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Vincitori e vinti. Il progetto
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Vincitori e vinti. Il progetto
E-book367 pagine5 ore

Vincitori e vinti. Il progetto

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Info su questo ebook

Un appuntamento con un lungo convoglio ferroviario merci che sfreccia verso nord, un saluto del macchinista e un vortice temporale che lo rapisce riportandolo indietro nel tempo, a un incontro con un imprenditore che darà il via a tutta la storia. Emergerà il desiderio di voler realizzare un ambizioso e importante progetto nel settore energetico, la realizzazione del sogno di quando era ragazzo. Inizia così un’avventura con lotte, fatiche e strategie per raggiungere l’obiettivo comune che li vedrà coinvolti e impegnati in una corsa contro il tempo. L’incertezza sarà protagonista fino alla fine.
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2020
ISBN9788855128322
Vincitori e vinti. Il progetto

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    Anteprima del libro

    Vincitori e vinti. Il progetto - Fabrizio Michele Galeotti

    Fabrizio Michele Galeotti

    Vincitori e vinti

    Il progetto

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: settembre 2020

    ISBN 978-88-5512-103-3 (Print)

    ISBN 978-88-5512-832-2 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-833-9 (mobi)

    Questo romanzo narra esperienze vissute, ma i riferimenti a nomi di persone, fatti e azioni sono del tutto immaginari. Eventuali concomitanze, riconducibili dal lettore a fatti, nomi e personaggi della storia passata e odierna sono da considerarsi involontarie.

    Dello stesso autore: La torre, La finestra, Martina, Il maresciallo, Il codice e Il cavallo di Troia

    In copertina: Foto di PIRO4D – Pixabay

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Un appuntamento con un lungo convoglio ferroviario merci che sfreccia verso nord, un saluto del macchinista e un vortice temporale che lo rapisce riportandolo indietro nel tempo, a un incontro con un imprenditore che darà il via a tutta la storia. Emergerà il desiderio di voler realizzare un ambizioso e importante progetto nel settore energetico, la realizzazione del sogno di quando era ragazzo. Inizia così un’avventura con lotte, fatiche e strategie per raggiungere l’obiettivo comune che li vedrà coinvolti e impegnati in una corsa contro il tempo. L’incertezza sarà protagonista fino alla fine.

    L’autore

    Fabrizio Michele Galeotti è nato nel 1951 a Carrara dei Marmi (MS). Oggi vive a Domegliara di Sant’Ambrogio Valpolicella (VR) dove, dal 1986, dirige un’infrastruttura di importanza strategica del comparto energetico nazionale alla quale ha partecipato alla progettazione e realizzazione. È alla sua prima esperienza editoriale, maturata per la volontà di pubblicare una storia radicatasi nel tempo nella sua mente. Altre esperienze parallele sono la scrittura di dispense e manuali per la formazione degli addetti ai processi industriali del settore energetico. Le sue passioni di sempre sono la storia del territorio coinvolto nel secondo conflitto mondiale, le radiotrasmissioni in onde corte, la radioastronomia e ricerca spaziale. Fa parte della grande famiglia dei radioamatori con il nominativo di IK3SCE.

    Questo testo è un’autobiografia romanzata e riporta il periodo che va dal 1982 al 1987, denso di avvenimenti e svolte nella mia vita, in cui ha avuto un ruolo importantissimo la mia consorte Martina. Nel 1982 si è aggiunta mia figlia Francesca e successivamente, nel 1988, mio figlio Enrico, nati lo stesso giorno, alla stessa ora, ma alla distanza di sei anni. La nostra storia è poi proseguita insieme fino a oggi. A loro va il mio maggior riconoscimento e un grazie di tutto cuore per aver affrontato con me i molteplici avvenimenti, nonché per essermi stati vicino, infondendomi serenità e gioia anche nei momenti più bui.

    Inoltre questo scritto lo dedico anche a tutti i personaggi che compaiono nella storia, alcuni dei quali non più tra noi.

