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Il marchio di Ribellione
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E-book471 pagine6 ore

Il marchio di Ribellione

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Info su questo ebook

Romanzo fantascientifico e distopico.
L'uomo ha ormai colonizzato l'intera galassia, schiavo di un Governo Interplanetario che controlla tutto e tutti. L'umanità non sa di essere prigioniera. Almeno fino alla comparsa di....
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2020
ISBN9791220215367
Il marchio di Ribellione

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    Anteprima del libro

    Il marchio di Ribellione - Dragon Karma

    fuggire.

    PRE-PROLOGO

    Quando aprì gli occhi i soli illuminavano la stanza da letto. I raggi erano già sufficientemente forti da far attivare i filtri dei vetri fotosensibili e restituivano nella stanza una luce calda e stemperata. Hari si alzò, allungando tutti i muscoli appena raggiunta la posizione eretta. La parete di vetro era modulata sul filtro all’80% quando Hari vi si avvicinò. Con un gesto delle mani in prossimità del sensore attenuò il filtro fino ad impostarlo al 20%. Ora la luce inondava calda l’intera stanza e sul corpo nudo sentiva il tepore dei raggi. Una voce femminile lo salutò in modo caldo ma al tempo stesso distaccato.

    Buongiorno, Hari!.

    Buongiorno Yandan. Toccò il pannello di fronte a lui che silenziosamente si alzò sparendo nel soffitto. Uscì sul terrazzo che si affacciava sul canyon. Alzando gli occhi sopra la linea dell’orizzonte a quell’ora era possibile ammirare la nube di Gerydan. Si potevano vedere soltanto alcuni degli ammassi che la componevano, ma la striscia violacea del braccio esterno della nube attraversava da nord-ovest a sud-est il cielo sopra il canyon anche in pieno giorno. Ora i 2 soli facevano sentire la loro presenza alti sull’orizzonte scaldando la sua pelle chiara. Gocce di sudore cominciavano a comparire, ma voleva respirare l’atmosfera proveniente dall’esterno e non filtrata dai sistemi di aerazione della sua abitazione. Quell’aria carica di umidità, polveri e pollini dava una sensazione rigenerante. Quella artificiale dei diffusori era certamente più salubre ma aveva un odore di finto. Anzi, era proprio la mancanza di alcun odore a dare quella sensazione. Ed effettivamente in un certo senso lo era. Il generatore di aria miscelava secondo propri algoritmi i livelli di ossigeno, azoto e anidride carbonica in funzione della stagione, dell’ora della giornata e dello stato fisiologico di chi era in casa al momento. Restò nudo a godere il calore dei soli ancora per alcuni minuti, dopodiché rientrò in casa. Yandan, chiudi la vetrata. Camminò sul terrazzo che circondava il secondo piano in direzione della cucina, mentre lentamente dietro di sé il pannello di vetro si richiudeva. Si mise frontalmente a quello della cucina e con un gesto di indice e medio dal basso verso l’alto, di fronte al piccolo sensore, fece scattare il meccanismo di apertura della porta-finestra. Yandan, prepara il caffè. Fruttosio 2 grammi..

    Eseguo! fu la risposta. Dal distributore di bevande uscì immediatamente del liquido nero fumante. Hari sapeva che quello che chiamavano caffè, come tutti gli altri cibi, in realtà non era fatto, se non per i ceti più ricchi o in occasioni speciali, dalla bacca del caffè da secoli. Ogni abitazione era dotata di campi di coltura batterici dove venivano prodotti tutti i cibi. Proteine, grassi, carboidrati, sostanze aromatiche, vitamine e minerali venivano generati da colture batteriche. Il caffè veniva fatto da batteri chiamati ‘Coffeatobacter’ geneticamente modificati e nei quali erano presenti i geni della pianta della Coffea arabica capaci di produrre caffeina, aminoacidi, acidi grassi, i composti aromatici e tutto quello che era presente nel chicco di caffè. Hari preferiva quella che veniva chiamata ‘miscela italiana’. Non conosceva nemmeno il significato di ‘italiana’, probabilmente era il nome dell’ideatore. Il caffè di quel tipo era scuro e dal sapore decisamente più forte delle altre miscele batteriche. Ed era certo che quella produzione di molecole di origine microbica non fosse uguale nel sapore a quello del vero caffè. Anni prima aveva avuto la possibilità di assaggiare un caffè fatto da vere bacche, coltivate sul terreno e cresciute al sole. Erano state ridotte in una grossolana polvere da un macinatore e poi fatte attraversare dall’acqua mediante una rudimentale caldaia. Il sapore era simile a quello batterico eppure il gusto di quel caffè gli era rimasto impresso. Persistente, forte, amaro ma al tempo stesso piacevole. Il profumo che si sprigionava da quella piccola caldaia messa sul fornello era ciò che più di tutto lo aveva colpito. La nobile famiglia che glielo aveva fatto assaggiare aveva origini terrestri e aveva assicurato che quello fosse vero caffè fatto alla maniera terrestre, secondo la tradizione di un bis-bis-bis, non sapevano nemmeno quanti bis, nonno nativo terrestre.

