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Il terremoto della Valle del Belice 1968
Il terremoto della Valle del Belice 1968
Il terremoto della Valle del Belice 1968
E-book316 pagine5 ore

Il terremoto della Valle del Belice 1968

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Info su questo ebook

Un libro nato da uno spunto del terremoto della Valle del Belice: umano, gentile, emozionante, ricco di sfumature, ricordi dolorosi dai quali però nascono delle vicende sensazionali, romantiche e fiabesche a sfondo giallo rosa, da definirsi un classico “Romanzo d’amore” dove non mancano battibecchi amorosi, ma come sempre però, prevale l’amore, il miracolo della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2020
ISBN9788831688567
Il terremoto della Valle del Belice 1968

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    Anteprima del libro

    Il terremoto della Valle del Belice 1968 - Luigi Moscato

    po

    NOTA DELL’AUTORE

    Questa è una storia davvero imprevedibile per i troppi colpi di scena, per gli intrecci della storia che si scontrano con tale naturalezza come per magia, ma la cosa che maggiormente incuriosisce sono gli incontri più impensati.

    Per questi incontri e per tante altre circostanze, anche se di persone diverse, mettendoli per ordine si viene a creare una storia unica, che vale la pena di raccontarla. In special modo quando in molti casi come questi, sono appoggiate ad alcune, o a molte realtà della vita e che infine viene a risultare una storia sofferta, umana, gentile, tenera e cosi via.

    In oltre, a parte essere frammenti di vicende vissute da più persone, raccontate e ambientate nel teatro di posti esistenti, diventano così verosimili da risultare una storia vera d’altri tempi.

    I teatri di queste vicende sono: Partanna, Partinico, Monte allegro, Realmonte, Siculiana marina, La Valle del Belice e così via. Quasi tutta la provincia di Agrigento messa in ginocchio dal terremoto del 1968, creando dei seri disastri, danni incendi, a persone e a cose.

    Altri teatri che danno un continuo fermento alla seguente storia portano a Roma e di seguito in Inghilterra ed esattamente a Hitchin zona residenziale di Londra, Gubio, Perugia, e dintorni; Firenze e conclusione Roma; dove è nascosta la chiave del mistero di tutta l’intrigata storia.

    Buona lettura.

    IL TERREMOTO DELLA VALLE DEL BELICE 1968

    Tutto ebbe inizio nel lontano 1968. Massimo Torri era ancora giovane, libero e spensierato, fintanto che la sorella Cecilia, sposata da tre anni e con un bambino da due rimase vedova a causa di un incidente, dove perirono il marito e il piccolo Marco, fu un vero trauma per Cecilia; aveva avuto un matrimonio felice, di cui i tre anni passati insieme era stata la prova più lampante; ma con la perdita del marito e del piccolo Marco, era una prova troppo grande da sopportare, tanto pesante e dolorosa da non poter resistere, tanto che aveva tentato diverse volte il suicidio, ma fortunatamente Massimo da buon fratello premuroso e attento era sempre stato in grado di sventare a tempo tali tentativi. Erano già passati circa cinque mesi quando aveva cominciato a rallentare le attenzioni verso la sorella pur non trascurarla del tutto, ma per lo meno poteva uscire, andare a lavorare, quando e se trovava qualcosa da fare. Un giorno mentre si trovava dal barbiere in attesa del proprio turno, la radio interruppe il solito programma per un notiziario speciale, annunciando il grande disastro che stava causando il terremoto nella valle del Belice, che toccava, Partanna, Sciacca, Partinico, Monte allegro, Realmonte, Siculiana, ecc. alcune zone rase al suolo, macerie, morti che non si contavano più, feriti, urla che venivano da sotto le macerie, soccorsi che arrivavano da ogni parte; e che non bastavano, medicinali che mancavano e il notiziario continuava a chiedere aiuti, squadre di soccorso da ogni parte, infine Massimo, toccato profondamente disse con impeto: - Oh avete sentito? Ma questa è la fine del mondo! E noi cosa stiamo a fa, oh dico a voi! Andiamo anche noi, siamo tutti fratelli e sbrigatevi, che ogni minuto che passa è una vita umana che potremo salvare -.

