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Chiamala Febbre
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E-book244 pagine1 ora

Chiamala Febbre

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Info su questo ebook

Se la poesia è fare qualcosa di intimo in pubblico, come è stato scritto, qui il poeta, fin dalla potente quanto disarmante “Dichiarazione” iniziale, si assume pienamente la responsabilità di ciò che scrive e prende atto dello stato delle cose senza alcun falso pudore, dichiarando: “la mia vita oggi è un fascio di fradicie sterpi / e le vespe ci fan nido / che la mia vita è tasche sfondate, letti sfatti / giorni dal respiro troppo corto / o smagato”. E sa “di non essere atteso, neppure spiato”. Eppure i suoi versi, che ben sanno di non poter salvare il mondo, né di doverlo fare, da un lato assorbono magneticamente il ritmo della migliore poesia italiana di oggi, dall’altra non dimenticano la cronaca e il cicaleccio dei media sempre più invadenti e strumentali, della loro narrazione politica e sociale assordante e incomprensibile. No, non sta bene, il poeta. Non può. E non sta bene il mondo vociante che il poeta si porta faticosamente sulle spalle. “La gioia sempre si annuncia / poi non viene”.
dall’introduzione di Giuseppe Caliceti
 

NAZIM COMUNALE è nato a Guastalla ( Reggio Emilia) nel 1975. Giornalista musicale per il Manifesto, Il giornale della musica ed altre testate, vive e lavora a Reggio come maestro elementare.
Ha pubblicato: Aguaplano (autoproduzione, 2015), Lei Oceano (Terra d’ulivi, Lecce, 2017, menzione speciale al Premio Crovi 2018)
Ha partecipato alle raccolte: Poeti a Bologna (Pendragon Edizioni, 1999), Il segreto delle fragole (Lieto Colle, 2016)e Non Ancora Silenzio, libro d’artista NZM Edizioni, 2019) è il padre del progetto digitale nato durante la pandemia del Covid 19 Epipoesia .

Alessandra Calò. (Taranto 1977)Artista e fotografa, Ha partecipato a mostre e festival in Italia e all’estero: Circulation(s) Festival de la jeune photographie européenne (Parigi), Les rencontres (Arles), Fotografia Europea (Reggio Emilia), Open House (Roma). Nel corso degli anni si è specializzata in antiche tecniche di stampa fotografica e nella creazione di vere e proprie installazioni. Ha realizzato numerosi libri d’artista ed opere, alcune delle quali sono entrate a far parte di importanti collezioni e pubblicate su riviste di settore. Nel 2018 vince il premio editoriale Tribew nell’ambito del festival Circulation(s); nel 2017 riceve la menzione d’onore da IPA International Photographic Award e nel 2016 vince il Premio Combat per la sezione scultura e installazione. Per la Giornata del Contemporaneo 2018, l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid le dedica la prima mostra personale in Spagna, a Palacio de Abrantes.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2020
ISBN9791220212090
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    Chiamala Febbre - Nazim Comunale

    Nazim Comunale

    CHIAMALA

    FEBBRE

    fotografie

    di

    Alessandra Calò

    Edizioni San Lorenzo

    La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere.

    Gustav Mahler

    È la febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo

    alla temperatura normale.

    Quando la gioventù si raffredda, il resto del mondo batte i denti.

    George Bernanos

    E se mi chiedesse cosa mi porterei via dalla mia casa

    se dovesse bruciare rispondo: il fuoco.

    Jean Cocteau

    Vivo una malinconia che mi precede.

    Minuscoli prototipi di paura

    Dichiarazione

    Prendo atto

    che la mia vita oggi è un fascio di fradicie sterpi

    e le vespe ci fan nido

    che la mia vita è tasche sfondate, letti sfatti,

    giorni dal respiro troppo corto

    o smagato.

    Prendo atto

    che il dolore passa

    dalle dita ai denti

    dai denti alla lingua

    con identico, elettrico furore.

    Ti scorgo nella nebbia

    e non mi vedi.

    La morte, la morte

    comincia dai piedi.

    Per il resto vivo qui e male

    ragnetto appeso al dire verticale

    allago quaderni

    metto il pollice nel palato

    costeggio la guancia destra della città

    e so di non essere atteso

    neppure spiato.

    Un approccio metodico alla chimica dell’innamoramento:

    tranquillità in capsule

    e un nascondersi sempre uguale

    come cane di carta

    ombra, perfetta immagine.

    E il corpo?

    Solo evocato.

    Non so nulla del mio ombelico

    e nemmeno di quello di Carlotta.

    Perciò celebro la sfiancante inutilità di qualsiasi appunto.

    Celebro le pause, gli artigli del caso

    la solitudine catalana

    le donne vittoriose in bicicletta

    l’ombra che sa i secoli della fontana.

