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Il disagio
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E-book476 pagine6 ore

Il disagio

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Info su questo ebook

È il desiderio di comprendere al di là delle apparenze e delle consuetudini che spinge gli eterogenei personaggi del romanzo a confrontarsi su alcuni aspetti problematici della vita quotidiana.
Perché? Una domanda semplice, ma dal potenziale dirompente. Potenzialmente destabilizzante. Per onestà intellettuale servono prospettive differenti.
Bruno M., voce narrante della storia, torinese trapiantato a Roma, è un professore a contratto perennemente senza soldi, impegnato nella stesura di un romanzo e in una relazione che oscilla tra amicizia e amore con Kathrine, francese emigrata in Italia, ambientalista alla ricerca di se stessa. Attorno a loro si muovono Brenno, cresciuto in provincia, difensore del sistema e delle tradizioni, e Silvia, sua moglie, cresciuta a Torino tra gli scioperi e le manifestazioni, con un passato tra l’Alaska e i Kibbutz; Michelangelo, pittore italiano sudafricano di nascita, creativo e sognatore; Aldo professore a contratto ingenuo e idealista; Claudio, un trascorso da contestatore di sinistra e in perenne disaccordo con il sistema e sua moglie Anna, figlia di un ambasciatore, che rimpiange i fasti della gioventù.
Una galleria di personaggi differenti per orientamenti e sensibilità le cui vicende delineano la trama di un romanzo che, in maniera ironica e dissacratoria, fondendo introspezione e analisi socio-politica, esplora alcune forme di malessere originate dalla quotidiana interazione dei protagonisti con una realtà sempre più complessa e difficile da interpretare.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2020
ISBN9788832927351
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    Anteprima del libro

    Il disagio - Alessandro Gobbicchi

    Foucault

    1

    Dovrei alzarmi. Una specie di imperativo morale che mi spinge a sacralizzare ogni giornata mi impone di rendere omaggio al tempo utilizzando proficuamente le mie ore di veglia.

    Il condizionamento culturale della modernità. Il tempo deve essere produttivo.

    Esito, indugio, balbetto mentre la mente, seppur annebbiata, persevera implacabile con la sgradita esortazione nei confronti di un corpo che non ne vuole sapere di destarsi dal suo letargico abbandono.

    In un’impercettibile, ma strenua lotta tra una natura, forse timidamente pigra, e una cultura troppo violentemente interiorizzata si materializza un vago compromesso: mi alzerò quando avrò qualche cosa di interessante da fare. Ma poiché, per quanto mi riguarda, il fare si concretizza nello scrivere, il momento della verità viene posticipato all’affiorare di un’idea.

    Soddisfatto di questo escamotage della pigrizia mi avvolgo meglio nella coperta tentando di ritrovare i percorsi della nebbia di Morfeo, ma una parte ribelle della mia mente non ne vuole sapere e continua a ripetermi ordini imperiosi misti ad ambigue lusinghe che prendono la forma di confuse promesse di gratificazione intellettuale e ricompensa morale.

    Non riuscire a controllare i miei processi mentali mi innervosisce e questo contribuisce a farmi passare il sonno. La mente, subdola e opportunista, ne approfitta e, con rapidità, cattura gli spazi del dubbio insinuandovi un’idea che, seppur banale, apre una breccia nell’intelletto assopito, mentre sferza violentemente una moralità ormai succube di una cultura impietosa. La tiepida vittoria diplomatica nella quale mi ero crogiolato per qualche secondo mostra tutte le sue debolezze; tento di rimodulare le condizioni di un accordo tra due contendenti antitetici e implacabili persuadendomi che una sola idea non costituisce un motivo sufficiente per alzarmi e iniziare a lavorare.

    Troppo intontito per resisterle mi piego alla logica della ragione e mi convinco che un’eccellente soluzione sia lasciare la mente libera di riflettere ancora un po’ sfruttando le potenzialità sconosciute del caos onirico prima di costringerla entro i rigorosi confini di un lessico conosciuto. Allego a questo pensiero un debole rimasuglio di speranza nella compassione da parte di una coscienza che non ho allenato alla pietà.

    All’improvviso un’idea. Subdola, violenta, allusiva irrompe nella mia mente ed esplode mentre uno spaventoso effetto a catena dissipa ogni nebbia.

    La coscienza, succube dell’imperativo morale e imbrigliata da un vago senso dell’onore, si inchina dignitosamente al vincitore.

    Ho perso.

    Sconfitto, mi alzo.