    Il codice

    L’orario

    Mancava solo una manciata di minuti all’ora dell’appuntamento, quindi mi affrettai a salire sul mio vecchio fuoristrada e percorsi le poche centinaia di metri per raggiungere il parcheggio del raccordo ferroviario privato, posto a nord della stazione di Domegliara, da dove potevo spaziare con lo sguardo l’intera area ferroviaria, compresi i binari di corsa che congiungevano la città di Verona con il Brennero. Vi giunsi dopo poco e mi fermai nel punto migliore rimanendo a bordo, non c’era motivo per scendere dato che da lì avevo tutta la visibilità che volevo. Guardai l’orologio di bordo del veicolo, erano le 19 e 20, l’appuntamento era per le 19 e 27. Non 19 e 25 e tanto meno le 19 e 30! Proprio le 19 e 27 e non capivo il perché di quei due minuti! Perché non arrotondare?

    Assistevo quella sera a un bel tramonto di fine settembre, il cielo era colorato di un bel rosso che iniziò a farmi fantasticare e pensare a cose ed eventi diversi e lontani nel tempo, c’era un’atmosfera magica e inebriante arricchita dai mille profumi dei tardivi fiori presenti nei campi vicini, ma ecco lo sferragliare di un treno proveniente da sud riportarmi precipitosamente alla realtà. Istintivamente guardai l’orologio e scossi la testa colpito, l’orario era giusto: 19 e 27 minuti e una manciata di secondi, quello dunque era il treno che aspettavo ed era in perfetto orario?

    Attesi emozionato ed eccolo sfrecciare trainato da una potente locomotiva elettrica che recava sui fianchi il logo dell’impresa ferroviaria da me conosciuta, quindi aguzzai la visita e scorsi dietro il vetro del finestrino il volto del macchinista che guardava verso di me e quando scorse il fuoristrada dove ero, notai un sussulto di meraviglia e subito un cenno di saluto con la mano e per un attimo lo vidi sorridere, poi il lungo convoglio sfrecciò andando in direzione del Brennero superando i segnali luminosi verdi di via libera, impiegò pochi secondi andando alla velocità di crociera consentita, quindi lo vidi allontanarsi e rimasero solo in vista le due luci intermittenti della coda del convoglio a testimoniare il suo passaggio, le quali si allontanavano sempre di più fino a scomparire mentre i segnali dalla luce verde passarono di scatto al rosso.

    Rimasi lì come paralizzato, continuando affannosamente a scrutare la lontananza cercando ancora qualche segno della presenza di quel convoglio, mentre due calde lacrime rigavano il mio viso commosso. Avevo il magone dentro di me e mi domandavo perché tutto era successo, perché l’amato figlio Enrico era a bordo di quel convoglio invece di essere rimasto con noi nell’azienda che avevo creato con immensi sacrifici molti e molti anni prima? Lui lì macchinista e io, il vecchio padre, solo in quel fuori strada. La domanda che mi ponevo incessantemente, come in quel momento, era sempre la stessa: avevo fallito come padre, perché non ero riuscito a inserirlo in azienda? Oppure lui su quel convoglio era felice e si sentiva realizzato?

    Di questo in casa ne avevamo discusso molto e molto animatamente nel recente passato. Martina mi diceva, forse per tranquillizzarmi, che era stata la scelta giusta per il suo futuro, ma io ero rimasto del mio parere e avevo accettato con dolore la sua decisione. Nonostante il fatto che una certa passione per i treni la portassi anch’io nel mio DNA, sicuramente trasmessa dal nonno capostazione delle Ferrovie dello Stato.

    Dunque una sconfitta o una vittoria?

    La mia mente iniziò nuovamente a vagare nel tempo, tornando nel lontano passato e ricordando la mia altra passione, oltre la ferrovia, quella dei processi industriali legati al petrolio come raffinerie e depositi. In seguito il coinvolgimento, poiché ci lavorava mio padre, nel settore di un prodotto nicchia della lavorazione petrolifera che nel dopoguerra aveva cambiato tutto il modo di vivere, ossia il gas liquido fornito nelle classiche bombole per uso domestico e riscaldamento. Questa passione aveva fatto sì che anch’io entrassi in quel mondo di lavoro e successivamente arrivassi anche a coronare il sogno di vedere realizzato un grande deposito, con tanto di scalo ferroviario e locomotori per la movimentazione dei convogli di cisterne. Praticamente avevo visto realizzate in un’unica realtà le mie due passioni! Avevo davo per scontato che mio figlio continuasse quello che avevo iniziato ma così non era stato. Quindi una sconfitta?

