Aion - riaffiorare dall'oblio
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Questa è la storia del viaggio di uno di loro, di un enayòn umano originario del pianeta Terra.
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Anteprima del libro
Aion - riaffiorare dall'oblio - Fabio Privitera
Fabio Privitera
AION - Riaffiorare dall'oblio
Fabio Privitera
Aion - riaffiorare dall'oblio
©Edizioni Effetto
Tutti i diritti riservati
Copertina: Giorgio Polo
Edizioni Effetto 2022
www.edizionieffetto.it
UUID: a67a3461-09d0-4163-ac06-8485568f5afc
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Indice dei contenuti
Prefazione
Prologo
Prima parte ~ Il risveglio
1
2
3
4
5
6
7
Seconda Parte – L’addestramento
1
2
3
4
5
6
7
Terza Parte – Il viaggio
1
2
3
4
5
6
7
Quarta Parte - Casa
1
2
3
4
5
6
7
Epilogo
Note
Ringraziamenti
In fondo, alcuni di noi non desiderano
che un posto da poter chiamare casa
.
Fabio Privitera
«Pensavo foss imo la razza umana
ma siamo solo un altro caso limite.»
Spandau Ballet | Through the barricades
«Era magnifico quel tempo, com’era bello
quando eravamo collegati, perfettamente
al luogo e alle persone che avevamo scelto
prima di nascere.»
Franco Battiato | Un irresistibile richiamo
Questa è un’opera di fantasia, e come tale va intesa. Ogni riferimento a fatti o a persone realmente esistiti è puramente casuale. Ogni riferimento storico è solo di supporto narrativo e non intende essere una ricostruzione fedele.
Prefazione
Nulla è facile quando non sai in che direzione andare, né dove stai andando o cosa davvero cercare.
Dalle tenebre carne e ossa divengono vita e vengono alla luce, senza motivo, senza volerlo, ciascuno con un nome, ognuno pellegrino e in corsa verso qualcosa che colmi il cammino. Nessuno, però, avverte che l’essere nel mondo significhi essere in conflitto continuo con ciò che siamo, accettiamo e conosciamo: desideriamo pace, ma non il silenzio; solitudine, ma non il vuoto; desideriamo conoscere per misurare, e alla fine della vita non siamo altro che terra non misurabile; abbiamo paura e non l’accettiamo; qualcosa dentro di noi bussa o si contrae, eppure non sappiamo come ascoltare; siamo, eppure non ci (ri)conosciamo.
Che Cosa Sono (Io)?
, è ciò che il protagonista di questo romanzo chiede a sé e ai suoi interlocutori. Non chi
, ma cosa
: non è sufficiente presentarsi dando a carne e ossa un nome, né lo è il mero descrivere, attraverso i cinque sensi un dato, un fatto. Se ci fermiamo a pensare, questa è una delle prime domande poste in tenera età, quando si è in procinto di scoprire il mondo e di connettere il pensiero con la parola, e di dare alla stessa un suono. Cosa accadrebbe se (ri)vivessimo tutto il processo di acquisizione di noi stessi, in età adulta? Siamo certi che l’immagine che abbiamo di noi corrisponda con ciò che realmente siamo? E ancora, siamo certi che quanto sappiamo sia davvero logicamente corretto?
Se davvero sulla Terra vige in natura la cosiddetta legge del più forte
, senza dubbio gli uomini sono la specie più tiranna e presuntuosa presente sul pianeta, gli unici a lasciare che il tempo scorra fuori di sé e finire per correre dietro a ogni singolo granello, esaurendo tutte le energie e forzando le […] cellule a un deterioramento accelerato
. Il nemico, la causa, il male è sempre al di fuori di noi e questa è diventata la giustificazione a ogni tipo di condotta acquisita verso l’esterno.
Privitera, con il cuore poetico, gli occhi di un fanciullo e la mente analitica di uno scienziato intraprende con il lettore un viaggio all’interno dell’esistenza del protagonista in prospettiva interdisciplinare, in armoniosa continuità con quello che è tutt’oggi il suo percorso, dichiarando così la necessità di creare un tessuto connettivo tra materie scientifiche, olistiche e umanistiche. Il risultato del dialogo tra discipline stimola la riflessione e conduce all’osservazione di uno stesso dato da più angolazioni. La riflessione produce nuove consapevolezze, che induce l’essere umano a essere nel mondo in maniera più eco-logica
, nel senso più profondo del termine greco il ragionamento intorno alla propria casa
, dove casa
diventa il cosmo e diventiamo noi, in pace con noi stessi.
Invece tutto ciò che conta è l’energia che è il nostro stesso corpo, quello di questo pianeta, delle piante, delle altre specie viventi e persino di ogni singolo granello di sabbia, in un principio di connessione che ne permette un riciclo infinito
. Se siamo energia, come mai la cerchiamo al di fuori di noi? Se ci fermassimo solo un istante e pensassimo di essere interconnessi gli uni con gli altri e che ciò può ledere o lenire, avremmo maggiore cura di ciò che siamo, di ciò che abbiamo?