    Celebro l’odore delle sale d’aspetto

    i quaderni strappati

    un pettine nella selva

    la polvere sugli specchi.

    Io però sono altrove:

    nella linguistica del disastro

    nel pessimismo concavo

    nello spiraglio esatto

    dove gioia e gloria ora non passano.

    Io sto qui

    seduto

    in attesa di eventi

    in attesa di averti.

    22 agosto 2012

    Domani mi opero al cuore.

    Batte sbilenco

    ride poco e sempre di sbieco

    e inciampa sempre

    cammina quasi cieco.

    Fuga dopo fuga si è spaurato

    e ora ha le ginocchia sbucciate.

    Ogni respiro un rosario opaco

    di perle contate.

    Ma a parte la cardiologia e la geometria

    le preghiere, le postille e le pastiglie

    la morsa dei cani cocciuti alle caviglie

    le bugie e i bugiardini

    le corse a perdifiato dei bambini

    quanti strapiombi

    paludi

    apnee

    laghi, marcite ninfee

    voragini

    vertigini

    e sentirsi dire sempre aspetta:

    così lui balbetta.

    Cardiorama

    L’attacco feroce

    delle truppe imperiali.

    I demoni del respiro:

    spine nella selva

    cardiaca

    le spire e

    i coriandoli del respiro.

    Sono vivo

    e lo racconto

    ma oggi

    alle quattro

    sono morto.

    Nessun riposo per il soldatino dell’ansia, lo so.

    I tuoi talenti non ti salveranno

    dalla fitta ragnatela dei no.

    I dettagli di Tantalo: tutta la mitologia

    e altre scatole segrete.

    La gabbia, la geometria, la culla.

    La polvere sulle parole

    la polvere sulle persone.

    L’imitazione di un perfetto nulla.

    Rovo traversato a fatica

    Un pulsare orizzontale di tempie.

    Una piccola febbre al respiro.

    Microscopici musei immobili

    minuscoli prototipi di paura.

    L’era delle caverne

    la stanza-cunicolo.

    Livido lume

    un’esistenza in forma di macchia

    ad alveare

    sulle pareti giallastre.

    Sangue sulla neve

    pensato al mattino

    andando al lavoro.

    La città svestita

    un mercoledì qualsiasi.

    La fuga della lepre sul bianco.

    La goffaggine ciclopica

    di chi devasta il nido

    nata culla

    riposta

    nella tana.

    Quell’ombra di Sylvia nel bosco accanto alla fontana.

    Ulisse fugge dall’isola.

    Poi verrà il tempo di Circe

    e i compagni, i compagni

    saranno tutti maiali.

    Gli agguati cocciuti dell’ansia

    quelle minuscole trappole

    nel centro esatto del petto

    e la cospirazione dei demoni del respiro.

    Morire di fianco alla spazzatura.

    Perchè il panico è mani fredde, grandi

    il panico è minaccia, manacce

    sguardo ottuso

    e mille aghi

    e io ora non saprò schivarli

    tutti quei morsi.

    L’ambiguo sentiero della luce

    che ogni giorno meraviglia.

    Il fuoco rauco, la febbre

    il greto asciutto del fiato.

    Poi farò del mio respiro un falò.

    Questa è la vita nel cespuglio dei fantasmi

    la missione muta della madre.

    Zampette, sillabe, il mondo

    fuori dal barattolo

    inesorabilmente promette.

    Quando tutto diventa diabolicamente ripido

    non c’è grazia nel cadere

    non c’è sete da spegnere

    ma entropia, entropia

    e coazione a ripetere.

    Zampette, sillabe, il mondo

    fuori dal barattolo

    inesorabilmente promette.

    E allora i crateri dei saggi

    il modo in cui si rassomiglia ai padri

    baciare i piedi alla madonna.

    Solo l’ansia cristallina del fiore

    l’ansia cristallina del fiore

    l’ansia cristallina del fiore.

    Rammendare

    Qui dentro grandina oramai

    e non arriveranno il tempo per

    il giorno in cui.

    Il presente è una goccia

    e non ha imparato a cadere.

    Il passato è pane raffermo, tavola nuda.

    Il futuro: il centro esatto del lago.

    La gioia che allargava il respiro non tornerà.

    Restano

    il fondo di cattiveria di un bicchiere scheggiato

    i primi nodi dell’ultimo respiro

    la modernità, il fango, un cuscino bagnato.

    Poi le sillabe della vita disattesa

    i nomi che è meglio non scrivere

    le cose che è meglio non pensare.

    Diagnosi

    Sarei dovuto andare tempo fa

    e questa non è la vita che volevo.

    Un largo respiro di luce sulla nuca molle di un bimbo.