    Questa importante infrastruttura aveva portato via una grossa fetta della vita mia e di Martina, che mi aveva seguito in tutti questi anni, ed era stata realizzata con miriadi di vicissitudini tra cui alcune grandi soddisfazioni ma anche molte delusioni. Se non altro, mi dicevo, ci aveva dato la possibilità di crescere la famiglia con decoro. Adesso ero lì, all’interno dell’abitacolo del mio fuoristrada, e guardavo fuori del parabrezza ricordando quando Enrico aveva conseguito la prima patente per la conduzione di locomotori privati. Lo vedevo fare la spola tra il deposito e lo scalo ferroviario, tutto era nato per quello. Lui aveva voluto fare, come si suol dire, un salto di qualità uscendo dall’azienda per continuare nell’impresa ferroviaria, che lo aveva abilitato alla conduzione di locomotive e convogli sulla rete ferroviaria nazionale. In fondo era un mio sogno che aveva realizzato lui, quindi perché questa mia difficile reazione alla sua decisione di lasciare l’azienda? Quanti interrogativi mi affioravano nella mente, torturandomi non poco perché non riuscivo a schierarmi a favore di una scelta o dell’altra, perché non riuscivo a capire se si trattava di una vittoria o di una sconfitta da aggiungere alle altre conseguite in tanti anni di attività, che mi avevano visto più di una volta battermi da leone per convincere che la strada da seguire era quella e non altre indicate, ne avevo combinate di tutti i colori per far prevalere le mie idee e politiche nell’ambito aziendale facendole accettare ai suoi titolari.

    Già, avevo ottenuto quel giocattolo industriale, sogno dei miei sogni, pur non essendo un imprenditore e lo stavo guidando da più di tre decenni con massima perizia, ma non avevo tenuto conto che non potesse essere la stessa aspirazione per i figli!

    Dunque, una sconfitta? Già, mi dissi, siamo alle solite mio caro Fabrizio, anche in questa realtà ci vedi uno scenario di guerra come al solito, uno scenario da ultima battaglia quando l’eroe rimane il solo, sopravvissuto nel mezzo della carneficina, sanguinante ma vivo, con in una mano la sua spada lorda di sangue e nell’altra il vessillo di combattimento che garrisce all’ultima folata di vento sul campo di battaglia: ecco cosa sai vedere! Ma sì, mi incitai, dillo pure a te stesso quello che ti senti dentro e come ti piace definire la tua vita trascorsa fino a oggi, potrebbe essere un bel titolo di romanzo! Vincitori e vinti, questa potrebbe definirsi la mia vita?

    La mia mente iniziò a pensare vorticosamente e intensamente, finché a un tratto ebbi la sensazione di apprestarmi a essere risucchiato da un tunnel, che girava su sé stesso velocemente. Mi era capitato già nel passato di essere coinvolto in quella specie di visione e sapevo perfettamente cosa rappresentasse per me, quello era un tunnel temporale che, come già accaduto in altre occasioni, mi avrebbe risucchiato nei miei ricordi indietro nel tempo. E così fu, mi lasciai trasportare e mi comparse lo scenario di molti e molti anni addietro, quando eravamo solo all’inizio dell’avventura che sarebbe continuata fino al giorno e momento presente. Per effetto del risucchio temporale ero tornato nel lontano 1986. Nel ricordo erano passati tredici mesi dopo aver dato il primo colpo di piccone nel cantiere di costruzione della futura infrastruttura, avvenuto il 6 dicembre 1985 alle ore 14:30 presenti mio fratello Francesco e io, che sarebbe divenuta uno dei maggiori depositi di gas di petrolio liquefatti raccordato alla rete nazionale ferroviari: il mio sogno fin dalla tenera età.