    Bevve il caffè lentamente e gettò il bicchiere nel riciclatore. Si diresse verso il bagno e aprì l’acqua calda della doccia che arrivò istantaneamente alla temperatura preimpostata di 38° C. Si infilò sotto il getto caldo. Dopo alcuni minuti spinse il bottone verde che consentiva la miscelazione di un detergente e disinfettante all’acqua. Una schiuma celeste coprì la pelle. Dopo 60 secondi il pulsante verde lampeggiò e l’acqua tornò normale. Rimase a rilassarsi ancora diversi minuti sotto lo scroscio battente di calda acqua che si nebulizzava cadendo sul suo corpo, sollevando vapore che veniva aspirato da un’impercettibile corrente d’aria proveniente dall’aspiratore sopra l’ugello della doccia. Serviva a recuperare l’acqua senza modificare il tasso di umidità del bagno. Hari spinse il pulsante rosso della pulsantiera e l’erogazione dell’acqua si interruppe. Un flusso di aria calda unito a raggi infrarossi dal basso verso l’alto fece evaporare l’acqua che ancora bagnava la pelle all’istante. Si diresse ancora con i capelli bagnati verso lo specchio. Si guardò. Il trattamento della sera prima aveva reso la barba morbida e folta, di un colore nero corvino. Prese lo spazzolino, lo portò alla bocca, e mise il terminale di silicone trasparente in corrispondenza delle sue arcate. Sul terminale si potevano osservare dei piccolissimi fili di fibra di vetro. Appoggiò lo spazzolino ai suoi denti e spinse il bottone sull’asta. Da ognuno dei piccoli filamenti, pulsò una luce azzurra che lampeggiò 5 volte nella sua bocca. Deodorò poi il petto e le ascelle perfettamente glabre ed uscì dal bagno per vestirsi.

    Indossò i pantaloni ed una maglia schermata contro i raggi solari ed uscì di casa. Prese l’aeromobile ed impostò la rotta per il laboratorio. Il mezzo silenzioso si staccò in volo alzando appena un lieve soffio di polvere e poi prese la rotta impostata. Sotto scorreva il canyon dove l’erba stava iniziando ad inverdire il paesaggio e gli arbusti impiantati erano appena visibili. Facevano parte della quindicesima serie di test sulle arbustive. Nel giro di 15 anni terrestri la vegetazione sarebbe stata sufficiente a garantire l’ossigeno e riciclare l’anidride carbonica per una vita autonoma sul pianeta. Nonostante il progetto fosse ancora in corso d’opera ed i tempi fossero stati perfettamente rispettati, molto ancora restava da fare ed il risultato era garantito, al momento, soltanto al 78%. Così aveva personalmente calcolato. Le varietà appositamente modificate per resistere alle condizioni del nuovo pianeta colonizzato avrebbero resistito alla prova più probante, cioè quella della realtà? Le condizioni sperimentali avevano dato risultati positivi al 99,99997%, ma le condizioni sperimentali non riescono mai a simulare davvero lo scenario reale. Tuttavia finora i risultati erano stati incoraggianti. Da una probabilità di successo iniziale del 66,78% dell’anno precedente, l’incremento era stato confortante e il suo lavoro stava dando i frutti sperati. E tutto sarebbe andato liscio per i successivi 14 anni.

    PROLOGO

    Tutto ebbe inizio 150 anni prima. Il consiglio supremo del Governo Interplanetario, a fronte della crescente popolazione del pianeta Omicron, il quale vantava ormai 14 miliardi di persone, decise di colonizzare un nuovo pianeta o una sua luna. I requisiti che il pianeta doveva possedere erano molti e stringenti.

    Non doveva anzitutto presentare segni di vita sviluppata. Nel caso vi fossero state tracce di vita, presente allo stato di microorganismo, delle speciali equipe sarebbero state inviate a campionare ogni forma di vita per valutarne il grado di pericolosità per l’uomo e decidere se modificarla per renderla inerme o sterminarla definitivamente. In questa decisione un ruolo importante era dato dalla funzione del microorganismo presente. Se avesse posseduto caratteristiche favorevoli, come ad esempio la capacità di produrre ossigeno o di sintetizzare aminoacidi, si sarebbe intervenuto sul suo DNA al fine di renderlo inerme pur mantenendone inalterata la qualità. In caso contrario si sarebbe provveduto ad eliminarlo. I metodi di eliminazione potevano consistere nell’infezione con robo-virus [¹] appositamente costruiti, autoreplicanti ed in grado di distruggerli intercalando nei geni dell’organismo sequenze di DNA capaci di dare mutazioni letali. Ovviamente i virus erano perfettamente innocui per la razza umana.

