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Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola
Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola
Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola
E-book282 pagine3 ore

Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola

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Info su questo ebook

La caccia per ritrovare in tempo le chiavi e aprire il Prisma Stellato prima che la Fiamma si esaurisca si fa sempre più avventurosa...
Ailan, Marill e Taryn dovranno affrontare la natura selvaggia di Keola e le devastanti macchine a vapore di Vimperion, ma soprattutto dovranno imparare a non scoraggiarsi e andare avanti a lottare anche quando tutto sembra perduto. Riusciranno ad arrivare fino in fondo? Troveranno il mitico Ta Yan  che ha il potere di curare le creature della foresta e di guarire gli occhi di Ailan?
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9788831927161
Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola

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    Anteprima del libro

    Il Fuoco Segreto di Altea; La Regina di Keola - Isabel Harper

    Progetto e realizzazione editoriale: Storybox Creative Lab, Milano

    Coordinamento editoriale: Isabella Salmoirago

    Editing: Luca Azzolini

    Grafica: Yuko Egusa Far East studio

    Direzione artistica: Elisa Rosso

    Mappa del mondo di Altea: Daniele Solimene

    © 2018 Storybox Creative Lab S.a.s. – Milano per l’edizione digitale

    info@story–box.it

    © 2018 per l’edizione a stampa in lingua italiana: Edicart Srl

    Una cura per Ailan

    Nel suo letto di fortuna, in una stanzetta al primo piano del Bazar delle Meraviglie, Marill non riusciva a dormire.

    Come chiudeva gli occhi, le appariva la scena terrificante che aveva vissuto la settimana prima nella grotta delle ipogene: rivedeva quelle creature spaventose tendere le braccia per afferrarla, le pareva persino di sentire il loro verso stridente, simile a un ticchettio. E riviveva il momento in cui Amedeo, il padre di Ailan, era tornato alla bottega, sorreggendo tra le braccia il corpo privo di sensi del figlio. L'aveva trovato steso sulla spiaggia, accanto al capanno.

    Per un attimo aveva temuto che fosse morto.

    Marill si girava e si rigirava nel letto, con la mente piena di pensieri. «Quello che è accaduto ad Ailan... è terribile... Sarei dovuta rimanere laggiù con lui: gli avrei impedito di infilare la chiave incompleta nel Prisma Stellato! Se fossi rimasta» si rimproverò per la centesima volta «tutto questo non sarebbe successo e Ailan non si sarebbe ferito... ».

    Gettò da una parte il lenzuolo e si alzò dal letto, tanto di dormire non se ne parlava proprio. Si affacciò alla finestra: era piena notte. I lampioni a gas ancora accesi illuminavano una fila di saracinesche abbassate lungo la via deserta.

    Uscì dalla stanza per andare a prendere un bicchier d'acqua e si addentrò tra gli scaffali della bottega, stracolmi di invenzioni dimenticate: oggetti strampalati arrivati lì non si sa come. A un tratto si bloccò: una debole luce filtrava dalla porta socchiusa della cucina, dove qualcuno discuteva animatamente. Riconobbe la voce di Dedalus e di nonna Amandine.

    – Gli occhi del ragazzo sono seriamente lesionati – disse Dedalus. – Non potremo sapere se recupererà la vista finché non toglieremo le bende.

    A Marill mancò il fiato: la situazione era più grave di quello che pensava.

    – Una cura ci sarebbe – suggerì nonna Amandine.

    – Stai forse pensando al siero degli arconti? Lo sai che Vimperion lo tiene sotto chiave.

    – Hai ragione, è un'impresa impossibile.

    – Certo, se avessimo la Fiamma di Altea, potremmo prepararlo noi – continuò Dedalus. – Conosciamo la formula alla perfezione, come tutti quelli che hanno studiato per diventare arconti.

    – Già! Ma la Fiamma non possiamo recuperarla, almeno finché Ailan non si sarà rimesso abbastanza in forze da tornare a cercarla.