    L’inizio

    Anno 1982

    Tutto ebbe iniz io nell’autunno del lontano 1982, allora rivestivo un incarico di responsabile dell’area commerciale-tecnica occidentale dei Veneto di un’azienda del settore energetico che operava a livello nazionale dal 1947, e forse questa lunga permanenza la stava logorando perché si erano avuti i primi cedimenti già nel 1979 con una prima profonda crisi che l’aveva portata quasi al fallimento, cosa che fu scongiurata dall’intervento di uomini e mezzi nuovi. Ma l’azienda era rimasta zoppa e benché il suo personale ce la mettesse tutta a far fronte alla concorrenza spietata, si arrancava e spesso per vari motivi si rimaneva senza materia prima, il gas di petrolio liquefatto, più comunemente conosciuto come GPL, e questo creava periodicamente situazioni insostenibili verso le migliaia di clienti.

    Fu proprio durante una di queste crisi periodiche, che tra l’altro avvenivano proprio in coincidenza della stagione invernale quando la richiesta era al picco, che conobbi un giovane imprenditore locale che a quei tempi cercava di aprire il commercio di GPL, da affiancare alla sua attività di famiglia che gestiva un deposito commerciale di gasolio e benzina dal dopoguerra. Mi era stato presentato dal dirigente di sede della mia azienda perché voleva acquistare GPL sfuso per le sue consegne, quindi si sarebbe appoggiato all’infrastruttura che dirigevo a Verona. Ne fui soddisfatto in quanto costituiva un cliente diretto importante, quindi era mio compito fargli visita ogni tanto per assicurarmi che non vi fossero problemi con le forniture o quant’altro.

    Era un pomeriggio ed ero corso a tranquillizzarlo, dopo che alcune forniture erano saltate a causa dei mancati arrivi dalla base di Livorno. Eravamo alle solite, uno scarica barile tra la mia filiale e la sede per presunte, ma non vere, incomprensioni sui piani periodici di approvvigionamento. Il motivo era un altro e mi faceva vergognare: l’azienda mancava di liquidità per gli acquisti e, dopo la prima crisi, gli importatori ci avevano messo una flag rossa di attenzione: volevano garanzie inequivocabili prima di rifornire le basi.

    Dopo il colloquio in cui mi ero prodigato in rassicurazioni, l’imprenditore mi aveva accompagnato sino alla mia auto e fu nel salutarlo che ebbi a dire la famosa frase che avrebbe cambiato la mia vita per sempre: – Se avessi soldi e un bel pezzo di terreno costruirei un deposito di GPL per provvedere direttamente all’importazione dall’estero e alla vendita nel nord Italia, così queste crisi finirebbero!

    Lui rimase colpito da questa frase inaspettata e, ricordo bene, mi guardò attentamente per accertarsi se lo avessi detto con convinzione oppure fosse solo una esternazione dovuta al mio stato interiore di sofferenza per la crisi. Poi ci salutammo cordialmente come al solito e rientrai in sede dove mi aspettavano i problemi costituiti dalla clientela in fibrillazione.

    Avevo da sempre considerato la società per cui lavoravo al top nel settore in Italia, ma purtroppo poco alla volta mi accorgevo che non lo era più, era in profonda decadenza e il futuro cominciava ad apparirmi a colori foschi.

    Passarono alcune settimane durante le quali non ebbi più notizia alcuna di quel signore, anche se i suoi acquisti a mezzo autobotti di GPL erano costanti, poi una mattina suonò il telefono della mia scrivania, era l’impiegata dell’ingresso che mi avvisava che quel imprenditore chiedeva di essere ricevuto. Ne fui contento da un lato perché ero in un momento di riflessione, ma dall’altro mi venne l’ansia aspettandomi anche da lui pesanti critiche per quanto stava accadendo in quel periodo di crisi. Ci pensai un attimo poi dissi all’impiegata di farlo accomodare e mi misi in attesa di vederlo comparire sull’uscio della porta del mio ufficio posto al piano superiore della sede.

