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Pasticcio Peloritano
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Pasticcio Peloritano
E-book159 pagine2 ore

Pasticcio Peloritano

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Info su questo ebook

Totò Spataro, che ha fatto della naturale inclinazione alla pigrizia una scelta di vita, si trova spesso trascinato in eventi che lo costringono all'azione anche quando preferirebbe rimanere sul suo comodo divano.

Nel piccolo paese in cui abita, affacciato sullo Stretto di Messina, verranno commessi alcuni omicidi, che avranno come vittime noli professionisti.

I falli di sangue saranno anticipali da strane scritte sui muri, utilizzate per lanciare ingiurie infamanti.

Le cose non appariranno lineari e di semplice soluzione.

Totò, e il suo inseparabile amico Lilluzzo, aiuteranno il Commissario Carrieri a risolvere il "pasticcio" grazie a una buona intuizione, ad una scintilla sprigionata dalla letteratura e con l'aiuto del solito "dio del caso" che, quando ne ha desiderio, giunge in soccorso.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788831689328
Pasticcio Peloritano

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    Anteprima del libro

    Pasticcio Peloritano - pietro alessi

    Rotterdam

    Prologo

    Tutte le mattine nei mesi estivi sono solito consumare una colazione a base di granita di caffè con panna e relativa brioche, dopodiché mi piace fare una passeggiata tonificante in riva al mare. La mia abitazione è a pochi passi dalla spiaggia, in una piccola frazione del Comune di Messina: Torre Faro. La mia vita si sviluppa in un contesto di ricercata solitudine. Unica presenza costante è il mio cane Nero, di nome come di colore. Trascorro le giornate privo di qualunque occupazione che non sia direttamente rivolta alla soddisfazione dei miei bisogni, siano essi materiali come anche di quelli diremmo immateriali. In ciò sono sostenuto da una piccola rendita, frutto di un affitto che riscuoto mensilmente, per un appartamento sito in pieno centro, nella città di Messina; un lascito dei miei genitori, ancora fortunatamente in vita e attualmente residenti a Torino. Quel giorno di luglio era particolarmente caldo, alimentato da un alito sciroccoso, che sopprimeva ogni tentativo di sudorazione sul nascere. A proposito, il mio nome è Totò Spataro. Dicevo del caldo. Davvero insopportabile. Lasciai quindi la spiaggia, per continuare la mia passeggiata lungo le strette strade interne del paesino. Vi erano, a ridosso delle pur basse palazzine, dei coni d’ombra nei quali si poteva respirare dell’aria più fresca. Mi dirigevo verso quel bar che, dalla piazza principale, guarda il tratto di Calabria che mostra la sua bellezza appena oltre lo Stretto di Messina, reso infido dalle correnti; quelle stesse cantate da Omero e da molti altri poeti, sino ai giorni nostri. Prima di giungere a destinazione mi colpì una scritta sulla parete di un caseggiato. Le lettere erano di grande formato e di un colore rosso cardinale. Non si poteva davvero ignorarla. Diceva: Rosaria Palermo è una grandissima buttana. Un tempo si inviavano lettere anonime. Queste erano indubbiamente più discrete. Esse si rivolgevano agli interessati, il più delle volte ai congiunti o stretti familiari; solo in qualche caso, e con le opportune cautele, alle forze dell’ordine ma non si giungeva, se non di rado, a coinvolgere addirittura un intero paese. La cosa, il contesto e la situazione, mi fece tornare alla mente qualcosa di simile che forse avevo letto in un qualche racconto del compianto Camilleri. I giorni successivi confermarono l’impressione ricevuta e anticiparono il ruolo determinante che le suggestioni della letteratura avrebbero avuto negli avvenimenti narrati. In ogni caso non sarei sincero se non ammettessi che, per quanto il mio primo comandamento era di farmi i cazzi miei, avevo curiosità di conoscere l’artefice di quel gesto vigliacco. Quindi, tornando a Rosaria, non credo le abbia fatto piacere trovare il suo nome e il suo cognome vituperato in una pubblica via. Si trattava davvero di una mascalzonata in piena regola. È un po' quello che si fa utilizzando la rete internet, che queste azioni amplifica enormemente. L’autore forse non era giovanissimo. Pensai che altrimenti avrebbe scritto la stessa frase su un social, con la certezza che sarebbe stata letta da molte più persone. Con questi pensieri, rivolgendo un ultimo sguardo alla scritta infamante, proseguii il cammino verso la mia seconda colazione. Qualcosa di dolce avrebbe portato sicuro giovamento al mio umore, guastato da pensieri poco edificanti su una buona parte del genere umano. La meritata consumazione di un caffè, con relativo accompagnamento, avrebbe subìto mio malgrado un ritardo. Sul piazzale