    – Hai ragione, – ribadì Dedalus – per ora non se ne parla neanche. Il ragazzo non può tornare in quella grotta: è ancora troppo debole. E poi tutto sommato lì la Fiamma è al sicuro: nessuno, a parte Ailan, sa dov'è, e per di più le ipogene scoraggerebbero chiunque dall'avvicinarsi.

    – Molto bene, allora! – esclamò Amandine. – Possiamo dedicarci al problema più urgente: guarire Ailan. Dopo, ci condurrà lui stesso alla Fiamma. Ma il punto è: come possiamo curarlo senza il siero degli arconti?

    – Un modo c'è – disse una terza voce femminile, calda e profonda.

    Era la voce di Leolani, la guerriera di Keola che un sacco di volte aveva tolto dai pasticci lei e Ailan. Marill sentì un tuffo al cuore: Leolani conosceva una cura? Allora c'era ancora speranza!

    – Il Ta Yan – sussurrò la giovane guerriera. – L'antico spirito di Keola potrebbe guarire Ailan.

    – Non possiamo fare affidamento sul Ta Yan – rispose Amandine con voce grave. – Per quanto potente, non si piega ai desideri degli uomini. Egli decide secondo criteri antichi, che appartengono solo al Mondo Verde.

    – Il Mondo Verde è guidato dalla giustizia e dall'equilibrio – insistette Leolani. – Il Ta Yan è uno spirito buono, e io saprò trovarlo in tempo. Fidatevi di me: gli occhi di Ailan torneranno a vedere.

    Per qualche istante Marill non udì più nessuna voce. Le pareva di vederlo, Dedalus, con i suoi occhi azzurri stralunati sotto le spesse sopracciglia, mentre si arricciava le punte dei baffi, soppesando i pro e i contro di quella difficile scelta.

    Dedalus parlò di nuovo. – Se il piano di Leolani avrà successo, Ailan riacquisterà la vista.

    – Ma se fallirà, – fece eco Amandine – occorrerà stringere i tempi, ritrovare al più presto il pezzo mancante della chiave e liberare la Fiamma dal Prisma Stellato, prima che per lui sia troppo tardi.

    – In entrambi i casi, – concluse Leolani – dovremo andare a Keola.

    – Allora è deciso – disse Dedalus. – Appena Ailan starà un po' meglio, andremo a cercare il Ta Yan e l'ultimo pezzo della Chiave a Tre Fiamme.

    «Così sistemeremo tutto» si disse Marill. Ma subito dopo fu colta da un pensiero terribile: «E se quella creatura non avesse intenzione di guarire Ailan? E se l'ultimo pezzo della chiave non si trovasse?».

    Si ritrasse senza fare rumore. Aveva preso una decisione. Scivolò silenziosa tra gli scaffali della bottega, verso il locale principale. Oltrepassato il bancone, girò la lucente maniglia di ottone della porta a vetri e si ritrovò in strada, avvolta dal caldo respiro della notte estiva e dal frinire lontano dei grilli.

    Risalì il viale deserto, dove i lampioni a gas erano ancora accesi. Lo percorse in silenzio, tenendosi prudentemente fuori dai coni di luce proiettati sul selciato. Superata la grande piazza esagonale e l'Arco del Progresso, scorse un bagliore proveniente da Via del Tritone. «Sta arrivando qualcuno» si disse. S'infilò in un vicolo, in attesa.

    Dall'angolo della via spuntarono le sagome di due velocipedanti di ronda. Le caldaie dei loro velocipedi borbottavano pigramente, sospingendo i veicoli con quieti sbuffi di vapore. Gli agenti, in equilibrio sulla sella, ondeggiavano avvolti dalle luci delle loro lanterne a petrolio. La raggiunsero e tirarono dritto, senza accorgersi di lei.

    La ragazza continuò a percorrere una via dopo l'altra, senza incontrare anima viva, finché giunse in vista della meta: il palazzo di Victor Vimperion. Là dentro, da qualche parte, c'era il siero degli arconti. La cura per gli occhi di Ailan.