    Erano rimasti tutti ammutoliti, ma l’energia di Massimo, quell’implorazione che quasi sembrava un ordine di andare e quella certa emozione di umanità sincera, velata di una certa trepidazione, quell’amore e impazienza che si sentiva dalla voce di Massimo, accettarono tutti all’unanimità, anche il barbiere chiuse bottega e si recarono tutti con la massima urgenza a Piazza Vittorio dove c’era il ritrovo, la raccolta di viveri e di squadre che organizzavano le partenze. Massimo non poteva lasciare la sorella nelle condizioni che si trovava, per cui decise di portarla con se. Fu un viaggio snervante, per lo stato confusionale dell’insieme, ma era naturale e la buona volontà di portare a ogni singola persona il proprio aiuto e con la speranza che quel piccolo aiuto potesse aiutare a salvare una, o più, vite umane. Tutta quella gente riusciva a farsi una ragione più che plausibile per tutti i disagi che stavano afrontando. A Villa San Giovanni il piazzale in attesa di imbarco era gremito con gente in arrivo da tutta l’Italia, i traghetti viaggiavano a ritmo elevato, ma a Messina c’era da aspettare che venissero formate delle squadre per una direzione precisa; tanto da venire a risultare un vero calvario il tragitto fino a destinazione.

    Arrivati ad Agrigento si resero conto che era stato tutto necessario, le precauzioni prese. Massimo per via di Cecilia, non potè mettersi in coppia con nessuno, anzi fu proprio la sorella che volle stare con lui, per poter fare anche lei la sua parte, salvare vite umane e fare sì che il suo sforzo fosse un dolore di meno per qualcuno. Fu una esperienza amara, per Massimo e sua sorella, quelle urla laceranti, quei lamenti che venivano dal di sotto delle macerie, gli sciacalli, tanto che Massimo in un momento di disperazione ha ingaggiato una lotta furibonda che quasi ci lasciava la stessa vita. Quei corpi ormai senza vita, messi a mucchio come se fossero fascine, le scosse che non davano tregua, alcuni corpi venivano estratti con alcuni arti mancanti, un vero flagello e tutto non giovava a Cecilia. Il primo giorno fu un vero tormento, erano tutti esausti, Massimo voleva portare Cecilia fuori da quell’inferno, ma questa non sentiva ragioni. Il giorno dopo si sono spostati a Siculiana, hanno aiutato i superstiti a raggiungere posti più sicuri in attesa che venissero trasportati al sicuro; poi hanno sentito dire che a Realmonte c’erano pochi aiuti, che necessitavano soccorsi, infatti, dove erano già in troppi e non potevano lavorare, a svolgere un’opera sicura e proficua e dove mancava tutto, in ogni modo i lavori dovevano procedere in una fase ordinata; poiché in caso contrario anziché di portare aiuto, potevano arrecare danno. Furono giorni tremendi, giorni duri, amari, è stato una esperienza unica. Si spostavano continuamente, da un paese all’altro, senza sosta, e per dormire, fuori sotto le stelle per essere sicuri, di non trovarsi anche loro sotto le macerie.