antistante il Duomo, poco lontano da dove mi trovavo, vi era una sorta di tafferuglio. Un grappolo di paesani aveva lo sguardo rivolto verso l’alto, in direzione di una delle sacre e cristiane pareti laterali della chiesa. Campeggiava una scritta di colore rosso, simile a quella nella quale poco prima ero inciampato. Diceva: ‘U notaio Cavani è curnutu. Una guerra, una invasione di locuste, una epidemia non avrebbe avuto analoghe conseguenze per il normale scorrere della vita di paese. Non si parlò d’altro per i giorni a venire. Le due scritte erano evidentemente l’infelice prodotto dello stesso autore. Entrambe vili, la seconda persino blasfema. Le due persone coinvolte nello scandalo, poi venni a sapere, erano entrambe sposate e a voce di popolo integerrime e fuori da ogni sospetto di tresche amorose. La Rosaria era una donnetta di circa cinquant’anni, del tutto priva si diceva di qualunque attrattiva; sposata e madre di due figli. Il notaio anche lui di circa cinquant’anni, più basso che alto, scarso di capelli e, a dispetto di una certa agiatezza, piuttosto trasandato nel vestire, come nell’apparire generale. Anche la moglie di lui era, almeno all’apparenza, al di fuori da ogni sospetto a proposito di supposti amanti o qualunque tipo di trasgressione ai doveri familiari. La domenica non mancava mai, in compagnia del marito, alla messa delle undici. La stessa sera, complice il tepore estivo, chiunque possedesse una casa con l’uscio sulla strada si fece carico di realizzare dei veri e propri salotti di conversazione all’aperto. Otto sedie (quello era il numero mediamente posseduto da ciascuna famiglia) di legno o impagliate erano a disposizione per formare il cerchio; si partiva con disinvoltura da argomenti di nessuno interesse per giungere con rapidità e consumata abilità oratoria al vero motivo dell’incontro. Così era per tutti i gruppi che, per le strade del paese, si erano riuniti come obbedendo ad un richiamo irresistibile. Gli uomini non rinunciarono al medesimo piacere di indagare nelle vite altrui, al fine di condannare o assolvere. Lo fecero in spazi diversi perché non erano fimmineddi ma masculi. Si videro nei vari circoli per la consueta partita a carte o nei bar per un digestivo o il gelato della sera. Qualunque fosse il luogo o la ragione dell’incontro la conversazione piegò inevitabilmente fino a spegnersi là, dove gli eventi del giorno premevano. Si partì senza dubbio da un esame comparato e attento delle figure coinvolte. Si analizzò, bisturi alla mano, lo svolgersi quotidiano della vita di Rosaria e della moglie del notaio. Il loro aspetto fisico, in particolare quello di Rosaria, venne esaminato nel dettaglio, dagli uomini come dalle donne. Infine, si giunse alla conclusione che poteva trattarsi solo di uno scherzo, certo di cattivo gusto; di un perditempo che amava scassare i cugghiuna alla gente per bene. Non ambisco a socializzare e considero la solitudine una faticosa conquista che ho guadagnato negli anni ma, quanto avvenuto nel paese in cui vivo, era questione troppo ghiotta per non metterne a parte il mio migliore amico, Lilluzzo. Non ero solito farlo, ma in quella specifica circostanza lo feci e fui io a cercarlo al telefono. Lo invitai a cena promettendogli, oltre a buone pietanze, anche un aggiornamento sulle ultime novità. Devo riconoscere che tutta la questione mi aveva incuriosito. Chi poteva avere interesse ad infangare, o comunque a creare dei problemi a persone che, nella opinione generale, apparivano integerrime? Chi si era preso la briga di uscire di notte con vernice e pennello e magari anche una scala, dal momento che le scritte erano state svolte ad una certa altezza da terra, solo per lanciare insulti che non avrebbero avuto particolari conseguenze? Già, perché anche i rispettivi coniugi di Rosaria e del notaio avevano risposto con una alzata di spalle a quella che si era considerata una infantile goliardata, del tutto incomprensibile. Detto ciò, la mia curiosità era stata stimolata. Mi piaceva fare chiacchiere senza costrutto al solo fine di trascorrere del tempo nella piacevole compagnia del mio amico. Nella fattispecie non avremmo dovuto faticare per cercare l’argomento. L’avevamo bello e scodellato sul tavolo. A cena ne avremmo discusso. Lilluzzo giunse puntuale in compagnia di Nunzia, la donna della quale era profondamente innamorato; sempre indaffarata con i suoi mille impegni lavorativi, sociali e culturali. Non avevo desiderio di cucinare. Dunque, focaccia tradizionale messinese e poi, se ne avessimo avuto voglia, un gelato al bar sotto casa. A parte Nunzia, che seguiva distrattamente la nostra conversazione sui fatti del giorno, le domande, prive di risposta, che ci scambiavamo, io e Lilluzzo, erano occasione, come spesso tra noi, di riflessioni sull’animo umano.