    Contrariamente a quanto mi aspettavo, mi comparve con il suo solito ampio sorriso facendomi immediatamente capire che i miei timori di ricevere dure critiche erano del tutto infondato. Questo mi fece rilassare e, sfoderando un buon sorriso, lo accolsi cordialmente facendolo accomodare. Lui non fece preamboli di sorta ma andò con mia sorpresa al sodo, spiegandomi concitatamente che aveva trovato un terreno servito da un raccordo ferroviario.

    Da subito non capii, l’esordio improvviso con quell’annuncio senza prima ricollegarsi a qualche discorso fatto mi lasciava del tutto indifferente, che cosa voleva dirmi? Ma prima che aprissi bocca, con l’eccitazione che si vedeva trasparire, mi illuminò spiegandomi che il terreno e lo scalo era la pronta risposta alla mia esternazione fatta quella sera nel basso veronese quando ci eravamo salutati: – Se avessi soldi e un bel pezzo di terreno costruirei un deposito di GPL per provvederne direttamente all’importazione dall’estero e vendita nel nord Italia, così queste crisi finirebbero!

    Rimasi a guardarlo a bocca semiaperta non aspettandomi per nulla al mondo uno sviluppo del mio sogno di sempre! Un personaggio, anzi un imprenditore, aveva preso sul serio quanto gli avevo detto e si era messo a cercare il sito? Aveva dell’incredibile!

    Gli chiesi, con una punta di ironia, se quel lasso di tempo l’avesse utilizzato per la ricerca attendendomi la sua solita sonora risata, ma inaspettatamente mi rispose che purtroppo non si era fatto più vivo perché sottoposto a lieve operazione chirurgica. Aveva proceduto successivamente alla ricerca del luogo, dopo che nel dormiveglia post anestesia aveva sognato il grande progetto realizzato e funzionante. Aveva così deciso di crederci ed era partito alla ricerca aerea nella zona.

    Addirittura, ricerche aeree, non credevo alle mie orecchie.

    Poi mi spiegò che lui aveva il brevetto di volo e che, durante lo svago domenicale, aveva cercato sulla linea del Brennero un luogo raccordato che potesse accogliere il progetto. L’aveva trovato alla fine della Val d’Adige: una ex cava di pietra collegata alla stazione di Domegliara.

    Una vecchia cava, collegata a una stazione? Continuavo a essere allibito da questa novità che consideravo esclusivamente un sogno! Gli dissi che per fare una infrastruttura del genere ci volevano permessi e autorizzazioni e che, cosa più importante, il terreno fosse in vendita. Quindi scossi la testa per dimostragli che era meglio rimanere con i piedi in terra e ben fermi al suolo.

    Rimasi scioccato quando mi informò che aveva rintracciato il proprietario dell’area e che aveva ottenuto la promessa che, se ci fossero stati sviluppi del progetto, l’avrebbe venduta a lui.

    A questo punto ero più seccato che altro: ma questo cosa voleva fare, era appena agli albori nel settore!Mentre pensavo ciò, il telefono della mia scrivania iniziò a squillare e colsi l’occasione per congedarlo dicendogli che ci saremo risentiti sull’argomento quanto prima. Ci salutammo cordialmente e io mi sedetti alla scrivania rispondendo alla chiamata: era la sede che mi comunicava che non ci sarebbe stato più approvvigionamento quella settimana e quindi di centellinare il prodotto rimasto in casa.

    Sbattei la cornetta del telefono sul ricevitore, imprecando fra i denti e scuotendo la testa. Tornai per una manciata di secondi alla visione dell’imprenditore, chiedendomi con quale coraggio potesse mettersi in un’avventura del genere, molto più grande di lui, quindi tornai ai miei lavori.

    Le vicissitudini legate alla rete commerciale mi fecero dimenticare presto quella visita e non ci pensai più lontanamente fin quando eccolo ripresentarsi dopo alcune settimane di silenzio, era di nuovo in portineria. Volevo fargli comunicare che ero impegnato, ma poi siccome era diventato un importante cliente della filiale decisi di fare uno sforzo e lo ricevetti.