    2

    Non so se ci sia un momento adatto per scrivere. È da molto tempo che giro intorno a questa domanda, ma non so trovare una risposta. Forse più che momento sarebbe meglio dire uno stato d’animo, meglio ancora uno stato mentale. Mi sembra che i pensieri migliori vengano quando la mente riesce a sfuggire a quella specie di autocontrollo che inconsapevolmente tutti, credo, abbiamo. Immagino che, per la maggior parte di noi, una specie di meccanismo inconscio, forse simile a quello della rimozione, incanali i nostri pensieri verso direzioni socialmente accettabili, o in qualche modo utili e impedisca così l’emergere del lavoro creativo della mente, che rimane per lo più nascosto. Ricordi di letture giovanili mi suggeriscono che forse Freud avrebbe qualche cosa da dire in merito.

    Un modo abbastanza comune per allentare questi freni inibitori sarebbe quello di ubriacarsi, credo che molti scrittori apprezzassero l’alcol, o farsi le canne, pratica che mi sembra sia in uso tra alcuni musicisti. Banale e poco originale. Penso in ogni caso di poter affermare con certezza, almeno per quanto mi riguarda, che il freddo non favorisce la creatività. Quando ho meno di tredici gradi nella stanza non mi vengono idee. Mi autoconvinco che i grandi scrittori nordici del passato fossero ricchi abbastanza da potersi permettere case riscaldate o, in alternativa, che non scrivessero durante i mesi invernali.

    Cerco di ingannare l’autocontrollo della psiche appisolandomi e svegliandomi all’improvviso. Iperboli creative, immagini seducenti, labirinti di pensieri che si intersecano e si disperdono uno nell’altro. Suggestioni oniriche. Mi alzo furtivo al buio tentando di mantenere parte della mente frammentata nell’irripetibile. Meteore concettuali smarrite per sempre nell’oscurità mano a mano che tento di imprigionarle nelle parole. Solo con la penna in mano davanti al quaderno nel ricordo del sublime. Era… Era.

    Stupito davanti a un altro me che mi guarda e sorride benevolo, ma sorpreso quanto lo sono io dalla mia incapacità di ricreare quello che lui vede. Provo e riprovo in un tentativo incessante di diventare lui pur rimanendo me, di appropriarmi delle sue percezioni e di riprodurle con le parole in un goffo tentativo di trasformarle in un qualcosa su cui la mente possa vagare soddisfatta. Un altro me, ignaro esploratore di speranze ancora vergini e di sguardi sinceri, mi guarda, mentre lentamente si allontana. Mi osservo (lui) allontanarmi (si), originario vivente, inconsapevole uomo, poeta dell’esistenza. Si gira, mi guarda. Rimprovero, incoraggiamento, persuasione, evidenza. Il tempo si contrae, possibilità si perdono nell’incertezza.

    Rileggo quello che ho scritto. Ripenso alle persone delle quali voglio descrivere i pensieri. Claudio, Brenno, Silvia, Michelangelo… Attori di un medesimo universo che raccontano se stessi e le proprie storie, giorno dopo giorno a sé e agli altri, nella speranza di trovare un senso per quello che vedono e che, forse, ancora sfugge. Una storia più grande di loro che volenti o nolenti sono costretti a comporre giorno dopo giorno, pur senza vederne i contorni. Tento di raccontarla per loro.

    3

    Incontrai Brenno la prima volta in palestra.

    Mi ero trasferito da poco e pensavo che, praticare un po’ di attività sportiva, fosse anche un buon modo per fare qualche amicizia. Avevo scelto la palestra perché da ragazzo avevo praticato il karate per alcuni anni e lo trovavo un modo per tenermi in forma sia fisicamente che mentalmente. Ho praticato anche altri sport, nuoto, corsa, salto con l’asta, ma nessuno di questi ha mai richiesto la concentrazione che richiede un combattimento di karate. Avere di fronte un avversario, guardarlo negli occhi e vedere nel suo volto inespressivo la fredda, impersonale e quasi meccanica determinazione a colpire; studiarne i movimenti, ascoltarne il respiro, osservarne le reazioni con la consapevolezza che al mio primo movimento sbagliato mi colpirà, probabilmente, con un calcio in pieno petto, e ciononostante annichilire l’istintiva paura del dolore tentando di individuare un punto debole, un movimento degli occhi, una smorfia traditrice, un impercettibile spostamento del suo corpo e poi sferrare l’attacco. Pochi secondi durante i quali non esiste nient’altro se non lui, durante i quali i sensi sono selvaggiamente rivolti alla sola lotta, il corpo non sente alcun dolore e l’anima non prova alcuna pietà.

    Al temine dell’allenamento, nello spogliatoio e sotto le docce, raccogliamo noi stessi, i cocci dell’orgoglio spezzato o i ricordi di una giovanile invincibilità. Il più delle volte, fortunatamente, le percezioni si mescolano in modo indefinito, confuso, frammenti di realtà che gli atleti più saggi sanno modellare con maestria quasi orientale a seconda del carattere di ognuno.