    Il requisito successivo consisteva nell’avere un’atmosfera non letale. Perché l’atmosfera fosse considerata non letale era necessario che possedesse valori di ossigeno di almeno il 18% ed un massimo di 24% e l’assenza di elementi chimici letali. Poteva essere considerato eleggibile anche quel pianeta che non presentava atmosfera ma sul quale le condizioni gravitazionali permettessero di crearne una artificiale in grado di non sfuggire alla gravità planetaria.

    La presenza di almeno una stella con una vita stimata di minimo 1,5 miliardi di anni che permettesse la fotosintesi delle piante e l’utilizzo della sua energia come fonte energetica primitiva ed a una distanza che permettesse temperature medie durante un’intera rivoluzione comprese tra un minimo di -110° ed un massimo di +80°.

    Anche l’orografia del pianeta era attentamente valutata. Erano considerati idonei pianeti dove era possibile la formazione di almeno un oceano e la presenza di almeno il 30% di superfici emerse pianeggianti per lo sviluppo delle città. Anche le montuosità erano ammesse ma con altezze non superiori ai 35.000 metri.

    Fondamentale inoltre che lo scorrere del tempo fosse identico o comunque che la dilatazione temporale gravitazionale non avesse differenze maggiori di ±0.02%. Questa regola era stata introdotta fin dalla prima colonizzazione extra solare per consentire alla razza umana uno sviluppo sincrono. Con un tempo che scorre diversamente nei vari punti dell’universo, si sarebbe infatti andato incontro ad evoluzioni divergenti della razza umana nei vari pianeti. In quelli a scorrimento accelerato si sarebbero accumulati vantaggi sociali, tecnologici e soprattutto evolutivi. Ciò avrebbe favorito una deriva genetica verso la nascita di una razza differente rispetto a quella umana di partenza. Perciò al fine di evitare questo inconveniente la decisione era stata quella di considerare papabili solamente pianeti dove il tempo scorreva in maniera identica a quello terrestre. Questa scelta tagliava fuori moltissimi pianeti e sistemi solari.

    Le ricerche durarono 15 anni. Vennero individuati 3 sistemi solari con pianeti che soddisfacessero tutti i requisiti. I ricercatori furono unanimemente d’accordo nel definire L30n/β il pianeta migliore. Si trovava a 52.333 anni luce dalla Terra, ma ad appena 12 anni luce da Omicron, il più vicino pianeta colonizzato. Non possedeva atmosfera ma si poteva impiantarne una artificiale. Era un pianeta circumbinario, ovvero ruotava intorno ad un sistema di stelle binarie e possedeva una gravità identica a quella terrestre. Compiva una rotazione intera in 3,24 anni terrestri ed aveva una distanza dal sole tale da permettere lo sviluppo di una civiltà. Le osservazioni che si susseguirono per 5 anni mostrarono temperature minime di -30° C nel punto più freddo del pianeta e di + 48° C nel punto più caldo. Era un pianeta che poteva essere colonizzato. Ma l’assenza di un’atmosfera implicava l’impianto di una artificiale e questo posticipava la prima colonizzazione umana di oltre 60 anni.

    Così nell’anno 12.489 P.C. [²] vennero inviate le prime sonde contenenti i robot ATM-GEN di classe 5, e i WAT-GEN di classe 7 i più efficienti esistenti allora. Partiva ufficialmente il progetto ‘Colonize 709’! Le navi contenenti i robot ed il materiale necessario per il progetto, a causa delle loro dimensioni, non potevano passare attraverso un ponte di Sagan-Thorne-Morris artificiale, per cui era necessario che attraversassero tutto lo spazio che divideva i due pianeti. Vennero spediti in un viaggio che impiegava circa 25 anni per giungere a destinazione. Nell’anno 12514 atterrarono sul pianeta 25.000 navi con a bordo equipaggio non umano per un totale di 15.300.000 unità ATM-GEN, 20.000.000 WAT-GEN e 1.500.000 LAB-DROIDE.

