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La finestra - Fabrizio Michele Galeotti
FINESTRA
Settembre 2016
Anche questa riunione con tutto il personale operativo era terminata. Stanco ma soddisfatto dei livelli di apprendimento e delle lezioni che avevo presentato, come era mia consuetudine in tante occasioni, amavo ricordare ai presenti della vasta sala momenti della mia esperienza, passata sempre nel settore dove ancora oggi lavoravo. Mi piaceva fare il docente e insegnare, un’attitudine che avevo scoperto anni addietro, quando alcuni colleghi della multinazionale inglese che gestiva il terminale di gas liquido ci istruivano e io ne rimanevo affascinato e assorbivo avidamente i loro modi di presentarci le loro lezioni e gestire gli argomenti. Poi, col tempo, avendo acquisito i titoli per farlo, mi ero deciso a propormi facendo le loro veci e oggi continuavo questa missione per trasmettere a tutti la cultura della sicurezza sul proprio posto di lavoro e la gestione dei processi.
Mettendo in ordine la mia scrivania avevo rinvenuto una vecchia mia foto datata 1969 che mi ritraeva mentre avviavo il sistema di pompaggio del gas, ritraeva il sottoscritto giovanissimo con lo sfondo dei serbatoi dell’impianto di Taranto. L’avevo proiettata per evidenziare come all’epoca erano costruiti gli impianti di processo e le tecnologie adottate, oggi inammissibili.
Finita la presentazione e riunione, i miei ascoltatori avevano lasciato la sala dopo che ci eravamo salutati, quindi ero rimasto solo a mettere a posto il computer e a compilare, come prassi voleva, il relativo verbale. Cosa che mi annoiava non poco ma bisognava fare per rendere completa la prassi e avere un riscontro.
Sfogliando gli appunti che avevo preparato, mi tornò di nuovo fra le mani la vecchia foto, mi sedetti e rimasi a contemplarla minuziosamente. Sì, chiaramente le tecnologie erano cambiate radicalmente, così come la regolamentazione per chi faceva quelle operazioni: io, lì così, ero completamente fuori regola rispetto alle disposizioni di oggi.
Come cambia il tempo! – mi dissi – E anche per me è cambiato, e di molto.
Lì ero uno studentello e la mia presenza in quell’impianto era legata al fatto che con amici della stessa scuola stavamo facendo uno stage sulla chimica del gas liquido autorizzato dalla scuola stessa. Nel momento della foto stavo provando con un meccanico, fuori campo fotografico, il motore della pompa, che sembrava guasto e in effetti poi si dimostrò tale e non ci furono rimedi se non cambiarlo.
I ricordi mi assalirono improvvisamente e con prepotenza. Solo in quella sala, riaffioravano quei momenti che erano stati anni difficili, in speciale modo il passato 1968, l’anno della contestazione studentesca che ci aveva travolti tutti come un’onda di cui francamente non ci era chiaro il significato. Dall’apertura dell’anno scolastico a ottobre e praticamente fino a Natale non vi erano state lezioni scolastiche, ogni mattina quando si arrivava di fronte al nostro istituto tecnico trovavamo sempre i picchetti del movimento studentesco che bloccava l’ingresso e non permetteva l’inizio delle lezioni. Poi iniziavano i cortei di protesta ed era un classico scontrarci con la polizia chiamata dal capo istituto. Ricordavo una grande confusione che si protrasse fin dopo le festività natalizie.
Dopo le rivolte studentesche e quant’altro, agli inizi dell’anno 1969 le cose erano migliorate, ma le attività didattiche iniziate in ritardo minacciavano di comprometterci l’anno intero. Queste erano le minacce che incombevano sopra le nostre teste di studenti del terzo anno del corso per Periti Industriali. Forse anche vendette, ma c’erano state delle iniziative interne che prevedevano l’utilizzo di crediti formativi acquisiti in esperienze esterne e io ne approfittai, utilizzando l’infrastruttura dove lavorava mio padre e per ragioni aziendali abitava anche la mia famiglia. Quindi con alcuni compagni di classe avevo organizzato uno stage di chimica; già, uno stage che per destino influì molto sulla nostra vita.
Ora erano tanti e tanti i ricordi che si stavano riaffacciando mentre pensavo all’epoca, e mi sentii risucchiare da un vortice temporale nel passato. Quel passato che proprio partendo da quei momenti e giorni raffigurati nella vecchia foto che stringevo tra le mani, mi cambiarono tutta la vita e mi videro protagonista di una realtà romanzesca le cui scene ora iniziarono a svolgersi come in un vecchio film che mi si proiettasse nella mente senza possibilità di arrestarlo. Cercai di scuotermi per tornare indietro, ma ero come bloccato e non potevo far altro che soggiacere a quello che mi si stava presentando davanti agli occhi e rivivere il passato legato a quella foto.
