Chiamala Febbre
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Info su questo ebook
dall’introduzione di Giuseppe Caliceti
NAZIM COMUNALE è nato a Guastalla ( Reggio Emilia) nel 1975. Giornalista musicale per il Manifesto, Il giornale della musica ed altre testate, vive e lavora a Reggio come maestro elementare.
Ha pubblicato: Aguaplano (autoproduzione, 2015), Lei Oceano (Terra d’ulivi, Lecce, 2017, menzione speciale al Premio Crovi 2018)
Ha partecipato alle raccolte: Poeti a Bologna (Pendragon Edizioni, 1999), Il segreto delle fragole (Lieto Colle, 2016)e Non Ancora Silenzio, libro d’artista NZM Edizioni, 2019) è il padre del progetto digitale nato durante la pandemia del Covid 19 Epipoesia .
Alessandra Calò. (Taranto 1977)Artista e fotografa, Ha partecipato a mostre e festival in Italia e all’estero: Circulation(s) Festival de la jeune photographie européenne (Parigi), Les rencontres (Arles), Fotografia Europea (Reggio Emilia), Open House (Roma). Nel corso degli anni si è specializzata in antiche tecniche di stampa fotografica e nella creazione di vere e proprie installazioni. Ha realizzato numerosi libri d’artista ed opere, alcune delle quali sono entrate a far parte di importanti collezioni e pubblicate su riviste di settore. Nel 2018 vince il premio editoriale Tribew nell’ambito del festival Circulation(s); nel 2017 riceve la menzione d’onore da IPA International Photographic Award e nel 2016 vince il Premio Combat per la sezione scultura e installazione. Per la Giornata del Contemporaneo 2018, l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid le dedica la prima mostra personale in Spagna, a Palacio de Abrantes.
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Anteprima del libro
Chiamala Febbre - Nazim Comunale
Nazim Comunale
CHIAMALA
FEBBRE
fotografie
di
Alessandra Calò
Edizioni San Lorenzo
La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere.
Gustav Mahler
È la febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo
alla temperatura normale.
Quando la gioventù si raffredda, il resto del mondo batte i denti.
George Bernanos
E se mi chiedesse cosa mi porterei via dalla mia casa
se dovesse bruciare rispondo: il fuoco.
Jean Cocteau
Vivo una malinconia che mi precede.
Minuscoli prototipi di paura
Dichiarazione
Prendo atto
che la mia vita oggi è un fascio di fradicie sterpi
e le vespe ci fan nido
che la mia vita è tasche sfondate, letti sfatti,
giorni dal respiro troppo corto
o smagato.
Prendo atto
che il dolore passa
dalle dita ai denti
dai denti alla lingua
con identico, elettrico furore.
Ti scorgo nella nebbia
e non mi vedi.
La morte, la morte
comincia dai piedi.
Per il resto vivo qui e male
ragnetto appeso al dire verticale
allago quaderni
metto il pollice nel palato
costeggio la guancia destra della città
e so di non essere atteso
neppure spiato.
Un approccio metodico alla chimica dell’innamoramento:
tranquillità in capsule
e un nascondersi sempre uguale
come cane di carta
ombra, perfetta immagine.
E il corpo?
Solo evocato.
Non so nulla del mio ombelico
e nemmeno di quello di Carlotta.
Perciò celebro la sfiancante inutilità di qualsiasi appunto.
Celebro le pause, gli artigli del caso
la solitudine catalana
le donne vittoriose in bicicletta
l’ombra che sa i secoli della fontana.
Celebro l’odore delle sale d’aspetto
i quaderni strappati
un pettine nella selva
la polvere sugli specchi.
Io però sono altrove:
nella linguistica del disastro
nel pessimismo concavo
nello spiraglio esatto
dove gioia e gloria ora non passano.
Io sto qui
seduto
in attesa di eventi
in attesa di averti.
22 agosto 2012
Domani mi opero al cuore.
Batte sbilenco
ride poco e sempre di sbieco
e inciampa sempre
cammina quasi cieco.
Fuga dopo fuga si è spaurato
e ora ha le ginocchia sbucciate.
