Morte e Nascita. L'eterna danza della vita
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Anteprima del libro
Morte e Nascita. L'eterna danza della vita - Sabrina Vaiani
Indice
RINGRAZIAMENTI
PREMESSA
CAPITOLO I: MORTE E NASCITA
CAPITOLO II: IL TRAUMA DI NASCITA
CAPITOLO III: UNA NASCITA SENZA VIOLENZA
CAPITOLO IV: PSICOLOGIA TRANSPERSONALE
CAPITOLO V: I CAMPI MORFOGENETICI
CAPITOLO VI: RESPIRO CIRCOLARE
CAPITOLO VII: SCHEMA DI NASCITA
CAPITOLO VIII: LE IV MATRICI PERINATALI
CAPITOLO IX: RIVIVERE LA PROPRIA NASCITA
CAPITOLO X: LIBERARSI DALL’ILLUSIONE
CAPITOLO XI: IL LUTTO
CAPITOLO XII: ANATOMIA SOTTILE
CAPITOLO XXIII: CRYSTAL MIND®
CAPITOLO XIV: METAFISICA
CAPITOLO XV: I VEDA
CAPITOLO XVI: I CHAKRA
CAPITOLO XVII: VISIONE OCCIDENTALE
CAPITOLO XVIII: ALCHIMIA
CAPITOLO XIX: LE SETTE PORTE DELL’ANIMA®
CAPITOLO XXI: SVADHISTANA CHAKRA
CAPITOLO XXII: MANIPURA CHAKRA
CAPITOLO XXIII: ANAHATA CHAKRA
CAPITOLO XXIV: VISHUDDHA CHAKRA
CAPITOLO XXV: AJNA CHAKRA
CAPITOLO XXVI: SAHASHARA CHAKRA
CAPITOLO XXVII: ETÁ e CHAKRA
CAPITOLO XVIII: SCHEDE CHAKRA
CAPITOLO XXIX : CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
Morte e Nascita
L’eterna danza della vita
Dedico questa opera a Marco Maci, mio compagno di vita e di ricerca. Grazie per il tuo indomito sostegno, nonostante le mie resistenze,
non hai mai smesso di credere al fatto che si potesse realizzare questo progetto.
RINGRAZIAMENTI
Vorrei ringraziare singolarmente ogni persona che ha partecipato alla ricerca e alla sperimentazione con fiducia e amore.
Ringrazio Fabrizio Fedi per essere stato sempre di grande ispirazione. Sandra Balsimelli e Filippo Ginanni per avermi suggerito di lavorare sulla Morte e per la correzione del testo.
Tutti gli allievi e le allieve della Scuola Eterea, i partecipanti ai nostri seminari, alle meditazioni e agli incontri individuali
Un Ringraziamento speciale a Lorenzo Gori e a Claudia Cenni che hanno ispirato la nascita del Crystal Mind.
PREMESSA
Credo sia indispensabile scrivere una premessa per questo libro. Se hai deciso di avventurarti in questa lettura forse il tuo istinto ti ha portato molte volte di fronte alla scelta di libri, situazioni, incontri che hanno in qualche modo contribuito alla formulazione di domande esistenziali o semplici elucubrazioni mentali sull’esistenza e sul nostro ruolo umano in questo mondo ricco di mistero e segreti.
È quello che è successo a me fin da piccolissima.
Ricordo un’episodio specifico che mi ha ispirato molto; avrò avuto un anno o due e mi sono svegliata nel mio lettino scoraggiata perché sapevo che mi sarei dovuta alzare e gridare nella penombra della stanza per farmi sentire.
Ricordo che restai un attimo a riflettere sul da farsi e sull’impotenza rispetto agli istinti primordiali.
Ero lì osservando ed ascoltando questo pensiero dentro me che era perfettamente chiaro e strutturato.
Mi sentivo adulta in un corpo piccolo, annoiata per dover imparare ad usarlo e a svilupparlo.
Ho sempre raccontato questo episodio a mia madre che chiaramente non lo comprendeva e rimarcava il fatto che fosse impossibile che io mi ricordassi un evento del genere.
Appunto.
Chi stabilisce cosa è possibile e cosa non lo è.
La percezione del limite è imposta dall’esperienza dei nostri predecessori ed è stata puntualmente smentita non appena i tempi maturi, hanno permesso alle nuove scoperte di rivelarsi e cambiare i paradigmi della verità imposta fino a quel momento. Mi sono sempre chiesta come può un essere umano non sentire quel canto antico che lo richiama e lo sospinge a scoprire e a svelare se stesso nella sua complessità intima e impalpabile.