Ora non ero più in quella stanza, non ero più in quel territorio di Verona. Ora alle mie narici arrivavano profumi e odori diversi e alle mie orecchie suoni e un vociare familiare di un tempo ormai lontano, ma che ricordavo lucidamente, combattuto tra il piacere di farlo ma anche dalla pena per le vicende accadute, in cui rimasi per anni imprigionato.
Tanti dei protagonisti si erano persi nel tempo, altri erano ancora presenti, altri erano scomparsi per l’età o la malattia. Io potevo considerarmi fortunato per essere ancora presente a ricordare i fatti e loro tutti.
Primavera 1969
Entrai nel locale che avevamo adibito a ufficio tecnico sbottando verso Silvio e Mario, dicendo loro che eravamo in ritardo sulla tabella di marcia per identificare, mediante gli opportuni processi e reazioni chimiche, i componenti dei campioni di gas che ci erano stati affidati dall’azienda ospitante.
Il nostro era un gruppo di lavoro che aveva avuto l’opportunità di fare pratica per prepararci meglio nello studio, frequentavamo l’Istituto Tecnico Industriale e il nostro impegno era messo a dura prova dalle richieste dei docenti del corso di chimica industriale.
«Capisco che giochiamo in casa – continuai agitando il blocco di fogli sotto il naso dei due – e che questa occasione è irripetibile, ma gli accordi sono accordi seri e adesso arriverà Paolo, convinto di trovare i risultati e procedere con le operazioni di scarico della partita. E invece? Non abbiamo ancora messo in moto il gascromatografo e lui, il Paolo, se ne tornerà a mani vuote e sapete cosa farà? Ve lo dico io cosa farà. Si fionderà in ufficio da mio padre e pianterà su una grana formidabile! Altro che storie e pomeriggio passato a contare le mosche che volano! Quindi bando alle ciance e diamoci da fare.»
Mio padre era il direttore dell’infrastruttura industriale di cui Paolo era uno dei responsabili di reparto, addetto al controllo qualità del prodotto che arrivava dall’estero, ed era stata mia l’idea di imbastire l’esperienza.
L’iniziativa era molto piaciuta ai docenti scolastici, ma come contropartita ci avevano messo alla prova: Okay per lo stage, ma vogliamo dei risultati utilizzabili nel processo industriale.»
Fabrizio, guarda che stavamo facendo quelle analisi che ci avevi chiesto e ora sono pronte da sottoporre al gascromatografo, che si accende in pochi minuti, quindi calmati che ci siamo.»
Il Mario aveva appena finito di parlare che si spalancò la porta del locale e si affacciò Paolo pronunciando un bel: Dunque?»
Visto? – dissi io – Rispondetegli.»
E nel mentre mi rimproveravo di essermi assentato fin dal primo pomeriggio per risolvere un altro problema, ma questo era di origine elettrica ed era stato causato dal motore di una pompa. Mi aveva trattenuto più del previsto perché alla fine il motore non era stato possibile recuperarlo.
Giovanotti – apostrofò il Paolo – ma qui si dorme alla grande, altroché studenti dei miei stivali. Io non ho avuto la fortuna di continuare gli studi come voi a causa della seconda guerra mondiale, mi sarebbe piaciuto e non sapete che fortuna avete – e nel mentre proferiva queste parole, come era solito alzava le braccia e gli occhi al cielo per sottolineare meglio la sofferenza che ancora provava – La guerra, la guerra ci ha rovinato tutti!»
Beh, Paolo, comunque hai avuto la possibilità di lavorare presso l’Arsenale Militare, che con i suoi corsi ti ha dato la possibilità di acquisire un diploma militare di tecnico elettricista e con quello ora sei responsabile in questa azienda. Quindi dai, non ti lamentare così!»
Non ribatté alla mia intromissione e passò a chiedere come eravamo messi.
Bene – dissi io – Se aspetti un minuto ti diamo i risultati – e così fu, perché mentre si parlava Silvio e Mario si erano attivati al gascromatografo ed erano riusciti in quel lasso di tempo a ottenerli – Ecco qua, Paolo, i referti. E pare che vada tutto bene, il prodotto in analisi rientra nelle specifiche quindi puoi accettarlo.»
