Segreta seduzione: Harmony Collezione
Di Kate Hewitt
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Info su questo ebook
Resistere alla lenta e invitante seduzione di Khalis è del tutto inutile, Grace lo sa bene, ma cedere significherebbe mettere a rischio tutto quello che ha.
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Segreta seduzione - Kate Hewitt
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Darkest of Secrets
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Kate Hewitt
Traduzione di Carla Maria De Bello
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-231-9
1
«Apritela.»
C’erano voluti due giorni per raggiungere quel momento. Khalis Tannous rimase un passo indietro mentre i due ingegneri altamente specializzati che aveva assunto per aprire la cripta del padre riuscivano finalmente a scardinare la porta di acciaio.
Khalis non aveva idea di cosa vi avrebbero trovato; non immaginava neppure che quel nascondiglio esistesse, al piano più basso della tenuta su quell’isola privata. Era già stato nel resto della struttura e trovato prove sufficienti a garantire l’ergastolo al padre, se fosse stato ancora vivo.
«È buio» affermò uno degli ingegneri. Avevano appoggiato la porta contro un muro e l’apertura della cripta apparve loro scura e informe.
Khalis accennò un amaro sorriso. «Dubito che qui ci siano delle finestre.» Cosa c’era che invece non potesse immaginare, un tesoro o un problema? Suo padre aveva già avuto una propensione per entrambe.«Datemi una torcia.»
L’accese e fece un passo verso il buio. Sentiva le mani sudate, il battito del cuore fin troppo accelerato.
Era spaventato, il che lo infastidiva; d’altra parte conosceva abbastanza il padre da aspettarsi l’ennesima tragica prova del potere e della crudeltà di lui.
Un altro passo e l’oscurità lo avvolse morbida come velluto. Sentì uno spesso tappeto sotto i piedi e un inaspettato profumo di legno. Incuriosito, sollevò la torcia a illuminare la cripta. L’ambiente era sorprendente ampio ed elegante, simile all’ufficio di un gentiluomo, con sedie, divani e persino un mobile bar.
Eppure Khalis dubitava che il padre usasse quel luogo per rilassarsi. Vide un interruttore sulla parete e lo premette, inondando la stanza di luce elettrica. La torcia gli cadde di mano a tracciare un lento cerchio sul pavimento, illuminando prima i mobili e poi le pareti. E ciò che esse ospitavano... cornice dopo cornice, tela dopo tela. Alcuni li riconosceva, altri no, ma poteva immaginare... Li guardò tutti, sentì la pesantezza posarsi su di lui come un velo. Un’altra preoccupazione, l’ennesima prova delle tante attività illegali del padre.
«Signor Tannous?» Uno degli ingegneri lo chiamò preoccupato dall’esterno.
Khalis sapeva che il proprio silenzio era durato già troppo. «Va tutto bene» rispose, anche se non andava bene per niente. Con un guizzo di anticipazione, si addentrò in una stanza più piccola che ospitava due quadri soltanto, due opere che lo fecero trasalire e avvicinare ancora di più. Se erano ciò che pensava...
«Khalis?» Il suo assistente, Eric, lo chiamò, e Khalis si allontanò dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Spense la luce e uscì dalla cripta. Tutti lo aspettavano con espressione al tempo stesso curiosa e preoccupata. «Andiamo» esortò gli ingegneri. La testa iniziava a fargli male. «Me ne occuperò io più tardi.» Nessuno fece domande, il che si rivelò un’ottima cosa, dal momento che non aveva intenzione di rivelare quanto avesse trovato nella cripta. Non si fidava dello staff rimasto alla tenuta dopo la morte del padre. Chiunque avesse lavorato per lui doveva essere stato disperato o completamente senza scrupoli. E nessuna delle due opzioni ispirava fiducia.
Si voltò in direzione degli ingegneri. «Potete andare. L’elicottero vi riaccompagnerà a Taormina.» Annuirono e, dopo che Khalis ebbe disattivato il sistema di sicurezza, tutti si diressero verso l’ascensore che portava al piano superiore. Khalis sentì la tensione attanagliarlo. Dopotutto era in ansia da una settimana intera, da quando aveva lasciato San Francisco per quell’isola dimenticata da Dio... da quando aveva appreso come il padre e il fratello fossero morti in un incidente in elicottero.