Come può l’essere umano non sentire dentro di se tutti i segnali di risveglio che lui stesso ha disseminato lungo il cammino per permettersi di ricordare, di intuire e di penetrare nel mistero insondabile della vita.
Essere vivi è complesso e sottovalutato.
Per quanto sia bello il paesaggio che ci circonda o per quanto sia spaventoso come può essere davvero tutto qui?
Come può essere che l’esistenza sia destinata ad evolversi in una struttura già definita e scritta?
Desideriamo l’amore, per quello che vuol dire, la serenità, un lavoro, i soldi, la bellezza, talvolta l’arte e la musica ma spesso il percorso umano finisce per essere una ripetizione della vita dei genitori e la mente più sublime si annichilisce pensando solo alle esigenze effimere e transitorie.
Tantissimi umani attraversano il mondo come zombie totalmente addormentati, occupati a ripetere le stesse azioni ogni giorno. Dedicati a recitare il proprio ruolo con tutti i limiti che il ruolo comporta.
Dicono io amo e in realtà odiano, dicono io sono soddisfatto e in realtà sono sopraffatti dall’ansia e la paura ogni giorno. Dicono io voglio e in realtà si sono convinti di volere quello che hanno imparato a desiderare, a raggiungere per essere approvati.
C’è stato un momento in cui desideravo morire, ero solo una bambina ma mi sentivo totalmente inadeguata per questa vita. Riconoscevo i miei pensieri come troppo grandi per la mia mente. Mi interrogavo sulla loro provenienza e sul loro significato ma restavo sconfitta. Avevo paura, era inspiegabile e intensa. Però mi ha fatto volgere lo sguardo verso l’insondabile e mi ha permesso di sentirlo.
Era così forte il suo richiamo che ad un certo punto ho scelto e ho capito il senso. Ho smesso di ascoltare tutte quelle parole su cosa fosse giusto o meno fare perché ho riconosciuto negli occhi degli adulti una luce lontana persa forse nei meandri dell’infanzia, una luce che non sapevano ritrovare, forse affievolita nel momento in cui hanno deciso di non ascoltare il richiamo così forte del trascendente.
È lì che ho accettato la vita, e la paura, l’inadeguatezza, la gioia, il sole sulla pelle, quando ho capito che scappare da me stessa mi avrebbe ucciso e che la morte stessa mi suggeriva di svegliarmi e di incamminarmi.
La ricerca è stimolante e frustrante ma non è che l’imput iniziale per poter trovare i pezzi del puzzle che compongono la nostra complessità.
Questo libro non pretende di dare risposte, non è lineare, né educato è un percorso dentro il labirinto dei pensieri che vuole ricordare l’antico percorso dell’uomo che volge lo sguardo al cielo per nutrirsi della luce dell’universo ed è la danza ipnotica e ancestrale che celebra la terra e la feconda con il seme potente di chi si lascia andare alla vita.
È un percorso che a volte ti sembrerà pretenzioso e fazioso, altre volte ti catturerà nelle sue spirali e ti farà sentire le parole dentro di te dissolversi per toccare corde che non sono pizzicate da tanto tempo.
Fondamentalmente lo scrivo per me, perché non posso farne a meno e spero che il fatto di condividerlo abbia un senso nel disegno di questa danza geometrica che chiamiamo vita.
Lo scrivo per quella bambina tormentata per l’infelicità che vedeva negli occhi degli adulti e ha detto a se stessa no! ci dev’essere un altro modo per crescere senza morire strada facendo.
Spero che abbia un senso per te che lo tieni in mano in questo momento e stai già decidendo se continuare o chiuderlo.
Buona lettura.
CAPITOLO I: MORTE E NASCITA
Se sei consapevole della morte, essa non arriverà come una sorpresa, non ne sarai preoccupato. Percepirai che la morte è esattamente come cambiarsi d’abito e, di conseguenza, in quel momento riuscirai a mantenere la tranquillità mentale.
Dalai Lama
Possiamo definire la morte e la nascita le porte girevoli dell’esistenza.
Sono i due capisaldi che determinano la vita stessa, in quanto una definisce l’ingresso dell’anima nella materia e l’altra determina il ritorno dell’anima nell’oceano universale dell’unità. Esse contengono i codici del mistero, esplicano i circuiti stessi che definiscono il percorso della vita e lo schema della mente. Nella nascita troviamo la mappatura che definisce e determina la nostra personalità, l’imprinting fondamentale che ci guiderà nel condizionamento stesso, nella scelta di un’esperienza o nell’altra.