    Dopo i convenevoli e saluti di prassi, senza preamboli di sorta, mi chiese se fossi in grado di fargli la progettazione del deposito e che ci aveva pensato su molto prima di rivolgermi quell’offerta ma che non aveva trovato altri personaggi che gli ispirassero fiducia quanto me.

    Rimasi veramente colpito e senza parole, poi ripresi fiato e gli chiesi come era arrivato, a parte la fiducia che potevo rappresentare, alla mia figura.

    In tutta risposta e rilassato, dopo che avevo dimostrato interesse, mi disse che avevo una bella fama in azienda come tecnico e che la stessa direzione della mia azienda mi aveva indicato come l’unico in quell’area che potesse seguire un’impresa come quella che voleva realizzare. Quella frase esternata a suo tempo lo aveva convinto che anch’io nutrivo l’aspirazione di fare un’infrastruttura importante nel campo dei GPL, in via di espansione da quando era iniziata la campagna delle piccole cisternette da installare a servizio delle abitazioni e industrie.

    Rimasi a lungo silenzioso, non ne volevo sapere di impelagarmi in quell’avventura che avrebbe significato anche lasciare un posto di lavoro sicuro per un qualcosa che era solo nella fantasia. Non era il caso di mettere a repentaglio la mia famiglia ora che era giunta anche la piccola Francesca, quindi decisi di declinare l’offerta dicendogli che comunque era molto interessante.

    Stranamente non la prese in malo modo, anzi non smise di sorridermi e mi disse uscendo dall’ufficio un bel – Ci pensi su bene e mi chiami, in qualsiasi momento dovesse ripensarci!

    Adesso mi aveva anche irritato, e, una volta che fu uscito, chiamai la portineria e dissi all’addetto che se si fosse presentato nei giorni a seguire dovevano dirgli che ero impegnato o usare qualsiasi altra scusa perché non volevo riceverlo più.

    Bene pensai, questione chiusa, ho ben altro a cui pensare che alle fantasie di un imprenditore alle prime armi!

    Nei giorni successivi ricevemmo la gradita visita di mio fratello Francesco, architetto, con la sua fidanzata Luisa. Era sempre un vero piacere averli con noi, in fondo ci sentivamo soli a Verona, e quelle erano occasioni per passare del tempo visitando la città scaligera e il territorio circostante nonché il bellissimo lago di Garda. Quest’ultimo, in qualche modo, a Martina e a me ricordava il Mar Ionio che, provenienti dalla città di Taranto, avevamo dovuto lasciare.

    Durante questa ennesima visita per una occasione che non ricordo, dopo cena entrammo per caso nell’argomento dell’offerta fattami dall’imprenditore locale a riguardo della progettazione di un mega-deposito. Mi aspettavo che lui ci ridesse su, come ormai ero solito fare io quando lo rammentavo, invece mi disse serio che l’imprenditore aveva fatto centro con me, e la sua proposta non dovevo cestinarla visto che io ero la persona che poteva realizzare il suo sogno e anche il mio.

    Già, Francesco sapeva delle mie passioni e sogni e aveva visto nei tempi addietro i miei disegni a riguardo ipotetici progetti di raffinerie e depositi, insomma sapeva della mia fissa.

    Non dico che ci rimasi male completamente, ma la sua posizione mi adombrò e così cambiai subito discorso. Però quella sera ne parlai a Martina forse per la prima volta e anche lei mi consigliò di valutare l’offerta. L’ultima sorpresa l’ebbi sulla porta la mattina dopo quando Luisa e Francesco si congedarono per tornare nel loro paese bellissimo per il mare e paesaggio, infatti abitavano con i miei a S. Terenzo di Lerici in provincia della Spezia, dopo il consueto arrivederci alla prossima volta, lui spontaneamente ritornò sull’argomento dell’imprenditore e mi disse che se volevo poteva curare lui la progettazione, ovvero fare quella progettazione assieme in maniera tale io potessi continuare con il mio lavoro senza doverlo lasciare. Ciò mi rese molto perplesso ma non volli pensarci, dove stavo ci stavo bene e non volevo né andarmene né farmi coinvolgere da quell’impresa, ma se lui, Francesco, voleva cimentarsi padrone di farlo, sicuramente gli avrei dato la mia consulenza.

