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Solarpunk: storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile
Solarpunk: storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile
Solarpunk: storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile
E-book333 pagine4 ore

Solarpunk: storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile

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Info su questo ebook

Racconti di ecologia fantastica in un mondo sostenibile. Queste dieci storie provenienti dal Brasile costituiscono il manifesto del movimento Solarpunk. Ma siamo così sicuri che il nuovo mondo basato sull’ecologia sia davvero sostenibile?
di AA.VV. (traduzione di Maria Grazia Beltrami)
Secondo la definizione corrente, il “solarpunk” è un movimento culturale e artistico che promuove una versione ottimistica e progressista del futuro, in particolare mediante l’uso di energie alternative e con l’obiettivo della realizzazione concreta di un futuro ecosostenibile.
Nel 2012, come manifesto che differenzia nettamente la letteratura solarpunk da quella steampunk e cyberpunk, la brasiliana Editora Draco pubblica l’antologia “Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável”, a cura di Gerson Lodi-Ribeiro: precisamente l’opera che viene qui presentata in traduzione.
Leggendo i testi contenuti in questo libro, però, la visione “ottimistica e progressista del futuro” sembra arretrare ben oltre il secondo piano. L’utopia del futuro sostenibile finisce con lo scontrarsi con la politica, con l’avidità, con il potere, con l’animo umano insomma, e un sano realismo si infiltra nelle storie, che in questo modo assumono una stimolante piega amara.
Il mio viaggio dentro questa antologia, prima come lettrice e poi come traduttrice, è stato interessante e divertente. Ho scoperto autori dalla fervida fantasia e opere che mi hanno lasciato col fiato sospeso, e spero che chi le leggerà provi il mio stesso, identico piacere.
Benvenuti nel mondo solarpunk.
(Maria Grazia Beltrami)
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2021
ISBN9788833285726
Solarpunk: storie di ecologia fantastica in un mondo sostenibile

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    Anteprima del libro

    Solarpunk - aa.vv

    mystérieuse

    Prefazione

    Secondo la definizione corrente, il solarpunk è un movimento culturale e artistico che promuove una versione ottimistica e progressista del futuro, in particolare mediante l’uso di energie alternative e con l’obiettivo della realizzazione concreta di un futuro ecosostenibile.

    Nel 2012, come manifesto che differenzia nettamente la letteratura solarpunk da quella steampunk e cyberpunk, la brasiliana Editora Draco pubblica l’antologia Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável, a cura di Gerson Lodi-Ribeiro: precisamente l’opera che viene qui presentata in traduzione.

    La ragione per cui il Brasile è diventato la culla della letteratura solarpunk è probabilmente il fatto che si tratta di uno dei leader mondiali nel campo delle energie rinnovabili. Nel giugno del 2020, l’88% dell’energia prodotta nel paese era di generazione eolica, solare e idroelettrica. La Svezia, il paese europeo più avanzato in questo campo, si è proposta come obiettivo il 50% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e il 100% entro il 2040.

    Leggendo i testi contenuti in questo libro, però, la visione ottimistica e progressista del futuro sembra arretrare ben oltre il secondo piano. I racconti, insomma, non sono solari, non nel significato attribuito al termine dagli scrittori di poco dizionario, che lo utilizzano come sinonimo di allegro, aperto, felice, positivo, eccetera.

    L’utopia del futuro sostenibile, dell’equa divisione delle risorse, finisce con lo scontrarsi con la politica, con l’avidità, con il potere, con l’animo umano insomma, al punto che quella che molti chiamano distopia, e io chiamo realismo, si infiltra nelle storie, che in questo modo assumono una stimolante piega amara.

    Piega amara a cui forse non è estranea l’ambientazione brasiliana. Il lettore italiano di sicuro è a conoscenza del fatto che la grande nazione è politicamente tormentata e che il suo ambiente naturale, così ricco di risorse e così importante per il mondo intero, è soggetto a immense mire e altrettanti pericoli. A parte questo, però, e a parte le sporadiche grida di allarme relative alla distruzione della foresta pluviale e all’estinzione delle popolazioni native, poco è conosciuto riguardo alla storia e alla cultura brasiliane. Per questo, nel corso della traduzione, ho fatto il possibile per chiarirmi le idee su tutto ciò che ho incontrato e che mi era sconosciuto, e ho trasformato le mie scoperte in brevi note.

