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Uomini senza passato in cerca di Fede
Uomini senza passato in cerca di Fede
Uomini senza passato in cerca di Fede
E-book163 pagine2 ore

Uomini senza passato in cerca di Fede

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Info su questo ebook

Luigi Colazzo da tempo si dedica alla narrativa con la quale cerca di offrire ai lettori l’occasione per la discussione su problemi e situazioni del difficile mondo contemporaneo. I suoi personaggi sono schematici ma reali, carichi delle inquietudini dell’uomo moderno. Nei suoi racconti il lettore viene trasportato – e diventa testimone oculare – di fatti e luoghi apparentemente distanti eppure così vicini alla nostra sensibilità. Uomini senza passato in cerca di Fede, al di là del racconto piacevole e accattivante, sottolinea l’urgenza per la nostra società di non perdere di vista, come purtroppo accade da tempo, i valori migliori dell’esistenza.

Luigi Colazzo vive a Galatone, in provincia di Lecce. Ha già scritto altri due romanzi: Elisa storia di una ragazza bene, Editore Skorpion (Premio Euro Sud 1984) e Ritorno a casa - Storia di un ragazzo del Sud, Editore Mandese, 1989, in edizione da libreria e successivamente per la narrativa scolastica per la collana “Libro in Libro” (diverse edizioni, la più recente del 2005).
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9788830667594
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    Anteprima del libro

    Uomini senza passato in cerca di Fede - Luigi Colazzo

    LQ.jpg

    Luigi Colazzo

    Uomini senza passato in cerca

    di Fede

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6229-2

    I edizione agosto 2022

    Finito di stampare nel mese di agosto 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Uomini senza passato in cerca di Fede

    DEDICATO A QUELLI

    CHE VIVONO L’INUTIL VITA!

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Presentazione

    L’autore parte da una società post-moderna, un mondo di sopravvissuti dalla ipotetica guerra nucleare, «la tanto invocata fine del mondo», per affrontare un problema di questa generazione e quella del post-nucleare: la morte per suicidio di molti giovani e non.

    Il personaggio chiave della storia è Maximilian, un cittadino pubblico, uno studioso del suo tempo, uno psicanalista conoscitore di fenomeni della società del post-nucleare.

    In un mondo fatto di macchine che lavoravano al posto dell’uomo, l’era dei robot era giunta alla massima diffusione.

    Gli uomini di quel mondo meraviglioso, nonostante tutto, avevano anche loro dei problemi esistenziali come la nostra società alla fine dell’anno Duemila.

    Anch’essi, molti per altro e per la maggior parte giovani, nonostante il benessere raggiunto, si lasciavano morire per suicidio, un auto-soppressione apparentemente senza motivo, senza un perché che giustificasse tale atto.

    Il protagonista decide di andare in fondo al problema cercando alla radice. Decide di risalire alle origini e conoscere più a fondo di quanto già si sapesse sui predecessori, intuendo che lì si trovava la chiave del dilemma.

    Girando tra reperti arrivati fino a loro dopo la grande esplosione, Maximilian arriva ad azzardare una sua teoria: alla civiltà del post-nucleare manca un fattore chiave che regola la vita, La Fede, quella cosa che unisce e fa amare la vita. Fede interiore che i suoi avi avevano e per cui vivevano: questo il risultato della sua inchiesta sul tempo che fu.

    In un convegno ne parla e si confronta con altri studiosi, arrivando ad un compromesso con gli altri; che la fantasiosa storia sulla fede aveva bisogno di una prova, di un qualcosa che avvalorasse la veridicità di tale sentimento, capace di regolare la vita sugli esseri umani.

    Maximilian decide, insieme ai suoi colleghi studiosi, di partire alla ricerca delle origini.

    Si parte dal Monte Olimpo in Grecia, punto d’inizio dell’odissea per il gruppo alla scoperta di un qualcosa che confermasse la teoria sulla fede, collante indispensabile per la sopravvivenza sul pianeta.

    Sul monte come per magia compare un vecchio; un saggio che fece capire loro che li attendeva da tanto tempo.

    Maximilian intuisce subito che quel vecchio rappresenta tutto quello per cui sono arrivati fin lassù. Con molta fiducia si lascia guidare, insieme ai compagni, all’invito del saggio della montagna di seguirlo nelle viscere dell’Olimpo per la conoscenza del tempo che fu (si ripete una specie di girone Dantesco).

    Il vecchio, a cui Maximilian si rivolge spesso con l’appellativo di Asceta, decide di mettere alla prova la voglia di conoscenza del gruppo, e per quattro giorni e quattro notti li porta in giro nelle viscere della montagna, facendo di tanto in tanto delle pause per raccontare l’inizio del mondo, dalla notte dei tempi.

    Un ripercorrere sintetico della vita sulla terra, dalle origini alla fine della folle guerra nucleare: la madre di tutte le guerre.

    Nel trascorrere lento delle ore in quel guscio vuoto che era la montagna, la stanchezza, la fame, il sonno distolgono il gruppo dal fine per cui erano giunti lassù e Maximilian resta l’unico testimone della conoscenza sulla Fede, unica pilastro su cui si può basare un’umana convivenza con le macchine, nell’era del post-nucleare.

