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La farfalla e l'aquilone
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La farfalla e l'aquilone
E-book146 pagine2 ore

La farfalla e l'aquilone

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Info su questo ebook

Non si tratta di una semplice favola. Ricordiamoci sempre di essere davanti ad un racconto antropologico che, con un’attenta lettura, ci riempie di riflessioni, di curiosità, di commenti. Non si tratta, infatti, di un libro che ti lascia tranquillo. È vero, ti diverte, ti appassiona, però soprattutto ti fa pensare: avrò capito tutto? E, tra parentesi, nel mio caso non lo credo proprio.

Un aquilone ed una farfalla intrecciano il proprio volo, così come i legami intrecciano le nostre vite. A fronte di ogni legame, lo scrittore ci propone un volo diverso.

Nel legame tra madre e figlio, nel legame tra papà (mancante) e figlia, nel legame tra fratello e sorella, l’aquilone e la farfalla danzano all’unisono, pieni di gioia e abbracciati per la vita, nonostante la distanza che separa il primo, in cielo, dalla seconda, a terra. Sempre rivolti l’una verso l’altro, senza mai sfiorarsi.

Solamente un nuovo legame, più profondo, un legame di una coppia, permetterà davvero alla farfalla e all’aquilone di volteggiare liberi, leggeri, al medesimo livello (in cielo), puntando verso il sole, verso un futuro da costruire.

Ed ancora, non è l’aquilone che deve abbassarsi per raggiungere la farfalla (quando l’aquilone si abbassa, finisce in uno stagno!). È alla farfalla che viene richiesto di elevarsi verso il cielo e di raggiungere l’aquilone.

La farfalla riuscirà così a mostrare la sua bellezza, non più volteggiando in basso intorno ai pistilli dei fiori, bensì in alto, puntando al sole, a simboleggiare una bellezza che deve elevarsi per essere notata, per differenziarsi, per non rimanere anonima. Allo stesso modo, l’aquilone, con la sua altezza, è chiamato a colorarsi per essere notato, per non passare inosservato. Quasi un invito a distinguerci, a dare un significato alle nostre relazioni, a portarle ad un livello superiore, elevandole verso il cielo, liberandoci dell’attaccamento al mondo terreno e puntando a Qualcosa o Qualcuno. Solo tramite questa via potremo essere, nella nostra relazione di coppia, davvero uniti e lasciare una traccia da seguire.



Giorgio Comini, sacerdote diocesano dal 1994, dopo aver prestato servizio come Vicario parrocchiale dal ’94 al ’98 presso la parrocchia di Palosco (Bg), su mandato del vescovo di Brescia ha impiegato 5 anni per approfondire gli studi in Scienze sociali e Scienze politiche (Roma, Washington D.C., Milano), nel biennio 2006-2007 ha frequentato il Master in Mediazione Familiare presso l’Università Cattolica di Milano. Ad oggi, oltre al servizio prestato il Consultorio, rivesta la carica di direttore dell’Ufficio Famiglia diocesano, insegnante in Seminario e direttore del Centro di Spiritualità Familiare Beato Paolo VI.

Il ricavato dalle vendite del presente volume andrà direttamente ed interamente a sostenere il Progetto Casa Famiglia “L’isola che non c’è”
Si tratta di un Progetto costruito da un gruppo di persone che vogliono fare della propria vita un dono per i piccoli sostenuto dalla Cooperativa Sociale Onlus – Familiae Auxilium.

Per conoscere di più:
consultoriodiocesano@consultoriodiocesanobrescia.it
www.consultoriodiocesanobrescia.it
Per aiutarci:
Iban: IT 91 O 08692 11201 012000121432

ESPRIT
European Society of Prominent Researchers in Illustration Technology 
L’associazione Europea Esprit ha sostenuto la linea editoriale di questo progetto  per le finalità sociali ed il valore antropologico che ne caratterizza obiettivi e contenuti
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita13 apr 2018
ISBN9788893458566
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    Anteprima del libro

    La farfalla e l'aquilone - Giorgio Comini

    Postfazione

    La farfalla e l'aquilone

    "A Nene

    e a tutti coloro che hanno il coraggio

    di preservare quel bambino che è in loro:

    solo gli occhi dei bimbi,

    colmi di meraviglia e luce,

    possono vedere un mondo nuovo!"