    Il mio viaggio dentro questa antologia, prima come lettrice e poi come traduttrice, è stato interessante e divertente. Ho scoperto autori dalla fervida fantasia e opere che mi hanno lasciato col fiato sospeso, e spero che chi le leggerà provi il mio stesso identico piacere.

    Benvenuti nel mondo solarpunk.

    Maria Grazia Beltrami

    Capo Editor Le Mezzelane Casa Editrice

    Il Soylent verde è fatto dalla gente!1

    Carlos Orsi

    Carlos Orsi, scrittore e giornalista specializzato nella trattazione di argomenti scientifici, è di Jundiaí, São Paulo. Ha pubblicato le raccolte di racconti Medo, Mistério e Morte (1996) e Tempos de Fúria (2005), e i romanzi Nômade (2010) e Guerra Justa (2010). Sue opere di narrativa appaiono in antologie come Imaginarios v. 1 (2009), e in riviste e fanzine in Brasile e all’estero.

    Quando la polizia buttò finalmente giù la porta del garage e trovò il corpo di Raul all’interno dell’auto, dopo che il fumo si fu disperso, tutto indicava un triste ma ragionevolmente semplice caso di suicidio. Fu solo quando le autorità iniziarono il sempre difficile processo di identificazione del parente più prossimo della vittima per dare a lui o a lei la notizia, che la trama, come si dice nei romanzi gialli, si infittì.

    Raul Gonçalves da Nóbrega lavorava come ingegnere alla DNArt & Tech. Sicuramente avete qualche loro prodotto in bagno, sia che si tratti di una coltura di batteri da strofinare sulla pelle (la DNArt detiene il brevetto di un organismo che utilizza i raggi UV per la fotosintesi e secerne un pigmento dorato, che agisce come una crema solare e una lozione abbronzante allo stesso tempo) o il popolare ormone depilatore-afrodisiaco.

    Io, però, stavo parlando del parente più prossimo. Raul era figlio unico e, anche se aveva più di cinquant’anni, viveva ancora con la madre, una signora disabile di oltre novant’anni che, stranamente, non venne trovata in casa dagli agenti di polizia. Non avevano dipendenti che li aiutassero in casa e l’automazione residenziale era minimale e stupida.

    Ora, suppongo che alcune sopracciglia si siano alzate leggendo la parola disabile nel paragrafo precedente.

    In effetti, è difficile immaginare una condizione, a parte la morte pura e semplice, che non possa essere enormemente mitigata da una qualche combinazione di terapia genica e cibernetica, e che queste terapie non siano a portata di portafoglio per un ingegnere single, senza figli e di successo.

    Oltretutto, novant’anni sono ben lungi dall’essere un’età terminale o qualcosa del genere.

    Il lettore probabilmente conosce già la risposta: Albertina Gonçalves era membro della Chiesa dei Puritani. La sua fede le permetteva di accettare aiuti esterni per superare la debolezza fisica – occhiali e sedia a rotelle, per esempio – ma nessuna interferenza diretta con quell’Inviolabile Tempio dello Spirito Santo che era il suo corpo.

    Non aveva permesso nemmeno la sostituzione del proprio cristallino ormai opaco, preferendo la semicecità lattea della cataratta; medicine e supplementi, a partire da un certo grado di complessità tecnologica, dovevano essere discretamente contrabbandati nel suo cibo, che il figlio amorevolmente preparava e le serviva ogni giorno.

    Da mesi, semplicemente, Albertina non pranzava: aspettava che Raul tornasse a casa dal lavoro e le preparasse una cena sostanziosa, che avrebbero consumato insieme, lei nel suo letto, lui seduto ai suoi piedi.