    Bel combattimento, mi dice avvicinandosi mentre si asciuga la testa, col maestro… gli hai dato del filo da torcere.

    Fisico robusto, mascella importante, sguardo deciso, ma buono. Le ciabatte per la doccia di colore verde acceso fanno pensare a un acquisto d’occasione della moglie.

    Sì, mi è piaciuto, rispondo senza falsa modestia.

    Ero d’accordo, era stato un bel combattimento. Non cerco l’approvazione altrui, ma ammetto che ha ragione e accetto il complimento come giusto riconoscimento di un’azione ben fatta.

    Sei svelto di gambe, dice sedendosi sulla panca.

    Abbiamo tirato (si dice così) insieme qualche volta e, come accade spesso, dopo un po’ di lividi si è stabilita una certa confidenza.

    Preferisco il combattimento a distanza. Vedo prima i colpi e proteggo il viso, rispondo. Sai com’è, sono leggero, se mi colpisce qualcuno di quelli mi sfascia, aggiungo indicando un paio di ragazzi sui novanta chili.

    Sono passati quasi due anni da quando un piede, sbucato all’improvviso in maniera irriguardosa e violenta durante un allenamento, mi intaccò un incisivo inferiore portandomene via un pezzo. Il proprietario del piede si scusò, ma mentre mi toccavo la mascella dolorante vidi il maestro che mi guardava e, molto educatamente, con gli occhi mi diceva bravo cretino.

    Buona tecnica, dovrei provarla anche io, ma non sono abbastanza agile, risponde mentre mi guarda come per chiedere conferma, anche se avrei l’età per esserlo, aggiunge con l’aria crucciata.

    Per quanto mi riguarda non sono sicuro che si tratti solo di agilità. La paura di prendermi un colpo fa la sua parte.

    Ah, ah! Buona. Hai ragione però. Ogni tanto arrivano delle botte… L’altra settimana il rosso si è preso un ushiro nello stomaco che l’ha piegato in due. Non respirava più! Si sono messi in due a tenerlo in piedi e uno gli muoveva le braccia, dice quasi divertito.

    Credo che scherzare su queste cose sia un modo, comune tra chi pratica arti marziali, per esorcizzare la paura di un colpo pericoloso, o per sminuirne in anticipo le potenziali conseguenze negative.

    Me lo ricordo. È stato Franco vero?

    Sì, sempre lui. Se ti scopri non ti perdona.

    Fa parte del gioco, rispondo serafico mentre ripenso con fastidio all’ultimo calcio che mi è arrivato nello stomaco. La sensazione dura un attimo e si dissolve nell’atmosfera di spensierata rilassatezza che caratterizza i momenti successivi agli allenamenti, quando la tensione dei combattimenti è terminata.

    Non sei di qui vero? domanda mentre piega il kimono .

    No. Torino.

    Ah, mia moglie è di Torino. Mi sembrava di riconoscere l’accento. È tanto che sei a Roma?

    Tre anni.

    Come ti trovi? Ti piace la capitale? domanda mentre prende i vestiti dal borsone.

    Beh, è decisamente più caldo.

    Diplomatico, risponde sorridendo.

    La gente guida in maniera più disordinata, aggiungo distrattamente mentre abbottono la camicia.

    Perseveri.

    Fate la pizza troppo sottile e croccante che non si è mai vista da nessuna parte se non qui e il riso crudo che si digerisce l’indomani. E anche sull’abbacchio ho delle riserve, rispondo meticolosamente.

    Ah ah! ride divertito. Sulla pizza te l’appoggio, sul riso… boh, forse, ma non mi toccare l’abbacchio.

    Lo immaginavo, rispondo mentre cerco le scarpe sotto la panca.

    Sei qui per lavoro immagino.

    Insegno.

    Ah! esclama sorpreso. Cosa?

    Storia.

    Interessante. Al liceo?

    Roma Tre, aggiungo mentre vado a recuperare la scarpa sinistra due metri più in là.

    Mmmh, uno storico vero e proprio, dice sorpreso. Anche a me interessa la storia. Purtroppo me ne sono accorto troppo tardi, aggiunge con un’espressione di disappunto. Avevo già finito le scuole. La stupidità dei giovani. Pensiamo solo alle ragazze e a giocare a pallone.

    Tu cosa fai?

    Lavoro alle poste. Niente di interessante, ma il posto è sicuro, e di questi tempi non è poco, e ho abbastanza tempo libero per dedicarmi a quello che mi piace.

    Mi sembra una buona prospettiva, dico come per incoraggiarlo.

    Spero di aver fatto la scelta migliore tra quelle che avevo a disposizione, dice poco convinto. "Va bene… devo andare, tra un po’ passa la metro . Dove abiti?"

