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Oltre la vertigine
Oltre la vertigine
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E-book344 pagine5 ore

Oltre la vertigine

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Info su questo ebook

A volte non possiamo sottrarci al destino, specialmente quando bussa forte al punto da non poter più far finta di niente; anche quando non conosciamo la via che sta tracciando davanti a noi, anche quando tutto sembra non avere più senso, anche quando tutto sembra perdersi dentro un sogno non possiamo evitare di percorrerlo." Può essere spaventoso oppure eccitante, dipende da noi; dal modo in cui abbiamo deciso di intraprendere quella chiamata, quel viaggio, quell'avventura che rimandavamo da sempre cullati dalle nostre sicurezze. Qualcosa di simile accadde anche a Eve, quando decise di dare un taglio alle catene che da sempre la tenevano legata al palo dell'esistenza. Basta a sufficienza, paura e incomprensioni. Era ora di amare, se stessa per prima. Così, lasciandosi alle spalle il pittoresco borgo sulle colline Senesi, intraprenderà un viaggio intenso in cui si spingerà fino a perdersi del tutto ed essere così poi libera di ritrovarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2016
ISBN9788892612259
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    Anteprima del libro

    Oltre la vertigine - Alex Water

    5

    Un giovane uomo, nel buio della lunga notte che avvolgeva i luoghi sterminati e per buona parte ancora inesplorati della Grande Madre, stava rientrando verso la propria abitazione dopo un periodo avventuroso che lo aveva portato a stare per diverso tempo lontano dal suo villaggio, dalla sua casa e dai suoi affetti.

    Le emanazioni energetiche che il suo corpo emetteva mostravano chiari segni di stanchezza fisica, nonostante una parte di queste lasciasse trasparire grande soddisfazione interiore per ciò che aveva compiuto. Con la testa alta, ben eretta sulle spalle, puntava con lo sguardo in direzione del sentiero che conduceva all’ingresso dell’abitazione. Librato in sospensione corporea a pochi centimetri da terra e guidato nel cammino dalla sua mente, passò il piccolo giardino che separava il sentiero dalla scalinata prospiciente l’ingresso.

    Arrivato davanti alla vetrata principale, la sua presenza fu percepita dal sistema automatico di apertura che fece scorrere le due grosse lastre di cui era fatta, e il suo corpo poté così affacciarsi nel soggiorno.

    Le luci erano spente, segno che la notte era ormai inoltrata e che tutti erano intenti al riposo dei loro corpi fisici.

    Si fermò un istante ammirando le stanze che si aprivano tutt’intorno e che sembravano un ricordo ormai remoto, quasi sbiadito a causa di tutto il tempo che aveva trascorso lontano. Una profonda stretta all’altezza del petto si manifestò prepotente in lui. Rimase per un attimo in piedi, fermo, con le immagini del figlio e della propria compagna aperte nella mente. Passò ancora qualche istante, poi sorrise ed emise un profondo respiro quando realizzò di potersi riposare e godere degli affetti che animavano quel luogo che tanto gli era mancato. Era stato lontano, molto lontano, sia per dimensione che per sistema stellare conosciuto.

    Si gettò su una delle due comode poltrone che, unite ad altri elementi, formavano l’arredo di quella stanza.

    Rimase fermo per un istante, intento ad ascoltare il silenzio che avvolgeva quel luogo, ricordandosi con piacere di quanto fosse bello potersi rilassare. Mille erano ancora i pensieri e le immagini che gli scorrevano davanti agli occhi, mille i suoni e i rumori che gli erano rimasti nell’anima dopo quell’incredibile avventura, ma il silenzio iniziava a placarlo, lasciando così l’energia vitale libera di fluire correttamente. Socchiuse le palpebre per un attimo quando, qualche istante dopo, un rumore sordo attirò la sua attenzione. Cercò a stento di riaprire gli occhi ma, sentendo di nuovo quel suono cupo che sembrava provenire dal piano superiore, si alzò in piedi e si diresse verso la scala. Libratosi a fatica, percorse i gradini e voltò lo sguardo verso l’ala dell’abitazione che accoglieva le stanze di sua moglie e di suo figlio. La debole luce della notte rischiarava a malapena le superfici della costruzione, così sfiorò una piccola semisfera metallica che fuoriusciva da una delle pareti e una debole illuminazione color ambra si accese lungo il corridoio. Arrivò davanti alla porta della sua compagna e notò che dormiva profondamente.