    CARATTERISTICHE DEI DROIDI

    Ogni droide, indipendentemente dalla categoria, utilizzava energia solare come fonte energetica primaria e quella nucleare come secondaria. Tutti i droidi erano capaci di estrarre minerali dalla crosta del pianeta sia per svolgere le proprie attività che per produrre nuove parti di ricambio da sostituire per guasti o usura. Inoltre erano in grado di modificare gli atomi di idrogeno per la creazione di atomi stabili con peso atomico diverso arricchendo sia il nucleo di protoni e neutroni che gli orbitali di elettroni. L’energia nucleare veniva recuperata nelle operazioni di produzione di atomi per garantire la seconda fonte energetica. Ogni droide era progettato per lavorare in assenza di controllo umano. Essendo I.A. di 33° generazione prendeva decisioni in automatico e in totale autonomia per il raggiungimento degli obiettivi seguendo lo schema progettuale pre-impostato. Annualmente veniva inviata ad una equipe umana un report delle attività. L’equipe analizzava e decideva eventuali modifiche al fine di correggere i piani futuri attuati dai droidi.

    RUOLO DEGLI ATM-GEN NELLA COLONIZZAZIONE

    Gli ATM-GEN erano droidi atmosferizzatori. Assistiti dall’energia solare e nucleare si dislocarono uniformemente sul pianeta e produssero le prime quantità di ossigeno biatomico. Iniziarono modificando gli atomi di idrogeno, fondendoli e arricchendo il nucleo e gli orbitali di protoni, neutroni ed elettroni fino ad ottenere atomi di 8 protoni, 8 neutroni ed 8 elettroni. Le piccole quantità di ossigeno prodotto inizialmente furono tenute insieme elettrificando gli atomi per creare sacche di ossigeno compatte che non si disperdessero. Nel giro di 10 anni un sottile strato di ossigeno era stato prodotto e permetteva di entrare nella fase successiva del programma, il quale prevedeva che il 15% dei ATM-GEN iniziasse a modificare gli atomi di idrogeno per produrre azoto biatomico, elio e metano. Dopo 60 anni sul pianeta si era formata un’atmosfera spessa 1km in grado di rimanere imprigionata dalla gravità planetaria.

    RUOLO DEI WAT-GEN NELLA COLONIZZAZIONE

    I WAT-GEN erano droidi dotati dell’abilità di generare acqua a partire da idrogeno e successivamente di utilizzare i minerali presenti nel suolo per costruire micro-bot generatori di gas e minerali con cui arricchire le acque. Il loro programma previde l’atterraggio delle navi che li trasportavano nei due principali punti che presentavano le più estese depressioni per la formazione di due oceani. Iniziarono a produrre atomi di ossigeno ed a fonderli con l’idrogeno presente fino a formare molecole d’acqua stabili. Goccia dopo goccia in 50 anni i bot produssero 400 miliardi di chilometri cubi di acqua. A 34 anni dall’atterraggio vennero rilasciati i micro-bot generatori di gas e minerali che disciolsero i principali elementi del fondale oceanico neoformato per permettere a quegli oceani di ospitare forme di vita evoluta. I micro-bot avevano dimensioni di batteri e simulavano esattamente la funzione di questi organismi. Il vantaggio di questi è che si nutrivano solamente di energia solare e sostanze minerali presenti sulla crosta del pianeta.

    CARATTERISTICHE DEI LAB-DROIDI

    I lab-droidi avevano il compito di costruire moduli abitativi e laboratori per l’arrivo degli umani che sarebbero sbarcati 60 anni dopo. Infine le navi utilizzate per lo sbarco sarebbero state smontate e impiegate come materiale edile per l’edificazione dei nuclei. Ogni nave poteva fornire materiale sufficiente per la costruzione ed il completo arredamento di 25.000 nuclei abitativi, 15.000 laboratori, 20.000 aeromobili per il trasporto umano, 5 officine multifunzione per la produzione di droidi ed un palazzo del consiglio supremo capace di ospitare 100 consiglieri. All’arrivo degli uomini non vi sarebbero più state tracce delle navi spaziali, ma al loro posto avrebbero trovato una piccola cittadella in grado di ospitare 100.000 uomini per la prima colonizzazione. Quella prima capitale sarebbe stato il cuore pensante del pianeta e dalla quale la società umana avrebbe sviluppato in ogni direzione i suoi tentacoli fino alla completa colonizzazione del pianeta.

    AL LAVORO

    14 anni dopo il pre-prologo.

    Mancava solo un anno al raggiungimento della soglia di abitabilità planetaria, ovvero il raggiungimento dei valori minimi planetari necessari al mantenimento di un insediamento umano stabile.