    Erano quasi stanchi di tutto quel trambusto, le cucine da campo funzionavano a singhiozzi e alla meno peggio. Nel frattempo Massimo si accorse che Cecilia era sfiancata, al punto tale da sembrarle che li ci fosse da salvare suo marito e il suo bambino, così le propose di andare via; ma dovevano passare da Partanna per parlare con il Barbiere ed altri; quando arrivarono ad una casa solitaria, ma rasa completamente al suolo, si avvicinarono e sentirono un debolissimo eco di una vocina esile, Massimo e Cecilia si misero subito al lavoro riuscendo a tirare fuori una donna che non dava segni di vita, ma sotto una trave che faceva da ponte, c’era una piccola culla con un bambino, con la bocca impastata di polvere che non aveva più nemmeno la forza di piangere, Cecilia lo strinse a se dicendo il mio bambino, il mio bambino Massimo per un istante vide la sorella con un’altra luce negli occhi, per un attimo la vide felice, si coccolava quel bambino con l’amore che di solito una mamma ha per suo figlio, nel frattempo era passato il carro funebre che raccoglieva i cadaveri che erano disposti allo scoperto per cui presero la donna che Massimo e Cecilia avevano tirato fuori da sotto le macerie; in quel momento non c’era più anima viva nelle vicinanze, quel bambino era rimasto orfano, anche perché vi era un corpo di uomo sotto a delle travi di ferro e si capiva benissimo che l’unico superstite era il bambino. Cecilia aveva subito pensato che la sorte divina le aveva messo apposta quel bambino sulla sua strada.

    Massimo aveva quasi intuito le intenzioni della sorella e fra l’altro anche a lui un tantino l’aveva sfiorata l’idea; ma era contro i propri principi, pensava di fare una cosa poco pulita, lui infatti nella vita era sempre stato molto onesto e gli sembrava di commettere qualcosa di losco, di dubbia moralità, o comunque sentirsi sporco dentro e poi proprio lui, aveva tanto condannato lo sciacallaggio e ci aveva pure fatto a pugni; rimase quindi un attimo a ripensarci, a fare un rapido esame di coscienza, rapido perché il momento poteva essere proprio giusto poiché in quel preciso momento non si vedeva anima viva; quindi incominciò a calcolare perché stava per farle fare alla sorella una cosa ingiusta, ma a chi portava via il bambino? E lui stesso si è data la risposta: a nessuno, la mamma doveva essere quella donna che loro stessi avevano tirato fuori da sotto le macerie e quindi era morta, il padre doveva essere senza nessun dubbio quel corpo che ancora giaceva sotto le travi di ferro, quasi diviso in più parti e che era impossibile tirarlo fuori che a giudicare dal cattivo odore doveva essere morto da circa tre giorni; ma allora questo bambino se lo lasciava in custodia a qualcuno poteva con molta probabilità, anzi con certezza, finire in qualche orfanotrofio e chi lo avrebbe riconosciuto, così piccolo? Anche se c’era qualche parente, ma allora quasi quasi capiva da quel rapido esame che stava per commettere una ingiustizia se il bambino veniva lasciato a persone qualsiasi; così si guardarono fra loro due e si capirono senza nemmeno bisogno di parlare, quindi l’unica cosa da fare era sparire al più presto possibile. Non fu difficile per Cecilia trovare fra le rovine l’occorrente per dare una ripulita alla meglio al bambino e Massimo nel frattempo si diede da fare per trovare un po’ di scorta di viveri per loro due e del latte per il bambino, quindi ora l’unica cosa da fare era scomparire del tutto da quei posti di distruzione, tanto ormai avevano fatto più che il loro dovere e poi ora bisognava pensare a Marco, ormai Cecilia continuava a chiamarlo Marco il quale dopo essere stato ripulito, e rifocillato aveva cominciato in qualche modo a sgambettare, naturalmente la cosa più giusta da fare sarebbe stato fargli fare una visita da un pediatra, ma non era il caso di rischiare. Non fu tanto facile fare la via del ritorno, anche perché era più la paura che faceva strani effetti che altro.