    Poi di nuovo udì quel rumore. Trovandosi ormai molto vicino alla fonte comprese che proveniva dalla camera del suo primogenito. Si avvicinò in silenzio e notò, dalla porta rimasta socchiusa, che la luce accanto al letto era accesa e il piccolo era ancora sveglio, intento alla lettura.

    Posò la mano sulla porta e la scostò con delicatezza. Il piccolo, distratto dai suoi intenti, sobbalzò sul letto e poi guardò in direzione della porta.

    Un sorriso meraviglioso, splendente e puro come quello che solo un bambino sa fare quando vede una persona amata gli illuminò il viso, ed esclamò con voce gioiosa: «Papà, sei tornato!»

    Scese veloce dal lettino e gli corse incontro abbracciandolo, cingendolo poco sotto la vita.

    L’uomo ricambiò il sorriso e si lasciò andare a un minuto di commozione. Mentre quella stretta al petto ritornava prepotente ad avvolgerlo, una lacrima scese dall’angolo dell’occhio destro percorrendo la guancia. Era da tanto che non abbracciava suo figlio, che non ne udiva la voce, che non si stupiva con lui e di lui, che non ci giocava, insomma, che non lo viveva con pienezza.

    Il piccolo, riavvicinatosi al lettino, facendo un cenno al padre con l’esile mano disse: «Siediti, vieni qua con me e raccontami tutto. Mi sei mancato un sacco sai?».

    L’uomo seguì l’invito del piccolo e sedette sul bordo del letto. Appoggiando la schiena al muro e tendendosi verso lui disse: «Anche tu mi sei mancato tanto Maurice. Ma ti ho pensato in ogni istante di calma, in ogni momento in cui potevo riposare durante il mio lungo viaggio. Il tuo viso, il ricordo che ho portato con me, nel cuore, era lì a rallegrarmi, a sostenermi».

    Il piccolo riprese: «Papà, cos’hai fatto in tutto questo tempo?».

    «Ho fatto una cosa importante Maurice, una cosa che dovevo fare e che era già scritta nel momento in cui sono nato. Era il mio compito, era il motivo per cui l’Universo mi ha concesso di nascere e di assaporare tutte le meravigliose emozioni e le sorprese che la vita mi ha portato a scoprire qua, sulla Grande Madre» gli rispose l’uomo.

    «Cosa intendi per «il tuo compito» papà?» chiese allora incuriosito.

    «Intendo lo scopo intero della nostra stessa vita, il motivo per cui nasciamo e per il quale decidiamo di vivere. Ognuno di noi, e tra qualche anno lo scoprirai anche tu, nasce per un motivo specifico, per dare un senso alla propria anima e permetterle così di evolversi con delle esperienze che in essa poi restano, creando così una vibrazione stabile in cui l’anima stessa mantiene quanto acquisito e lo trasmette al corpo fisico nell’evoluzione, o vita, successiva».

    «Come una specie di dischetto di memoria che si mantiene nel tempo e che viene messo in un altro corpo quando vuoi rinascere?»

    L’uomo sorrise e poi disse: «Più o meno sì, il concetto c’è, anche se è un po’ più complessa la serie di eventi che ci porta a vivere più vite. Ma crescendo e vivendo le tue esperienze, magari riuscendo anche tu a scoprire il tuo compito, capirai meglio e il concetto ti sarà più chiaro».

    Il piccolo Maurice, sempre più incuriosito dalle parole del padre, chiese: «Ma allora tutto ciò porta a vivere delle avventure, papà?».

    L’uomo, con occhi scintillanti e gioiosi rispose: «Sì, delle avventure incredibili, ricche di gioia, di mistero, di fascino e amore. Avventure che rendono la vita una cosa che davvero vale la pena scoprire e percorrere».

    «E la tua è stata avventurosa, papà?»

    «È stata incredibilmente avventurosa e affascinante. Mi ha fatto riscoprire le mie origini, vecchi amici, parti del mio passato, e soprattutto mi ha portato a compiere azioni che hanno migliorato tutto l’Universo che conosco, dando nuove speranze e grandi possibilità alle persone che ho incontrato durante il mio cammino».