    Inaspettatamente ricevetti la sera stessa una sua telefonata, quando erano arrivati a casa ne avevano parlato ai miei che erano apparsi interessati, quindi Francesco mi disse nuovamente di pensarci bene prima di rinunciare completamente all’offerta, poteva essere quella della vita, e mi chiese se avrebbe potuto incontrare direttamente l’imprenditore in una sua prossima venuta a Verona per fare un sondaggio tecnico su cosa effettivamente volesse realizzare.

    Chiusi la telefonata con una risposta molto evasiva, gli promisi che ci avrei pensato su assieme a Martina.

    Ero molto contrariato e nello stesso tempo eccitato, del resto ero stato da sempre interessato a realizzare un progetto del genere e i molteplici schizzi che facevo continuamente, quando li avevo fatti in classe ero stato oggetto di pesanti ramanzine da parte dei professori che ritenevano mi distraessero dalle lezioni, lo testimoniavano.

    Che fare dunque? Ci avrei dormito su e l’indomani avrei preso una decisione in merito.

    Ma la mattina seguente iniziò, come al solito ormai da tempo, densa di problemi commerciali e non mi venne in mente di prendere una decisione alla richiesta di Francesco, la mia mente era altrove e così lo fu per i giorni seguenti e anche per la settimana successiva, sembrava proprio che la crisi di approvvigionamenti non dovesse finire e la clientela era tutta in fibrillazione saturando le linee telefoniche, sottoponendo la centralinista a uno stress enorme, fino a quando sarebbe durato? A questo si sommava l’incalzante richiesta della sede centrale che voleva risultati positivi e a nulla valevano le giustificazioni che producevo, sembrava che tutte le colpe fossero le mie, da non crederci!

    Mentre ero in questa situazione, che si faceva sempre più fosca e insostenibile, assieme a tutti i collaboratori della mia filiale, una mattina ecco riapparire l’imprenditore in portineria.

    La centralinista mi chiamò e mi disse che sapeva che ero impegnatissimo, ma due parole mi avrebbero fatto bene, distogliendomi dalla marea di problemi, e quindi lei aveva deciso di avvisarmi di quell’arrivo.

    In principio ne fui contrariato, ma poi ripensandoci mi dissi che in fondo aveva ragione, due chiacchiere al di fuori di quella cappa plumbea, che si era formata sopra la filiale, mi avrebbero fatto bene. Quindi acconsentii a riceverlo.

    Come era solito fare si presentò con il suo sorriso affabile tutto fresco e spumeggiante, scontrandosi con il mio stato d’animo tutt’altro che sereno tanto che lo salutai con un semplice grugnito, attendendomi una serie di lamentele e proteste per i rifornimenti. Con mia sorpresa il colloquio che seguì verteva su di un altro argomento ovvero sul suo sogno da realizzare.

    Lo stetti ad ascoltare fino in fondo, stava utilizzando una strategia nuova nei miei confronti, qualcuno gli aveva passato delle informazioni su di me mettendolo a conoscenza delle mie aspirazioni e sogni, probabilmente qualche amico della sede centrale che conosceva la mia famiglia, presente nella società dal lontano 1947, lo aveva informato e adesso cercava di utilizzare nel migliore dei modi ciò che aveva scoperto a suo favore per giungere a un traguardo preciso: quello di coinvolgermi. Alla fine del suo discorso tornò a farmi l’offerta di mettermi assieme a lui per portare avanti il progetto, e questa volta l’insistenza era stata enorme ed era divenuta anche alettante: avrei potuto lasciare quella situazione in cui mi trovavo che stava divenendo veramente pesante e che stava anche minando la mia salute.