Non vedeva entrambi da ormai quindici anni né aveva mai avuto nulla a che fare con la Tannous Enterprises, l’impero commerciale e dinastico del padre. Era immenso, potente e corrotto fin nel profondo... e ora gli apparteneva. Considerato che il padre lo aveva diseredato quasi pubblicamente quando lui, all’età di ventuno anni, si era allontanato da tutto ciò, quell’eredità era arrivata a dir poco inaspettata.
Una volta nell’ufficio del padre, che momentaneamente aveva preso per sé, si concesse un lungo respiro e si passò le mani fra i capelli mentre ripensava alla cripta. Aveva trascorso la settimana tentando di familiarizzare con i molti beni del padre e, successivamente, tentato di determinare quanto fossero illegali. La cripta e il suo contenuto erano l’ennesima complicazione a una situazione già caotica. Fuori, il Mediterraneo scintillava al pari di un gioiello sotto un sole color limone, ma quell’isola, per Khalis, era lontana dal ricordare il paradiso. Era stata la sua casa da bambino, adesso invece la sentiva come una prigione.
In realtà, non erano le alte mura sovrastate da vetri rotti e filo spinato a intrappolarlo, bensì i propri ricordi. La disillusione e la disperazione che aveva sentito corrodergli l’anima, costringendolo ad andarsene. Se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a vedere Jamilah sulla spiaggia, i suoi capelli neri intorno al viso mentre lo osservava per l’ultima volta, il dolore che aveva nel cuore riflesso negli occhi.
«Non lasciarmi qui, Khalis.»
«Tornerò e ti porterò via da questo posto, Jamilah. Te lo prometto.»
Allontanò i ricordi, esattamente come aveva fatto negli ultimi quindici anni. Non guardarti indietro. Non pentirti. Non ricordare. Aveva fatto l’unica scelta possibile; semplicemente, non aveva previsto le conseguenze.
«Khalis.» Eric chiuse la porta e rimase in attesa di istruzioni. In pantaloncini e maglietta, sembrava il tipico ragazzo che si incontra sulle spiagge della California, ma quell’aspetto rilassato nascondeva una mente acuta e un’esperienza informatica che sfidava addirittura quella di Khalis.
«Abbiamo bisogno di un critico d’arte il prima possibile» rivelò a quel punto. «Il migliore, preferibilmente con una specializzazione nel Rinascimento.»
Eric sollevò un sopracciglio, intrigato e impressionato al contempo. «Cosa stai dicendo? Che nella cripta ci sono dei dipinti?»
«Sì. Tantissimi. Dipinti che credo valgano milioni.» Si sedette alla scrivania del padre, lo sguardo perso sulla lista di beni che stava analizzando. Immobili, tecnologia, finanza, politica. La Tannous Enterprises aveva allungato i propri velenosi tentacoli in ogni angolo. Come, si chiese Khalis per l’ennesima volta, potresti prendere le redini di una compagnia più temuta che stimata e trasformarla in qualcosa di onesto? In qualcosa di buono?
No, non poteva, e neppure voleva farlo.
«Khalis?» lo sollecitò Eric.
«Contatta un critico e fallo venire qui. Con discrezione.»
«Nessun problema. Cosa farai con i dipinti, una volta valutati?»
Lui sorrise cupamente. «Me ne libererò.» Non voleva nulla del padre, tantomeno delle inestimabili opere d’arte sicuramente rubate.
«Bene, mi metto subito all’opera.»
«Prima ci riuscirai, meglio sarà per tutti. Quella cripta aperta presenta troppi rischi.»
«Non penserai che qualcuno possa rubare qualcosa? Dove porterebbero la refurtiva?»
Khalis scrollò le spalle. «La gente riesce a essere scaltra e ingannevole. E io non mi fido di nessuno.»
Eric lo fissò per un attimo. «Questo posto ti fa davvero un brutto effetto, non è così?»
Lui tornò a scrollare le spalle. «Una volta era casa mia» disse, e tornò a concentrarsi sul lavoro. Pochi istanti più tardi, sentì la porta richiudersi.
«Progetto speciale per La Gioconda.»