    Hari giunse dopo un volo di 15 minuti al ‘Lab 1’, il laboratorio di cui era a capo. L’aeromobile scese sulla terrazza di attracco e sollevò un leggero sbuffo d’aria calda all’approssimarsi del suolo. Il piccolo sportello si aprì ed Hari uscì dal veicolo. Mise i piedi a terra e ruotò il polso sinistro portando il pannello del bracciale all’altezza del petto. Appena gli occhi si posarono sul dispositivo, lo schermo, che copriva l’avambraccio come una fascia, si illuminò. Toccò rapidamente il pannello ed il veicolo in risposta emise un segnale acustico proprio mentre l’avambraccio di Hari veniva scosso da una leggera vibrazione. Lo sportello si chiuse e l’aeromobile si alzò automaticamente in volo per dirigersi sul tetto del laboratorio in attesa di essere nuovamente utile al suo proprietario. Questo era uno dei privilegi di cui godeva il capo del progetto ‘Colonize 709’. Si diresse verso il portellone che permetteva l’accesso alla struttura. Prima di entrare si voltò, per dare ancora uno sguardo alla nube di Gerydan, che era quasi sparita sotto l’orizzonte. Ora erano anche visibili tre delle cinque lune del pianeta. La maggiore, chiamata Mankron, mostrava una cicatrice circolare ben visibile che copriva oltre il 30% della superficie. Era il segno di un devastante impatto con un corpo celeste che circa 350 mila anni prima l’aveva deturpata. L’enorme cratere, ben visibile anche a quella distanza, la marchiava indelebilmente. Le altre due lune visibili al momento nel cielo invece erano il frutto di quel tremendo impatto. Erano state chiamate per questo motivo Adamo ed Eva, come i figli generati da un dio di una antica mitologia terrestre.

    Arrivato all’ingresso della struttura pronunciò: Ricercatore capo Hari Sheppard!. L’intelligenza artificiale analizzò istantaneamente la voce e le misure biometriche di quell’umano. Silenziosamente aprì il portellone dopo aver verificato che costui fosse effettivamente chi aveva appena dichiarato di essere. Nel database di gestione del personale del centro di ricerca, il Dott. Sheppard aveva permessi di ‘Tipo 5’, ovvero completo e totale accesso a tutte le strutture del pianeta. Salve Dottor Sheppard! fu il saluto inanimato dell’I.A. Hari entrò nella struttura mentre l’aeromobile che lo aveva trasportato andò ad attraccare. I mezzi erano attraccati tutti sul tetto della costruzione. L’ufficio ed il laboratorio personale di Hari erano situati al decimo ed ultimo piano. Percorse il corridoio illuminato dai raggi dei soli che penetravano dai pannelli fotovoltaici trasparenti del soffitto fino alla porta che recava la scritta ‘Dott. Sheppard’. Appena avvicinò l’avambraccio sinistro alla maniglia, la porta si aprì scorrendo nella parete di destra e sparendo alla vista. Le vetrate della parete perimetrale davano luce a tutto l’ufficio. I filtri fotosensibili rimanevano disattivati per permettere il completo passaggio dei raggi solari quando nessun umano era presente nelle stanze. Questo permetteva di migliorare la sanificazione degli ambienti grazie all’azione dei raggi ultravioletti. Lo sblocco della porta aveva immediatamente attivato i filtri che si impostarono su un’intensità del 60%.

    Sedette sulla sedia e dalla scrivania attivò lo schermo olografico tridimensionale. ‘Salve Hari’ comparve sullo schermo per qualche secondo. Poi la scritta sparì e lasciò il posto al logo del progetto. Il riconoscimento della retina e del genoma diede esito positivo ed entrò nel sistema operativo.

    Yandan, dove si trova al momento il Dottor Cooper?

    Piano 3, laboratorio di genetica vegetale, sezione ‘Fat Plants’!

    Mettimi in contatto con lui con visione sullo schermo del PC!

    Eseguo! fu la fredda risposta di Yandan.

    Attese una decina di secondi prima che sullo schermo venisse proiettato il volto nero di Isaac Cooper.

    Ciao Isaac, sei giù alle fat plants? Stai controllando per caso come rispondono le ultime della serie 9 alle radiazioni solari?

    Ciao Hari. Sì, sto controllando proprio questo. I tassi di crescita sono buoni! Mediamente sono cresciute di 0.9 mm in 48 ore e resistono bene alla radiazione a cui le stiamo esponendo. Il problema è che secondo me il consumo di acqua è troppo elevato. L’algoritmo calcola che una pianta della serie 9 consuma l’8% in più rispetto a quelle della serie 8.