    «Sembra davvero interessante papà» riprese il piccolo Maurice. «Se non sei troppo stanco ti va di raccontarmi la tua avventura? Mi piacerebbe tanto». L’uomo si accomodò meglio sul lettino, prese suo figlio tra le braccia e, lasciando che il silenzio della notte li guidasse come un brano introduttivo e avvolgente a una colonna sonora complessa, sorrise e disse: «D’accordo Maurice, socchiudi gli occhi e lasciati andare alle mie parole, cosicché il tuo cervello ti permetta di trovare le immagini giuste da abbinare alle persone e alla storia che ti narrerò. Partirò dalle mie origini e ti condurrò in quella che è stata la mia esperienza».

    Si lasciò andare alle energie della Grande Madre, permettendo che il suo Sé superiore si collegasse all’albero dei ricordi e così, narrando in prima persona, permettesse il fluire esatto di tutti gli accadimenti secondo i ricordi che aveva assimilato e trasmesso all’Universo. Pochi istanti dopo, come caduto in trance, con voce dolce ma profonda, con toni che scandivano quel silenzio quasi fossero stati incisi in tavole di marmo, iniziò il suo racconto.

    Le immagini, come proiettate su di un grande schermo, fecero capolino nell’Occhio capace di vedere oltre del piccolo.

    E qui la storia ha inizio.

    ANGELI

    Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi.

    Salmi 91 - 11, 12, 13

    Angeli, o almeno così ci chiamano coloro che riescono a vederci, fin dai tempi antichi.

    Siamo, esistiamo e vibriamo su frequenze elevate e difficilmente percettibili a un terrestre non allenato.

    Mi sono risvegliato in questa condizione fisica da qualche tempo ormai. Qui è tutto molto diverso da ciò cui ero abituato sulla Terra, dalle cose che mi circondano a ciò che mi compone nella forma. Solo il mio Sé è lo stesso, quello che mi ha accompagnato dall’Origine al tempo in cui sto pronunciando queste parole.

    Lo sento distintamente dentro e da questa condizione ogni ricordo delle mie azioni passate, delle mie vite trascorse, è chiaro e saldo in me. Tutte le limitazioni a cui mi ero sottoposto nel periodo trascorso sulla Terra sono svanite e mi hanno lasciato una profonda complessità di visione del mondo e dell’uomo nell’anima.

    Noi siamo il salto evolutivo successivo all’uomo, il gradino seguente, e come tale da esso ne siamo composti.

    Siamo la prossima Forma del Divino, il naturale passaggio in avanti che il Demiurgo nella sua infinita creazione aveva auspicato per noi.

    Siamo vita.

    Quando il mio viaggio iniziò, quel pomeriggio, feci scorrere lo sguardo dalla parete della costruzione di fronte a me, verso l’orizzonte. Il cielo in tutto il suo splendore regalava una vista emozionante. Sussultai e mi fermai per un secondo a pensare.

    Era tutto così splendido e in equilibrio che sensazioni appaganti e pervadenti erano una costante dell’esistere. Ed ecco che in una simile condizione, anche solo il semplice voltare lo sguardo verso il panorama che circondava il luogo dove risiedevo, creava un un’emozione che mi scuoteva in maniera profonda.

    Sebbene fossi in questa dimensione già da qualche tempo ormai, arrivatoci dopo essere svanito con la mia compagna in quella scia energetica che collegava la nostra realtà attuale con quella terrena, non ero ancora abituato all’intensità emotiva che potevamo provare.

    Mi lasciai andare al sussulto interiore che quella vista mi provocava, tenendomi ancorato con le braccia alla seduta su cui stavo accomodato.

    Ripresomi dallo stordimento, tornai a osservare la grande volta che delimitava la visione del nostro mondo, chiamato da coloro che risiedono in questi luoghi La Grande Madre, e dell’Universo che lo abbracciava.

    Lasciai andare la schiena rilassando la muscolatura contro il morbido schienale che si prolungava verso l’alto, quasi fosse una soffice e grande mano pronta ad accogliere il suo ospite.

    Il cielo era nella fase di colorazione più intensa. Capitava ogni pomeriggio quando la luce lasciava posto al tramonto.

    Sfumature e striature bluastre si stagliavano su uno sfondo violaceo. Nessuna nube regalava disegni strani e forme immaginarie alla lavagna che l’ospitava. I due soli che appartengono al nostro sistema erano quasi allineati tra loro. Di poco non collimanti, li potevo distinguere entrambi, come se il primo stesse a proteggere il secondo che si nascondeva dietro, lasciando intravedere solo una piccola parte di sé.