L’enorme quantità di energia che si sprigiona nel miracolo della nascita, quando la creatura prende il pieno possesso del suo corpo attraverso il primo respiro e passa dal limbo uterino, che possiamo definire il portale tra i mondi, alla dimensione materica che abitiamo, si cristallizza nella struttura mentale che definirà l’individuo futuro.
Il passaggio da un ambiente caldo, accogliente e acqueo ad un’altro in cui il corpo, che fino a quel momento godeva di una percezione parziale di se stesso, è potentemente traumatico.
Il nascituro viene catapultato a contatto con l’elemento aria e con la terra, in quanto sperimenta il contatto fisico che, fino a quel momento, non definiva i propri confini, ma era filtrato da una sensazione di fusione con la madre stessa; inoltre, la nuova condizione di sospensione nell’elemento aria gli permette di sentire gradualmente la percezione del corpo abitato. Nell’utero i bisogni erano tutti soddisfatti prima ancora che venissero definiti dall’esigenza corporea stessa. Dopo la nascita la creatura inizia ad esperire i bisogni fisici ed emotivi, che vengono soddisfatti solo se compresi. Si instaura un rapporto di dipendenza chiara dalle figure genitoriali e, in particolar modo, la naturalezza del rapporto materno intrauterino si sposta su un altro piano, condizionata da una serie di fattori esterni.
La paura della morte è l’evocazione del grande dolore legato alla nascita, quel tremore profondo che scuote l’essere umano e lo fa credere di essere perduto in un flusso spaventoso di solitudine. Si coltiva la paura della morte perché ci sfugge cosa sia la vita e cosa sia l’amore. Se ci venisse insegnato la presenza, la capacità di stare in tempo presente, la bellezza di affrontare le nostre ombre con amorevolezza, ognuno di noi si libererebbe da questa follia che ci perseguita: la morte non è nemica della vita, non sono opposte, è il suo naturale proseguimento, così come la notte è il naturale proseguimento del giorno, non sono separate, sono consequenziali e facenti parte della stessa splendida armonia che si sussegue.
Noi siamo cresciuti con l’idea dell’identificazione e della separazione molto forti, siamo completamente immersi nell’idea di essere il nostro corpo, la nostra personalità, la nostra mente tanto che perdiamo di vista l’insegnamento essenziale, cioè che Io
non sono niente di tutto ciò, sono l’ospite e l’osservatore che attraverso una forma vive questa esperienza terrena che comprende il fatto di poter sperimentare l’attaccamento e il non attaccamento. Se io sono profondamente radicato nell’i- dentificazione con il mio corpo posso, credere alla follia di poter morire e di poter perdere qualcosa, poiché la morte ti spoglia dal possesso. Se io so di essere il testimone silenzioso di questa danza di forme, in una dimensione di sperimentazione, allora la morte non è spaventosa, diviene un’alleata che, al momento giusto mi coglierà, così come viene colto un frutto maturo, per trasportarmi nel flusso di una nuova esperienza.
Mi dovrei solo preoccupare di arrivare vivo a quel momento. Poiché è molto facile confondersi e non distinguere bene ciò che è costruttivo da ciò che è distruttivo, tante delle aspirazioni che crediamo di avere sono solo un sentiero verso la morte dell’anima, ci fanno smettere di amare la vita e ci aiutano ad immergersi nel puro dovere e nell’illusione della realizzazione materiale. Peccato che, spesso, quello stesso obiettivo non mi appartenga, magari me ne sono convinto perché i miei genitori mi hanno trasmesso le loro aspettative e le loro paure, magari sono talmente proiettato nel futuro e così poco radicato nel presente da credere che la felicità arriverà domani, portata dall’esterno, non vedo più che può nascere solo dall’interno.
In questo caos esistenziale sono necessari strumenti, come le mappe che aiutano l’orientamento, strumenti interiori che favoriscono la vita e la consapevolezza.
Per questo possiamo definire la meditazione una scienza tecnologica dell’anima, perché è lo strumento che può consentire di mantenere viva la capacità di discernimento e di osservazione, permette di allenarsi per essere pronto per la dimensione trascendente.
Ogni creatura che si assuefà alla vita senza viverla, inizia a appassire interiormente molto presto e, spesso, giunge al momento cruciale che è già morta da un pezzo.
Si è lasciata dilaniare da pensieri, parole e mancanze, ha allontanato la gioia, la risata e l’amore, si è lasciata sopraffare dal dovere e dal desiderio senza attenzione alcuna per il proprio mondo interiore.