    Si acquattò dietro un angolo e spiò la piazza illuminata dai lampioni a gas. Cercò di scorgere qualche movimento, ma tutto era immobile. Un grosso topo sfrecciò rapido accanto ai suoi piedi. Marill vide la lunga coda guizzante sparire dentro una crepa del muro.

    «Devo fare attenzione» si disse. «I feriflammi di Kayman sono dappertutto.» Guardò meglio, ma non notò nulla di strano. La statua di Vimperion, al centro della piazza, fissava il selciato con la solita espressione bonaria e Marill si convinse che non ci fosse pericolo.

    «In fondo, perché mai dovrebbero esserci delle guardie? Chi può essere tanto pazzo da entrare nel palazzo di Vimperion, senza essere costretto?»

    Decise di rischiare. Si mosse dal suo riparo e si diresse verso il centro della piazza. «Sbaglio o gli occhi della statua seguono i miei movimenti? Ma no, non essere ridicola» si disse. «È solo una statua!»

    Riprese a camminare e si fermò soltanto quando fu davanti al gigantesco portone di quercia. Provò un brivido. Non si era mai sentita tanto piccola. Il Palazzo del Governo si innalzava di fronte a lei con aria di sfida, come un gigante di fronte a un insetto.

    Improvvisamente, lo scatto di una serratura la fece sussultare. Il portone stridette sui cardini e tra i due battenti si aprì uno spiraglio. Una lama di luce si allungò sulle pietre scure del selciato.

    Marill sentì il cuore martellarle nel petto: qualcuno aveva aperto la porta!

    Cercò freneticamente una scusa qualsiasi per giustificare la sua presenza lì, davanti al palazzo, nel cuore della notte.

    «Sono stata una stupida!» pensò, mentre gocce di sudore gelato le colavano lungo la schiena. «Cosa mi è saltato in testa di precipitarmi qui senza un piano?»

    Restò in attesa un istante, ma non accadde nulla.

    Sbirciò all'interno: non c'era nessuno.

    «È molto strano, chi ha aperto la porta, allora?» Poi scrollò le spalle e s'infilò tra i due battenti di quercia,

    convinta di aver appena avuto un colpo di fortuna.

    «Possa la Fiamma illuminarmi la via» si disse per farsi coraggio, poi sparì all'interno del palazzo.

    Il coraggio

    di Marill

    Marill si ritrovò in un immenso atrio di marmo bianco, illuminato da un lampadario di cristallo che inondava la stanza di luce dorata. Osservò affascinata i suoi bracci di ottone da cui pendevano centinaia di gocce di cristallo che brillavano come arcobaleni. A ogni braccio erano sospesi due luccicanti fiori di cristallo, ciascuno dei quali reggeva, al posto delle candele, un globo trasparente dai filamenti tremolanti di luce.

    «Ma quelle sono... lampadine! Accidenti, si tratta bene l'arconte» pensò. «Cos'è questo rumore?» si chiese un istante dopo. «Viene da là sopra... Che strano, sembra il ticchettio di un enorme orologio!»

    Il cuore le batteva forte per la paura, ma non si fermò. Oltrepassò due leoni di pietra e salì lentamente un lucido scalone di marmo che portava ai piani superiori.

    «Vai avanti, non farti impressionare!» si disse. «Sono solo rumori. Pensa ad Ailan, ai suoi occhi... Lui sì che ha ragione ad avere paura!»

    In cima alle scale si apriva un corridoio dalle pareti ornate di dipinti a olio. Tutti mostravano un uomo alto e massiccio, dalla faccia larga e rossa e dalla folta capigliatura bionda, quasi bianca: l'arconte Vimperion. Era ritratto in varie pose: come condottiero a cavallo; sulla sua auto a vapore; mentre salutava la folla; seduto sul trono dorato; mentre accarezzava la testolina ricciuta di un bambino...

    Marill però non li degnò di uno sguardo: la sua attenzione era stata attirata da uno strano orologio appeso in fondo al corridoio. Bilancieri, molle, corone dentate e ingranaggi frullavano e ticchettavano senza sosta, azionando una bizzarra faccia meccanica con degli occhi enormi che parevano scrutare dappertutto.