    Erano luminosissimi. Si potevano osservare le molteplici forme che il perimetro assumeva nello sfavillare delle loro masse incandescenti. Lingue infuocate si stagliavano nello spazio circostante, illuminando il cielo tutt’intorno di una danzante e intensa luce color porpora. A contenere queste manifestazioni energetiche si trovava invece un campo di color argenteo che, quasi come una nebbia, ne avvolgeva i perimetri fiammeggianti creando all’apogeo una sorta di spazio neutro e stabile.

    Restando a osservarli riuscii a percepire il moto che stavano compiendo notando che lentamente scomparivano sempre più, pezzo dopo pezzo, verso la linea di confine che mi veniva data all’orizzonte dal bordo della terra su cui mi trovavo, arricchita da una folta vegetazione e da colori avvolgenti.

    Rimasi estasiato ancora per qualche istante. Simili colorazioni erano dovute in parte alla composizione chimica della nostra atmosfera e, motivo predominante, perché i nostri due soli emanavano luce con due sfumature di spettri ben differenti tra loro e tali che, uniti insieme, davano vita a una creazione luminosa, di intensa e rara bellezza.

    Uno freddo, che tendeva a riflettere la luce negli spettri del blu e del verde, e l’altro più caldo, che s’irradiava molto più nei toni del rosso e dell’arancione. In particolari momenti della loro corsa, attraverso le linee gravitazionali da cui erano attratti, capitava come ora che si trovassero quasi in linea, e il cielo s’illuminava di una luce magnifica, con note bluastre e viola che s’intervallavano al rosso fuoco sfumato che si celava dietro. Era davvero uno spettacolo particolare.

    Voltando lo sguardo verso la vasta vetrata che delimitava il confine con il soggiorno della nostra abitazione, soffermandomi con lo sguardo sul quadro che campeggiava sulla parete centrale, mi trovai a riflettere di nuovo sul mondo e sull’universo che ci componeva.

    Appeso proprio al centro di una parete color glicine che incorniciava un grande camino, si trovava un’opera d’arte affascinante e complessa; regalataci al nostro arrivo come benvenuto stava a ricordare e rappresentare nel tempo la nostra nuova forma evolutiva e il nostro universo, imprimendo il senso e il momento nella tela.

    Su uno sfondo blu scuro a ritrarre il celeste, con migliaia di puntini luminosi che componevano lo spazio e il nostro cosmo, due grandi sistemi solari s’interfacciavano tra loro.

    I due erano rappresentati come identici e compenetranti, con le orbite del primo sistema che intersecavano e interagivano con la spinta energetica del secondo.

    Se per il più primitivo universo umano il proprio sistema rappresentava la singolarità, proprio per ricordare ai suoi occupanti di arrivare a trovare l’unificazione, per noi Angeli era un po’ la stessa cosa ma sotto una visione più evoluta. L’Uno, che in vita terrena avevamo trovato e raggiunto con enormi sforzi e peripezie, ci aveva permesso di intravedere la fusione di un Sé perfetto con un altro di pari caratteristiche. E così oggi, proprio con un sistema solare che stava a ricordare e rappresentare il nostro attuale stadio evolutivo, due universi, due sistemi autonomi, interagivano tra loro compenetrandosi alla perfezione. Diciotto pianeti e due soli che, su traiettorie proprie ma intersecanti, compiono il loro moto creando il nostro sistema.

    Sorrisi, regalando al volto la nota distesa di un ricordo gioioso.

    Da qui potevamo avere ricordo di tutte le nostre vite e di tutto ciò che avevamo compiuto per arrivare all’attuale stadio evolutivo.

    Mi alzai e mi diressi verso i giardini che avvolgevano l’abitazione.

    Ancora poco abituato alla sensazione di gravità, mi alzai dalla seduta con troppa energia, librandomi così a diversi centimetri da terra. Sorpreso, mi riposizionai a terra e mi lasciai andare a una grassa risata. Sì, qui la gravità esercita un’azione diversa, inferiore per circa un terzo a quella cui eravamo sottoposti sulla Terra.

    Riosservai il luogo verso cui avrei voluto dirigermi e, lasciando che la calma e lo stato di grazia tornassero a pervadermi, mi spostai in direzione della scaletta che, erigendosi su un fianco della casa, portava verso un’area ricca e folta di vegetazione, composta da diverse specie di piante sacre del nostro pianeta e dove mia moglie Myriam era solita intrattenersi per ore a studiare. Nel percorrere il tratto passai rasente il bordo che delimitava lo specchio d’acqua dello stagno e, riflessa sulla superficie, trovai la mia immagine a farmi da compagna.