    Quando arrivarono a Roma, per non creare sospetti, dal momento che chiunque si sarebbe chiesto da dove veniva quel bambino, decisero di cambiare casa, indirizzo e così la nuova famiglia ricominciò a vivere in un’altra atmosfera; tanto che dopo circa un mese, dal terremoto, per i due rimaneva solo un ricordo. Massimo si augurava che con tutti gli aiuti ricevuti i sinistrati della valle del Belice si sarebbero scordati anche loro del disastro subito; ma non poteva pensare che quella povera gente era stata derubata, di ogni loro avere, volevano rifarsi la casa e gli fu vietato perché dovevano assegnare delle aree da costruire più sicure, e poi doveva pensarci lo Stato, ma il vero fatto è stato che i furbi hanno fatto sparire tutto il denaro destinato ai terremotati per la costruzione degli alloggi e tant’è vero che a tutt’oggi al 1990 quella gente vive nelle tendopoli, quando la cosa fu scoperta, i furbi più grossi hanno creato un responsabile, dandogli naturalmente la fetta più grossa, e di comune accordo gli hanno dato il carcere domiciliare in una lussuosa villa, con piscina, la, dove anche loro gli andavano a tenere compagnia per il weekend; ma andiamo per ordine.

    Massimo si era trovato un lavoro da manovale, la sorella ormai aveva ripreso la sua vita quotidiana, sembrava ristabilita del tutto, ma un giorno Massimo tornato dal lavoro trova Cecilia che piange:

    - Marco sta molto male!- Disse mentre prendeva un fazzolettino della tasca per asciugarsi gli occhi; - Oh Dio, che ha come sta…?- Massimo chiamò subito un dottore, attesero con impazienza il suo arrivo; e dopo un paio d’ore si sentì il campanello, Massimo si precipitò ad aprire la porta: - Presto dottore il piccolo sta molto male…- Il dottore visitò con cura il bambino, sembrava un po’ incerto sulla diagnosi, nel mentre Cecilia e Massimo trattenevano il respiro, infine il dottore disse: - Non vorrei allarmarvi, ma prima di perdere tempo credo che la cosa più giusta da fare sia ricoverarlo all’ospedale, così potrà avere tutte le cure che occorrono e gli faranno tutti gli opportuni esami -. Cecilia si abbracciò a Massimo piangendo disperata, questi cercò di farle coraggio, ma la cosa andava affrontata con coraggio, perciò decise di portarlo subito all’ospedale. Non fu una cosa da niente, ma alla fine con cure tempestive il piccolo Marco incominciò a migliorare, naturalmente il bambino nei giorni di digiuno sotto le macerie, aveva ingoiata tanta polvere che gli si era introdotta fino ai polmoni, meno male gli fu indovinata subito la causa. È stata una cura molto lunga ma alla fine tutto si è risolto; però rimaneva un altro problema nell’ andare avanti e indietro per il piccolo Marco, Massimo rimase senza lavoro, bisognava in tutti i modi trovare un altro lavoro e non era davvero facile. Una sera mentre stava tornando a casa fu testimone di uno scippo, erano circa le ventuno, su una strada priva di illuminazione pubblica, quando la sua attenzione fu attirata da due figure maschili che con passo svelto raggiunsero una donna e subito dopo si sentirono le invocazioni di aiuto, Massimo si lasciò guidare dal suo istinto generoso, si buttò nella mischia ed ingaggiò una vera e propria lotta, finché i due loschi individui non si decisero a dileguarsi, così Massimo accompagnò la signora fino a casa, anzi fino alla palestra del marito della signora, poiché quest’ultimo aveva una palestra di pugilato e svolgeva il lavoro di allenatore di pugili.

    Dopo le presentazioni seguirono le spiegazioni ed essendo un momento di relax, Cristiano, il marito della signora, invitò Massimo a sedersi.

    Nel dialogare Massimo disse che si trovava a passare da quella strada perché era andato a chiedere lavoro in una grossa macelleria che vendeva all’ingrosso, che però non lo avevano preso e così nel passare da quella strada potè sventare l’attacco ai danni alla signora. Cristiano dopo avere ringraziato sentitamente Massimo volle dimostrare, la sua riconoscenza offrendogli qualcosa; in palestra aveva bisogno di una persona per fare un po’ di pulizia, quando occorreva, dare una mano a qualcuno che avesse avuto bisogno nel fare allenamenti, insomma non era un lavoro con una mansione precisa, ma a Massimo sembrò la vita, tanto quello che contava era guadagnare la giornata onestamente e poi era sempre un lavoro dignitoso; per cui ringraziò Cristiano e accettò.