    Si fermò a osservarlo, come ipnotizzata, finché un rumore di passi la fece tornare in sé. Scivolò dietro una tenda e restò in attesa, trattenendo il respiro. Un servitore di Vimperion le passò davanti senza vederla.

    Marill sbarrò gli occhi: quello non era un essere umano!

    Sembrava una specie di bizzarro giocattolo meccanico, un automa. Aveva un lucido cranio di porcellana bianca e sul gilet di cuoio che indossava c'era una pulsantiera con tre file di tasti, simili a quelli di una macchina da scrivere. Sul volto candido spiccavano due lunghi baffoni scuri e un paio di spessi occhialoni di rame.

    Appena il servitore meccanico svoltò in un corridoio laterale, Marill uscì dal suo nascondiglio e riprese l'esplorazione, infilandosi nella prima porta che incontrò.

    Era uno studio arredato con preziose librerie in ciliegio, sovraccariche di volumi antichi e polverosi. Marill notò subito un alto scranno di legno dorato, imbottito di velluto rosso. Sullo schienale campeggiava uno stemma con una grossa V maiuscola, dorata e svolazzante.

    «Questo è lo studio di Vimperion. Oggi è proprio il mio giorno fortunato!» si disse. «Forse il siero è qui, da qualche parte.»

    Cominciò a perlustrare la stanza, ma in realtà non sapeva bene nemmeno lei cosa cercare. Una fiala? Un'ampolla? Un barattolo? Iniziò a frugare dappertutto.

    Su uno scrittoio era appoggiato un teschio di cera, che le ricordava in tutto e per tutto le ricostruzioni anatomiche del laboratorio di scienze della sua scuola. Ma che cosa ci faceva un oggetto come quello nello studio di Vimperion?

    Era davvero terrificante: la pelle di cera della fronte era stata incisa e sotto i suoi lembi si intravedeva uno scintillante scarabeo di acciaio, con un grosso rubino al posto dell'addome. Lì accanto c'era un piccolo forziere di mogano, che conteneva una pulsantiera d'ottone dotata di una bizzarra antenna di rame.

    – E questo cos'è? – si chiese Marill, schiacciando un pulsante.

    Improvvisamente l'antenna di rame vibrò, percorsa da lampi di luce azzurrina. Una valvola di cuoio rosso, simile a un cuore, iniziò a pulsare. Lo scarabeo d'acciaio e rubino, incastonato nella fronte di cera, s'illuminò.

    La ragazza indietreggiò, rabbrividendo. – Vimperion è un pazzo! – sussurrò. Poi subito dopo pensò a sua madre Camile, scienziata nei laboratori dell'arconte. Non la vedeva da tre settimane... «Come può la mamma lavorare per un uomo così?» si chiese inorridita.

    Si allontanò rapidamente, turbata da ciò che aveva appena visto. «Qui il siero non c'è. Proviamo da quest'altra parte.» E s'infilò nella stanza successiva.

    Quel locale era più ampio, con un grande finestrone ad arco che si affacciava sul Mare di Altea. Era arredato con mobili preziosi e al suo centro torreggiava un'ampia scrivania. Marill iniziò ad aprire alcuni cassetti. Vi trovò fogli manoscritti, lenti di ingrandimento, tagliacarte. In un angolo vide uno strano arbusto di steli metallici che terminavano con due bulbi rossicci. Li sfiorò, curiosa, e i bulbi si attivarono, proiettando due fasci di luce rossa che si unirono sulla parete di fronte componendo delle immagini in movimento.

    La ragazza sgranò gli occhi. Quelle immagini scarlatte mostravano l'arconte Vimperion che afferrava la testa di Kaspar Kayman, il capo dei feriflammi, e la tuffava in un bacile ribollente. Un attimo dopo la faccia di Kayman colava come mozzarella fusa. Poi le immagini svanirono.

    Marill soffocò un grido. Il cuore le batteva così forte che sembrava dovesse scoppiarle nel petto.

