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2012
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E-book318 pagine4 ore

2012

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Info su questo ebook

Le città dormono tranquille avvolte dalla loro bellezza ma, mentre ogni uomo vive il monotono fluire del tempo, qualcosa sta palpitando sopra la sua testa e sotto i suoi piedi.
Gli avvenimenti che sconvolgono la vita di un uomo non vengono mai annunciati da ambasciatori che, a seconda dell'occasione, si vestono da corvi neri o da colombe bianche.
E così, come una vincita alla lotteria può arrivare in una cupa e fredda sera d'inverno, il pericolo può bussare alla porta in una splendida giornata di sole.
Antonio La Mattina lo ha appena scoperto.
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2021
ISBN9791220263719
2012

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    Anteprima del libro

    2012 - Salvatore Paci

    presto.

    Il sole era quello della amata Caltanissetta, quello caldo. Quel sole agostano che riesce ad infilarsi nell’unico spiraglio dell’avvolgibile e ad avanzare lentamente ma inesorabilmente fino alle tue palpebre per staccarti dall’abbraccio di Morfeo e riportarti nel trantran quotidiano. Antonio lo riconobbe subito e lo accolse con un sorriso, stiracchiandosi con gli occhi ancora chiusi.

    Il profumo sensuale del caffè lo avvertì che era inutile cercare Roberta nell’altra metà del letto. Lei era in cucina e il suo motore — che immaginava coperto da una canottiera e un paio di shorts — girava già a mille.

    Era stata una buona idea quella di prendere, entrambi, due settimane di ferie, lontani da dirigenti ignoranti e presuntuosi e senza più sindromi da cartellino. Meglio cedere a un periodo di complice oblio. Nulla di programmato; computer spento e cellulari aziendali nei cassetti. Era scattata l’ora x, la loro ora. Si alzò con la gioia nel cuore. Raggiunse a piedi nudi la moglie, attraversando un corridoio inondato dalla luce del sole, la baciò sulla fronte e si diresse nel bagno per una doccia. Qualche minuto dopo era nuovamente con lei, con addosso il solo accappatoio. La trovò di spalle, intenta a prendere un copritavolo dalla madia. Scelse quello arancione, un colore che si intonava perfettamente col resto della stanza, un ambiente rustico composto da una cucina in muratura, un tavolo, sei sedie, un lampadario in ceramica e ferro battuto e un porta vini in legno.

    Lei si voltò e notò i suoi capelli ancora bagnati.

    «Vai ad asciugarteli», gli suggerì. «Non vorrai rovinarmi le ferie beccandoti un raffreddore, spero».

    «Con questo caldo mi sembra davvero difficile», le rispose aiutandola ad apparecchiare la tavola.

    Fecero colazione con latte e fette biscottate, scherzando come sempre e provando a pianificare quella che sarebbe stata la loro giornata, incuranti del telegiornale che sistematicamente a ogni edizione trasmetteva immagini di stragi in Afghanistan. Optarono per una giornata di mare e decisero che Cefalù, con la sua spiaggia dorata e fortemente digradante verso il mare sarebbe stata la loro meta.

    Vai! Si parte.

    Antonio rimboccò le maniche dell’accappatoio e pulì caffettiera, tazze e cucchiaini mentre Roberta si accinse a riempire il borsone con i teli da mare, i cuscini gonfiabili e le creme protettive.

    «Cos’è questo scherzo?».

    La voce di Roberta, proveniente da lontano era sensibilmente eccitata.

    «Di cosa parli, amore?», le chiese alzando un po’ il volume della voce per farsi sentire.

    «Lo sai!».

    «Non capisco!».

    «Vieni!».

    Non aveva ancora girato l’angolo quando vide, tra una cascata di riccioli neri, il sorriso di sua moglie che indicava con l’indice un punto del pavimento. La raggiunse e guardò per terra; numerose banconote da cinquanta euro erano sparse davanti alla porta d’ingresso. Roberta guardò il marito con un sorrisetto e uno sguardo indagatore mentre lui, con gli occhi sgranati, rimaneva immobile e muto. La scena durò qualche secondo, fino a quando Roberta realizzò che non si trattava per niente di uno scherzo. Una strana sensazione si impadronì di lei. Volse nuovamente lo sguardo alle banconote e un brivido le attraversò la schiena.