    Prefazione

    Desidero cercare le note giuste per comporre questo prologo.

    Vorrebbe essere la melodia che accompagna l’arrivo di questo insolito cantastorie, follemente innamorato della vita.

    Puoi ancora scappare… Chiudere gli occhi per non sentire, tapparti le orecchie per non farti turbare. Ma la forza gioiosa del suo canto riuscirà tanto a travolgerti quanto a cullarti. Ti accompagnerà lungo sentieri inerpicati, probabilmente mai tracciati, per farti giungere alla sorgente.

    Per farti incontrare nuovamente il bambino che sei stato, anzi quel bambino che ancora oggi sei, finché stringi tra le mani la tua nuova favola.

    Comincia così un’avventura anche per te, grande abbastanza per decidere di leggere una fiaba e piccolo abbastanza per farti sollevare dalle ali della fantasia.

    Ad occhi aperti per sognare davvero.

    A testa in giù, come nelle capriole, per guardare le cose dalla giusta prospettiva.

    Ascoltando con il cuore il silenzioso frastuono dei tuoi sentimenti.

    E lasciandoti affascinare da tutta la bellezza che abita in te.

    Cerchiamo quella scintilla di luce che può far splendere il mondo ogni giorno, come attraverso lo sguardo dei bambini. Occhi pieni di meraviglia, spiritelli curiosi, anime capaci di stupirsi.

    Secondo Aristotele per essere buoni filosofi abbiamo bisogno soltanto della capacità di stupirci. Caratteristica propria dei piccoli, anzi di tutti i piccoli grandi filosofi, e di tutti i grandi filosofi, ancora piccoli.

    Soffiare via la coltre grigia dell’abitudine per abbracciare il meraviglioso mistero della vita, farcito di domande e speziato di tante risposte.

    Soffia… Non solo ai compleanni! Soffia più forte del vento ed esprimi un desiderio, tutte le volte che vuoi. Spingi verso l’alto i tuoi sogni con tutta l’aria che hai nei polmoni, fino a rimanere senza fiato e regala a questi progetti ossigeno per esistere ed uno spazio immenso come il cielo per crescere. Se possiamo immaginare qualcosa lo possiamo anche scrivere, lo possiamo disegnare, lo possiamo anche fare e, stupendamente, donare.

    Gira pagina ed apri la tua sorpresa…

    Ascolta il nostro menestrello cantare la meraviglia di un volo condiviso.

    Maria Elena Bolzon

    Introduzione

    La vita dentro il corpo della propria mamma come metafora per tutta l’esistenza.

    Finché un uomo sorgerà dal grembo di una donna, il mondo avrà sempre un motivo per sperare!

    Questo breve saggio narrativo, messo in forma di favola per adulti, parla proprio di questo, e cerca di mettere in evidenza che la cosa più pericolosa per ogni persona è perdere la propria identità, fatta di un mix originale di radici e di memoria, di legami e di sogni condivisi, che aprono verso il futuro.

    Per ciascuno di noi la vita ha avuto inizio dentro il corpo di un’altra persona, e non di una qualsiasi, ma di quella che tutti riconoscono col nome di madre. Per taluni questa evidenza è riconducibile ad un fatto semplicemente biologico, per altri fatalistico; a mio giudizio, invece, essa va inquadrata in un più ampio orizzonte di significati, di valori e di fini, secondo appunto una prospettiva antropologica.

    Lì, in quel grembo speciale, abbiamo imparato a vedere le cose sotto una luce particolare, ancor oggi fondamentale e determinante, anche se non immediatamente presente nella nostra consapevolezza psichica. Si tratta di un iniziale " vedere attraverso, filtrato da un altro corpo personale, una forma di vedere cioè costituzionalmente relazionale": l’esperienza nel grembo materno rimarrà sempre un punto di vista affascinante per interpretare tutta l’esistenza e un simbolo ancestrale della capacità di ciascuno di aprirsi al misterioso universo dell’alterità.