    «Mamma è in pericolo! Tutta Altea è in pericolo, con Vimperion in circolazione! Coraggio» si disse. «Trova questo siero e vattene in fretta di qui!»

    Ricominciò a frugare dappertutto, in preda all'ansia. Non si curava più di non far rumore.

    Andò quasi a sbattere contro un mobile di legno massiccio, con le ante decorate da elaborati intarsi in avorio e madreperla. Impugnò la maniglia e tirò l'anta verso di sé.

    Dentro c'erano diversi ripiani con tante fiale disposte in piccole rastrelliere. Le fiale avevano un'etichetta numerata, ed erano tutte vuote. Marill si sentì cedere le gambe.

    Pensò ad Ailan, ai suoi occhi coperti dalla benda.

    – Ailan – singhiozzò. – Mi dispiace...

    Improvvisamente si rese conto che fino a quel momento era stato tutto fin troppo facile.

    Si ricordò della statua nella piazza, della porta del palazzo aperta, della faccia meccanica che sembrava osservare tutto, del servitore automa che non si era accorto di nulla...

    Solo allora capì che entrare in quel palazzo era stata una follia: era un topolino in gabbia.

    E doveva fuggire subito, prima che arrivasse il gatto.

    Si girò di scatto e andò a sbattere contro una tunica scarlatta. L'urto la fece cadere a terra. Alzò la testa. Davanti a lei c'era un uomo alto e massiccio, con la faccia larga e rossa, e la folta capigliatura bionda, quasi bianca.

    – Dolente, mia cara, il siero è terminato – disse Vimperion.

    Terremoto

    Seduto su una branda in un angolo del Bazar delle Meraviglie, Ailan si stiracchiò con cautela. Era rimasto a letto a lungo, in preda alla febbre. Si sentiva le ossa rotte e le ustioni sul viso gli bruciavano terribilmente. Un timido raggio di sole filtrava dalle persiane chiuse, accarezzandogli il volto smagrito. Sfiorò la benda che gli proteggeva gli occhi e sbuffò tentando di risistemarla. La portava già da una settimana, ma non ci si era ancora abituato.

    «Me la sono vista davvero brutta» si disse. «Se non ci fosse stata Tik Tik con me, non mi sarei salvato...»

    Tirò fuori dalla tasca la conchiglia che gli aveva dato l'ipogena. Non vedeva l'ora di soffiarvi dentro e di rivederla. Ma, prima di tornare a cercarla, doveva guarire.

    Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto?

    Decise di chiederlo subito a Dedalus. Si alzò lentamente e fu allora che all'improvviso gli apparve un'immagine sfocata: un viso abbronzato, con le guance un po' scavate, e ciuffi di capelli corvini che sfuggivano ribelli da una benda nera stretta attorno agli occhi. Capì subito cosa stava accadendo: Zill era davanti a lui e lo guardava, trasmettendogli telepaticamente quello che vedeva.

    – Vieni qui, Zill – chiamò, sorridendo.

    Il mimure, obbediente, spiccò un balzo e atterrò sulla spalla del ragazzo. Ad Ailan apparvero le immagini di una stanzetta avvolta nella penombra e ingombra di scaffali. «Così va meglio» pensò, leggermente sollevato. «Con Zill sulla spalla, è quasi come se ci vedessi.»

    – Brava, Zill. Resta qui con me: i tuoi occhi sono i miei occhi ora.

    Il mimure si strusciò contro la guancia di Ailan. Lui in cambio le strofinò delicatamente la gola e Zill espresse la sua soddisfazione con lunghi borbottii, molto simili alle fusa di un gatto.

    Ailan si alzò in piedi. Con Zill sulla spalla, fece qualche passo incerto nella bottega, aggrappandosi agli scaffali. Le sue dita incontrarono gli oggetti più strani. Riconosceva al tatto legno, metallo, cuoio, vetro, ma non riusciva a capire che cosa fosse ciò che sfiorava. Decise di concentrarsi sull'udito. Da qualche parte giungevano rumori rapidi e secchi,

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