    "Uhm…questo non l’avevamo previsto! Forse i geni che abbiamo inserito per la resistenza alle radiazioni interferiscono sull’espressione di quelli che regolano il consumo idrico! Dobbiamo fare le analisi fenotipiche e correlarle con il sequenziamento dei geni espressi durante la radiazione! Io direi di analizzare la sequenza nucleotidica [³] per trovare eventuali errori! Se non abbiamo sbagliato niente, il secondo passo da fare è la prova a radiazioni crescenti di 10 punti percentuali da 0% fino al 100%! In questo modo possiamo controllare se il consumo è sempre maggiore o se ci sono alcune intensità di radiazione che incidono più di altre! Ora scendo!. Restò qualche istante a fissare il vuoto e a riflettere sul da farsi. Se tu nel frattempo estrai il DNA dalle foglie e lo sequenzi, possiamo vedere se i geni che abbiamo inserito nella serie li abbiamo costruiti correttamente! Dopodiché ci resta solo di analizzare le espressioni dei geni che avevamo assemblato e li confrontiamo sia con quello che estraiamo nella serie 9 che con quello della serie 8! Che ne dici?"

    Mi metto subito all’opera! Estraggo gli acidi nucleici e li amplifico! Almeno guadagniamo tempo! Ci pensò un attimo su. Ad ogni modo, ieri notte ho fatto un sogno stranissimo, c’eri anche tu! Dopo ti racconto…era proprio strano!

    Va bene!. Un sorriso si fece largo nel volto di Hari. Conosceva i sogni ‘strani’ di Isaac. Di solito contemplavano donne intente a soddisfare le fantasie nascoste del dottor Cooper. Forse stavolta, visto che era presente anche lui nel sogno, avevano soddisfatto anche le voglie di Hari. Oppure Hari era al posto delle donne che dovevano sollazzare il collega! L’idea alla fine non lo dispiaceva molto ma…pensò ad altro… Era il caso di ponderare su come rimediare all’imprevisto aumento del consumo di acqua. Per 100 anni ancora il consumo idrico della flora impiantata sul pianeta doveva essere limitato al minimo. L’acqua attualmente presente sul pianeta era soltanto il 32% del volume totale che doveva essere raggiunto, e di questa oltre l’88% sarebbe andata a costituire l’acqua salata degli oceani e dei mari. Si dovevano ancora formare la maggior parte di laghi e fiumi. Tutte le piante dovevano servire a produrre ossigeno, catabolizzare anidride carbonica e permettere l’avvio del ciclo dell’acqua. Erano perciò fondamentali. Hari aveva già selezionato piante erbacee e alcune specie arbustive che erano state portate da Omicron, idonee ad essere manipolate e impiantate. Lentamente ma inesorabilmente, in prossimità delle coste, il giallo delle rocce e delle sabbie stava lasciando spazio a macchie sempre più ampie di verde. Quattro nuove specie ottimizzate alle condizioni planetarie erano state create nell’ultimo triennio fa Hari e di questo ne era fiero. L’ingegneria genetica aveva creato specie con consumi ridotti, idonee a resistere ai soli e al vento caldo che soffiava nelle pianure ancora spoglie di vegetazione. Ora però iniziava la parte difficile della sfida. Era necessario costruire specie arbustive più evolute. Andavano predisposti i boschi. Erano necessari, oltre che per produrre ossigeno e sequestrare anidride carbonica, anche a fornire biomasse per il nutrimento dei sistemi batterici che costituivano ormai la fonte primaria di produzione degli alimenti. Nonostante l’uomo avesse ormai colonizzato centinaia di ammassi rocciosi e fosse capace di creare wormhole artificiali per il trasporto passeggeri ed informazioni da un punto all’altro dell’universo, era ancora dipendente dal contributo delle piante. Oltre ad essere il metodo più efficiente per la regolazione delle atmosfere, avevano anche una fondamentale funzione psicologica. In ogni mondo colonizzato dove le piante non erano state contemplate, si era assistito a fenomeni deprecabili. Gli abitanti di quei mondi presentavano tassi di aggressione e di violenza molto più elevati che nei pianeti dove le piante erano presenti. Un esempio tra tutti: la ‘catastrofe di Kharonte’, di cui l’intera galassia aveva ancora memoria.

    Il pianeta Kharonte era stato fra i primi extrasolari ad essere abitato. Le procedure tecniche di colonizzazione dell’epoca non prevedevano la piantumazione della superficie prima dello sbarco degli umani. La rudimentale tecnologia a disposizione all’epoca non permetteva infatti l’atmosferizzazione, per cui gli uomini vivevano in ambienti chiusi. La produzione di gas era interamente dipendente dalle macchine. Dopo 200 anni dal primo insediamento un’escalation di violenza portò all’ultimo capitolo di una storia drammatica, culminata con una guerra civile che cancellò ogni essere vivente sul pianeta. Dapprima si assistette ad un aumento preoccupante di omicidi. Quando il governo centrale inviò forze militari per riportare l’ordine, l’intera popolazione attaccò queste come fossero germi patogeni estranei. La risposta delle forze governative non si fece attendere e si arrivò all’uso di armi di distruzione di massa. Potenti bombe ad elettro-impulsi furono usate da entrambe le fazioni per mandare in tilt i sistemi meccanici nemici, compresi quelli di produzione dell’aria. Tutti i 35 milioni di abitanti vennero cancellati dalla storia morendo soffocati.