    La cosa divenne più seria di quanto Massimo avesse immaginato, anche perché a lungo andare scoprì che la box in realtà era come se l’avesse sempre praticata con le scazzottate occasionali e nelle ore libere approfittava per allenarsi anche lui; anche Cristiano era contento, simpatizzarono subito e fra loro due nacque una vera e propria amicizia, spesse volte uscivano insieme e qualche volta si scambiavano le visite, insomma tutto andava perfettamente, il piccolo Marco aveva preso il suo ritmo di crescita, ma si sa poiché ormai è scontato che quando tutto procede bene il diavolo deve sempre metterci lo zampino, ed infatti in un incontro un pugile appartenente alla palestra di Cristiano ci lasciò la vita e tra una cosa e l’altra fecero chiudere la palestra, così Massimo si ritrovò senza lavoro e ricominciò a fare il giro delle sette chiese, ma era sempre più difficile.

    Un giorno incontrò un suo amico tutto indaffarato, Massimo chiese come mai tanta fretta e questo gli rispose che doveva recarsi in molti Uffici per via dei documenti:

    - Eh quali documenti?-. chiese Massimo;

    - Sai…? un mio amico che si trova immigrato in Gran Bretagna mi ha promesso di farmi fare il permesso di lavoro, appena gli mando i documenti -. E subito l’amico scappò via, Massimo cercò di fermarlo:

    - Eh, aspetta, ma questo tu …-, ma la sua frase rimase a metà senza risposta poiché il suo amico impaziente e frettoloso era già lontano, Massimo rimase a rimuginare, in cuor suo pensò che quella poteva essere una soluzione al suo problema.

    Tornato a casa ne parlò con Cecilia, la quale si dimostrò contenta per lui, anche se per lei sarebbe stato doloroso distaccarsi dal fratello. Oramai era così abituata alla presenza costante di Massimo, che in tutte le circostanze avverse le era stato accanto come marito, come padre e come fratello; nelle circostanze più incredibili era sempre riuscito a tirarla sulla giusta traiettoria della ragione, ma ora non si sentiva però di essere la palla al piede; quindi suggerì a

    Massimo di andare a trovare a casa quel suo amico per saperne di più; cosa che Massimo non si fece ripetere due volte.

    Il suo amico si dimostrò tanto cordiale, disponibile, e comprensivo, e poi preso dall’euforia le raccontò che una volta arrivato in Gran Bretagna, andava a guadagnare ( a quei tempi) dieci sterline a settimana compreso vitto e alloggio. Il cambio di una sterlina di allora era tremila settecento cinquanta lire; Massimo ormai aveva sentito abbastanza con impazienza e alla fine interruppe l’amico:

    - …Ma senti Carlo questo tuo amico non potrebbe fare anche per me la stessa cosa..? Si insomma voglio dire se tu potessi dire che hai un amico, pagandolo s’intende; via ti prego, fammi questo favore, pagherò anche te, tu lo sai che siamo sempre stati amici no?- Carlo lo ascoltava divertito, poi lo interruppe: - Senti Massimo ti pare che dopo tutta la nostra amicizia resterei insensibile alla richiesta di un amico come te..?-, precisò Carlo e nel modo più divertito che mai dopo aver letto nello sguardo di Massimo la gioia e incredula sorpresa; così Massimo chiese: - Cosa devo fare io?-

    - Ora ti copio la lista dei documenti che nel frattempo incomincerai a fare, intanto che io scriverò di te al mio amico, che poi non lo so fino a quale punto è amico visto che quando arriverà il permesso di lavoro dovrò dare la somma di duecentocinquantamila lire e questo è valido anche per te, questi sono gli accordi -. Disse Carlo infine, e Massimo rispose che non importava la spesa, ma l’im- portante era avere un posto fisso di lavoro; - Solo non capisco come si fa a dare i soldi al tuo amico?- chiese massimo - Semplice – disse

    Carlo – Lui ha la mamma qui e quando arriverà il permesso di lavoro viene mandato alla madre, così lei ci da il documento, in cambio dei soldi convenuti con il figlio -.