    L’inizio della vita umana riesce ad unire, in maniera unica e impareggiabile, le caratteristiche del dono accolto e dell’ affidamento incondizionato, nonché della novità nel presente e della promessa di futuro. Questo vale per tutti, in ogni tempo e latitudine, e quindi anche per me! Infatti, nel grembo di mia madre ho appreso i fondamentali della mia esistenza, tenendo insieme mirabilmente esperienza e conoscenza, acquisendo sulla mia pelle e nelle mie viscere una certezza incrollabile: vivere è semplicemente abitare nell’altro! Se, da un lato, si tratta di una condizione temporanea e irripetibile, dall’altro, rimarrà come impronta indelebile dentro di noi, una nostalgia che ci spingerà a desiderare sempre un paradiso.

    " Vivere in": è questa la chiave di lettura della vita umana, capace di ricordarci le nostre radici e di indicarci il futuro. Ci vorrebbe un neologismo per permettere di comprendere meglio il passaggio a cui porre mano: dall’esistere come stare fuori ( ex-sistere) al vivere dentro ( endo-sistere), un cambiamento cui la nostra società occidentale è chiamata ad affrontare, se non vuol essere votata all’estinzione della felicità.

    Il " venire da, l’essere cioè evocati dalla comunione di due persone tra loro diverse e complementari, come un uomo e una donna, oggigiorno non è più sufficiente per comprendere e interpretare in prospettiva universale il sorgere della vita. Infatti, si può venire anche da una qualsiasi banca del seme o da un anonimo congelatore di ovuli. Emerge, invece, con maggiore evidenza e da esperienza universalmente condivisa che è lo stare dentro la mappa antropologica" più elementare, costituzionale e strutturale per tutta l’umanità.

    Ora, dato che non possiamo più ritornare dentro il grembo delle nostre mamme, non solo non è possibile ma non sarebbe nemmeno sensato, l’unica strada che consente di avvicinarsi a questa arcana sorgente è quella del " vivere dentro relazioni significative. Questo stile abitativo è una virtù, comporta sforzo ed esprime forza, si mantiene stabile nel tempo con la perseveranza, tanto da diventare una nobile abitudine. É solo possibile se si segue l’antica regola d’oro del dono", movimento a doppio senso capace sempre di arricchire e mai di espropriare. Il dono è come la chiave che permette di aprire la porta della vita altrui, così da essere piacevolmente accolti e lì, a quattro mani, tessere la trama della propria storia, sempre con una narrazione condivisa. A questo punto, possiamo affermare con tutta evidenza che, se sorgiamo alla vita per uno specialissimo dono e accogliamo la scommessa del vivere con lo stesso piglio di gratuità, allora ogni persona ha nelle sue radici il sigillo della libertà: il dono rende libero sia il donatore che il beneficiario!

    Dentro il grembo materno abbiamo imparato il ritmo della vita, una musica fatta di tenere melodie e di armonie generative. Ad esempio, era il cuore della mamma, inossidabile e generoso, a impartire lezioni quotidiane al nostro piccolo motorino cardiaco, che, da principiante e per l’emozione rullava addirittura a doppia velocità. Allora eravamo cuore a cuore, un battere vitale su cui sintonizzare l’intera esistenza.

    Similmente, abitare dentro " relazioni generative significa essere disponibili ad ascoltare il cuore delle altre persone e mettere in conto che, in tal modo, noi stessi diventiamo udibili dagli altri. Così facendo, accettiamo di correre il rischio di amare, mettendo in mostra anche le nostre debolezze e assumendo una condizione esistenziale di feribilità: chi ama è debole in se stesso, ma è invincibile nell’altro; chi si lascia amare consegna la chiave del proprio egoismo, perché mai più questa porta venga completamente chiusa. Ritornando alla metafora della musica, si potrebbe dire che vivere in è come avere un pianoforte comune su cui suonare a più mani, interpretando ogni volta in maniera assolutamente originale uno spartito scritto insieme".