    La luminescenza della pelle mi lasciò ancora un attimo stupito. Non ero proprio abituato a essere così alto e brillante. Per meglio supportare e riflettere i campi di energia, il nostro derma superficiale è composto da un tessuto elastico del tutto simile a quello della pelle umana, ma con l’aggiunta nella sua composizione molecolare di un materiale riflettente chiamato «Ci Enne». Tale elemento ci dona una particolare elasticità nonché resistenza ai graffi e ai tagli rispetto a un corpo umano e, caratteristica più evidente, dona alla pelle un colore metallescente simile all’acciaio, che riflette in modo intenso l’aura del nostro campo energetico.

    Siamo molto somiglianti agli esseri umani per quasi tutte le altre caratteristiche fisiche e biologiche. Essi rappresentavano già la perfetta sintesi dell’evoluzione fisica della specie. Essendo passato dalla creazione fino al raggiungimento della vita in forma umana attraverso diversi stadi evolutivi animali, l’uomo era diventato la perfetta sintesi della macchina che il Creatore aveva in mente quando, un giorno, decise di donargli la possibilità di esistere. E così noi ne siamo solo un piccolo miglioramento, un affinamento, sotto il punto di vista fisico.

    Occhi, capelli, arti e tutto il resto del corpo, se non per le dimensioni molto più significative nel loro insieme, sono simili a ciò che già eravamo abituati a vedere. Ma quel vorticare di energia multicolore che veniva riflessa dalla nostra pelle era davvero una cosa che mi colpiva ogni volta che la osservavo.

    Spesso la storia narra che quando qualcuno di noi ha avuto la possibilità di interagire con qualche essere umano, sia riuscito, dopo tempo e affinamenti con l’anima che doveva guidare, a farsi addirittura vedere. Non senza uno sforzo energetico da entrambe le parti. L’angelo verso la vibrazione che ci compone nella parte, e l’uomo verso quella che lo compone nel tutto.

    E la strana metallescenza che rifletteva la nostra aura era vista e raccontata da chi la percepiva come ali vorticanti dietro la schiena. In realtà è solo un’illusione ottica dovuta alla diversità di frequenza su cui vibriamo, e l’occhio umano non riesce a dare un’immagine stabile a quella luce riflessa. Così la parte frontale di noi, quella che permette loro di osservare il nostro viso e i lineamenti, prende la maggior concentrazione di energia, in modo da garantire e migliorare così la comunicazione. La parte del nostro corpo che invece assume un aspetto meno rilevante ai fini della comunicazione, e cioè gli arti, il busto e soprattutto la dimensione della profondità con le cose che celiamo dietro la schiena, non vengono percepite e viste dall’uomo. Possono, proprio per una loro prerogativa fisica, spingersi solo verso il vorticare colorato delle nostre aure che, dietro la schiena, assumono forme e proporzioni tali da sembrare delle ali maestose.

    Tutt’altra cosa siamo, invece, per le nostre caratteristiche mentali e interiori. Ciò che ormai non è più per il corpo è, infatti, per l’anima, che si è evoluta a dismisura fino a diventare un perfetto esempio del Sé. Telepatia, auto guarigione, auto riparazione di arti e altre parti anatomiche, visioni di eventi passati e presenti in ogni dimensione e forma, fluttuazioni e telecinesi sono le nostre caratteristiche più evidenti. Sono tecniche che solo trovando l’Uno, e poi rinascendo nell’Essere che lo compone, si possono trovare nella loro completezza e mantenere costanti.

    Continuai nel mio spostamento e raggiunsi una seconda scaletta che lasciava il terrazzamento dello specchio d’acqua e che portava, a circa due metri più in alto, verso una zona molto vasta e ricca di vegetazione.

    Lasciando che la mente captasse le intenzioni della mia anima, mi feci trasportare dall’energia che ne scaturiva e che veniva convogliata sotto di me permettendomi di restare a pochi millimetri da terra, facendomi spostare senza dover camminare. Permettendo che il mio sistema energetico compisse ciò per cui esisteva, mentre il mio corpo percorreva l’ampia scala di legno che si arrampicava verso l’altura sfiorando ogni gradino, tornai a pensare a quanto il nostro modo di esistere fosse molto diverso dal loro e quindi difficilmente comprensibile.