    Qui vicino.

    Bene, più o meno anche io, tre fermate. Qualche volta ci vediamo a casa mia allora. A mia moglie farà piacere parlare con un concittadino, dice allegro. E poi noi due discutiamo di storia, aggiunge con un cenno di intesa mentre si alza.

    Volentieri, alla prossima allora.

    Ci vediamo venerdì, dice alzando la mano per salutarmi.

    Finisco di vestirmi, esco dagli spogliatoi e passo in segreteria a ritirare le chiavi della macchina. C’è Raffaella, insegna judo ai ragazzi. Credo l’abbiamo messa lì apposta perché è carina. Scelta azzeccata direi perché ho sentito dire che quasi tutti i ragazzi che vengono a chiedere informazioni sui corsi poi si iscrivono. Qualcuno si lamenta perché i corsi di judo sono sovraffollati mentre quelli di karate e aikido hanno molti posti liberi. Anche l’occhio vuole la sua parte. In ogni caso lei è molto professionale, anche se simpatica e se si accorge che qualcuno appena arrivato ha atteggiamenti troppo amichevoli lo rimette subito a posto con un combattimento serio come si usa dire qui. Il metodo funziona benissimo, anche perché i malcapitati dopo essere stati vergognosamente pestati senza difficoltà da una ragazza non osano più parlare neanche negli spogliatoi per almeno un paio di settimane.

    Ciao Bruno, dice sorridendo. Hai lavorato bene oggi?

    Benissimo grazie. Tu tutto bene?

    Sì, ho una gara per le qualificazioni ai nazionali tra un mese e mi sto allenando molto.

    Mmmh… impegnativo. Dove?

    A Novara.

    Allora ti vedrò spesso in questi giorni.

    Credo proprio di sì.

    Ti va una spremuta?

    C’è un piccolo bar nella stanza adiacente a quella con il tatami. Come deve essere per un bar di una palestra che si rispetti, non offre molte tentazioni e la spremuta di arancia è la bevanda più richiesta.

    Ti ringrazio, ma ho lezione tra poco e non vorrei mi desse fastidio.

    Okay a venerdì allora.

    Ciao.

    4

    Piove sulle finestre del mio appartamento al terzo piano di una casa qualunque in una via qualunque. Il rumore delle gocce sui vetri delle finestre. Una tazza di latte caldo è quello che ci vuole. Non posso uscire senza. Il pane è quasi terminato. Devo ricordarmi di comperare la farina. L’anno scorso mi sono regalato una paniera , mi piace chiamarla così. Farina, latte, sale e lievito e dopo quattro ore ho il pane caldo.

    Piacere notevole: pane, latte, marmellata e silenzio. Piano piano la mente si disannebbia. Mi scaldo le mani con la tazza del latte. Potrei stare così a guardare fuori per un’ora intera. Mi piace questa luce, anche questo colore del cielo. Sì, azzurro è più allegro, ma così è più affascinante. Ci sono delle storie in quelle nuvole. Ci sono i miei pensieri. Forse è per questo che le guardo e aspetto.

    Portano storie che vengono da lontano, si fermano giusto il tempo necessario affinché qualcuno le ascolti. Poi se ne vanno. Qualche volta forzano un po’ la mano e allora viene giù un acquazzone, così anche chi non vuole è costretto ad ascoltare. Era bravo a raccontare storie mio nonno.

    È più romantico un cielo con le nuvole. Belli quei quadri di Turner. Era un romantico? Boh. Tanto non so neanche se quelle sono nuvole. Un grande casino direbbe una mia amica, però mi piacciono, c’è movimento, sentimento, sembra che dietro quel turbinio di colori ci sia una vitalità spaventosa. Il film su di lui non mi è piaciuto. Me lo ero immaginato diverso. Lo hanno descritto proprio male. Ma forse era così davvero.

    Un camion si è ribaltato lungo la statale tre-quattro-sette all’altezza di Empoli a causa del forte vento e del fondo stradale reso particolarmente scivoloso dal nevischio. Il conducente è rimasto ferito ed è stato trasportato all’ospedale più vicino. Sul posto sono intervenuti la polizia e i vigili del fuoco.

    Devo dire al vicino di abbassare il volume della radio. Inutile. Tanto dopo una settimana se lo scorda.

    Pronto… sì… sì… la ringrazio, ma non mi interessa… no grazie mi trovo bene con questa compagnia… arrivederci.

    Che seccatura le telefonate alla mattina presto. Qualcuno potrebbe dire che le nove e mezza non è proprio l’alba, ma per quanto mi riguarda presto è quel periodo che va da quando mi alzo a quando ho definito chiaramente il programma delle attività della giornata, compreso se, quando, cosa e come devo scrivere. Potenzialmente dalla mattina fino al primo pomeriggio. Però comprendo che anche chi telefona deve fare il proprio lavoro e quindi quando rispondo sono gentile.