«Molto divertente» ribatté Grace. Girò la sedia per guardare David Sparling, collega alla Axis Art Insurer e uno dei più grandi esperti mondiali di falsi di Picasso. «Che cos’è?» chiese mentre lui le allungava un pezzo di carta. Accennò un sorriso, le sopracciglia sollevate.
«Ah, ecco il sorriso!» esclamò David, soddisfatto. Quando aveva iniziato alla Axis, Grace Turner era stata soprannominata da tutti La Gioconda, sia per il suo freddo sorriso che per l’esperienza in ambito rinascimentale. «È arrivata una richiesta urgente per valutare una collezione privata. Vogliono qualcuno di specializzato nel Rinascimento, e il lavoro dovrà essere svolto su un’isola privata nel Mediterraneo.»
«Davvero?» Nonostante la determinazione a rimanere impassibile o almeno ad apparire tale, la curiosità la sorprese. «Conosci il collezionista?» C’era giusto una manciata di persone al mondo in possesso di una significativa raccolta di arte rinascimentale, tutti così discreti da non volere periti o assicuratori a osservare quali opere avessero sulle pareti.
«Non ne ho idea, ma il capo vuole vederti il prima possibile.»
«Perché non me lo hai detto subito?» gli chiese, quindi si precipitò verso l’ufficio di Michel Latour, direttore generale della Axis Art Insurer nonché amico di lunga data di suo padre e personalità importantissima nel mondo dell’arte.
«Volevi vedermi?»
Michel si allontanò dalla finestra che dava sulla Rue Saint Honoré nel primo arrondissement di Parigi. «Chiudi la porta.»
Lei obbedì e rimase in attesa.
«Hai ricevuto il messaggio?»
«Una collezione privata di opere del Rinascimento da valutare.» Scosse il capo lentamente. «Non riesco a pensare a più di una mezza dozzina di collezionisti che rispondano alla descrizione.»
«Stavolta è diverso.»
«In che senso?»
Michel accennò un sorriso.
«Tannous.»
«Tannous?» Lo fissò, incredula, la mascella tirata. «Balkri Tannous?» L’immorale – o forse amorale – uomo d’affari e ossessionato appassionato d’arte? Nessuno sapeva cosa contenesse la sua collezione, nessuno l’aveva mai vista né parlato di essa. Eppure i commenti si diffondevano ogni qualvolta un museo subiva una perdita... un Klimt da una galleria di Boston, un Monet dal Louvre. Scioccante, inspiegabile, eppure il nome di Tannous era sempre oscuramente sussurrato in simili occasioni. «Ma... non era morto?»
«La settimana scorsa, in un incidente di elicottero» confermò Michel. «Sospetto, a dire il vero. Suo figlio sta svolgendo le indagini.»
«Credevo fosse morto con lui.»
«Ne ha un altro.»
Grace si scoprì spiazzata. «Non ne sapevo nulla.»
«Non avresti potuto. Ha lasciato la Tannous Enterprises quando aveva solo ventuno anni, dopo essersi laureato in Matematica a Cambridge. Ha iniziato la propria attività negli Stati Uniti senza mai voltarsi indietro.»
«Ed è qualcosa di legale?»
«Sembra proprio di sì.» Fece una pausa. «La richiesta è decisamente urgente. Vuole che la collezione sia valutata il prima possibile.»
«Posso immaginare perché un onesto uomo d’affari voglia sbarazzarsi così rapidamente di un’intera collezione di opere rubate.»
Michel scosse la testa nonostante la luce di comprensione negli occhi. «Il cinismo non ti si addice, Grace.»
«E neppure l’innocenza.» Si voltò, turbata dalle rivelazioni di Michel.
«So che sei curiosa di scoprire cosa c’è in quella cripta.»
Per un attimo, lei non rispose. Non poteva negare di essere curiosa, ma aveva già sofferto troppo per la propria impulsività. La tentazione si presentava in molte forme. «Non potrebbe semplicemente consegnare il tutto alla polizia?»
«Probabilmente lo farà, dopo che le opere saranno state stimate.»
«Se si tratta di una grossa collezione, potrebbero volerci mesi.»
«Per una stima corretta» concordò Michel. «Ma