    Ciascuno di noi, una volta sorto nel grembo, non può più essere negato, evitato o addirittura cancellato . Tutti devono fare i conti con una nuova presenza: il processo iniziato può andare solo avanti, non indietro; al massimo viene bruscamente interrotto, per cause naturali o per volontà di altri; se no, con tempo, ambiente e nutrimento, giunge alla fine. Tutto è già scritto nel meraviglioso codice miniato della cellula zigote, la nostra prima cellula, il nostro io nella sua essenza primigenia: si tratta di un’unità irripetibile, impastati come siamo in maniera originale da due elementi, quello maschile e quello femminile. Il " nostro primo esserci, le radici di ciascuno, è quindi un’identità comunionale", che a sua volta chiede sempre relazione di comunione per continuare ad esistere. Ecco perché, da adulti, realtà come chiusure individualistiche, riduzionismi esistenziali, indifferenza e anonimato, non hanno proprio senso e riescono solo a far morire la gioia del vivere.

    Come strade senza percorso, così sarebbero le nostre vite in assenza di " legami significativi; come mondi senza luogo, così sarebbero le nostre esistenze senza relazioni di qualità. Noi sorgiamo alla vita per merito di legami e possiamo vivere solo dentro legami benefici: le relazioni sono come il sangue che percorre le arterie dei legami, di cui il corpo della nostra esistenza è attraversato e nutrito. Infatti, un grembo può anche essere visto come una fitta rete di legami, tenuta calda e viva dalle relazioni. La vita sociale, che caratterizza normalmente tutto il nostro post nascita, è proprio da intendersi come questo grembo relazionale", teso a proteggere e a far crescere ciascuno, secondo la propria strada di pienezza.

    Quando nasciamo, ciò che la nostra mente ci permette di conoscere proviene dalla trasmissione della conoscenza altrui, attraverso ogni strumento di comunicazione, oltre al lungo processo educativo cui siamo sottoposti. Ci sembra tutto così normale, scontato, forse perché questo schema di apprendimento l’abbiamo imparato nei primi mesi di vita, quando scrutavamo il mondo attraverso il corpo, le sensazioni il pensiero e l’amore di nostra madre. Che conoscenza globale e irripetibile è stata mai questa, capace di una profondità e di una sintonia che rimangono dentro ciascuno come remota nostalgia, sete di un di più che su questa terra forse non riusciremo mai a soddisfare del tutto.

    Ogni nostra " conoscenza esistenziale avviene dentro un contesto relazionale, cioè per conoscere bisogna stare dentro; anzi, le più importanti acquisizioni per la crescita e l’identità della nostra persona avvengono solo all’interno di significativi eventi relazionali. Certo, non si tratta di tutto lo scibile umano, ma di quel conoscere che rende umani!".

    Perciò si riesce ad affermare che " conoscere è prima di tutto comunicare vita", nel senso che la comunicazione non è solo strumento di conoscenza, ma parte integrante di ogni contenuto: è una radicale apertura di comunione e un agire comune responsabile.

    Se ritorniamo al nostro pensiero iniziale, sul sorgere cioè della vita nel grembo materno, bisogna ammettere che la " conoscenza relazionale ha come assunto basilare un’esistenza affidata: è così evidente per ogni figlio nei suoi primi nove mesi di vita basata sulla fiducia incontrovertibile! A dire il vero, non sono proprio solo i suoi primi mesi", infatti, sono anche quelli della donna, che, per una o più volte, affronta il processo di diventare mamma.

    Si tratta, allora, di una conoscenza unica e allo stesso tempo sempre compartecipata: sorge da un evento non del tutto duplicabile, se non per approssimazione, e può avvenire solo in un contesto di relazione comunionale. Quindi, la conoscenza esistenziale, che è sapere relazionale, comporta sempre comunicazione e scambio di vita, legami di comunione, realtà, queste, solo possibili dove si assiste al duplice movimento di fiducia e di affidamento. La conoscenza è sempre relazionale e compartecipata.

    Ecco perché, prendendo in considerazione una delle relazioni più coinvolgenti dell’amore, ad esempio tra genitore e figlio, " conoscere può anche vuol dire amare, amare rende felici e la felicità mette le ali alla libertà!"

    Solo così siamo in grado di " far emergere dalle nostre radici intrauterine" perché conoscere è fidarsi

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