    L’Asceta, con dovizia di particolari, parla come a dei scolari dell’inizio della fede, attraverso gli dei, figure mitiche fantasiose che generavano la fede, il culto sulla terra. Poi racconta della venuta del Messia sulla terra e dei suoi insegnamenti attraverso i suoi apostoli, fattore ancora più importante per rinsaldare negli uomini il significato di Fede.

    Poi ancora la fase calante, i tempi della perdizione attraverso uomini che hanno rappresentato l’anti-fede, paranoici e pazzoidi come Hitler e Stalin; fino ai guai dei nostri giorni, quali droga, consumismo, terrorismo, fondamentalismo e caduta verticale di valori come la morale, l’etica: è con essi che ebbe l’inizio della fine, un nuovo diluvio universale.

    Capitolo I

    Maximilian guardò la moglie Madleen uscire col sorriso sulle labbra e anche lui le lanciò un cenno d’intesa compiaciuto.

    Era la sera del primo di settembre, un lunedì, e Madleen usciva per incontrarsi col nuovo partner, Maximilian salutò dalla finestra la donna che attraversò quasi di corsa il cortile fino all’utilitaria ferma davanti alla casa e si avviò lungo la strada incolore da paesaggio lunare.

    Strano come un uomo sapendo dell’infedeltà della sua compagna accetti con rassegnazione quello stato di cose senza reagire, senza protestare, ma Maximilian apparteneva alla nuova generazione, alla nuova civiltà dei consumi, degli sprechi, del superfluo, dell’era spaziale, del nucleare, dei computer, l’era dei robot a sostituzione dell’uomo nell’impiego sul lavoro. Una civiltà votata alla perfezione del sistema con la sola preoccupazione di dover impostare e dirigere le macchine perfette messe a loro disposizione a integrazione di loro stessi nel mondo lavorativo, creativo e produttivo.

    Il tempo a loro disposizione era notevole e così ogni evasione era consentita, approvata dalla famiglia e dal coniuge, anzi ritenuta d’obbligo per la continuità della vita.

    Big-Ben, il robot domestico, fece il suo ingresso nel salone con l’inconfondibile segnale di presenza «Bzzz».

    Poi la sua voce metallica, scaturita dall’interno di un oblò a cupola di un ritrovato infrangibile misto a fibre di vetro all’estremità della testa a sostituzione dei capelli, avvertì il suo padrone dell’avvenuta preparazione della cena nella sala da pranzo.

    Maximilian guardò Big-Ben con distacco e rispose a tono: «Grazie».

    Big-Ben ruotò su se stesso e le due piccole antenne flessibili al posto delle orecchia, munite di piccolissime ricetrasmittenti, emisero piccoli segnali luminosi intermittenti: «Bzzz, faccio strada» e un attimo dopo si avviò senza sferragliare.

    Maximilian seguì a ruota la scatola metallica che si muoveva su nastri gommati silenziosi, imbottito da centinaia di fili, cavi, cavetti e migliaia di micro radar e minutissimi computer, foto cellule a onde magnetiche, un cocktail di tecnologia avanzata, il massimo dell’ingegno dell’uomo.

    La porta a cellule fotoelettriche si aprì scomparendo nella parete e si richiuse dopo brevi segnali di libero accesso.

    La sala da pranzo, priva di verde e mancante di tracce floreali come il resto della casa, sembrava un laboratorio di ricerche, senza la minima presenza del legno, con un arredo fatto di traverse e di lamiere in ferro delle più svariate forme geometriche, di sedie imbottite in similpelle uguali a poltrone di astronavi con diversi comandi incorporati nei braccioli per la chiamata dell’inserviente robot e per la messa in azione a distanza della radio e della televisione, molto più usate e ascoltate del nostro tempo.

    Il tavolo rettangolare era apparecchiato per due, Maximilian prese posto e senza aspettare il secondo commensale si fece servire.

    La cena frugale era composta da cibi conservati e inscatolati serviti freddi come l’atmosfera regnante nella casa; tutto era dato per scontato, tutto era perfetto in una sincronia di sentimenti e di ambienti, niente era lasciato al caso, tutto era programmato e filava liscio senza scosse.

    La televisione trasmetteva senza sosta notiziari che riguardavano non solo il paese ma anche il resto del mondo.

    L’informazione visiva aveva raggiunto traguardi impensabili e impegnava gran parte della giornata del cittadino che in essa trovava lo stimolo per condurre in porto una giornata vuota, priva di emozioni sia fisiche che psichiche.

    Seduto a mangiare con poca convinzione e appetito, con gesti meccanici, Maximilian vedeva scorrere le immagini sul monitor senza particolare interesse.

    Poi una notizia che metteva al corrente il cittadino dell’avvenuto suicidio di altre cinque persone nella città di Leccesville lo fece sobbalzare e smettere di cenare.

    Spense il monitor televisore, si portò le mani alle tempie e restò a chiedersi come mai l’umanità veniva bersagliata da migliaia e migliaia di morti, più per suicidi che per morte naturale. Mai come in quel momento si erano toccati livelli di vita così alti per il genere umano, eppure la gente preferiva uccidersi nel momento di maggior splendore sulla terra nella sua millenaria storia così progredita e piena di benessere.

    «Qualcosa non va!» si chiese Maximilian, qualcosa che sfuggiva al suo intuito, ma che evidentemente ci doveva essere. Era impossibile che la gente rinunciasse

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