    «Ho paura! Qui dentro c’è qualcuno!»

    ***

    Il suono dei suoi passi veniva amplificato dalla vastità della Galleria Colonna, a Roma. Ogni volta che riconosceva l’Arte in un dipinto, in una scultura o nell’architettura di una costruzione rimaneva incantato, quasi in trance. Essere uno scienziato non precludeva il visibilio davanti alle opere dei più grandi artisti del passato. Dopotutto, anche in un bel quadro si nascondono i principi della scienza. Cos’è il colore se non una percezione visiva derivante dall’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche? Ma non conveniva spiegarlo a un cultore di Storia dell’Arte; non avrebbe capito. Ciò che conta è l’emozione che un’opera può regalare. Che sia frutto di una miscelazione di radiazioni o delle pennellate dell’artista conta davvero poco. Esiste ciò che si vede. E che bel vedere in quella galleria!

    Quando un inserviente del Palazzo Colonna lo chiamò, si accorse che sopra la sua testa i soldati di Marcantonio Colonna stavano sconfiggendo i turchi nella Battaglia di Lepanto.

    «Signore, tra cinque minuti è il suo turno».

    La sala congressi era molto ampia e di una luminosità abbacinante. Davanti a un centinaio di persone compostamente sedute sulle loro sedie spiccava il velluto blu del tavolo occupato da illustri personaggi a lui da tempo noti. Dal mix dei profumi dei presenti si distingueva l’aroma di vaniglia tipico dei diffusori elettrici. Quando lo speaker scandì le prime parole al microfono, il chiacchiericcio di fondo si attenuò progressivamente, fino a scomparire.

    «Signore e signori, abbiamo l’onore di presentarvi il professor Joacim Edman, il famoso scienziato svedese che da anni collabora con il CICAP. Sarà lui stesso a spiegarvi il perché della sua presenza tra noi».

    Distese un braccio per indicare l’ospite. Questi avvicinò il microfono alla bocca e accennò un inchino.

    «Innanzitutto buongiorno a tutti voi», esordì Edman con una pronuncia impeccabile. «Ringrazio pubblicamente i colleghi qui presenti per avermi permesso di intervenire durante questo convegno dedicato alla Storia dell’Arte. Molti di voi conoscono il CICAP, questa organizzazione senza finalità di lucro che promuove indagini scientifiche e critiche sul paranormale.

    Essendo tanti i temi trattati — o per meglio dire osservati — spesso ci organizziamo in gruppi di lavoro. Quello del quale faccio parte è composto da tre persone: il professor Adrien Leroy, il sottoscritto e un terzo collega che preferisce rimanere nell’anonimato.

    Vado al nocciolo del discorso. Nel campo dell’esoterismo oggigiorno è di moda parlare del 2012 come la data in cui il mondo dovrebbe finire o subire un drastico cambiamento. Questo evento sarebbe suffragato da una serie di profezie ricavate dalla subdola interpretazione di documenti storici che in realtà non avrebbero niente a che spartire con queste catastrofiche premonizioni. Una delle più importanti profezie trae le sue origini dalla civiltà Maya e dal sistema che utilizzavano per contare gli anni: il grande conto. I Maya dividevano il tempo in cicli che iniziavano dalla nascita di Venere. I cicli consistono in 1.872.000 giorni e quello che stiamo vivendo adesso — il quinto — è iniziato il 13 agosto del 3114 a.C. e finirà tra relativamente poco: il 21 dicembre 2012.