Molto bene, per quest’oggi abbiamo finito, ma domani ci sono da fare altri accertamenti chimici, quindi a domani» e così dicendo salutò e uscì dal locale.
Ci è andata bene – esclamai – ma dobbiamo fare attenzione per i prossimi campioni che ci porteranno. Per non vanificare tutti i miei sforzi per ottenere questa opportunità che, come sapete, porterà parecchi crediti sul nostro curriculum scolastico al fine della valutazione conclusiva dell’anno.»
Nel mentre mi ero portato nell’altra stanza, dove vi era il laboratorio chimico vero e proprio con tutte le vetrerie esposte e il gascromatografo, che utilizzavamo nei pomeriggi dopo la mattinata scolastica per approfondire non solo le lezioni quotidiane assegnateci di chimica, ma anche tutte le altre. Quindi lo avevamo eletto a sede post-scolastica vera e propria, dove ci ritrovavamo noi colleghi di classe. Anzi, al momento ne mancava uno, il Nicola, ma era giustificato perché fino a una certa ora prestava servizio presso una vicina stazione stradale di carburanti per tirare su qualche soldo per pagarsi gli studi. Comunque l’accordo comune era che lo considerassimo sempre presente al fine di fargli ottenere i crediti scolastici previsti dall’esperienza che stavamo facendo, che non aveva al momento altre realtà analoghe nell’ambito del nostro istituto scolastico ed era al centro dell’attenzione dello staff dei nostri docenti scolastici in attesa di trarne le conclusioni.
C’era un motivo specifico del perché fosse possibile l’esperienza, rifiutata anche in maniera brusca da altre infrastrutture industriali presenti sul territorio, ed era il fatto che la mia famiglia vi abitasse all’interno, trasferita dal Nord Italia in quel luogo sei anni prima dall’azienda dove mio padre lavorava con l’incarico di direttore. Quindi si potrebbe chiamare casa e lavoro
e io ne subivo tutta l’influenza, girovagando nei momenti liberi per gli impianti e acquisendo dal personale anziano tutta la loro esperienza sia sull’impiantistica sia procedurale. Cose che piano piano mi avevano entusiasmato, coinvolgendomi forse anche troppo per la mia giovane età, di solito dedicata ai vari svaghi e allo studio e a socializzare con i coetanei. Diciamo che avevo sviluppato un pizzico di fanatismo in merito a quel settore, che era in via di sviluppo, essendo una novità successiva alla fine della seconda guerra mondiale, e portava in tutte le famiglie italiane grandi vantaggi, chiudendo l’epoca dell’utilizzo della carbonella nel riscaldamento e nella cucina quotidiana per sostituirla con il gas liquido domestico in bombole trasportabili ovunque comodamente e abbinabili a stufe per il riscaldamento e fornelli domestici. Un vero miracolo della modernità importata direttamente dall’America con i vari piani di aiuti dopo la fine del conflitto.
Il piano più importante era stato quello annunciato dal discorso dell’allora Segretario di Stato statunitense George Marshall al mondo, il 5 giugno 1947 dall’Università di Harvard, con la decisione degli Stati Uniti di avviare l’elaborazione e l’attuazione di un piano di aiuti economico-finanziari per l’Europa che poi, per convenzione storiografica, sarebbe stato noto come Piano Marshall
. Fu senza dubbio uno dei momenti più importanti della storia della politica internazionale nell’immediato secondo dopoguerra.
Marshall affermò in quell’occasione che l’Europa avrebbe avuto bisogno almeno per altri tre o quattro anni di ingenti aiuti da parte statunitense e che, senza di essi, la gran parte del vecchio continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali. Pur rimanendo sul vago relativamente a quelli che avrebbero dovuto essere i caratteri del piano, in primo luogo perché se ne volevano predisporre i termini con gli europei, il Segretario di Stato si augurò che da esso potesse scaturire non solo una nuova e più proficua epoca nella collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico, ma anche una prima realizzazione di quei progetti europeisti finora caratterizzati da una certa vaghezza utopistica.
In quest’ottica molti industriali italiani recepirono la politica e uno di essi in particolare, l’ingegnere Borghi, diede il via alla costruzione di svariate apparecchiature domestiche come fornelli, scaldacqua e stufe di riscaldamento funzionanti con il nuovo carburante, il gas liquido, elementi che in America erano oramai di uso comune da decenni prima della seconda guerra mondiale.