    La sedia a rotelle (un modello a levitazione magnetica) fu trovata nella stanza, fluttuante vicino al letto, ma vuota. C’era un sottile strato di polvere sul sedile, che fece pensare che non venisse usata da tempo. Gli occhiali cerchiati di platino della donna, inutilizzabili a causa della cataratta ma conservati per una sorta di vanità, riposavano su un pezzo di flanella color lavanda sul comodino. Sembrava che qualcuno si fosse coricato e poi si fosse alzato: il letto era sfatto e le coperte tirate indietro. Le lenzuola erano leggermente impolverate.

    «È andata a fare una passeggiata?» scherzò uno dei due investigatori.

    «Solo se era a piedi nudi», replicò l’altro, indicando le ciabatte sotto al letto.

    La perquisizione della casa non mostrò tracce della vecchia signora. Nel garage c’era solo una macchina; dentro la macchina – un fuoristrada alimentato a biodiesel – solo il corpo di Raul. I guardaroba erano pieni dei vestiti di Albertina, con pochi attaccapanni vuoti. Se aveva deciso di andarsene, lo aveva fatto con poco più di ciò che indossava. C’erano anche tre valigie, aperte e vuote.

    Anche le altre stanze della proprietà, che era piccola e funzionale ma che riusciva comunque a dare l’idea di essere lussuosa, offrirono pochi indizi. La camera di Raul era in uno stato migliore di quella della madre: biancheria pulita e lenzuola così tese da far sembrare che il letto fosse stato rifatto da un sergente dell’esercito.

    La cucina era solo una cucina, nonostante fosse di grandi dimensioni: credenze a muro, un lavandino con al centro un bicchiere solitario con dentro un dito di succo di frutta, un enorme figorifero-cantinetta-freezer collegato a un sistema di alimentazione ibrido solare/eolico montato sul tetto.

    Il forno, un oggetto di acciaio spazzolato e avorio sintetico, era connesso a un biodigestore installato nell’area tecnica, un cilindro delle dimensioni di un Labrador adulto dove batteri brevettati trasformavano bucce di patata e di banana, oltre a olio di soia usato, in combustibile.

    L’area tecnica dava su uno stretto ma lungo, rigoglioso giardino, dove, al centro di un camminamento pavimentato con vecchie lastre di marmo rosa, c’erano alcune gabbie vuote e mangiatoie per uccelli che non sembravano attrarre un grande pubblico. Uno dei poliziotti annotò nel suo rapporto che gli era sembrato di sentire odore di birra in un punto tra i gelsi e le bromeliacee ornamentali, ma nessuno prestò attenzione all’osservazione.

    * * *

    A questo punto entro in gioco io.

    Come ogni fedele Puritano, nel suo testamento Albertina aveva lasciato tutto alla Chiesa, nel caso in cui Raul non fosse stato vivo al momento del suo decesso. La combinazione di una vita relativamente lunga, chiusasi dopo decadi passate a spese di parenti facoltosi, e interessi composti, è potente. Pertanto, stabilire che la madre fosse morta e il figlio l’avesse preceduta nel Grande Mistero divenne argomento di grande interesse per il capo supremo della confessione, l’Arciprete Sérvio, che a questo scopo mise rapidamente al lavoro la considerevole macchina legale della Chiesa.

    Suppongo che all’Arciprete non servissero scuse particolari per assumermi – posso immaginarlo elencare i vari precedenti di uomini indegni chiamati a servire la causa del Signore, come il disobbediente Giona, l’adultero Davide o il codardo Pietro – ma la mia agenzia entrò nel caso ben prima di cadere sotto il radar dei suoi avvocati. Anche se la mia partecipazione ha finito per essere associata alla richiesta della Chiesa, il fatto è che io entrai nell’investigazione in tutt’altro modo.

    Sabrina era una bruna alta, aveva capelli lunghi, occhi marrone e la pelle di un colore tra il castagna e il mattone scuro, la precisa sfumatura della mia marca preferita di bitter ale. Labbra e naso erano troppo sottili per la moda corrente: il suo naso, pur senza essere eccessivamente lungo, era affilato come un rasoio, cosa che le dava un aspetto crudele che, onestamente, non mi dava alcun fastidio. Ero seduto quando entrò in ufficio con un corto abito bianco. Le sue ginocchia mi ipnotizzarono.

