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Peccati Mortali
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E-book218 pagine2 ore

Peccati Mortali

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Info su questo ebook

La chiamata era giunta quella notte...
Un input per l’assassino, che con ciò dà inizio alla sua “opera di purificazione”.

Ma anche una notizia inattesa o un flash della memoria che può cambiare il corso d’una vita.
È ciò che succede a Lena, bella e gelida procuratrice della repubblica, con lo strano rapimento della figlia quattordicenne e la misteriosa ricomparsa d’un marito creduto morto da anni.

È ciò che succede a Mark, poliziotto extra-regole da poco promosso vice questore, che indagando su una serie di efferati delitti legati a un passato di fantasmi mai esorcizzati, ritrova anche l’unica donna che abbia mai amato.

E che succede a Irene, poliziotta della mobile e vittima di violenza, che con coraggio affronta quegli stessi fantasmi e ha l’intuizione giusta per iniziare a far luce su rapimento e delitti.

E proprio LUX è la parola con cui si firma l’assassino, nella sua crudele messinscena di morte. Anche se la spiegazione potrebbe riferirsi a qualcosa di molto diverso dalla luce...

Un thriller su un passato di ombre non ancora dissolte.


L’AUTRICE

Alessandra Santini è autrice di romanzi e racconti di genere thriller/poliziesco.
Interessata a indagare il lato oscuro delle cose e i misteri della mente umana, ha dato vita a una serie di personaggi che si muovono in un mondo reale, affrontando le proprie ansie e le sfide dell’esistenza, sullo sfondo d’una Roma colorata, trafficata e intrigante, e della misteriosa terra etrusca.

In qualità di “esperta”, nel 2018 ha incontrato gli studenti dell’Istituto Cazzulani di Lodi per un seminario sul racconto giallo, e in particolare sul suo libro Verità sospese. Nello stesso anno, la sua commedia Delitto alla finestra è stata rappresentata a teatro.

I suoi libri Istinti perversi, La stele nera, La voce del mare, Canto d’inverno, Verità sospese, Piccole tracce, Sigilli di morte, Punto di fuga, Trame di luce, La settima vittima, Doppio inganno, Alba letale, Gioco d’ombre e Rime dall’inferno, pubblicati dal 1999 al 2018, hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti letterari.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2019
ISBN9788832530858
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    Peccati Mortali - Alessandra Santini

    Santini

    Prologo

    La chiamata era giunta quella notte.

    Un alito di vento tiepido, malgrado l’inverno e la finestra chiusa.

    Perciò aveva capito: era il momento. Le forze del bene lo stavano chiamando.

    Negli anni di studio e preparazione, osservando il mondo e i suoi peccati, aveva compreso anche questo: la chiamata sarebbe giunta solo quando fosse stato pronto. E adesso evidentemente lo era.

    Il lavoro da fare era tanto, il compito davvero arduo, ma sapeva di potercela fare.

    Così come era stato per colui che l’aveva preceduto e che, nonostante il turbine di forze contrarie che gli si erano scagliate contro con violenza diabolica, era riuscito a portare a termine l’opera di purificazione. Un attimo prima della fine.

    In sua assenza, l’offensiva del maligno aveva ripreso vigore e il mondo era precipitato sempre più in basso. Solo caos intorno, niente regole né disciplina. La tenebra più profonda. Perciò era stato scelto: proprio lui, proprio adesso.

    Lui che per anni aveva letto, studiato, meditato, seguendo rigorosamente le regole. Proprio lui adesso era chiamato ad agire. E punire.

    Solo con la penitenza e la punizione si può sperare nella remissione dei peccati, avrebbe detto il maestro… Parole che per lui erano un comandamento.

    Si alzò lentamente, aprì lo stipetto con la piccola chiave che portava sempre con sé e ne tirò fuori i pochi, essenziali oggetti che l’avrebbero aiutato a portare a termine il compito affidatogli. Lo fece col cuore pieno d’una profonda tristezza… A questo si doveva arrivare?

    Per tutta risposta, l’alito tiepido tornò a sfiorargli il viso, portandogli alle orecchie il suono di una nenia terribile: …de septem peccatis mortalibus…

    E ancora: …perciò stabilì gravi pene contro questo peccato... se una schiava fosse presa in tal peccato doveva esser battuta a morte con verghe…

    «Va bene» mormorò scuotendosi. «Ho compreso.»

    Dette un’ultima occhiata alla stanza silenziosa, richiuse lo stipetto e uscì nella notte.

    Ormai sapeva dove si nascondesse il peccato. Soprattutto nel corpo di chi.

    E da quel corpo l’avrebbe estirpato.

    ***

    Era buio dentro di lui. Buio e freddo.

    Come un antro impenetrabile, un muro di nulla che ostruiva il passaggio. E intrappolava chi vi si trovava dentro.

    Si guardò allo specchio senza vedersi: in quel buio ci stava da anni. E nessuna luce era comparsa in fondo al tunnel. Nessuna mano gli era stata tesa per risalire l’abisso.

    Si guardò allo specchio e solo allora capì di essere un altro. Era morto e rinato in una nuova vita − diversa, aliena, vuota d’amore e d’opportunità.

    Gli era stato imposto da un potere forte, superiore a tutto. E non aveva avuto scelta: accettare, da solo, condannando se stesso, la propria vita e chi ne faceva parte. Nessuno gli aveva teso una mano per uscire dal nulla.