Quattro sono gli atti in cui si sviluppa il romanzo, in un climax di eventi e peripezie, dal primo (nuovo) vagito all’ultimo pianto di gioia e amarezza. Quattro sezioni lungo le quali si dispiega il percorso di crescita del protagonista e dei suoi compagni di altre specie interstellari, posti all’interno di una cornice fantastica, a tratti edenica, fuori dal tempo e dallo spazio.
L’autore non teme di scavare in profondità toccando numerosi temi, tra i quali il primo pilastro è il viaggio. Secondo Privitera non è importante vagare in cerca di una risposta, è il percorso che si crea dietro a ogni domanda a rendere unica l’esperienza del vivere: perché non si tratta di lasciarsi esistere, ma di essere protagonisti di vita, di vivere la (propria) storia, accoglierla e, qualora sia necessario, perdonarla, perdonarsi.
Secondo, ma non per questo meno importante, è il tema del ricordo, il suo significato, il processo di ricerca e di rievocazione, non solo a livello mentale, ma soprattutto, letteralmente, in armonia con l’etimo di questa parola, derivante dal latino cŏr cŏrdis (cuore), definito dagli antichi la sede della memoria, del sentire, in un divenire al ricordo sentendo con l’anima.
Terzo pilastro narrativo è quello del riscatto, risultato dei primi due: cosa succede quando non troviamo la nostra storia o veniamo apparentemente dimenticati? Dobbiamo necessariamente ostinarci a ritrovare una storia vecchia o possiamo, piuttosto, costruirne una nuova?
Autore, narratore, forse un po’ protagonista, Privitera è onnisciente ma decide di non sapere, non giudica, non lascia niente in sospeso, ma lascia a ciascun lettore la fantasia intorno all’epilogo di ciascun personaggio.
Attraverso un lessico accessibile, una sintassi lineare e concisa, la semplicità e accuratezza con cui l’autore carica l’esposizione di concetti complessi, le cui virgole pare procedano in concomitanza coi respiri, pagina dopo pagina, secondo i ritmi di ciascun lettore, fa sì che la lettura diventi naturale e che segua il flusso, ritmicamente unico e con le giuste pause.
Resta al lettore scoprire tutto il resto, lungo sette miliardi di anni dopo la scomparsa della Terra e le singolarità di un’altra galassia.
Benvenuti su Aion 8903.
Roberta Bagnulo
Prologo
Precipito.
Il mio corpo giace oramai disteso, la faccia rovesciata sul terreno, la guancia poggiata sull’erba secca. Immobile, come tutto il resto di me, senza più alcuna vitalità.
E continuo a precipitare nel silenzio più fitto, nel gelo più duro e dimentico. Con una flebile fiamma di coscienza, mi accorgo di dimenticare.
Precipito e non respiro né sento più il cuore battermi dentro, eppure non smetto… non smetto di andare sempre più a fondo nell’oscurità, di subire l’affievolirsi, uno per uno, dei miei sensi, delle mie memorie e di ogni altra cosa che non ne rimanga avvolta, e…
Prima parte ~ Il risveglio
Solo ciò che vivi presente a te stesso è reale;
ogni logica, ogni sapere, ogni idea è solo mentale,
può durare finché non apri davvero gli occhi
e accetti tutto ciò che arriva ai tuoi sensi.
1
…
Vuoto…
Silenzio...
Sensazione…
Paura…
…
Gambe… Piedi… Braccia… Mani… Testa… Corpo… Mio… Io…
Io, il mio corpo.
Immerso nel vuoto, ho paura. Di colpo ne sono stato estromesso, rivelandosi silenzioso, mentre in me c’è un chiasso che confonde ogni mia sensazione, eccetto una: la presenza dell’ignoto, che mi atterrisce. Tento di superarla. Muovo le gambe, ma i piedi non raggiungono alcuna superficie.
Non tocco.
Tento di nuovo, stavolta con le mani protese in avanti in cerca di qualcosa a cui appigliarmi…
E…
Anche così fallisco, non arrivo a… cos’è tutto questo?
Nulla...
Le rivolgo verso me stesso, temendo già la risposta.
Solo il nulla, ancora. In qualunque direzione compia dei movimenti, non sento niente, pressione o dolore, che possa confermarmi che un corpo ci sia e, insistendo, più che allentarla, la paura diventa il terrore che io non esista affatto. Che sia vuoto e nulla, circondato da altrettanto vuoto e nulla.
Che cosa sono io? Dove sono io?
Essere…
Eppure devo essere da qualche parte, devo essere io qualcosa, nonostante, in effetti, non abbia alcuna idea di cosa sia un corpo, né tanto meno cosa siano le mani, le braccia, i piedi e le gambe, o la testa, né cosa dovrebbe accadere muovendoli. Forse, quanto mi aspetto è errato.
La paura è tutto ciò che sento. Qualunque cosa significhi sentire, non ho dubbi su cosa sia la paura. È la stessa sostanza di cui sono pieno, la cui presenza frena qualunque nuovo tentativo di comprendere, di dare senso a quanto sta avvenendo.