    Che fare? Rimasi una manciata di secondi silenzioso riflettendo, non potevo comunque lasciare quel posto per un’avventura che non aveva nulla di concreto… poi mi venne in mente Francesco, sì, se l’imprenditore voleva fare qualcosa di serio lo avrei messo alla prova passando a Francesco la questione. Del resto mio fratello aveva chiesto un colloquio con lui per appunto sondare le sue vere intenzioni, bene, gli dissi, scuotendomi dal torpore pensoso in cui ero caduto, facciamo così: se a lei va bene ci incontriamo con mio fratello architetto e magari ne viene fuori qualche bozza.

    Questa mia uscita, da lui del tutto inattesa, lo lasciò perplesso ma poi capì che la proposta era bene che l’accettasse per muovere le acque e andare avanti con il suo sogno, quindi vidi che a malincuore accettò, ci salutammo e rimanemmo d’accordo che l’avrei informato sulla data e ora dell’appuntamento.

    Ero soddisfatto di quanto avevo fatto, avevo spostato il baricentro della questione che stava divenendo noiosa e insostenibile su Francesco e se le cose fossero andate bene, lui avrebbe curato il progetto e io avrei fatto da consulente a lui senza lasciare il mio attuale posto di lavoro: sì, era stata una genialata!

    Se non altro me l’ero tolto di intorno per ora e forse per sempre. La sera ne parlai con Martina, che ne fu soddisfatta, inoltre il coinvolgimento di Francesco poteva essere per lui un nuovo e interessante lavoro con un guadagno da non sottovalutare.

    Il progetto

    1983

    Arrivò quel Natale del 1982 che potemmo festeggiare con la nuova arrivata Francesca, nata a fine ottobre e proprio la sera del 24, vigilia del Santo Natale, d’accordo con il Parroco della vicina chiesa parrocchiale, la battezzammo presenti i vari parenti.

    Fu in quella occasione che parlai a Francesco della proposta che avevo fatto all’imprenditore, lui da prima ci pensò su, poi mi disse che non c’era nulla di male a incontrarlo dopo le festività e fare una ricognizione sulle sue idee.

    Fui contento della sua risposta anche se non avevo dubbi, quindi passammo le festività in famiglia con Martina e la piccola Francesca.

    Dopo l’Epifania telefonai all’imprenditore, che fu sorpreso e felice di sentirmi, e gli dissi che mio fratello in quel periodo era a casa mia e quindi si poteva realizzare l’incontro. Mi attendevo qualche data più in là e così ci rimasi di stucco quando fissò l’appuntamento il giorno seguente alle ore 10 in ufficio da me.

    Dissi a Francesco che sembrava non aspettasse altro e tutti e due ci chiedemmo cosa volesse fare quell’uomo, mah!

    La sera a tavola presente anche Martina, in una pausa in cui Francesca dormiva, ne parlammo un po’ cercando di fare qualche ipotesi. Comunque, secondo me, da quella storia emergeva un fondo di pazzia, quindi dissi loro che avremmo fatto un test con una bozza di progetto in maniera da verificare se intendeva un’infrastruttura come la pensavo io oppure un catorcio. Sì, avremo fatto così.

    L’incontro, puntuale, fu cordiale e simpatico. L’imprenditore le idee le aveva un po’ confuse, ma era giustificabile. La cosa che ci lasciò stupiti più di ogni altra fu quando, nel mezzo della conversazione, estrasse dalla sua cartella voluminosa il carteggio di un terreno indicandoci un bel rettangolo da lui fatto a penna biro rossa e indicandocelo come il sito dove si sarebbe costruito il deposito.

    Guardai la cartografia, non mi diceva niente, non conoscevo quella zona né tanto meno quell’area, quindi chiesi dove fosse e cosa volevano dire tutte quelle linee sui bordi. Lui mi rispose in preda all’eccitazione, indicando i punti sulla carta che identificò con una parete rocciosa posta a est, alcuni dislivelli e poi si fermò sulla linea identificandola come il raccordo ferroviario che collegava la vicina stazione a un frantoio di pietre per la spedizione del materiale lavorato. Insistetti per sapere cosa c’era lì e in risposta mi disse che si trattava di una cava di pietra esaurita abbandonata da molti anni.

    Rimasi pensoso, la vista era alquanto squallida, non mi aspettavo proprio una vecchia cava, ero abituato a

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