Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Canti Orfici
Canti Orfici
Canti Orfici
E-book86 pagine1 ora

Canti Orfici

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nei Canti Orfici, il cui titolo rimanda al mito di Orfeo, convergono influenze di vario tipo, da Nietzsche alla poetica vociana della prosa-poesia e del frammento. Ma più forte di tutti è l’influsso dei simbolisti francesi, e in particolare di Rimbaud, del quale Campana condivide l’idea del poeta-veggente. Il tema centrale è quello del viaggio che diventa per Campana fuga da una civiltà alla quale si sente profondamente estraneo e ricerca poetica a un tempo.
I Canti Orfici si articolano in un poema in prosa in tre parti (La notte), sette poesie (Notturni), una prosa diaristica (La Verna), dieci poemetti e prose liriche e dieci Varie e frammenti che si chiudono col poemetto Genova.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2020
ISBN9791220205634

Leggi altro di Dino Campana

Autori correlati

Correlato a Canti Orfici

Ebook correlati

Poesia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Canti Orfici

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Canti Orfici - Dino Campana

    Delville

    Nota biografica

    1885: Nasce a Marradi, un paese sull’Appennino tosco-romagnolo, il 20 agosto.

    1903: Consegue la maturità presso il liceo Baldessano di Carmagnola. Nello stesso anno si iscrive all’università di Bologna alla facoltà di chimica. Intanto, già da qualche tempo aveva cominciato ad accusare i primi disturbi nervosi.

    1905: Dopo aver fallito il tentativo di entrare nella scuola per ufficiali di complemento, passa alla facoltà di chimica farmaceutica di Firenze. Nel settembre dello stesso anno viene ricoverato per la prima volta in manicomio.

    1906: Fugge in Svizzera e poi in Francia. Viene quindi arrestato e nuovamente internato.

    1907: Uscito dal manicomio, riprende la sua vita errabonda, che lo porta nello stesso anno fino in Argentina.

    1909: Rientrato in Italia, viene arrestato. Una volta libero, torna a viaggiare in diversi paesi del nord Europa svolgendo i più svariati lavori.

    1912: Ritorna a Marradi e si iscrive nuovamente all’università. In questo periodo, relativamente tranquillo, pubblica su alcuni fogli universitari le sue prime poesie.

    1913: Sottopone l’unica copia dei Canti Orfici a Papini e Soffici. Questi però smarrisce il manoscritto, provocando l’ira di Campana, che arriva a minacciarlo di uccidere.

    1914: Riscrive il manoscritto dell’opera e lo pubblica a sue spese, ottenendo anche qualche recensione e giudizi lusinghieri da parte di intellettuali come Cecchi e De Robertis.

    1916: Conosce Sibilla Aleramo, con la quale intrattiene una burrascosa relazione.

    1918: Viene internato nel manicomio di Scandicci, dove rimarrà fino alla sua morte avvenuta nel 1932.

    L’opera più importante di Campana è i Canti Orfici, il cui titolo rimanda al mito di Orfeo. In essa convergono influenze di vario tipo, da Nietzsche alla poetica vociana della prosa-poesia e del frammento. Ma più forte di tutti è l’influsso dei simbolisti francesi, e in particolare di Rimbaud, del quale Campana condivide l’idea del poeta-veggente. Il tema centrale è quello del viaggio che diventa per Campana fuga da una civiltà alla quale si sente profondamente estraneo e ricerca poetica a un tempo.

    I Canti Orfici si articolano in un poema in prosa in tre parti (La notte), sette poesie (Notturni), una prosa diaristica (La Verna), dieci poemetti e prose liriche e dieci Varie e frammenti che si chiudono col poemetto Genova.

    Campana lo dedicò provocatoriamente a Guglielmo II, contro cui l’Italia si accingeva a entrare in guerra, aggiungendo il sottotitolo Tragedia degli ultimi germani in Italia, sentendosi anche lui ideale interprete della purezza originaria dei popoli nordici, perseguitati e oppressi dal potere religioso romano.

    DIE TRAGÖDIE DES LETZEN GERMANEN IN ITALIEN

    A Guglielmo II

    imperatore dei Germani

    l'autore dedica

    La notte

    I. La notte

    Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell'Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo. Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee: sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva: tra il barbaglio lontano di un canneto lontane forme ignude di adolescenti e il profilo e la barba giudaica di un vecchio: e a un tratto dal mezzo dell'acqua morta le zingare e un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante: e del tempo fu sospeso il corso.

    *

    Inconsciamente io levai gli occhi alla torre barbara che dominava il viale lunghissimo dei platani. Sopra il silenzio fatto intenso essa riviveva il suo mito lontano e selvaggio: mentre per visioni lontane, per sensazioni oscure e violente un altro mito, anch'esso mistico e selvaggio mi ricorreva a tratti alla mente. Laggiù avevano tratto le lunghe vesti mollemente verso lo splendore vago della porta le passeggiatrici, le antiche: la campagna intorpidiva allora nella rete dei canali: fanciulle dalle acconciature agili, dai profili di medaglia, sparivano a tratti sui carrettini dietro gli svolti verdi. Un tocco di campana argentino e dolce di lontananza: la Sera: nella chiesetta solitaria, all'ombra delle modeste navate, io stringevo Lei, dalle carni rosee e dagli accesi occhi fuggitivi: anni ed anni ed anni fondevano nella dolcezza trionfale del ricordo.

    *

    Inconsciamente colui che io ero stato si trovava avviato verso la torre barbara, la mitica custode dei sogni dell'adolescenza. Saliva al silenzio delle straducole antichissime lungo le mura di chiese e di conventi: non si udiva il rumore dei suoi passi. Una piazzetta deserta, casupole schiacciate, finestre mute: a lato in un balenìo enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida. Una fontana del cinquecento taceva inaridita, la lapide spezzata nel mezzo del suo commento latino. Si svolgeva una strada acciottolata e deserta verso la città.

    *

    Fu scosso da una porta che si spalancò. Dei vecchi, delle forme oblique ossute e mute, si accalcavano spingendosi coi gomiti perforanti, terribili nella gran luce. Davanti alla faccia barbuta di un frate che sporgeva dal vano di una porta sostavano in un inchino trepidante servile, strisciavano via mormorando, rialzandosi poco a poco, trascinando uno ad uno le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati, tutti simili ad ombra. Una donna dal passo dondolante e dal riso incosciente si univa e chiudeva il corteo.

    *

    Strisciavano le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati:

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1