Avere…
Ho gambe, piedi, braccia, mani, testa, ho un corpo che mi appartiene, le cui parti mi appartengono; insomma, ne sento la presenza, ma sembra che siano separate, come irraggiungibili tra loro. Non le trovo, non mi trovo.
Dove sono? Chi so…
D’un tratto, da quel nulla, una raffica di colpi secchi, di diversa intensità, mi infiamma la schiena. Dal bacino fino alla sommità della testa, trancia di netto il ritorno a queste...
Domande…
Questo è dunque il dolore? Quello che mi aspettavo di avvertire prima?
Fa male.
La paura è una sensazione cupa, che mi avvolge dappertutto. Il dolore no. Il dolore si concentra in un determinato punto e brucia, come…
Elettricità…
Sì, più che un colpo, è stata una scarica elettrica. Il vuoto è scomparso nello stesso istante in cui il suo lampo e il conseguente dolore hanno riempito le mie sensazioni, sebbene non creda che sia arrivato dal nulla, bensì da me stesso, da…
Dentro…
E comincio a sentire qualcosa di nuovo, la sensazione si fa percezione, qualunque cosa sia percepire e attraverso cosa, poi, stia percependo. Non sono in grado di esprimerlo.
Occhi… Naso… Lingua… Pelle…
Ecco, anche il dolore si attenua e qualcos’altro affiora…
Umido… Silenzio…
Cos’è tutto questo che ho attorno, di cui solo ora mi accorgo?
Acqua?
No. Non so cosa sia l’acqua, eppure so che questo liquido vischioso non lo è. Non sono più nel vuoto, credo di non esserlo mai stato. Sono sempre stato immerso in questo liquido. Vorrei aprire gli occhi, ma faccio fatica. Non so a cosa servano ma, sebbene la voglia di usarli sia forte, sento bruciore alle…
Palpebre…
… che li proteggono, finché non vinco l’afflizione cominciando a spalancarle dando loro uno spiraglio di…
Luce…
DIO!
Cosa sono tutte queste cose che non riesco a definire, e che d’un tratto hanno cominciato a riempirmi la testa con il loro chiasso, benché la loro singolare forma diventi via via più chiara?
Sì, le sento proprio…
Lì…
Qui…
Ed ecco, le dita di una delle mani si fermano su qualcosa. L’avevo mossa senza rendermene conto, ed è proprio la mia testa che ora sto toccando. Per la prima volta percepisco la pressione dei polpastrelli sulla mia fronte. Vengo catturato da un’emozione che ammansisce la paura, irrorando di energia ogni mia parte. Un tepore che, da qualche remota intimità, si espande fino alle estremità e mi conforta. Non sono più vuoto che galleggia nel vuoto: la prima cosa ad aver preso consistenza ai miei sensi, a partire da quel momento indefinito in cui tutto ha avuto inizio. Queste cose mi parlano, qualunque cosa sia parlare, senza però che le abbia udite dalle…
Orecchie…
Attorno, oltre all’umido, avverto ancora silenzio. Non lo stesso di prima, no. Credo ci sia del liquido dentro alle mie orecchie, ed è questo ora a impedirmi di udire, non più il nulla. Tuttavia, per quanto mi sforzi e riesca a descrivere ciò che sento, non so cosa significhi udire, cosa accada udendo; lo stesso vale per gli occhi, le palpebre, il nulla, Dio, anche se so che quest’ultimo è molto importante, ma perfino questa particolare certezza non fa che creare l’ennesimo accavallarsi di domande. Che significa sapere? Che significa Dio? Perché dovrebbe essere proprio un liquido a non permettermi di distinguere qualcosa di diverso dal silenzio? Vorrei, soprattutto, dare un nome a queste cose che ronzano nella mia testa, che…
Pensieri…
Ecco, si chiamano pensieri e di cosa sono fatti?
Parole…
Finalmente comprendo. Sono io stesso, dunque, a rispondermi. Ogniqualvolta a questo flusso di pensieri giungono e si aggiungono nuove sensazioni dal mondo esterno, quanto dal mio interno, o mi pongo determinate domande, il pensiero stesso si estende oltre la propria frontiera, in un regno di parole nuove. E questo flusso di pensieri, di parole, che apprendo di sapere già e tra cui creo connessioni di significati, si chiama…
Mente...
Tutto questo mi meraviglia sempre più, per la repentinità con la quale si è evoluta la mia condizione, dal sentirmi vuoto nel vuoto a mente in un corpo, e per la varietà di nuovi stimoli che riesco a distinguere di volta in volta. Non credo sia passato molto da quando ha iniziato a balbettare, e ora… La coscienza, assieme ai sensi e alle percezioni, mi rivela l’esistenza di innumerevoli porte, e mi guida tra esse fino a quella relativa alla parola di cui ho bisogno in quel momento, accendendosi come un’insegna. Non appena la apro, accedo a una stanza con all’interno il suo significato e nuove porte con altre parole. È anche incredibile il modo nel quale ho costruito una tale immagine. Si tratta di una metafora. Intanto che rimango estasiato dallo sviluppo di questa