    «La sua segretaria mi ha detto che potevo entrare.»

    Probabilmente il mio silenzio l’aveva resa incerta. Scossi la testa per tornare un po’ coi piedi per terra, sorrisi e indicai una delle due sedie vuote riservate ai clienti.

    La mia segretaria era un mediocre sistema di automazione commerciale che si limitava a verificare che i visitatori non avessero armi nascoste o materiale biologico non compatibile (alcuni tipi di collutorio non interagiscono bene coi batteri che uso per prevenire la pelle grassa e schivarne le gocce durante una conversazione è un po’ seccante), facendo nel frattempo un controllo antropometrico nei social network e nei file della Polizia militare e federale.

    Così, nei tre secondi che Sabrina impiegò per sedersi elegantemente su una poltrona, sul mio desktop comparvero la sua pagina personale di FaceSpace, il suo curriculum Lattes2 e un nulla da segnalare dall’Ufficio di Pubblica Sicurezza. Per ottenere un’analisi del credito avrei dovuto avere il suo numero di Sicurezza sociale, che mi avrebbe dato se avessi accettato il suo caso, qualsiasi esso fosse.

    Secondo la mia segretaria, il suo nome era Sabrina Toledo, aveva quarantotto anni e mezza dozzina di dottorati in materie come medicina, genetica, chimica organica, biofisica e tecnologia agraria. Era una dipendente del reparto ricerca e sviluppo della DNArt & Tech.

    «Dottoressa Toledo.» Appoggiai i gomiti sulla scrivania e le mani sotto il mento. «Come posso aiutarla?»

    Non c’era più insicurezza nei suoi occhi, solo un freddo scetticismo. Potevo quasi vedere lo scintillare delle sue cellule cerebrali al lavoro mentre cercava di decidere se ero un tipo serio o un impostore, se dirmi tutto o solo un poco, oppure girare sui tacchi senza che una parola uscisse dalla sua bocca.

    «Mio marito.» Per una qualche ragione, aveva deciso che meritavo un voto di fiducia. «È morto.»

    «Condoglianze.»

    Sabrina reagì con un pallido sorriso, congelato e senza senso come la mia meccanica espressione di simpatia.

    «Vorrei riscuotere la sua eredità.»

    «Questa è una faccenda che riguarda gli avvocati, no?Perché ha bisogno di un investigatore?»

    «Noi non eravamo davvero sposati.» Sospirò. «Si è preoccupato che la cosa rimanesse segreta perché sua madre dipendeva da lui, aveva solo lui. Comunque, nessuno sapeva che eravamo sposati, così la sua erede naturale è la madre, non io.»

    «Ha bisogno di dimostrare che ci fosse un’unione stabile?»

    Anche in questo caso la faccenda sarebbe stata più adatta a un avvocato…

    «Sua madre è scomparsa.»

    Fu il mio turno di prendere un profondo respiro. «Mi dica tutto.»

    * * *

    Dal suo racconto venni a sapere della morte di Raul, della sparizione di Albertina e del terremoto messo in moto da Sérvio nei media forensi. Oltre ai risparmi della madre, c’era in gioco anche la considerevole fortuna del figlio, dato che Albertina era l’erede naturale della proprietà del figlio ingegnere, che ufficialmente era morto celibe e senza figli.

    «Degli avvocati stanno lavorando per dimostrare che Raul e io avevamo una relazione del tipo che mi garantisce il diritto di eredità.»

    Lei fece una pausa. Io aspettai. Era chiaro che avesse altro da dire.

    «La Chiesa, però, mi sta sabotando. Alcuni testimoni, colleghi che sapevano quanto Raul e io fossimo… intimi, ora si rifiutano di parlare in tribunale. Stanno ricevendo minacce.»

    Lasciai che la mia espressione tradisse la mia incredulità. Solo perché uno è paranoico non significa che qualcuno non ce l’abbia con lui, giusto, ma comunque...

    Sabrina lesse correttamente quello che succedeva dietro i miei occhi e mi regalò un sorriso triste e sarcastico allo stesso tempo.

    «Andiamo, investigatore. Lei ha familiarità con la tattica piangere e mostrare i denti, vero?»