    Una sedia di vimini, una tovaglia profumata

    una musica a promettere lontananza.

    La gioia sempre si annuncia

    poi non viene.

    E’ così che i miei bottoni di marzapane

    sono saltati, uno dopo l’altro.

    Nello stesso modo

    la mia prosa si è fatta ossuta

    jena in mezzo alla radura

    ha imparato ad accontentarsi.

    E un vitreo luccicare di spine

    sotto un cielo distratto

    ha oscurato il sole

    che batteva nel petto.

    Ti sei ammalato in modo sottile

    e ora non c’è scampo.

    La convalescenza sarà cupa.

    Cose da farsi

    Aspettare l’alba su una gamba sola.

    Torcere un capello a un bambino.

    Mangiare del sale.

    Coprire i fiori con cucchiaiate di sabbia.

    Mettere miele sulle ferite.

    Ascoltare la versione dell’assassino.

    Tergiversare.

    Diffondere notizie false.

    Accecare il cielo con un lapis rovente.

    Sbucciarsi il cuore

    poi offrire rose

    ai piedi dei santi.

    Bere da un barattolo blu.

    Sognare i fiordi

    e non spettinare

    non spettinare mai

    il delicatissimo random dei ricordi.

    Una flotta di rimpianti

    le armate dell’ansia

    il luogo dei prigionieri celesti

    la disciplina della fame

    e la sete che è attesa.

    Il dio delle piccole cose nelle trappole del cuore.

    Le sincopi del corpo

    i morsi che sono oro

    il fascino del disadorno.

    La fica della stanza-lingua

    e tutto ciò che sta intorno.

    Dissipando

    quel poco di energia rimasta

    m’invento artefice

    di un visibilissimo nulla.

    Tu che ne sai del mio torpore?

    Preghiere, postille, pastiglie

    Morire quanto necessario,

    senza eccedere.

    Rinascere quanto occorre

    da ciò che si è salvato.

    Wisława Szymborska

    Le cose sparse sul tavolo.

    I numeri del caso

    riposano nella scatola di legno chiaro.

    Questo senso di fragilissima preghiera.

    Null’altro.

    Solo il vasto disordine

    di un altro pomeriggio

    vertiginosamente

    immobile.

    Preghiera interrotta

    Queste parole luccichino

    o dea muta del lago

    questo mosaico di briciole sia pane alla tua bocca

    questi rami secchi

    raccolti nella foresta degli alfabeti

    sappiano nutrire il fuoco del racconto, domani.

    Le vedi, le mie mani?

    Spaventate e intente

    non tessono suoni

    che i tuoi occhi possano seguire.

    L’orsa minore intanto fa cenno da lontano.

    Il cielo a goccia

    e lei dipinta in orme e sentieri

    si veste a fuga

    la luna sipario

    ci osserva inerti

    tra appartenersi

    e disapparire.

    Il giorno intanto trema

    e forse lo confondo col respiro del cuore

    l’acrobata in bilico

    tra danza e vertigine

    in questo luogo d’aria e sillabe

    sospeso

    tra labbra e voce.

    Ricordo della culla

    Ascoltarsi sott’acqua.

    Tutte le parole perdono la gravità.

    Quel momento quasi chino a colare tramonto

    foglia sua figlia all’alba la rugiada

    una goccia di me.

    (Isla de la Juventud, Cuba, agosto 1997)

    Istruzioni per scrivere

    Aprire la finestra

    dimenticarsi

    chiudere gli occhi

    tenere stretto nel pugno quello spavento

    poi sfiorare con le dita dello sguardo.

    Sono solo sogni mancini

    fratelli di un’altra risonanza

    la polvere che brilla al buio somiglia alla vita

    ricordi ?

    proprio adesso potevi sentire

    in punta di palpebra

    quell’assenza di parole

    l’attimo nitido e il distacco

    decollo e deriva

    un falso movimento di bassa marea

    la luna magnete e l’edera della lingua

    che invade il muro della casa.

    Non posso dire niente.

    Le parole fanno solo ombra.

    Galileo

    La tentazione di scrivere al buio

    l’ora insonne del pendolo

    l’irraggiungibile tenerezza dell’edera.

    Quel fertile paesaggio odoroso di femmina

    un inchiostro prezioso

    avvolto in bozzoli di memorie

    disabitate da ore

    allagate di parole.

    Orli

    virgole

    orme

    punti

    linee di fuga

    tessiture precise

    trame appena accennate

    scorgendo uno sguardo, il tatto

    l’impronta di un corpo

    il fruscio di un’altra presenza

    o solo una volontà

    un’ombra

    la felicità

    di là.

    E se mi chiedesse cosa mi porterei via dalla mia casa

    se dovesse bruciare rispondo: il fuoco.

    Jean Cocteau

    La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere.

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