    Giunto a casa Massimo sprizzava gioia da tutti i pori, naturalmente c’era una parte d’amarezza nel cuore di Cecilia per il distacco da dover affrontare fra non molto e anche Massimo fu preso da un senso di tristezza dopo il momento di gioia, ed esattamente quando Marco come al solito gli montò a cavalcioni sulle ginocchia. Questi era una bambino molto festoso, era sempre con il sorriso sulle labbra era un vero amore, stava sempre a chiacchierare, a chiedere di suo padre poiché essendo loro fratello e sorella man mano che Marco cresceva le avevano detto che il padre era morto in un incidente, ovviamente le raccontava Cecilia, come era morto il marito, ma Massimo chi sa perché tutte le volte che si parlava di questa storia era sempre preso dal senso di rimorso e le veniva in mente sempre quel dubbio di quella donna estratta da sotto le macerie che in un attimo le era sembrato come se fosse ancora viva e dopo messa a terra sembrava morta, ma lui si poneva sempre la domanda: E se fosse stata ancora viva? E se l’avessero portata al deposito in mezzo ai morti e lei si fosse ripresa? rimaneva spesso a incespicare in questi pensieri, ma poi arrivava Marco ad arrampicarsi sulle ginocchia e la cosa passava, ma quando si trovava solo a porsi tutti questi interrogativi, era davvero tremendo, passava momenti atroci. Dopo quasi due mesi arrivò il permit. di lavoro dall’ Inghilterra e Massimo si diede da fare a chiedere il resto dei documenti per ottenere il passaporto.

    UN VIAGGIO IN INGHILTERRA

    Alla partenza, Cecilia e Marco vollero accompagnarlo alla stazione Termini. E’ inutile dire il distacco quanto fu doloroso, ma per Marco fu un vero trauma, urlava, si agitava e diceva a Massimo: Non andare via, torna!!! Zio Massimo farò il bravo!!! Perché te ne vai? ... non lasciarci ti prego!!! E’ stata la partenza del treno che interruppe quello strazio; ora seduto nel suo scompartimento non c’era Marco a distoglierlo dalla sua disperazione; e più che mai tornava alla sua mente il solito dubbio: Era viva? Era morta? E se era viva …? E per quel motivo che spesse volte si sentiva colpevole di fronte a Marco; questo era sempre a rammentarglielo, e tutte le volte che gli saltava sulle ginocchia; Massimo mormorava: povero innocente! I suoi pensieri furono interrotti da una voce femminile: Ne vuole?.." Massimo a fatica rientrò in se stesso, alzò lo sguardo e vide una mano con qualcosa da mangiare proprio davanti a se: - No, no grazie, non mi sento di mangiare -. La donna provò a ripetere, - Ne è sicuro? Forse le farà bene, mangiando l’aiuterà a smaltire il magone -, naturalmente quasi sempre succede così nelle partenze, arriva gente da ogni parte e lì per lì ogni persona se ne sta in disparte, subito dopo partito il treno si comincia a rilassarsi e a guardarsi intorno, a parlare, dialogare e se il viaggio è lungo quasi si diviene in una certa familiarità e qui solo Massimo era rimasto escluso. Intanto il treno aveva preso il massimo della velocità, lo si capiva dal molleggiare dei sedili, e lo stridere del contatto di ferraglia delle rotaie a contatto con i binari rimbalzare all’orecchio dei passeggeri.