    Pochi giorni fa mi ha telefonato una ragazza alle diciannove e mezza. Le ho risposto come al solito, ma lei insisteva e allora le ho detto che stavo cenando. Si è interrotta all’improvviso. Sta cenando? mi ha domandato con la voce incredula e un leggero accento siciliano. Usi e costumi.

    La bolletta del telefono! È scaduta da due settimane. Se mi staccano la linea non ho più internet. Non posso rimanere senza collegamento, ho mandato una ventina di curriculum e aspetto le risposte. Detesto quelli che non rispondono. Potrebbero almeno dire che l’hanno ricevuto. Penso agli addetti alla selezione del personale nelle varie aziende che devono leggersi noiosi curriculum vitae pieni di elenchi di scuole, corsi, tirocini, impiego presso questo o quell’altro. Poveretti. Ne riceveranno decine ogni giorno, anche per loro arriva il momento di saturazione e non rispondono più a nessuno. In fondo li capisco, se dovessero rispondere a tutti perderebbero gran parte della giornata. Quello che mi sfugge è perché le mie lettere arrivino sempre dopo quel momento di saturazione.

    I risparmi dell’ultimo lavoro diminuiscono troppo in fretta. Fortunatamente fra un po’ mi arriveranno i soldi dell’insegnamento dell’anno scorso. Se non avessi questi contratti non saprei come fare. Quel concorso per le scuole superiori tira per le lunghe. Se almeno si decidessero a dare i risultati. Quasi sessantaquattromila posti. Riuscirò a prenderne almeno uno? Lo stipendio non è alto, ma posso integrarlo con i contratti all’università.

    È lento questo computer. Aprire la mail alla mattina è un modo qualsiasi per iniziare male la giornata. Una caterva di cagate pubblicitarie e nessuna risposta. Frustrante inizio di giornata, predispone male. Portalelavoro.com. Da quando mi sono iscritto mi arrivano e-mail quasi ogni giorno. Almeno ci fosse un’offerta interessante.

    Sognate di lavorare in Ferrari? In altri tempi, o in altri luoghi avrebbero detto alla Ferrari. Non capisco niente di automobili.

    Concorso orchestrali. Mi piacerebbe, posto tranquillo, ma non so suonare.

    Camerieri. Potrei, alcuni personaggi famosi hanno iniziato così.

    Stage per neolaureati in ingegneria. Avrei dovuto studiare ingegneria.

    Concorso per 178 posti. Cosa sarà? L’amministrazione comunale di Padova, potrei anche andarci, è vicino a Venezia e posso anche andare in montagna ha reso noto che sono stati approvati due progetti per creare occupazione per coloro che si trovano in situazioni disagiate non so bene cosa intendano con disagiate, ma sento che potrebbe interessarmi, bla, bla, bla , esperienze giovanili, indimenticabili, inoltre 162 persone disoccupate… inserimento lavorativo in aziende del territorio… settori tecnico-manutentivo. Lo diceva la mia vicina quando ero piccolo che era meglio frequentare un istituto professionale.

    Concorso con stipendio 2750 euro al mese, interessante bla, bla, azienda per la cura geriatrica… Non sono titolato, non avrei mai studiato medicina. Non ci sono portato.

    Mi sono stufato. Devo scrivere a qualche giornale per proporre una collaborazione. No, non serve… sono sconosciuto ma insegno all’università… solo un contratto, mi devo fare un nome. Certo non me lo faccio facendo il magazziniere all’Ikea o il cassiere alla Feltrinelli. Riusciranno a fare le graduatorie per questo concorso? La bolletta. Meglio pagarla subito. Le risposte dovrebbero arrivare a giorni. C’era anche quel concorso alle poste. Devo chiedere a Brenno come si sta. No, meglio di no. Dietro lo sportello a pagare le bollette, spedire raccomandate e rispondere a domande sempre uguali. Meglio l’Ikea. Almeno parlo poco e posso pensare ai fatti miei. Sì, un lavoro manuale è meglio. Concentrarmi su cose banali mi fa venire mal di testa.

    Quel libro è caduto sulla tazza di Dublino, ancora un po’ e la butta giù. USA on the road. Belle foto, magari prima o poi ci torno. Potrei insegnare storia. Mal che vada insegno italiano. Se mi stufo qui ci provo. Ma forse ce ne sono già troppi italiani laggiù. Poi ci penso. Lo sguardo vaga sulla libreria. È meglio se sposto anche Guerra e pace, troppo vicino a quel portafotografie, se cade lo rompe; mi dispiacerebbe, è un ricordo.