Le persone non invecchiano perché le loro cellule deperiscono, la loro vitalità si disperde per mancanza di presenza. L’invecchiamento è un processo della mente, che inizia a morire dalla nascita in poi, anziché iniziare a vivere.
La meditazione permette di sperimentare la morte, perché disfa l’ego un po’ alla volta, consentendo di vivere l’esperienza dell’essenza.
Noi siamo esseri ritmici, che si esteriorizzano e si interiorizzano ciclicamente. Tutto è ritmico in questo universo, il respiro, le stagioni, l’alternarsi di luce e ombra. Non possiamo pensare che coltivare solo un movimento sia sano per noi: imparare a vivere le sensazioni e le emozioni, condividendole con il resto del creato, è altrettanto prezioso del saperci ritirare ed esplorare il nostro mondo interiore.
Altrimenti rischiamo di perdere la via e il senso.
Se io muoio come essere cosciente, posso attraversare le porte dimensionali mantenendo la mia consapevolezza intatta.
Le culture orientali e sciamaniche offrono strumenti per poter compiere il salto. Molte tradizioni, attraverso le cerimonie di iniziazione, permettono al novizio di attraversare la morte in vita e rinascere ad una nuova esistenza, attraverso prove e rituali di grande impatto. La morte è intesa come un atto di coraggio che permette di spogliarsi della vecchia personalità, per andare verso l’ignoto e la conoscenza, trasformarsi e creare un varco di verità nella trama del sogno che chiamiamo vita.
Nonostante certe pratiche possano sembrare, oggi, arcaiche e violente, lo studio antropologico delle culture antiche rivela spunti di una modernità e di un’attualità incredibili, se paragonati al vuoto di concetti e di valori del nostro tempo. Abbiamo fretta anche nella morte, non curiamo il momento, non ci prepariamo adeguatamente, solo per esorcizzare una paura assurda e così, spesso, sprechiamo l’opportunità di esserci per qualcuno e soprattutto di esserci per noi stessi. Abbiamo paura di essere presenti, di assistere qualcuno mentre varca la soglia, di guardare, di preparare noi stessi al momento.
Non importa quando e come giungerà: se ci troverà pronti, sarà un tuffo spettacolare nell’oceano della consapevolezza.
Molti libri antichi sono testi preparatori come l’egiziano Pert Em Hru, l’Azteco Codex Borgia, il Ceramic Codex del Maya, L’Europea Ars Morendi e il Tibetano Bardo Thodol.
Una bellissima spiegazione di Osho del Bardo Thodol dice:
Il Bardo è un semplice metodo il cui significato è immenso, un dono della cultura tibetana al mondo intero.
Il Bardo suggerisce alla persona che muore : "Adesso resta in silenzio.
Lascia questa vita cosciente: anziché lasciare che la morte ti tolga ogni consapevolezza rilassa la tua presa... non lottare, non lasciarti sconfiggere dalla morte.
Abbandona semplicemente i tuoi attaccamenti.
Per te, questo mondo e questa vita sono finiti, conclusi; non ha senso aggrapparsi; aggrapparsi significa lottare con la morte. Non puoi vincere, e ti lascerai sfuggire un’opportunità estremamente importante. Abbandonati semplicemente, lasciati andare di tua volontà.
Rilassati e accetta la morte come culmine della vita, come fenomeno naturale.
Rimani cosciente e osserva ciò che accade...come il corpo diviene sempre più distante, come la mente cade a pezzi, quasi fosse uno specchio caduto e ridotto in frammenti, come le tue emozioni, sensazioni, stati d’animo.. tutto ciò che ha dato forma alla tua vita inizia a scomparire".
Lo scopo del Bardo è quello di accompagnare l’anima in questo percorso che la separa dalla morte ad una nuova nascita e scorgere quel frammento di coscienza che può consentire di mantenere la propria consapevolezza anche in un’altra esperienza e non ripetere lo stesso sogno dal quale ci siamo appena svegliati.
Il rituale è praticato da un Maestro ed egli insiste ripetendo che è tempo che tu riconosca il sogno, tu non muori affatto il sogno si spezza e mentre vieni trasferito da un sogno all’altro è l’intervallo che è estremamente importante, perché in esso non esiste sogno alcuno: esiste solo chiarezza, una chiarezza cristallina, pura consapevolezza. Quindi, la cosa da ricordare è questa: non lasciarti sfuggire quell’intervallo.