Su quest’importante onda di modernizzazione bisognava che anche le infrastrutture di produzione, confezionamento e distribuzione del gas liquido costituissero una fitta rete a livello nazionale, quindi iniziò l’espansione di queste infrastrutture. La mia famiglia vi era coinvolta già dal 1947 e per seguirne lo sviluppo la società dove era impiegato mio padre prima lo inviò in Abruzzo, dove di fatto all’età di otto anni io venni a contatto con il gas liquido e i suoi processi per gioco, e, dopo aver avviato quel centro, fu inviato a prendere la direzione dell’infrastruttura molto più grande e complessa esistente a Taranto. Questa esperienza mi ha segnato per tutta la vita, avevo per forza maggiore subìto un imprinting(1) che brevemente mi aveva trasformato in un baby-tecnico nel settore specifico, destando l’ammirazione di tutti coloro, molto più anziani, con i quali mi trovavo a dialogare.
L’entrata di Nicola, unico assente del pomeriggio, mi fece ritornare alla realtà. Eccolo con i suoi libri sotto il braccio e il giornale sportivo in mano, lo salutammo e Mario lo mise al corrente delle novità e dei risultati ottenuti, lui annuì e si sedette, aprendo il giornale per riprendere una lettura sportiva non conclusa.
Allora? – dissi – Ci diamo alla lettura? Abbiamo ancora da stendere la relazione odierna.
Okay.»
Chiuse il giornale e prese il block-notes, poi guardò l’orologio ed evidenziò che erano le diciotto passate, un po’ tardi, quindi bisognava darsi una mossa. Aveva pienamente ragione e ci demmo una mossa, dopodiché chiudemmo i lavori e il laboratorio. Usciti dallo stabile, consegnammo le chiavi alla guardia di servizio firmando tutti il rispettivo registro delle presenze in uscita, ci salutammo dandoci appuntamento all’indomani mattina alla solita fermata dell’autobus e, mentre gli altri guadagnavano il cancello principale, io attraversai la strada interna del complesso e salii a casa, dove vi era la mia famiglia, con mamma che stava preparando la cena e i miei due fratelli che stavano litigando alla grande come al solito. Il babbo non era ancora salito dal suo ufficio, era troppo presto e sarebbe arrivato più tardi dopo il solito briefing aziendale con i responsabili di reparto e amministrazione, cosa questa che mia madre odiava immensamente. Classificava la cosa come chiacchierata di pettegolezzo quotidiana, che secondo lei non aveva niente a che vedere con il lavoro. Io invece sapevo che non era così e che di problemi ce ne erano tutti i giorni e di tutti i livelli!
Durante la cena non vi furono novità, le solite cose e schermaglia dei fratelli, il babbo si rivolse a me e mi disse che il Paolo lo aveva relazionato dei risultati d’analisi e che ne era soddisfatto.
Visto? – dissi fra me – figuriamoci se non li davamo!
«Pensate di proseguire?»
«Sì – risposi immediatamente – almeno fino a quando avremo i crediti opportuni per gli scrutini scolastici di fine anno.»
«Bene, ma ricordate che tra un paio di settimane rientrerà in servizio il titolare del laboratorio chimico, il dottor Barnaba, e che allora dovrete dividervi gli spazi.»
«Come mai rientra?»
«L’azienda ha ritenuto di ripristinare il servizio di laboratorio giornaliero per avere certezze sulla qualità del gas liquido che ci arriva dalle nuove raffinerie italiane di Bari, Brindisi, Milazzo e Falconara che sono partite in questi mesi. Ma, da notizie arrivate dalla nostra sede, hanno prodotti non proprio limpidi per un utilizzo casalingo.»
«Cioè?»
«Sì, pare che abbiano un’alta concentrazione di zolfi mercaptani, che nella combustione del fornello casalingo portano sgradevoli odori e anche bruciori agli occhi, quindi una questione di rischio per chi è a cucinare.»
«Già – dissi – è così ed è un grosso guaio di immagine da evitare. Se sei d’accordo, possiamo anche dare una mano al dottor Barnaba.»
«Mah, se lo vorrà… Chiediglielo quando lo vedrai. A proposito – disse rivolgendosi a mia madre – il ragioniere nel briefing di oggi mi ha messo al corrente che di fronte a noi, nella villetta, verrà a giorni a stabilirsi una nuova famiglia con figli, quindi potrebbe essere un’occasione per te di socializzare e ridurre il senso di solitudine che ti persegue stando rinchiusa nell’infrastruttura senza vicini.»
«Come mai?» esordì mia madre.