    Mi alzo, prendo il libro. Tolstoj. Osservo il suo viso nella foto della quarta. Tento di comprendere i suoi pensieri, cerco nei suoi occhi qualche cosa che lo renda vivo per un attimo, che mi consenta di abbracciare attraverso di essi la vastità della sua esperienza. Lo immagino nella sua casa, seduto a una scrivania circondato da libri aperti e da fogli pieni di appunti, mentre tenta di ricordare dove ha messo i rapporti sulla battaglia di Borodino o le informazioni sugli spostamenti delle truppe francesi.

    Cerco al computer altre immagini di lui che mi raccontino qualche cosa della sua vita nel goffo tentativo di comprendere la sua personalità. Lo vedo in divisa, da giovane in abiti civili, in campagna con i nipoti. Mi fermo su quella foto che lo ritrae, ormai vecchio, seduto con le mani incrociate appoggiate su un libro che ha davanti a sé mentre guarda nell’obiettivo. Rimango con lo sguardo fisso sui suoi occhi. Le sue pagine non mi bastano, voglio vedere la sua anima, scrutare i suoi ricordi, voglio vedere attraverso di essi la violenza delle battaglie, le sofferenze dei contadini, lo sfarzo delle corti. Ho letto che una volta, non più giovanissimo, sfidò a duello Turgenev per un motivo quanto mai futile. Quello, più vecchio di dieci anni, rifiutò gentilmente. Il buon senso, o il fato gentile, risparmiò all’umanità una grave perdita. Anche il grande Tolstoj aveva i suoi momenti di debolezza.

    Mi siedo sul divano mentre penso che Pierre Bezuchov ricorda vagamente il mio amico Aldo.

    5

    Due settimane dopo Brenno mi invita a cena. La casa è semplice, ma accogliente e Silvia, la moglie di Brenno, l’ha arredata con gusto. Nella sala alcune foto di loro due in vacanza e qualche ricordo di viaggi africani. Un cofanetto in radica, la foto di Silvia che sorride vicino a una donna Tuareg con la testa avvolta in un velo blu, Brenno vicino a un cammello, un tramonto con un albero in primo piano.

    Deduco che vi piace l’Africa, dico mentre osservo il cofanetto.

    Sì, ci siamo stati due volte. Sono affascinato dal deserto e dalle popolazioni che ci abitano, risponde con entusiasmo. Ci sei mai stato?

    Nel deserto purtroppo no, ma credo anch’io che sia una bella sensazione. Ho visto Casablanca da ragazzo. Mi sono perso al mercato e non riuscivo a venirne fuori. Quella invece è stata una brutta sensazione.

    Ah ah, immagino, risponde divertito. Anche a Silvia piace girare per i mercati. È sempre in cerca di qualche oggetto caratteristico. La maggior parte delle cose che vedi qui le ha trovate lei. Pensa che ha imparato anche qualche parola di arabo.

    Davvero? domando stupito rivolgendomi a lei. Ho sempre pensato che fosse una lingua ostica per noi europei, più che altro a causa del suono delle parole.

    Sì, bisogna esercitarsi un po’, ma basta poco. Comunque conosco solo poche parole, giusto quelle che mi servono per comprare qualche cosa al mercato e domandare come arrivare da una parte o dall’altra. In ogni caso, continua, le ho imparate solo per gioco. Credo che ogni venditore di quei luoghi sappia farsi capire almeno in tre o quattro lingue.

    È gentile e ha lo sguardo deciso e i modi di chi si trova a proprio agio con le persone.

    Vorrei averlo saputo quando ero a Casablanca invece di andare in giro come uno scemo cercando di trovare l’uscita.

    Mi ha detto Brenno che vi siete conosciuti in palestra, dice appoggiando sul tavolo il vassoio con la pasta.

    Sì, ci siamo anche picchiati qualche volta, rispondo scherzando.

    Ah ah! E chi ha vinto?

    Un giusto pareggio direi.

    E come mai hai scelto questo sport?

    Un po’ per calcolo. Da ragazzo ero un tipo mansueto, forse troppo, ma non sopportavo le prepotenze e lo dicevo apertamente. Questo a qualcuno non piaceva e così mi sono trovato un paio di volte in brutte situazioni.

    Mmmh, mugugna Brenno, conosco la storia. Vuoi vino?

    Sì, grazie, rispondo porgendogli il bicchiere. Anche tu un difensore degli oppressi?

    Più che altro un difensore di me stesso. Da bambino ero tutto ossa. Una volta al mare un ragazzino con il quale giocavo me le suonò che ancora me lo ricordo, per gioco, però erano proprio tante. Mio padre, che a queste cose ci teneva, ci rimase male e così decise di iscrivermi a un corso di karate.