    Massimo si addormentò fino a quando una voce lo svegliò chiedendogli: Passaporti prego…infatti erano già alla frontiera di Chiasso, il treno fece sosta giusto il tempo per controllare i passaporti, poi ripartì per il porto di Calè o Decalais capolinea; infatti la nave per l’imbarco era li pronta, per Massimo era la seconda volta che metteva piede su una nave e lo si capì subito dal momento che dovette chiedersi a cosa servivano tutte le bacinelle che si trovavano sotto le poltrone, anzi una per ogni poltrona, e si accorse a proprie spese quando la nave prese il largo. Il mare era molto mosso; da prima la nave si mise a ballare, ma poi sembrava un vero concerto.

    - Erano con il fiato sospeso, si sentivano salire su, su, su, e subito dopo si sentivano scendere giù, giù, giù e mentre all’insù vedevamo delle montagne d’acqua che si abbattevano sulla nave, e quasi tutte le bacinelle che si trovavano sotto ogni sedile vennero usate quasi tutte, Massimo per non aver potuto rimettere gli vennero dei dolori atroci al ventre da non credere di riuscire a farcela, sentiva la donna che viaggiavano assieme dire al marito:

    - Prendi le valige…-, e questi le rispose scocciato,

    - Ma se si affonda che te ne frega delle valige?- Per via del mare molto mosso la nave non ha potuto approdare al porto di Folkestone, ed infatti lo sbarco oramai doveva avvenire a Dover, se avevamo fortuna, poiché nel male augurato caso poteva essere trascinati dalle correnti che scendono dai mari del nord, ed andare a finire in un punto che a pochissimi metri sotto alla superficie dell’ acqua sorge uno sperone di roccia, dove erano affondate circa sette delle più importanti navi; ma per fortuna non è andata come alcuni temevano. Allo sbarco

    Massimo pensava fosse una cosa facile, ma prima di sbarcare e mettere piede in terra Britannica dovevano essere sottoposti ad un ultima visita, che veniva effettuata sulla nave stessa, e risultando sani, facevano delle domande; quanto denaro in tasca doveva avere la persona, che doveva soggiornare nel Regno Unito, telefonavano al datore di lavoro che si doveva assumere la responsabilità di dare lavoro per quattro anni, nel caso non avesse avuto lavoro doveva comunque continuare a pagare lo stesso. Inoltre volevano sapere dove l’emigrante andava ad abitare e quindi telefonavano dalla nave al padrone di casa che si doveva impegnare per quattro anni a tenerlo in casa, ed infine alla domanda che veniva fatta se intendevano rimanere dopo i quattro anni come cittadino inglese doveva rispondere di no, che andava solo per un po’ di lavoro e appena fatto un gruzzoletto intendeva tornare a casa e a questo punto veniva concesso di sbarcare, in caso contrario facevano tornare indietro. Appena arrivati a destinazione, bisognava raggiungere la più vicina stazione di polizia, dove l’immigrato veniva registrato, e per qualsiasi cosa doveva ritornare a chiedere se il datore di lavoro non si comportava bene, o se il padrone di casa non voleva tenerlo più in casa, insomma per far valere tutti i propri diritti e per l’assegnazione del medico, del dentista ecc. e tutto questo Massimo lo ha constatato di persona, infatti un giorno rientrando a casa, trovò la dottoressa ad attenderlo, che preoccupata gli fece dire dall’interprete, come mai non si era fatto vedere periodicamente, perché la dottoressa veniva pagata per lui, ed era anche responsabile e quindi anche se stava bene doveva sempre rispettare gli appuntamenti. Era davvero un altro mondo dice Massimo e oggi nel 1990 noi facciamo venire le persone per farle dormire nelle strade ignorando tutte le strutture che ogni nazione deve avere se vuole parlare di importare mano d’opera e vedere anche se ha lavoro, o alloggi per i propri connazionali, prima di tutto perché in caso contrario si fa tanto più male che bene, naturalmente mi rendo conto che i ben pensanti senza nemmeno sapere il male e i disagi che si riesce a causare a questa povera gente giudicherà questa una forma di razzismo. Ma andiamo per ordine; appena sbarcato Massimo si trovò di fronte una fila di persone ad attendere i passeggeri, ed ogni una di queste persone teneva un cartello in mano con scritto il nome

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