    L’assenza di vegetazione snaturava in qualche modo la natura primordiale della razza umana. Era ancora presente un legame con la forza generatrice del creato, da cui il genere umano si era evoluto e di cui aveva ancora disperatamente bisogno. La presenza di piante, erba, boschi e di tutto ciò che la loro esistenza comportava, quindi piogge, nubi, ruscelli, dava senso di conforto all’umanità. L’uomo non era ancora in grado di prescindere dal principio naturale da cui si era sviluppato e che l’aveva fatto assurgere, per sua stessa ed unica ammissione, a più intelligente di tutte le creature che abitavano il pianeta primordiale. Da lì era partito millenni prima alla conquista della galassia. Ora lo sguardo umano era rivolto in avanti, all’universo, ma aveva bisogno di voltarsi indietro a contemplare per lunghi istanti il suo antico passato. Come una madre premurosa, la presenza di vegetazione calmava l’animo irrequieto della più ingegnosa ed evoluta delle scimmie. Dimostrava una volta di più che l’uomo era ancora e soltanto un primate vestito con tute antigravità che tentava di giocare ad essere il Principio creatore della vita.

    Hari entrò nel laboratorio buio delle Fat plants mentre Isaac era ancora intento a visionare l’ologramma luminescente delle serie nucleotidiche che l’I.A. proiettava nell’aria, circondandolo completamente. Era questa la parte più divertente ed eccitante della sua professione: piazzarsi al centro del laboratorio, lasciarsi avvolgere dalle eliche di DNA e leggere il linguaggio della vita codificato in quattro semplici lettere. Al momento Isaac stava analizzando la struttura dei geni della pianta dell’ Echinocactus grusonii. Basi azotate si susseguivano in un turbinio di A, T, C, G disposte senza un apparente ordine. Ad Hari sembrava ancora incredibile, dopo oltre 30 anni di studio della genetica, che con 4 sole lettere fosse stato possibile creare tutto il codice della vita nella galassia.

    Con il movimento delle proprie dita Isaac scorreva avanti ed indietro l’elica che in corrispondenza del suo volto si apriva mostrando ben nitidi i due filamenti che componevano il DNA. Era alla ricerca delle sequenze codificanti per confrontarle con quelle del Ferocactus cylindraceus, alla ricerca di diversità geniche. Nella stanza fluttuavano decine di sequenze. Riccioli di vita aspettavano di mostrare i loro segreti allo scienziato. Pazienti e mutevoli contenevano al loro interno il meccanismo dell’evoluzione. Hari si avvicinò silenziosamente ad Isaac. Non voleva deconcentrare il collega e amico. Osservò a sua volta le strutture delle eliche. La tridimensionalità li rendeva in qualche modo reali. Era possibile osservare, modificare e costruire nuove strutture con semplici movimenti delle mani. Sembrava quasi di poterle toccare. Proprio come un antico chirurgo operava il proprio paziente, comandando le mani dei robot, ora loro giocavano con i geni operando sulla struttura del DNA ingrandita di milioni di volte.

    Gli occhi di Hari vennero attratti da una sequenza che Isaac stava scorrendo e che non mostrava apparentemente anomalie. Invece qualcosa ai suoi occhi non era chiaro.

    Isaac, torna indietro di qualche base!

    Isaac ebbe un lieve sobbalzo. Oh Hari, non ti avevo sentito arrivare! La mano sinistra di Isaac si mosse da destra verso sinistra e la sequenza scorse indietro lentamente.

    Ancora, ancora…stop! Fermati qui… Qui c’è una tripletta che è un codone di stop!.

    Il DNA ha una struttura di doppia elica ed è composto da basi azotate. Il compito delle basi azotate è quello di codificare il messaggio necessario a costruire le proteine dell’organismo, sotto forma di geni. Il DNA viene dapprima aperto, ed ogni elica viene letta. A questi geni si attacca una molecola di RNA che viene poi letto nei ribosomi [⁴] a triplette, cioè 3 basi azotate alla volta. Queste triplette prendono il nome di ‘codoni’. Ogni tripletta codifica per un aminoacido, i tasselli che compongono le proteine.