    Non erano ancora riusciti a fondere il corpo e lo spirito, nonostante si fossero ormai avvicinati molto a quel traguardo grazie ad alcuni personaggi importanti che nel tempo avevano lasciato fondamentali informazioni.

    Addirittura alcuni tra loro erano riusciti a raggiungere, dopo notevoli sforzi e grande fede, la nostra vibrazione, compiendo il passo e arrivando alla conoscenza massima, quella che rivela la nuova forma dopo la vita terrena. Avevano compreso il mistero e quanto grande fosse l’Energia che li guidava nella vita di tutti i giorni, che li confortava quando erano in difficoltà, che li sosteneva quando il piede inciampava nella pietra, che cercava di ricondurli sul giusto sentiero quando deragliavano dai binari della vita.

    Ma ciò non era ancora sufficiente per estendere quella consapevolezza ai molti, purtroppo ancora in buona parte sordi ai segnali del proprio Centro. La società in cui, collegandomi telepaticamente, potevo osservare gli eventi, era frutto di un passato teso verso l’accomodamento sul pianeta, e solo ciò che era dimostrabile e tangibile era stato preso in considerazione nei secoli antecedenti. E così, con un sistema di pensieri e vibrazioni impostato in quel modo per migliaia di anni, questi ultimi due secoli avevano sì segnato il cambiamento e la svolta nella direzione che l’uomo stava prendendo verso il proprio essere, ma ne avevano solo scalfito i profondi radicamenti che la scienza dell’esatto aveva lasciato alla società che l’aveva cresciuta. Tutto ciò aveva portato all’inizio di una lenta fusione, ma accettata solo quando anche sul piano concreto le cose si potevano comprendere e dimostrare con ragionevole certezza.

    Stava succedendo che l’anima, l’altra metà dell’essere umano, quella parte che lui stesso aveva negato nel tempo, stava pian piano facendosi strada in quel loro universo di concretezza, dimostrando non solo la sua completa autonomia nell’esistere, ma anche quanto avrebbe migliorato il suo mondo sotto ogni aspetto.

    E così anche lui, seppur in buona parte ancora inconsapevolmente, progrediva verso una meta precisa. Dalla prima comparsa dell’uomo sulla Terra fino a oggi, tutto, dal modo di vivere a quello di comportarsi, dalla conoscenza all’utilizzo dell’energia, era servito a spingerlo verso la possibilità di accomodarsi meglio e prendere padronanza con il giocattolo che Dio gli aveva donato. Purtroppo però non ricordava il perché quest’Ultimo gliel’avesse donato, tantomeno poteva ricordare quindi a cosa gli servisse. Come era doveroso immaginarsi, l’uomo si era quindi occupato prima di accomodarsi, iniziando a conoscere e utilizzando le risorse che l’Universo gli aveva messo a disposizione in un pianeta tanto lussureggiante e pieno di altre forme di vita.

    Ora però era l’epoca del cambiamento. La coscienza iniziava a bussare alla porta del cuore e spesso l’uomo si trovava a interrogarsi sul senso della vita e a chiedersi se fosse tutto lì ciò che conosceva, immerso in un universo di sveglie, impegni, conversazioni elettroniche, doveri e scarsi diritti. E grazie alla testimonianza di qualcuno lasciata nel tempo, pareva proprio che non fosse tutto semplicemente così, anzi.

    Lasciandomi trasportare da queste considerazioni mi trovai, senza quasi accorgermene, immerso nel verde che questo luogo accoglie, alla ricerca di Myriam.

    Molte specie sono rare e particolari, con piante madri che provengono da ogni pianeta con flora del nostro complesso sistema. Lasciandomi trasportare dall’energia nel fitto della vegetazione mi trovai avvolto da una ricca concentrazione di alberi giganteschi. Avevano un tronco molto allungato e di notevoli dimensioni, altissimo, più di trenta metri, ricoperto da scaglie lignee aguzze e incurvate verso l’alto. Il tronco non aveva uno sviluppo uniforme ma presentava una zona centrale molto più ampia di quella terminale. L’altezza era maestosa, imponente, e rendeva la zona sottostante un luogo ricco di giochi di luce e bassa vegetazione. La luce filtrava con una certa abbondanza, perché ad adornare la parte che svettava verso il cielo c’erano solo delle immense foglie di circa due metri di diametro, unite al tronco da un picciolo di pochi centimetri di diametro ma molto lungo e flessibile. Sembravano degli ombrelli radi e regolari appoggiati alle cime.