Ogni respiro un rosario opaco
di perle contate.
Ma a parte la cardiologia e la geometria
le preghiere, le postille e le pastiglie
la morsa dei cani cocciuti alle caviglie
le bugie e i bugiardini
le corse a perdifiato dei bambini
quanti strapiombi
paludi
apnee
laghi, marcite ninfee
voragini
vertigini
e sentirsi dire sempre aspetta:
così lui balbetta.
Cardiorama
L’attacco feroce
delle truppe imperiali.
I demoni del respiro:
spine nella selva
cardiaca
le spire e
i coriandoli del respiro.
Sono vivo
e lo racconto
ma oggi
alle quattro
sono morto.
Nessun riposo per il soldatino dell’ansia, lo so.
I tuoi talenti non ti salveranno
dalla fitta ragnatela dei no.
I dettagli di Tantalo: tutta la mitologia
e altre scatole segrete.
La gabbia, la geometria, la culla.
La polvere sulle parole
la polvere sulle persone.
L’imitazione di un perfetto nulla.
Rovo traversato a fatica
Un pulsare orizzontale di tempie.
Una piccola febbre al respiro.
Microscopici musei immobili
minuscoli prototipi di paura.
L’era delle caverne
la stanza-cunicolo.
Livido lume
un’esistenza in forma di macchia
ad alveare
sulle pareti giallastre.
Sangue sulla neve
pensato al mattino
andando al lavoro.
La città svestita
un mercoledì qualsiasi.
La fuga della lepre sul bianco.
La goffaggine ciclopica
di chi devasta il nido
nata culla
riposta
nella tana.
Quell’ombra di Sylvia nel bosco accanto alla fontana.
Ulisse fugge dall’isola.
Poi verrà il tempo di Circe
e i compagni, i compagni
saranno tutti maiali.
Gli agguati cocciuti dell’ansia
quelle minuscole trappole
nel centro esatto del petto
e la cospirazione dei demoni del respiro.
Morire di fianco alla spazzatura.
Perchè il panico è mani fredde, grandi
il panico è minaccia, manacce
sguardo ottuso
e mille aghi
e io ora non saprò schivarli
tutti quei morsi.
L’ambiguo sentiero della luce
che ogni giorno meraviglia.
Il fuoco rauco, la febbre
il greto asciutto del fiato.
Poi farò del mio respiro un falò.
Questa è la vita nel cespuglio dei fantasmi
la missione muta della madre.
Zampette, sillabe, il mondo
fuori dal barattolo
inesorabilmente promette.
Quando tutto diventa diabolicamente ripido
non c’è grazia nel cadere
non c’è sete da spegnere
ma entropia, entropia
e coazione a ripetere.
Zampette, sillabe, il mondo
fuori dal barattolo
inesorabilmente promette.
E allora i crateri dei saggi
il modo in cui si rassomiglia ai padri
baciare i piedi alla madonna.
Solo l’ansia cristallina del fiore
l’ansia cristallina del fiore
l’ansia cristallina del fiore.
Rammendare
Qui dentro grandina oramai
e non arriveranno il tempo per
il giorno in cui.
Il presente è una goccia
e non ha imparato a cadere.
Il passato è pane raffermo, tavola nuda.
Il futuro: il centro esatto del lago.
La gioia che allargava il respiro non tornerà.
Restano
il fondo di cattiveria di un bicchiere scheggiato
i primi nodi dell’ultimo respiro
la modernità, il fango, un cuscino bagnato.
Poi le sillabe della vita disattesa
i nomi che è meglio non scrivere
le cose che è meglio non pensare.
Diagnosi
Sarei dovuto andare tempo fa
e questa non è la vita che volevo.
Un largo respiro di luce sulla nuca molle di un bimbo.
Una sedia di vimini, una tovaglia profumata
una musica a promettere lontananza.
La gioia sempre si annuncia
poi non viene.
E’ così che i miei bottoni di marzapane
sono saltati, uno dopo l’altro.
Nello stesso modo
la mia prosa si è fatta ossuta
jena in mezzo alla radura
ha imparato ad accontentarsi.