L’altra cosa: non mancare il momento in cui entrerai nel nuovo ventre. Realizzerai così qualcosa che, di solito, si riesce a raggiungere dopo vite intere di lavoro su di sé.
Chi sta morendo, sta entrando in un profondo silenzio e la morte sta discendendo e le parole vengono recitate da una persona che ha profondamente amato e verso la quale ha nutrito profondo rispetto, ha la possibilità di mantenere la consapevolezza per compiere il suo cammino di realizzazione.
(Osho- the path of mystic)
CAPITOLO II: IL TRAUMA DI NASCITA
Vivere significa nascere a ogni istante.
La morte subentra quando il processo della nascita cessa.
Erich Fromm
Per comprendere profondamente le nostre catene principali, dobbiamo svelare le implicazioni del nostro arrivo sulla terra. Passare dall’impalpabile mondo delle idee, alla tangibile esperienza terrena, è il più importante trauma da affrontare e da cui liberarsi per vivificare l’essenza e prepararla a questa evoluzione, che fa parte del nostro passaggio sulla terra.
Il primo teorico del trauma della nascita, fu Otto Rank, uno dei più assidui assistenti e fedeli allievi di Sigmund Freud.
Rank conobbe Freud nel 1906 e fu accolto subito nella cerchia dei sostenitori attivi della causa
psicoanalitica, tanto da diventare membro e segretario dell’Associazione psicoanalitica internazionale.
È stato il primo filosofo a diventare psicoanalista. Dotato di un alto grado di cultura letteraria e psicoanalitica, divenne il più competente studioso delle applicazioni della psicoanalisi all’arte, alla letteratura e alla mitologia. L’intelligenza acuta e brillante e l’ampia conoscenza di miti e opere letterarie, sono testimoniate da innumerevoli scritti e pubblicazioni sull’argomento.
Era molto stimato da Freud tanto che i due saggi Rankiani, Sogno e poesia (1914) e Sogno e mito (1914), furono inclusi nella Interpretazione dei sogni in appendice.
La rottura con Sigmund Freud e l’uscita dalla sua cerchia dei seguaci, è causata proprio dalla postulazione della teoria esposta nella sua opera principale, Il trauma della nascita, che Freud accolse con riluttanza, dal momento che, a suo parere, ciò avrebbe potuto indebolire, o addirittura a danneggiare, la propria teoria del complesso di Edipo.
È interessante notare come si può rimanere schiavi delle proprie idee e delle proprie paure relative al fatto di perdere un primato o la padronanza riguardo ad una propria creazione. Se lo guardiamo da un punto di vista più ampio tutto ciò è riconducibile allo schema di nascita di cui approfondiremo i passaggi nei prossimi capitoli.
Uno dei meriti di Rank è stato quello di aver posto, per la prima volta in primo piano, il ruolo fondamentale e pre-edipico della madre nella relazione con il figlio, rispetto a quello successivo, edipico, del padre. Otto Rank stesso ha cercato, più volte, di rassicurare Freud su questo, confermando che si trattava di un’anticipazione, un ampliamento, non di una negazione del complesso delle nevrosi
freudiano, anche perché, un’integrazione di tale portata avrebbe permesso un’evoluzione rapida della psicanalisi e avrebbe velocizzato il processo di consapevolezza del paziente, come è stato poi sperimentato in seguito da altri Autori.
Il 12 aprile 1926, nell’incontro d’addio, Rank portò in dono a Freud l’edizione completa delle Opere di Friedrich Nietzsche, a conferma del comune riconoscimento degli influssi di questo autore e della filosofia sul loro pensiero.
Anche il concetto di archetipo e di pensiero collettivo di C.G.Jung, è stato rielaborato da Otto Rank in alcuni suoi suoi passi innovativi.
Dopo la rottura con Freud, Rank viaggiò tra Parigi e New York, dove tenne conferenze, congressi, prendendo contatti con il mondo della psichiatria e della medicina. Nel 1934, dopo continui spostamenti fra l’Europa e l’America, Parigi, Philadelphia e altre città del Pacifico, Rank si stabilì definitivamente a New York. Artisti e intellettuali lo frequentarono, affascinati dalla sua teoria dell’arte. Tra questi: Henry Miller e Anaïs Nin.
Molti analisti dopo di lui, ad esempio H. Hartmann, che sviluppa e lavora su un nuovo concetto dell’Io, W.E.D., D. Winnicott che introduce il concetto di esperienza della nascita, H. Kohut caposcuola della psicologia del Sè e del concetto di narcisismo, Margaret Mahler che approfondisce il rapporto madre figlio nonché Melanie