    Più in basso piante multicolori, alcune dotate di movimenti propri al passare di fonti energetiche nelle loro vicinanze, tendevano i loro fiori al mio corpo quando mi avvicinavo.

    Era incredibile vedere come specie così diverse tra loro erano state inserite con maestria e sapienza in quei luoghi. Myriam era davvero una grande botanica.

    Continuando nel mio incedere alla sua ricerca, seguendo le sue onde telepatiche, presi un piccolo sentiero, poco battuto e conosciuto alla sinistra della foresta, che era delimitato da una zona con un grande masso meteoritico, e m’imbattei in un fenomeno piuttosto curioso.

    A lato del sentiero, su una piccola radura coperta dall’ombra del manto sovrastante, un gruppo di piantine filiformi stavano muovendo i loro piccoli tentacoli in una danza sinuosa per attirare l’attenzione di qualche animale e potersene così cibare. Una piccola liba, un minuscolo sauro di circa due centimetri di diametro, con ali da libellula e in grado di volare per lunghe distanze, era stata spaventata dal rumore dei tentacolari rametti e si era librata spaventata, lasciando a terra un piccolo insetto, forse il suo pranzo o quello delle sue creature. Un tentacolo arrivò ad afferrare l’inerme insettino e, tra il groviglio danzante proprio al centro della piantina, sbucò un meraviglioso fiore arancione che aprì le valve e si lasciò nutrire dal suo fedele braccio filiforme.

    Natura affascinante e meravigliosa. Non era parte del mio essere e non conoscevo né nomi né caratteristiche di quasi tutte le piante che componevano i nostri giardini. Questa era la passione della mia compagna, ma poter sentire il pulsare della natura, osservare la danza dell’energia e notare quando si manifesta in tutta la sua splendida essenza, era una cosa che ognuno di noi, in questa vibrazione, non si lasciava certo scappare. Proseguii finché non arrivai a una strana costruzione.

    IL VECCHIO ABRAHAM

    "Voi v’ingannate, non conoscendo né le scritture né la potenza di Dio. Alla resurrezione non si prende infatti né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. Quanto poi alla resurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?

    Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi".

    Matteo 22-29, 30, 31, 32

    Iluoghi circostanti la nostra abitazione erano davvero vasti e per buona parte selvaggi e inesplorati. Il bello di questa vibrazione consisteva nel fatto che era giovane e quindi ancora sconosciuta.

    Dopo poco, sul sentiero che stavo percorrendo, incastonato ai piedi della scoscesa vallata che mi si aprì alla vista, trovai una curiosa costruzione, seminascosta dalla vegetazione e composta da roccia. Sul lato più esposto notai la presenza di due aperture che lasciavano filtrare all’interno la luce solare, davvero intensa in quel punto vista l’assenza di alberi, lasciando così scorgere una discreta superficie al suo interno. Avvicinandomi ancora di più, tra un varco e l’altro, scorsi un portale semi circolare di circa tre metri di diametro che segnava l’ingresso alla costruzione. Il resto, inserito nella roccia celata sotto la fitta coltre di bassa vegetazione, sembrava avesse dimensioni considerevoli. Potevo scorgere al suo interno diverse stanze, ma solo ciò che era prospiciente l’ingresso era chiaro. Poco dietro l’angolo di fuoco della mia visuale si celavano altre aperture, ma mi era impossibile scorgere quante fossero e come si sviluppassero.

    Mi fermai sulla soglia, quasi intimorito ma con un forte desiderio di entrare e vedere cosa ci fosse dentro. Il sentiero era poco frequentato e, invece di condurre alla zona delle serre, dove avrei trovato Myriam, seguiva i perimetri più esterni di quella che chiamavamo la zona inesplorata.

    Sentii un leggero strisciare provenire dall’interno, subito seguito da un tonfo. Continuò poi a ripetersi con scadenze regolari, come fossero definite da un metronomo.

    Man mano il suono diventava sempre più forte, come se si stesse avvicinando a me. Più il suono diventava forte e chiaro e più nella mia testa un’immagine prendeva forma. Sembrava proprio uno strisciare stanco e lento di piedi, accompagnato però da quell’intercalare cupo, scuro e intenso che invece non riusciva ancora a prendere una forma definita.

    Feci

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