    Con questo nome era noto un presunto sistema di intimidazione creato dai seguaci dell’Arciprete ed essenzialmente dedicato a infastidire – o terrorizzare, a seconda dei casi – gli avversari della Chiesa. Giornalisti che ne mettevano in ridicolo il puritanesimo si vedevano hackerati i loro blog, oppure trovavano topi morti nelle loro cassette delle lettere; politici che si rifiutavano di approvare leggi nell’interesse della Chiesa improvvisamente diventavano il bersaglio di assurde accuse di molestie sessuali oppure, impotenti, vedevano misfatti a lungo dimenticati – tangenti incassate decenni prima, illegali donazioni elettorali ricevute a inizio carriera – portati spietatamente alla luce.

    Un medico che aveva scritto un libro denunciando i danni alla salute pubblica provocati dalla dottrina del tempio inviolabile era stato perseguito contemporaneamente in venti stati. L’opera era stata sequestrata il giorno successivo a quello in cui aveva lasciato la tipografia e la versione digitale, resa disponibile da una delle principali librerie elettroniche internazionali, era stata contaminata da un virus.

    «Conosco quella storia», dissi, «ma non è mai stata provata.»

    Sabrina fece per alzarsi.

    «Se questo è quello che pensa, pur essendo un investigatore…»

    Allarmato dall’improvviso movimento delle sue ginocchia e dalla sconcertante prospettiva di poterne venire privato così presto, le feci segno di fermarsi.

    «Cosa vuole che faccia?»

    «Trovi sua madre.»

    Feci una smorfia di incomprensione. Dopotutto, se la madre fosse stata viva, l’eredità avrebbe continuato a essere oggetto di contesa e Sabrina avrebbe continuato a rischiare di rimanere senza alcunché.

    «Il corpo di donna Albertina non è stato trovato», spiegò la mia cliente. «Il caso dei Puritani dipende da due cose: la prima, che lei sia morta; la seconda, che lei sia morta dopo suo figlio. Io voglio che lei provi che Albertina è viva.»

    «Davvero?»

    Il mio cinismo fu ricambiato da un altro sorriso tra il triste e il sarcastico.

    Apparentemente ne aveva una scorta inesauribile.

    «O almeno, stabilisca un ragionevole dubbio su cui i miei avvocati possano lavorare.»

    La cosa era chiara.

    «Per scatenare l’inferno addosso alla Chiesa. Per distrarla. Per creare confusione nel campo nemico mentre lei si muove verso il riconoscimento della stabilità dell’unione.»

    Lei serrò le labbra.

    «Giusto.»

    A quel punto, iniziammo a discutere i dettagli.

    * * *

    La prima cosa che feci quando Sabrina se ne fu andata, fu cercare informazioni riguardo Albertina Gonçalves su FaceSpace. I Puritani possono essere contrari in modo radicale agli impianti cibernetici e al DNA ricombinante, ma non c’è alcunché nel loro credo che proibisca gli scambi via social network. Da quanto mi aveva detto la mia cliente, sapevo che sua suocera era praticamente cieca, tuttavia…

    Effettivamente la signora era presente sul social. Una presenza modesta, per così dire: parlava del marito defunto e del figlio dirigente e aveva postato poche e caste immagini, versetti della Bibbia e un calendario di attività religiose che negli ultimi sei mesi non era stato aggiornato.

    Persino dalle castigate immagini mi fu possibile capire che Albertina era stata molto bella, forse fin quasi alla fine. A ottantasette anni, mostrava ancora un viso intenso, sul quale le (poche) rughe sembravano più segni del carattere che dell’età.

    Curiosamente, il profilo era ancora attivo. Non era stato convertito in una pagina commemorativa. Forse, pensai, solo suo figlio aveva il livello di accesso necessario a effettuare il fatidico aggiornamento. Sarebbe stato ironico, in una sorta di modo paradossale. Per curiosità, visitai anche la pagina di Raul. Non presentava alcun segno di lutto. L’uomo era in una relazione, ma Sabrina non era tra i follower e il link partner era inattivo.