Il padrone, un costruttore edile locale, cambia zona residenziale perché questa, dopo la morte prematura della moglie, è troppo grande. E poi anche a causa delle scuole dei figli, che sono lontane, e per la distanza dal suo ufficio. Spargendo la voce, ha ricevuto una richiesta da parte di una famiglia numerosa che gli aveva acquistato un appartamento sulla carta, ma, una volta costruito, ha riscontrato che non ci sarebbe potuta abitare liberamente. Quindi gli ha mostrato la sua casa, che stava per lasciare, e hanno accettato trovandola adeguata.»
«Ma è quella di fronte all’ingresso dello stabilimento?» chiesi.
«Sì, quella.»
Peccato, c’era una mezza amicizia con i suoi due figli.
La cena si concluse così.
1 In etologia e psicologia è la forma di apprendimento di base, che si verifica in un periodo della vita, detto periodo critico, quando si è predisposti biologicamente a quel tipo di apprendimento.
I nuovi vicini
Il nostro stage per il corso di chimica continuava con buoni risultati e ottenendo anche molta ammirazione da parte dei docenti dell’istituto, che lo ritenevano estremamente positivo e un esempio da sviluppare per gli altri settori, con la collaborazione delle industrie locali. Le relazioni che portavamo, a volte corredate di fotografie delle attrezzature che avevamo l’opportunità di utilizzare, erano considerate cosa unica e rara.
Ma la scuola non era tutta rosa e fiori e c’erano anche delle criticità, in special modo per me in matematica, createsi per incompatibilità con il docente dell’anno. Quindi a volte mi domandavo se tutto quel fare che stavamo portando avanti in fondo servisse, oppure rimanesse esclusivamente il classico mettersi in mostra. O almeno così la vedeva il prof di matematica, e ciò lo aveva reso molto rigido nei confronti del gruppo di lavoro. Forse era invidioso? Mah! Comunque non se ne veniva a capo e gli scrutini finali li vedevo neri.
Salve amici – esclamò Silvio quel pomeriggio, entrando – Che succede nella villetta di fronte? Ho visto grande movimento arrivando.»
Sì – dissi in risposta al suo interrogativo – Trasloco in corso, va via il nostro amico Bruno e arriva una famiglia nuova. Non so altro né mi interessa saperlo, sono troppo sconfortato dai risultati del corso di matematica per interessarmi alla cosa.»
Io fossi in te la smetterei di mettere sempre i puntini sulle i
con il prof, è per questo che ti ha preso all’ingiù, e se non ripari di corsa ti rimanda a settembre come minimo.»
Sì, era vero, tempo addietro avevo più volte contestato alcune procedure che lui utilizzava e questo aveva scatenato il caos e passato il mio nome nel suo elenco dei contestatori in quel periodo molto di moda, quindi era diventato un brutto vivere e neanche i crediti che stavamo guadagnandoci con questo stage potevano porci rimedio. Brutta cosa.
Silvio si avvicinò alla finestra che dava sulla strada dalla quale si poteva vedere la villetta di fronte e tutte le operazioni di facchinaggio in corso, un grande avanti e indietro di mobilia e accessori guidata da una signora giovanile e molto autoritaria che impartiva ordini a destra e sinistra, facendo correre tutti.
Però! – esclamò il Silvio – Avremo una marescialla come vicina, guarda lì che autorità!»
Questo ci fece avvicinare anche noi alla finestra a dare un occhio incuriositi, e questa, scorgendo le nostre tre figure e sentendosi osservata, alzò il volto verso di noi abbozzando un sorriso e poi continuò il suo operato.
Il Paolo entrò in quel momento con la nuova campionatura, esordendo con le solite frasi sulla fortuna che avevamo di poter studiare e via. Quindi, vedendoci interessati a cosa stesse accadendo al di là della strada, oltre la recinzione dello stabilimento, ci disse che c’erano nuovi vicini.
Abbiamo visto – risposi – Ma non abbiamo notizie in merito.»
Beh, se è per le notizie posso dirvi che è un facoltoso commerciante all’ingrosso di pesce a livello nazionale, un certo Pasquale, conosciutissimo nel mercato ittico di Taranto e tanti altri in Italia.»
Ah sì?» esclamammo tutti e tre.
Quindi nulla a che fare con l’industria edile o altro come il precedente. Di questo rimanemmo un po’ delusi, perché l’attività escludeva eventuali rapporti futuri come era avvenuto nel passato, non essendoci nessun nesso con noi. Con il precedente inquilino, che poi era anche il padrone della villetta, c’erano stati rapporti di amicizia con i figli e anche interscambi di studi e qualche ripetizione.
Bene, chiudiamola qui – esordii, richiamando tutti alla nostra attività