    Si specula dicendo che i Maya avessero previsto che alla fine di questo ciclo — l’ultimo — sulla terra ci sarebbero state inondazioni, terremoti, incendi, lo spostamento dell’asse terrestre, un’eclissi solare e il sole e i pianeti disposti in modo da formare una croce. Da qui l’accostamento a quei passi del Nuovo Testamento che parlano dell'apertura del Libro dei sette sigilli e dell'invio della serie dei flagelli, con i quattro cavalieri dell'Apocalisse e i sette suoni di tromba. Chi ci parla in questo modo dei Maya — e intendo scrittori conosciuti a livello mondiale — aggiunge che i cataclismi che caratterizzarono la fine delle ere Maya furono causati da un’inversione del campo magnetico terrestre dovuto a uno spostamento dell’asse del pianeta e asserisce che fu un fenomeno del genere a far sprofondare Atlantide circa 10.500 anni fa. Altri sostengono che nel caso di un veloce spostamento dell’asse terrestre molte specie di animali scomparirebbero dalla terra e tirano in ballo le profezie del monaco Basilio, molte delle quali si sarebbero già avverate e alcune delle quali si spera non si avverino mai. E non finisce qui. Fanno parte di questa lunga serie di predizioni anche i testi di John Titor, la profezia di Malachia e tanto altro ancora. Tutto questo materiale, che sembra convergere sulla data del 2012, sta gettando nel panico milioni di persone e ciò, naturalmente, non è una bella cosa». Fece un attimo di silenzio durante il quale guardò uno per uno tutti i presenti per poi riprendere alzando il volume della voce. «Soprattutto perché infondata. In questa sede vi dico soltanto che non dovete temere nulla. Il CICAP sta preparando un documento che farà luce su molte cose che a oggi ci vengono nascoste da chi ha particolari interessi a seminare la paura nel mondo e lo renderà pubblico. Quando saprete la verità, capirete fino a che punto un uomo può essere spinto dalla sete di potere. Grazie per avermi dedicato il vostro tempo. Buona continuazione».

    Più punti interrogativi che applausi.

    ***

    Le prime parole che Roberta riuscì ad articolare le pronunciò stringendosi al marito e guardandosi intorno. Antonio le fece cenno di stare in silenzio e di seguirlo. La portò in cucina e l’invitò a sedersi. Aprì un cassetto e ne estrasse un coltello da bistecca.

    «Non muoverti da qui finché non torno», le sussurrò all’orecchio. «Per nessuna ragione al mondo. E quando esco, chiuditi a chiave.»

    Roberta assentì, il viso sbiancato dalla paura. Antonio uscì dalla cucina e staccò la sua schiena dalla porta solamente quando sentì la chiave girare nella serratura. Cercando di non fare rumore e con il cuore che gli stava scoppiando in petto, cominciò a perlustrare le stanze. La prima era a sinistra; il bagno. Afferrò la maniglia, aprì la porta e la spinse velocemente in avanti. Dentro c’era soltanto l’accecante luce del sole che entrava dalla porta finestra spalancata. Lui non l’aveva aperta, ma forse lo aveva fatto la moglie per dare l’acqua alle piante. Adesso bisognava controllare anche il balcone. Antonio si chiedeva come si potesse avere così tanta paura nella propria casa e in una giornata bellissima come quella. Pochi passi lo separavano dal balcone. Passi che diede con le gambe traballanti. Giunto sulla soglia fece un salto, con il coltello proteso.

    Vuoto.

    Soltanto i soliti vasi, il bidone per l’acqua di condensa del climatizzatore e il box per la caldaia, troppo piccolo per nascondervisi dentro. Si assicurò che la finestra del doppio servizio fosse chiusa e vide che l’avvolgibile della stanza da letto era completamente abbassato. I sottovasi erano colmi d’acqua. Tornò indietro, fino al corridoio. Fu la volta del doppio servizio. Anche questo era vuoto. Stessa cosa per la stanza da letto, la cabina armadio e ogni stanza dell’appartamento, compreso lo sgabuzzino. L’ultima cosa che controllò fu la porta d’ingresso, come sempre bloccata dall’interno. Realizzò che le banconote erano state introdotte dall’esterno facendole passare da sotto la porta e, dopo un attimo di indecisione e con una buona dose di incoscienza, aprì quest’ultima per accertarsi che nel pianerottolo non ci fosse nulla e nessuno; e infatti fu così. La richiuse. Prese fiato e si sedette sui talloni mentre il cuore cominciò a pompare meno sangue.

    «Tutto a posto, puoi aprire», disse alla moglie bussando alla porta della cucina.

    Roberta tolse tutte le mandate, gli aprì e lo abbracciò con forza, mentre una lacrima scendeva dai suoi occhi neri. Con le ginocchia a terra cominciarono a contare le banconote, tantissime. Sicuramente l’infilarle da sotto la porta aveva richiesto all’autore del gesto parecchio tempo durante il quale era riuscito ad agire indisturbato. Dopo averle ammonticchiate in gruppi da venti ebbero l’esatto totale: 10.000 euro.

    «Mica male!».

    «Chiamiamo la Polizia», suggerì Roberta.

    «Calma, ragioniamo. Mica li abbiamo rubati!».