    Tra le persone molto sole, il fervore religioso è spesso collegato al bisogno di compagnia e di contatti sociali: la sottomissione a una dottrina è il prezzo per avere amici, supporto e cameratismo. Per questo non fui sorpreso nel constatare che, a eccezione di Raul, tutti i follower di Albertina erano membri del gregge di Sérvio. Annotai tre o quattro dei nomi e degli indirizzi che sembrarono più promettenti al mio buon, vecchio istinto e mi misi al lavoro.

    Molti immaginano che in questo mondo di network, email e teleconferenze tutto il lavoro di investigazione possa essere fatto dalla scrivania. Non sto negando che molto possa essere fatto in questo modo. È possibile imparare e dedurre molto da una semplice presenza virtuale, ma quando si arriva a dover interrogare un testimone riluttante, niente batte il peso morale della presenza fisica.

    E io avevo l’impressione che le mie fonti legate alla Chiesa sarebbero state, nella migliore delle ipotesi, molto riluttanti. Per non dire ostili.

    Alla luce di ciò, devo dire che la conversazione con la prima persona della mia lista fu una piacevole sorpresa. Avevo deciso di partire da Olavo Pereira perché era l’uomo che più spesso appariva a fianco di Albertina nelle foto su FaceSpace, era di età vicina a quella di lei (novantatré anni, per essere precisi) e, casualmente, era di aspetto molto simile al defunto Raul.

    Seguendo i consigli del mio avvocato, mi affretto ad aggiungere che non sto suggerendo che Olavo fosse il vero padre del presunto suicida. Tuttavia, se il figlio assomigliava al padre (il che è una ragionevole supposizione, in effetti), l’avere, dopo essere rimasta vedova, fatto amicizia con un uomo somigliante al figlio, potrebbe semplicemente indicare che la donna stava cercando un sostituto per il defunto marito.

    Olavo era un uomo alto – una decina di centimetri più alto di me – e magro, ma con un torace da nuotatore olimpico. La sua pelle aveva lo stesso colore e la stessa consistenza degli scarponi di cuoio che uso per andare a fare escursioni in montagna nei fine settimana. Sotto un paio di spesse sopracciglia bianche, degli intensi occhi blu mi scrutarono mentre mi apriva la porta del suo appartamento, una proprietà confortevole senza essere lussuosa, situata vicino al centro.

    Si trovava in un vecchio edificio che, supposi, doveva avere problemi cronici con le tubature e con il sistema di riciclaggio dei rifiuti, essendo stato costruito prima dell’epoca dei biodigestori urbani.

    Prima di presentami, avevo mandato un SMS spiegando la ragione della mia visita – un’investigazione relativa alla sorte di Albertina – e lui aveva risposto rendendosi disponibile. Dopo una robusta stretta di mano, Olavo mi invitò a entrare, e io feci un commento generico riguardo al suo aspetto sano.

    Lui rise, scuotendo la testa.

    «La gente tende a pensare che noi Puritani siamo un mucchio di carcasse umane, rovine viventi, perché rifiutiamo di permettere alla tecnologia di interferire con la dimora fisica che Dio ha pensato idonea a garantire il nostro spirito, ma la verità è l’esatto contrario. Noi ci prendiamo cura del tempio. Cibo, esercizio, una vita attiva. Se la gente davvero si curasse della salute che Dio ha dato loro, impianti genetici e prostetici non sarebbero necessari.»

    Pensai di menzionare i casi di cancro ereditario, di diabete tipo I, le amputazioni e, in generale, le innumerevoli diagnosi neonatali legate a bassa aspettativa di vita e gli altri problemi che possono essere guariti o aggirati per mezzo della terapia genetica o della prostetica, ma evitai di farlo. Non avevo nulla da guadagnare infastidendo una fonte che sembrava disposta a parlare.

    «Albertina conduceva una vita attiva come la sua? Lei sembra passare molto tempo all’aperto.»

    «Ho l’aspetto della pelle conciata, vero?» Rise ancora. «Non c’è ragione di negarlo. Per quanto mi riguarda, questo appartamento è solo un posto dove trascorro i momenti di pausa tra le mie uscite e le attività all’aperto. La mia vera vita è tra le montagne.»