    - Che ne pensi Lillù? Ti sembreranno fatti banali, di paese, ma qui è da stamattina che non si parla d’altro. Ci si chiede la ragione di prendersi tanto disturbo per nulla.

    - Totò ancora vai cercannu ragiuni? ‘U voi capiri o no che la ragiuni si prisi ‘na longa vacanza? Vadda fori da tò finestra. Vadda chiddu chi succedi ‘nto munno. Di cosa ti sorprendi? Quale ragione vai cercando? Si trattò du’ solitu pacciu di paisi chi avi a scassare a minchia picchì n’avi autru a chi fari.

    - Così in effetti sembrerebbe. Forse hai colto nel segno. Però mi chiedo, dal momento che il pazzo, come lo hai definito, ha deciso di gettare un po' di scompiglio perché non ha scelto meglio le vittime? Ti pare che manchino in paese i cornuti veri? E, ti pare che scarseggiamo di adultere e triangoli vari? Perché prendersela proprio con chi sembra innocente da ogni forma di trasgressione? Questo, almeno, dice la voce del popolo, che, dalle nostre parti, come sai, è voce di Dio. Non so che dire. La cosa mi lascia perplesso.

    - La vita in assenza di dumanni e cu tutti li risposti saria cosa noiosa.

    - Io alle volte, anzi spesso, non riesco proprio a capire. Non mi riferisco solo alla babbiata (n.d.a: sciocchezza) tipo murales. Penso a come siamo contorti. So che tu credi in Dio…

    - Acchi vòta sì e acchi vòta no: a secunno di come mi gira.

    - Poniamo che si debba a lui la spinta creativa. Mi viene da pensare che quando ci ha impastato non ha usato creta di buona qualità e quando ha soffiato sopra di noi l’alito divino, per infonderci una specie di anima, doveva essere distratto da molti pensieri. Che, poi, noi si sarebbe a sua immagine e somiglianza a me pare solo un atto di pura presunzione ed arroganza. Chissà quante forme viventi vi sono e perché proprio la nostra dovrebbe superare le altre e avvicinarsi così tanto ad una somiglianza con Dio? Tu che ne dici?

    La voce di Nunzia, che aveva cortesemente sospeso le sue telefonate prestandoci un minimo di attenzione, si impose.

    - Lillù è tardi amuninni. Totò, quando inizia a fare filosofia non si contiene.

    Quando Nunzia lanciava il suo richiamo Lilluzzo non provava neppure ad opporsi. Magari non ci provava perché non voleva. Comunque, era effettivamente tardi e loro dovevano rientrare a Messina. Non era un gran viaggio, ma è pur vero che d’estate potevano trovare traffico. Se non li capivo io che facevo fatica a spostarmi dal divano… Li ringraziai per la piacevole serata e li salutai. Non avevo ancora sonno, così trascorsi qualche altro minuto affacciato alla finestra. La serata era calda e afosa e il vociare, che non si era ricomposto, delle persone che commentavano le scritte sulle mura del paese era gradevole e di compagnia. Persino divertente assistere alle diverse e fantasiose ricostruzioni e non si potevano davvero ignorare i duelli oratori che si innescavano dove taluno pretendeva di prevalere su talaltro. Non sempre per la verità erano discussioni pacifiche. Di tanto in tanto si percepivano parole grosse e qualche insulto e, se la vista non m’ ingannava, ad un capannello poco distante dalla mia abitazione, si era giunti persino alle mani e a una piccola zuffa, per fortuna rapidamente sedata. Fuochi che si accendevano con facilità e che per fortuna altrettanto rapidamente si spegnevano. Questione di carattere ma anche colpa dello scirocco che, per tutto il giorno, non aveva cessato di soffiare sulle braci; rendeva gli animi eccitabili e le persone inclini a cedere alle passioni, non sempre alle migliori. Ignoravo che il giorno che stava per terminare segnava l’inizio di una vicenda che, malgrado gli sforzi per tenermi alla larga, mi avrebbe coinvolto e trascinato in eventi con i quali non avrei voluto confrontarmi.

    UNO

    Di mattina presto, troppo presto, fui indotto ad un risveglio sgarbato da un tramestio continuo nella strada. Mi affacciai e osservai un via vai inconsueto. Provai a chiedere a coloro che passavano sotto la mia finestra ma, in risposta, ricevetti solo movimenti del capo che erano di difficile interpretazione. Di fronte a questo muro

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