    «Noi no, ma da dove vengono? No, no. Questa cosa non mi piace».

    «Dài, adesso non esageriamo. Semmai dovremmo cercare di verificare se questo denaro è pulito. So chi può aiutarci».

    «Silvano?».

    Sistemarono tutto il denaro dentro la borsa di Roberta e uscirono di casa, destinazione centro storico. Chiusero la porta d’ingresso con quattro mandate e presero l’ascensore. Antonio guardava la borsa come se da un momento all’altro le banconote in essa contenute potessero tradirli, rivelando in qualche modo la loro presenza. Guidò molto prudentemente, allacciando la cintura di sicurezza e badando molto più del solito a non commettere alcuna infrazione. Gli tremava un occhio e frequentemente se lo massaggiava. Trovarono un posto per l’auto e raggiunsero la banca nella quale lavorava il loro amico mano nella mano, con la borsa di Roberta tra i due.

    Il viso di Silvano quando li vide arrivare si arricchì di un sorriso. Da dietro la vetrata puntò con l’indice una porta che loro prontamente attraversarono. Una volta salutatisi con un caloroso abbraccio, indicò loro due poltrone in pelle nera e li pregò di sedersi. Sotto i suoi occhietti intelligenti e il naso affilato aveva stampato il sorriso affabile di sempre. Bastarono due minuti per raccontargli tutto e altri cinque minuti per arrivare alla conclusione che tutte quelle banconote non erano false.

    «…ma non è possibile escludere una eventuale provenienza illecita. Fino a qualche anno fa», disse mangiucchiando il tappo di una biro, «le mazzette contenevano banconote dai numeri seriali consecutivi mentre adesso non più. In quel modo era più semplice circoscrivere un blocco di banconote; bastava indicare dalla S15471188401 alla S15471188500. Adesso, invece, si dovrebbero elencare i numeri seriali di ogni banconota. Vi assicuro che da diversi anni non riceviamo elenchi di banconote segnalate».

    Tornarono a casa più confusi di prima e con la borsa contenente i 10.000 euro. Silvano aveva chiesto loro se volevano versarli nel loro conto corrente, ma Antonio gli aveva risposto che prima voleva pensarci su.

    Denaro pulito? Troppo strano!

    Non riuscivano a trovare un senso a quello che era successo. Ma il senso non lo avrebbero trovato neanche se si fosse trattato di euro rubati. Be’, in quel caso avrebbero chiamato di sicuro la Polizia, cosa che invece fino a quel momento non avevano ancora fatto.

    Roberta si chiese se fosse il caso di avvertire ugualmente le forze dell’ordine di quanto accaduto, ma il marito la dissuase dicendole che ricevere in regalo del denaro, anche in un modo insolito come quello, non era certamente un reato. Lo avrebbero messo da parte e per un po’ non lo avrebbero speso. Non si sa mai!

    «Sto cercando un motivo per cui qualcuno potrebbe regalarci del denaro», disse Antonio facendo spallucce, «ma non riesco a trovarne uno».

    «Sai cosa temo?».

    Antonio scosse la testa.

    «Che prima o poi verrà qualcuno a chiederci qualcosa. E chi offre tutto quel denaro in cambio di qualcosa… non chiederà mai nulla di lecito».

    Antonio sembrava rassegnato. Tutto si era svolto così velocemente che non aveva ancora avuto il tempo di riprendersi. Si affacciò alla finestra e guardò giù. La città era sveglia già da un bel pezzo e, se dentro il suo appartamento era accaduto qualcosa di insolito, fuori tutto sembrava recitare il copione di sempre; il bar Astor accoglieva clienti affamati di leccornie, il fruttivendolo aiutava una signora a mettere due borse di frutta nel bagagliaio di un’auto e Bambi aspettava impaziente che il suo padrone Tony finisse di bersi il caffè per tornare insieme con lui a casa scodinzolando. Tutto come sempre; ogni attore era al suo posto. Eppure, pensò, forse si trattava soltanto di comparse e i veri attori erano loro che avevano dovuto improvvisare, come dei musicisti senza uno spartito costretti a seguire il resto dell’orchestra. Era da quasi due ore che quel denaro aveva adombrato il loro buonumore e Antonio, per uscire dal quello stato di confusione, decise che la giornata avrebbe seguito il progetto iniziale; Cefalù li stava ancora aspettando. Avrebbero lasciato i soldi a casa, proprio dietro la porta d’ingresso e se quel qualcuno fosse tornato per riprenderseli e fosse riuscito ad aprire la porta di casa, li avrebbe trovati subito, senza affannarsi a cercarli, senza mettere sottosopra l’appartamento. Sua moglie non era proprio d’accordo, ma accettò passivamente la decisione di Antonio.

    ***

    Partirono alla volta di Cefalù. Il sole, già alto, batteva sul lato destro dell’auto. Roberta con gli occhi chiusi si faceva accarezzare dalla luce di quella palla incandescente che già da qualche mese aveva cambiato colore alle colline lì intorno coprendo il verde dei prati con il giallo oro della sterpaglia. Sulla SS640, all’altezza di Contrada Cuti, Roberta guardò verso la Valle dell’Imera Meridionale. Un brivido la percorse quando riaffiorò il ricordo di quanto accaduto un paio di anni prima, laddove adesso si posava il suo sguardo. Ad Antonio bastò lanciarle un’occhiata per capire cosa stava pensando.

    «Ormai è tutto passato. Non pensarci più», le consigliò accarezzando la pelle vellutata della sua schiena.

    Il climatizzatore della Passat riusciva a contrastare la calura estiva senza alcuno sforzo. Quel giorno, fortunatamente, non era uno di quelli tremendamente afosi durante i quali era sconsigliabile stare all’aperto. C’erano dunque le condizioni ideali per godere di una giusta dose di caldo e di una discreta brezza che li avrebbe accarezzati, una volta distesi sui loro teli da mare. E così fu. In quel giorno feriale, visti dall’alto della Rocca sarebbero apparsi come due puntini neri in mezzo a tanti altri puntini color latte che parlavano in francese oppure in tedesco. Abbandonarono i loro corpi sul lungo arenile come se non appartenessero più a loro e per un paio d’ore beneficiarono del sole che imperlava le loro fronti e di una piacevole brezza che le asciugava. Amavano stare in quel modo. Forse in momenti come quelli neanche una bomba li avrebbe tirati fuori dallo stato di estasi nel quale si trovavano. Godevano del sole, del garrito dei gabbiani, del suono ritmico e ipnotico della risacca. Di tanto in tanto Antonio allungava una mano per prendere dal borsone la boccettina di olio abbronzante al bergamotto e per passarselo sul viso; gesto che faceva parte integrante di quel mondo fantastico nel quale si era tuffato e dal quale non voleva venire fuori tanto presto. Soltanto quando si ritennero soddisfatti decisero di prendere un panino e una birra in un bar del Lungomare Giardina. Infine si diressero verso casa.

    Mentre il mare si dondolava alla loro destra, le villette sfrecciavano dal finestrino e il climatizzatore faceva a pugni con l’aria calda dell’abitacolo adesso rovente, ripresero il discorso dei diecimila euro, chiedendosi se al ritorno li avrebbero trovati laddove li avevano lasciati. Parlarono così come può parlare chi cerca di venire a capo di qualcosa pur sapendo che la soluzione del mistero presuppone un’attesa; l’attesa di un evento che sentivano sospeso nell’aria. Una spada di Damocle del XXI secolo.

    ***

    "Roma. In un incidente automobilistico ha perso la vita il famoso scienziato Joacim Edman. All’alba di stamani un automobilista, passando per la poco frequentata via Pradis Pedaggi, ha notato un’auto ferma in mezzo al terreno con un uomo a bordo, immobile con la testa sul volante. Si è avvicinato e ha bussato sul vetro nel tentativo di chiedergli se avesse bisogno di aiuto ma poi, accorgendosi che non dava segni di vita, ha pensato di chiamare i carabinieri. Probabilmente un ictus ha fermato il cervello e il cuore di uno dei più famosi scienziati che abbiamo in Europa. Joacim Edman da anni collaborava con il CICAP, il comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Al momento non si conosce il motivo per il quale si trovasse in quella zona con la sua Toyota. La mattina precedente era in splendida forma, stando a quanto dichiarato da chi ha assistito ad un suo intervento, durante un congresso tenutosi ieri nella capitale, al Palazzo Colonna. Edman era nato quaranta anni fa a Solna, un comune svedese situato nella contea di Stoccolma. Una volta finiti gli studi si era trasferito dapprima a Stoccolma e poi a Padova, dove lavorava per il CICAP. Con la sua dipartita il mondo perde una mente. Un uomo che con la sua cultura aveva ancora tante cose da insegnarci".