E un vitreo luccicare di spine
sotto un cielo distratto
ha oscurato il sole
che batteva nel petto.
Ti sei ammalato in modo sottile
e ora non c’è scampo.
La convalescenza sarà cupa.
Cose da farsi
Aspettare l’alba su una gamba sola.
Torcere un capello a un bambino.
Mangiare del sale.
Coprire i fiori con cucchiaiate di sabbia.
Mettere miele sulle ferite.
Ascoltare la versione dell’assassino.
Tergiversare.
Diffondere notizie false.
Accecare il cielo con un lapis rovente.
Sbucciarsi il cuore
poi offrire rose
ai piedi dei santi.
Bere da un barattolo blu.
Sognare i fiordi
e non spettinare
non spettinare mai
il delicatissimo random dei ricordi.
Una flotta di rimpianti
le armate dell’ansia
il luogo dei prigionieri celesti
la disciplina della fame
e la sete che è attesa.
Il dio delle piccole cose nelle trappole del cuore.
Le sincopi del corpo
i morsi che sono oro
il fascino del disadorno.
La fica della stanza-lingua
e tutto ciò che sta intorno.
Dissipando
quel poco di energia rimasta
m’invento artefice
di un visibilissimo nulla.
Tu che ne sai del mio torpore?
Preghiere, postille, pastiglie
Morire quanto necessario,
senza eccedere.
Rinascere quanto occorre
da ciò che si è salvato.
Wisława Szymborska
Le cose sparse sul tavolo.
I numeri del caso
riposano nella scatola di legno chiaro.
Questo senso di fragilissima preghiera.
Null’altro.
Solo il vasto disordine
di un altro pomeriggio
vertiginosamente
immobile.
Preghiera interrotta
Queste parole luccichino
o dea muta del lago
questo mosaico di briciole sia pane alla tua bocca
questi rami secchi
raccolti nella foresta degli alfabeti
sappiano nutrire il fuoco del racconto, domani.
Le vedi, le mie mani?
Spaventate e intente
non tessono suoni
che i tuoi occhi possano seguire.
L’orsa minore intanto fa cenno da lontano.
Il cielo a goccia
e lei dipinta in orme e sentieri
si veste a fuga
la luna sipario
ci osserva inerti
tra appartenersi
e disapparire.
Il giorno intanto trema
e forse lo confondo col respiro del cuore
l’acrobata in bilico
tra danza e vertigine
in questo luogo d’aria e sillabe
sospeso
tra labbra e voce.
Ricordo della culla
Ascoltarsi sott’acqua.
Tutte le parole perdono la gravità.
Quel momento quasi chino a colare tramonto
foglia sua figlia all’alba la rugiada
una goccia di me.
(Isla de la Juventud, Cuba, agosto 1997)
Istruzioni per scrivere
Aprire la finestra
dimenticarsi
chiudere gli occhi
tenere stretto nel pugno quello spavento
poi sfiorare con le dita dello sguardo.
Sono solo sogni mancini
fratelli di un’altra risonanza
la polvere che brilla al buio somiglia alla vita
ricordi ?
proprio adesso potevi sentire
in punta di palpebra
quell’assenza di parole
l’attimo nitido e il distacco
decollo e deriva
un falso movimento di bassa marea
la luna magnete e l’edera della lingua
che invade il muro della casa.
Non posso dire niente.
Le parole fanno solo ombra.
Galileo
La tentazione di scrivere al buio
l’ora insonne del pendolo
l’irraggiungibile tenerezza dell’edera.
Quel fertile paesaggio odoroso di femmina
un inchiostro prezioso
avvolto in bozzoli di memorie
disabitate da ore
allagate di parole.
Orli
virgole
orme
punti
linee di fuga
tessiture precise
trame appena accennate
scorgendo uno sguardo, il tatto
l’impronta di un corpo
il fruscio di un’altra presenza
o solo una volontà
un’ombra
la felicità
di là.
E se mi chiedesse cosa mi porterei via dalla mia casa
se dovesse bruciare rispondo: il fuoco.
Jean Cocteau
La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere.