendere la scala con movimenti fluidi e noncuranti. Il suo passo era pieno della grazia felina di un predatore, dell'arroganza di una tigre del Bengala. Ne aveva lo stesso sguardo rapace, pensò Isabella. Era in caccia, questo sembrava chiaro. Ma chi, o cosa, cercasse, Isabella non osava neppure chiederselo.

    Lord Black non usciva mai di casa. Abitava di fronte a suo zio e Isabella l'aveva visto solo di rado e di sfuggita. Il suo isolamento aveva alimentato ancor più la sua fantasia. La sua mente di scrittrice trovava terreno fertile in tali figure misteriose e affascinanti che la inducevano a immaginare chissà quali avventure e peccati inconfessabili.

    Mentre il conte si avvicinava, Isabella respirava sempre più a fatica. Il corpetto aderente di raso lilla la soffocava mentre lord Black fendeva la folla che si scostava in due ali al suo passaggio, come se fossero le acque del mar Rosso davanti a Mosè.

    Il conte si fermò di colpo, si voltò e la trovò con lo sguardo tra la folla. Quando i loro occhi s'incontrarono da una parte all'altra del salone, Isabella fu colta da un'improvvisa vertigine.

    Il suo fascino esotico era decisamente ipnotico e pericoloso per una fanciulla perbene. Cercando d'interrompere l'incantesimo che l'avvinceva al suo sguardo, Isabella batté più volte le palpebre e si costrinse a muoversi.

    «È piuttosto caldo, non trovi?» chiese alla cugina con voce strozzata. «Prendere una boccata d'aria mi farà bene.»

    Prima che Lucy potesse protestare, Isabella si voltò verso la portafinestra da cui si usciva in terrazza ma, prima di varcarne la soglia, si voltò e vide Black in mezzo al salone, circondato dai nobili che cercavano di attirare la sua attenzione. Lui non badava ai suoi ammiratori però aveva lo sguardo puntato su di lei. Nei suoi occhi Isabella lesse una promessa oscura e proibita.

    «Dove vai, mia cara nipote?» la chiamò improvvisamente suo zio. Raggiungendola in fretta, la prese per un braccio prima che potesse scappare. «Vorrei presentarti una persona.»

    Isabella non sapeva come rifiutare e fu costretta a seguirlo. Lo zio intuì la sua riluttanza e le sussurrò: «Stai tranquilla, non c'è niente di vero nelle dicerie sul suo conto».

    Il suo commento la inquietò ancora di più, perché non le era giunto all'orecchio alcun pettegolezzo su lord Black. Sapeva solo che la sua presenza alle feste era tanto ricercata quanto rara, e che era considerato un eremita. A cosa si riferiva suo zio?

    Quando se lo trovò davanti e lo fissò negli occhi, Isabella non poté trattenere un sussulto. Gli occhi di Black non erano turchesi, come aveva creduto all'inizio, ma celesti con pagliuzze verdi. La stessa tinta delle tempestose acque del mare del Nord, pensò Isabella, come le iridi del protagonista del suo romanzo.

    «Servo vostro, miss Fairmont» mormorò lui con voce calda e profonda, vellutata come una notte stellata. Le porse la mano. «Permettete questo ballo? Credo che in programma ora ci sia un valzer viennese.»

    Lei chinò il capo e si lasciò stringere da lui, turbata dal fremito che aveva provato nel contatto. Quando l'orchestra attaccò, lei ricordò improvvisamente le parole che aveva scritto.

    La prima volta in cui ho visto la Morte, ero a un ballo. Abbiamo danzato un valzer.

    Black la guardò con sin troppa familiarità. «E non avevate paura» mormorò, come per concludere la sua riflessione.

    Quindi la fece roteare in un volteggio aggraziato e rapido che le tolse il fiato.

    2

    «Prego?»

    Il conte ignorò la sua domanda e Isabella insistette, in barba all'etichetta. «Come avete detto, milord?»

    Lord Black non le rispose e la guidò in un'altra piroetta. Sentendo che le tremava la mano, gliela strinse delicatamente nel tentativo di calmarla.

    «Siete nervosa, miss Fairmont.»

    «S... sì. Le mie scuse, milord.»

    «Mi stavate chiedendo qualcosa?»

    «Sì. Perdonatemi, milord, ma sbaglio o avete detto qualcosa a proposito dell'avere paura?»

    Isabella notò che Black aveva abbassato lo sguardo verso la sua gola, che pulsava per l'emozione. Inghiottì a vuoto e sentì che la mano le tremava più di prima, stretta a quella di lui.

    «Ah sì, ora ricordo. Anche se non mi si vede spesso in società, sono un discreto ballerino, miss Fairmont, per cui non dovete avere paura che vi pesti un piede» sorrise lui.

    Il nervosismo di Isabella svanì come un'ombra, illuminata dal suo sorriso. Evidentemente si era lasciata trasportare dalla sua immaginazione di scrittrice, si disse, perché le era parso che lui avesse detto una cosa completamente diversa.

    Sciocchezze, pensò. Era assurdo credere che l'aspetto del conte e il loro ballo potessero ricordare l'inizio del suo romanzo. Doveva tenere a freno la sua galoppante fantasia. Lord Black era un distinto nobiluomo, di certo non era... il Signore della Morte.

    «Danzate molto bene, miss Fairmont.»

    «Grazie, milord» replicò lei con un sorriso, compiaciuta del suo complimento. Aveva faticato a imparare il valzer, ben diverso dai balli di campagna a cui era abituata. Non era facile volteggiare vorticosamente con eleganza e leggerezza.

    «Siete cresciuta a Whitby, sulla costa, mi pare?» le chiese lord Black, guidandola abilmente verso il bordo del salone, allontanandosi dalle coppie che roteavano così vicine le une alle altre da rendere impossibile la conversazione.

    «Sì.» Isabella non aggiunse altri particolari. Suo zio le aveva raccomandato di non dire più del necessario sulla propria famiglia. Il marchese aveva pagato profumatamente per mettere a tacere lo scandalo provocato da sua madre.

    «E siete venuta a Londra solo lo scorso anno per vivere con vostro zio e vostra cugina, giusto?»

    «Sì, milord.»

    «Quindi questa è

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