    Per poter funzionare, il sistema deve possedere anche un segnale di avvio che fa capire all’organismo quando il gene inizia e un segnale di stop che indica dove il gene termina. Questo segnale di stop corrisponde a codoni con sequenza ben definita che arrestano la costruzione della proteina.

    Hari proseguì Vedi qui? Abbiamo sbagliato a costruire il gene! Qui abbiamo messo una base azotata di troppo e si è venuto a creare la serie ‘Adenina, Tirosina, Citosina’: ATC. Questa Citosina non ci dovrebbe essere. Secondo me abbiamo sbagliato qui. Abbiamo troncato il gene. Per questo non viene ottimizzato il consumo idrico. Questo gene non funziona se ho contato bene le basi!

    Controlliamo subito! Il dottor Cooper portò l’avambraccio destro verso la bocca e disse al suo B.R.N. [⁵] : Argo, suddividi le basi azotate in triplette e numerale! Immediatamente la visione della catena mutò. Ora sotto ad ogni codone compariva un numero crescente progressivo che assunse colori diversi in base al tipo di aminoacido che codificava. Il DNA appariva come una serie di segmenti colorati, un lunghissimo treno con carrozze di diversi colori. Le 3 basi azotate ATC incriminate si colorarono di rosso brillante ed erano l’ultimo vagone colorato. Tutto il resto della sequenza appariva di uno spento grigio scuro.

    Centro! Abbiamo trovato il problema! L’inserzione di quella C nella serie ha modificato tutta la seguente lettura delle basi! Così facendo si è venuta a creare una tripletta di stop in mezzo al gene e la pianta ha smesso di codificare la proteina! Proprio qui! Indicò con l’indice il vagoncino ATC di colore rosso. Abbiamo creato una mutazione genetica che ha troncato l’espressione del gene! disse Hari rivolgendosi all’amico. Poi aggiunse: Yandan, elimina dal codone 349 la C in terza posizione e mostrami, evidenziandola, la sequenza aggiornata da questa tripletta in poi! Di colpo la visione all’interno della stanza scomparve per riapparire pochi decimi di secondo dopo. La sequenza fino al codone 349 rimase immutata. Il 349 si colorò di un verde brillante, e le basi successive, presero istantaneamente tonalità mostrando il nuovo gene in tutta la sua estensione. Il vagoncino 349 non era più rosso e non chiudeva l’intera serie.

    Hari si rivolse alla sua I.A. Yandan, riscrivi il codice genetico delle piante con le modifiche che abbiamo appena fatto! Applica la modifica a tutte i campioni della Serie 9!, poi rivolto ad Isaac Forse siamo stati fortunati ed abbiamo trovato il problema immediatamente!

    Sì infatti! Ma si può sapere come facevi a sapere come era suddivisa la catena?

    In realtà non lo sapevo, ma man mano che scorrevi la sequenza ho riconosciuto alcune triplette che spesso si trovano vicine! In questo modo ho capito come erano disposte! A quel punto ho seguito la sequenza nucleotidica leggendola 3 per volta fino a notare l’errore! Tutto qua!

    Tutto qua??? Lo trovi semplice? Credo tu non sia normale!

    Dimmi qualcosa che non sapessi già! disse Hari ridacchiando.

    Senza di te ci avrei messo mezza giornata per accorgermi dell’errore nella costruzione del gene!

    Per questo io sono il capo dei ricercatori e tu no! disse Hari sfottendo il collega.

    Isaac incassò in silenzio. Doveva aspettarsela una risposta del genere. D'altronde Hari possedeva davvero delle capacità fuori dal comune. Le sue abilità nel manipolare il DNA erano proverbiali e nonostante avesse soltanto 53 anni era già conosciuto in molti mondi. Era stato nominato capo dell’intera operazione di atmosferizzazione del pianeta ad appena 39 anni. Un record assoluto!

    HARI SHEPPARD

    Hari Sheppard era nato sul pianeta Allyson la notte del 43° giorno allysoniano, corrispondente, stando agli standard interplanetari, all’11 febbraio terrestre. Come di consuetudine, era stato concepito con metodo asessuale tramite la fecondazione artificiale. I genitori si erano rivolti ad un centro di procreazione e avevano scelto quali fossero le caratteristiche che volevano trasmettere alla prole. In base alle loro richieste erano stati costruiti i gameti. Questo permetteva di avere figli che fossero biologicamente discendenti dai genitori, permettendo un controllo totale dell’integrità dei gameti che erano costruiti in laboratorio, abbassando al minimo le probabilità che portassero tare o errori. Il metodo presentava indubbi vantaggi rispetto alla ormai desueta fecondazione naturale sia dal punto di vista delle ‘qualità’ trasmesse che della

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