    Una storia forse abbastanza comune. Ottime queste penne, dico guardando Silvia che mi sorride sodisfatta. Mi viene in mente un articolo che ho letto tanti anni fa su Cassius Clay. Ve lo ricordate?

    Certo, il campione di pugilato, risponde Silvia.

    "Dicono che un giorno, quando era ancora un ragazzo, qualcuno gli rubò la bicicletta. Lui andò al posto di polizia e il poliziotto gli disse Senti, non so se riusciremo a ritrovare la bicicletta, però se vuoi io ho una palestra di pugilato. Magari la bici non la recuperi, ma se trovi quello che te l’ha rubata puoi gonfiarlo di botte."

    Ah ah, profetico, mi pare che ne abbia gonfiati tanti, dice versandosi del vino. Ci potrebbe stare, anche se io non sono come Cassius Clay.

    Però sono tanti anni ormai che vai in palestra.

    No, ho interrotto per qualche anno e poi ho ripreso, ancora un po’ di pasta?

    Sì, grazie, rispondo porgendogli il piatto. Hai fatto bene, è un peccato perdere l’agilità.

    Sì, ma non solo per quello.

    Lo guardo e lui capisce che deve continuare.

    Mi mancava un piccolo intervallo di tempo durante la giornata nel quale le cose sono chiare e semplici.

    Mmmh, mugugno mentre mastico l’ultima forchettata di pasta, semplici, ma un po’ violente direi.

    Fate spazio per il secondo, urla Silvia dalla cucina.

    Forse, risponde Brenno spostando la bottiglia del vino, ma fa parte del gioco. Vedi, in un combattimento non si può barare, non ci sono sotterfugi e tutto si svolge alla luce del sole. Chi colpisce per primo è il più bravo. Non c’è nessuno che trova scuse. Ti ha colpito? Basta. Non c’è da discutere. Ti sei impegnato, hai avuto l’occasione di vincere, ma le hai prese, e se le hai prese vuol dire che lui è migliore. Punto. Il risultato è sacro.

    Oh! esclamo stupito. Il combattimento come manifestazione della verità. Proudhon sarebbe stato d’accordo con te.

    Mi guarda sorpreso, aggrotta le sopracciglia.

    Un filosofo?

    Annuisco.

    Bene. Hai visto Silvia? domanda rivolgendosi a lei. Penso come un filosofo.

    Ma se non sai neanche chi è! risponde lei mentre appoggia sul tavolo il piatto con le bistecche.

    Non c’entra. È il pensiero che conta. Mi fai venire in mente quello che ha detto durante una lezione il nostro maestro.

    Ulderico?

    Sì. Probabilmente non eri ancora a Roma.

    Dimmi.

    Chiunque salga sul tatami per un combattimento accetta le conseguenze di quello che fa. Potrebbe essere anche mia nonna, ma se sale deve sapere che prenderà un sacco di botte.

    Libertà e responsabilità. Suona aristotelico.

    Oh oh, ma qui il discorso si sta facendo colto, interviene Silvia.

    Mi piace il nesso. Vuoi essere libero di fare quello che vuoi? E allora rispondi di quello che fai, osserva Brenno convinto.

    In ogni caso a me sembra un po’ forte, dice Silvia. Non è che il vostro Ulderico è un po’ montato?

    A me sembra giusto. Non ricordo cosa diceva Aristotele, però mi piace come orientamento. Mi passi quella bistecca? Quella lì più cotta, dice indicando alla moglie il piatto. "È un poco come chi rompe paga no?"

    Beh sì, più o meno.

    Dovrebbe essere più diffuso questo concetto oggi. Molta gente vuole fare solo quello che gli piace e poi protesta e se la prende con gli altri se gli va male. Vedi, io ad esempio ho scelto di non terminare l’università e adesso ne pago le conseguenze.

    Ma se ti lamenti sempre, replica Silvia in tono canzonatorio.

    Non mi lamento, puntualizza lui, "ripenso agli errori che ho fatto . Ascolta, dice con l’aria di chi ci tiene a far comprendere il proprio punto di vista, dopo il liceo mi sono iscritto alla facoltà di lettere, ho fatto una decina di esami, ma appena ho trovato lavoro alle poste ho smesso di studiare. Erano tempi difficili e non era facile trovare lavoro. Così ho preso l’occasione al volo. Certo non era la mia aspirazione, ma mi accontento. Qualche volta ci penso, avrei voluto insegnare, poi mi chiedo mi sono laureato? No. E allora ciccia. Lavoro alle poste. Mi arrabbio un giorno sì e uno no per le cose che non funzionano, ma questo è quello che ho trovato, è inutile che mi lamenti. Beve un sorso. Non te l’ho detto vero che mi arrabbio un giorno sì e uno no?"