    «Poverino», esclamò Roberta immergendo un biscotto nel latte. «I delinquenti scoppiano di salute mentre le persone che non dovrebbero morire…».

    «Già, ma che ci puoi fare?»

    «Non ci posso fare niente, ma è ingiusto», disse continuando a roteare la testa come se stesse mimando un interminabile no.

    «La morte non sceglie chi portarsi via. Colpisce a caso».

    «Però non ho mai sentito parlare di boss della malavita che muoiono per malattie. Semmai, qualcuno di loro viene ucciso da un suo simile, questo sì».

    «Forse qualche malavitoso sarà anche morto in incidenti automobilistici o per malattia e non lo sappiamo», esclamò Antonio notando con invidia quanto sua moglie si fosse abbronzata il giorno precedente.

    Roberta è un fiore, pensò Antonio. Ma un fiore nero, precisò a se stesso. Effettivamente era davvero una bella donna. Trent’anni portati splendidamente e con un fisico mai trascurato. Per lui rappresentava uno stimolo continuo a non lasciarsi mai andare per non sfigurare al suo fianco. Avere qualche anno in più di lei non doveva diventare un gap e, per questo motivo, non passava una settimana senza che lui facesse alcune decine di chilometri di corsa. Antonio La Mattina era uno sportivo nato e durante i suoi quarant’anni aveva fatto di tutto: dagli sport leggeri come il ping pong a quelli più rischiosi come lotta greco-romana e karate. Da alcuni anni il suo lavoro di programmatore lo aveva costretto a trascorrere tantissime ore al giorno davanti al monitor e tutto ciò a discapito della tonicità del fisico che, quando non sottoposto a una discreta attività motoria, cominciava a regalargli dei cuscinetti indesiderati. A un tratto un suono si fece strada tra quelli provenienti dalla TV. Si udì più chiaramente quando Roberta tolse l’audio dell’apparecchio televisivo. Il telefonino di Antonio.

    «Anonimo».

    «Questo è lui», disse Roberta.

    «Lui chi?»

    «Indovina! Sento che è lui. Rispondigli!».

    Antonio prese il cellulare e schiacciò il tasto verde.

    «Pronto».

    «Come avrà potuto vedere, il denaro era pulitissimo».

    Una voce sconosciuta, bassa, profonda, decisa.

    «Con chi ho il piacere di parlare?», chiese Antonio quasi incespicando con le parole.

    «Non ha importanza. Così come non ha importanza come abbia fatto ad avere il suo numero di cellulare. Mi dia soltanto un minuto e poi non la infastidirò più».

    Notando il silenzio creatosi, la voce misteriosa riprese. «Ci sono altri quarantamila euro per lei se mi aiuta a realizzare un mio… chiamiamolo desiderio».

    La testa di Antonio si affollò di brutti pensieri.

    Fece un segnale alla moglie per farle capire che al telefono era proprio lui.

    «Non pensi a omicidi o a rapine», disse l’uomo come se avesse letto i pensieri del suo interlocutore. «Ho saputo — e non mi chieda come, tanto non glielo direi mai — che un paio di anni fa è stato nei cunicoli di Caltanissetta e ha avuto la fortuna di trovarsi davanti alla Croce Santa».

    La voce dell’uomo era diventata amichevole, suadente, quasi ipnotica.

    «Ma guardi che non si tratta di una vera croce».

    «Non mi prenda per un sempliciotto, la prego! So tutto, si risparmi i chiarimenti. So dei monaci, della peste e del contenuto della Croce Santa. È proprio questo l’oggetto del mio interesse: il contenuto della Croce Santa».

    «Ma adesso è vuota. La Polizia ha rimosso tutto. Quindi…».

    «Le ho già detto che so tutto», disse l’uomo interrompendolo. «Non mi interessa quello che conteneva, ma quello che contiene ancora».

    «Ma non è rimasto assolutamente niente all’interno», gli disse Antonio nel tentativo di dissuaderlo.

    «Niente di visibile, caro La Mattina. Niente di visibile».

    «Non capisco».

    Gli occhi di Antonio vagarono per la

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