    Annuii mostrandogli la mia totale comprensione. La città giace in quello che potrebbe essere descritto come il fondo di una ciotola. Il bordo che ci circonda da ogni lato è una catena montuosa, un complesso di montagne dalle pareti non troppo ripide, coperte da foresta (quasi) vergine percorsa da corsi d’acqua e cascate marcati qui e là da spiagge di ghiaia, e tagliata da parchi e sentieri per gli escursionisti.

    «Per rispondere alla sua domanda», continuò Olavo, «Albertina era attiva tanto quanto me, persino di più, fino a sei mesi fa.»

    «Ma era praticamente cieca per le cataratte, e la sedia a rotelle…»

    «È vero che le sue gambe non funzionavano più, ma quella sedia a rotelle levitava su rocce, fiumi, erba, qualunque cosa ci fosse! E per quanto riguarda la cecità, non era mai da sola e lei non ha idea di cosa siano capaci i sistemi radar e sonar al giorno d’oggi. Albertina amava la campagna, gli spazi aperti, il vento tra i capelli…»

    «Amava? Cosa successe?»

    Scrollò le spalle.

    «Improvvisamente, nulla parve più interessarle. Cose che le sembravano facili da fare, diventarono sfide che non valeva la pena di affrontare. Era terrorizzata di lasciare la sua casa con la sedia, come se il sonar della macchina non fosse più preciso di un cane guida. Lei… lei…»

    I suoi occhi si inumidirono. Sbatté con forza il bicchiere di succo d’arancia che aveva in mano sul piano del tavolo. Il rumore fu potente, sconcertante, ma la superficie di vetro resistette.

    «Non dovrei raccontarglielo», disse infine, la sua voce roboante ridotta a un tono quasi confidenziale, «ma in fin dei conti non è un segreto. Avemmo quasi una lite in proposito, in Chiesa. Prima che lei smettesse di venire.»

    «Sì?»

    «Era come se Albertina avesse deciso di essere una invalida. All’improvviso.»

    Dopo qualche attimo di silenzio, chiesi: «Non ha mai parlato di scappare, sparire, andare via?»

    Scosse la testa.

    «E lasciare suo figlio? Per nessun motivo. Il ragazzo era la sua vita.»

    «E se avesse deciso di scappare, se improvvisamente si fosse stancata di suo figlio, o se suo figlio fosse morto? Con chi sarebbe potuta andare via?»

    «Con me. E io sono ancora qui.»

    Lo ringraziai e me ne andai.

    * * *

    Misi la macchina in autopilota e chiamai la mia cliente.

    «Suo marito aveva amici in azienda?»

    «Amici?»

    «Amici, persone con cui poteva tranquillamente uscire la sera per bere qualcosa…»

    «Aveva me. E comunque, negli ultimi tempi sua madre occupava la gran parte del suo tempo libero.»

    Donne. Respirai a fondo prima di continuare.

    «Ci sono cose che un uomo direbbe a un amico al bar e non a sua moglie. Fidanzata. Ragazza. Madre. Quel che è.»

    La linea restò silenziosa per qualche istante. Mi chiesi se fosse caduta. Poi la voce di Sabrina tornò, un po’ più fredda che al principio.

    «Noi non lavoravamo assieme. Le nostre aree erano differenti: lui era un ingegnere, io mi occupo di ricerca pura. Lui, però, mi parlava di un tizio… Antonio qualchecosa. Del suo dipartimento. Applicazioni dei biocombustibili. Andavano a prendere una birra, di tanto in tanto. O almeno, questo è quanto Raul mi ha detto.»

    «Lo ha indicato come testimone?»

    «No. I miei testimoni sono soprattutto le mie amiche e le persone delle Risorse umane e della Sicurezza che registrano tutte le relazioni in azienda e…»

    «Grazie. Mi potrebbe dare il contatto di uno di questi amici?»

    Lei esitò un attimo – pensando che i Puritani avevano già reso un inferno la vita delle ragazze e così via – ma non più di tanto, e finì per darmi i dati. La ringraziai e chiusi la comunicazione.

    * * *

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