    Ancora no, rispondo incuriosito.

    Allora ti spiego, dice mentre sposta il bicchiere e spiana la tovaglia chinandosi leggermente verso di me come per assicurarsi che le sue parole vengano ben comprese. Quando vedi che le cose potrebbero funzionare, ma non funzionano perché qualcuno non fa quello che deve allora ti arrabbi. Quando vedi che chi dovrebbe decidere o agire non lo fa perché ha paura e per giustificarsi tira fuori un sacco di frottole allora ti arrabbi. Quando una persona allo sportello protesta con te per una cosa che un mese prima tu avevi detto di fare, ma nessuno ti ha ascoltato allora ti arrabbi, si interrompe un attimo come se gli fosse venuto in mente qualcosa. Va beh… lasciamo perdere, taglia corto mentre torna alla bistecca. Però ho abbastanza tempo libero per dedicarmi a quello che mi piace. Ti ho detto che sono appassionato di storia vero?

    L’avevo intuito.

    Purtroppo non ho saputo sfruttare le lezioni di storia del liceo. Se potessi tornare indietro, sospira facendo una smorfia, ma come ti ho detto ero troppo stupido a quel tempo. Adesso però cerco di rifarmi, mi dice indicandomi la libreria.

    Vedo scaffali pieni di libri sui più disparati argomenti. Lui mi guarda, nonostante tutto, con un impercettibile senso di colpa.

    Mi sarei potuto laureare, dice come rimproverandosi, ma mi ero stufato di studiare quello che dicevano loro. Ho pensato di iscrivermi di nuovo, ma ormai non sono più un ragazzino e mi piace leggere quello che voglio, poi guarda la libreria. Magari ti sembrerà buffo… tutti questi libri senza un criterio. Però se leggo una cosa poi voglio approfondirla e poi ne leggo altre e voglio sapere tutto anche su quelle.

    Davvero tanti, dico guardando la libreria, prima o poi te ne chiederò qualcuno.

    Serviti pure, interviene Silvia, non ne sentiremo la mancanza. Ci sono più libri che mattoni su queste pareti.

    Brenno mi guarda, soddisfatto del mio apprezzamento.

    Prendi quelli che vuoi, così quando li hai letti ne parliamo.

    Lo fai felice, commenta Silvia.

    Tolgo i piatti, dice Brenno alzandosi.

    Porti la frutta? domanda lei sorridendo. Ci sono anche i mandarini nel frigo.

    Hai visto altri posti oltre al Nordafrica? le domando.

    Così mi racconta che, dopo la laurea, aveva deciso di andare a vivere in un kibbutz per un anno. Qui si era fidanzata con un israeliano, uno strano tipo, una specie di obiettore di coscienza, anche se non credo che in Israele fosse così semplice fare gli obiettori. Insomma, obiettore o no, questo tizio, poiché non aveva voglia di andare in guerra, o semplicemente di fare il soldato, era riuscito a lasciare Israele e a trovare un impiego all’estero.

    L’unico aspetto negativo era che il lavoro era in Alaska, su un peschereccio, racconta sorridendo come per dire guarda un po’ dove sono andata a finire. Così siamo andati a vivere in un villaggio in riva al mare. Cambia espressione. Altre temperature… non puoi immaginare, mi dice agitando la mano come le avessero martellato un dito.

    Le credo, il freddo del mare è una cosa abominevole. Sarà il solito discorso del freddo secco e del freddo umido, ma in mare si battono i denti più che in montagna. Per quanto mi riguarda non riesco a immaginare un mestiere peggiore del pescatore in Alaska. Così Silvia, innamorata persa, era passata dal caldo mediterraneo al freddo polare nel giro di una settimana.

    Vita dura, entusiasmante per alcuni aspetti, un po’ difficile per altri, pertanto lei, dopo la sua razione di freddo, neve, orsi, uova di gabbiano e caribù aveva deciso di tornare verso latitudini più mediterranee.

    Bella esperienza, una di quelle cose che sei contento di aver fatto, ma una volta è sufficiente.

    Il ragazzo invece si era ambientato così bene che, avendo non a caso il senso degli affari, aveva deciso di acquistare il peschereccio e di rimanere ancora un po’. Lei non è mai riuscita a capire se avesse più paura di dover fare il soldato o di perdere i soldi che aveva investito, però quando lei tornò il Italia lui rimase là.

    E poi? domando incuriosito.

    Ci siamo scritti per un po’, poi niente. Evidentemente non era quello giusto.

    Evidentemente, conferma Brenno che è tornato con la frutta.

    E tu? Mi ha detto Brenno che sei di Torino, mi

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