    Si accorse del ronzio del cellulare soltanto al sesto squillo. Fu tentato di non rispondere, ma quello stesso potere glielo impose.

    Sfiorò il telefono, lo prese con calma, premette reply.

    E per la prima volta un suono emerse dal nulla.

    «Non dica e non chieda niente» si sentì sussurrare da una voce profonda e gelida come il ghiaccio. «Ho quelle informazioni...»

    Restò in silenzio ad ascoltare e solo alla fine mormorò: «Pronto… Mi sente?»

    Ma dall’altra parte avevano già riattaccato.

    Allora chiuse il cellulare e con calma tornò ad osservare lo specchio.

    Luke O’Connell – cinquantasei anni, irlandese, cancellato ed esiliato dalla vita – era ancora lì, respirava. E il suo fiato appannava lo specchio. Non era un fantasma.

    Quella voce profonda e gelida, quel tono… e le informazioni che tanto aveva atteso.

    Si lasciò scivolare a terra, contro il muro, sulla moquette blu dell’hotel a picco sul mare. Sentiva la risacca e il vento che girava intorno. Era freddo e buio anche fuori, non solo dentro di lui. Era inverno. Ma finalmente c’era una luce in fondo al tunnel.

    Ora poteva tornare. E fare ciò che andava fatto.

    1

    La notizia dell’assegnazione a un’altra procura, annunciata da voci di corridoio e paventata da chi con lei lavorava da anni, era giunta sotto forma di freddo telegramma: destinazione Aosta. Periferia dell’impero.

    Succedeva sempre così quando cambiavano i vertici: nuove nomine, decisioni diverse. E persone che venivano spostate come pedine su una scacchiera. Quasi fosse una punizione. O un modo per allontanarle da scomode verità.

    Lena Quintili, procuratore della repubblica, sapeva sin dall’inizio che prima o poi sarebbe successo. Ma aveva sempre sperato che quel giorno non arrivasse mai. Soprattutto per sua figlia – quattordici anni appena, di cui sei orfana di padre.

    Arrivata a casa con lo stomaco in rivolta, aveva scaraventato il telegramma sul tavolo e acceso la tv per riempire un silenzio che sembrava incolmabile.

    Fu quasi per caso che udì la voce del giornalista annunciare:

    «Arrestato Pedro Cortez, ex segretario di stato vaticano…»

    Allora si precipitò davanti al monitor, alzò il volume.

    «…Ricercato dalle polizie di mezza Europa, l’uomo è stato fermato all’aeroporto di Dublino poco prima dell’imbarco.

    Da tre mesi infatti Pedro Cortez era tornato ad essere un comune delinquente, un latitante. Da quando il nuovo pontefice l’aveva sollevato dall’incarico di segretario di stato, togliendogli al contempo l’immunità diplomatica. Rendendolo un cittadino qualunque che, se riconosciuto colpevole, doveva essere arrestato.

    Il neo-papa infatti ha dato subito una svolta in Vaticano: aria nuova, pulita. E il primo a saltare è stato Cortez: un assassino per la polizia. E anche per il pontefice, che ha così interrotto l’opera di protezione del suo predecessore…»

    Lena restò impietrita. Arrestato Pedro Cortez…

    Per milioni di persone, e per il giornalista che già passava alla notizia successiva, un caso come tanti. Un nome fra tanti. Per tutti forse. Ma non per lei.

    Accidenti, quasi non ci credeva. Dopo anni d’indagine, tanti morti e un ferito grave – il poliziotto onesto e tenace che Cortez aveva quasi ammazzato perché non arrivasse alla verità – la storia si chiudeva così, quasi sotto tono.

    Il vuoto allo stomaco divenne un’onda di piena e Lena dovette imporsi la calma per non esplodere. I giornalisti l’avevano saputo prima di lei, che pure aveva avviato l’indagine e ne aveva seguito gli sviluppi, fidandosi dell’intuito e delle folli ipotesi di un commissario di polizia fuori dalla norma e privo di regole.

    Perché nessuno s’era degnato d’avvertirla? E perché le novità arrivavano soltanto attraverso freddi telegrammi e notiziari tv?

    «Va bene così» mormorò fra sé, ingoiando l’onda di piena.

    Mai avrebbe immaginato che la chiusura d’una storia tanto complicata ne avrebbe riaperta un’altra sulla quale ormai non doveva esserci più nulla da dire. Né che il passato sarebbe riapparso, violento come un tornado, a scuotere ogni certezza. E a ferire nuovamente il suo essere giudice, donna, madre… Col discorso trasferimento ancora da accettare. E Sarah da affrontare. Sarah che…

    «Ma’, che c’è per cena?»

    La voce di sua figlia la fece tornare alla realtà. La cena, certo. Si sforzò di sorridere.

    «A te cosa andrebbe?»

    La mattina dopo Sarah era uscita di casa molto presto. Cosa davvero strana, per una dormigliona come lei. Ma gliene aveva spiegato il motivo solo imboccando le scale: gita con la scuola, destinazione Tarquinia. Ed era già in ritardo.

    «Ci vediamo stasera» aveva detto.

    «A che ora è previsto il rientro?»

    «Alle cinque, ma tanto tu torni più tardi. Ciao!»

    Lena aveva sorriso con tenerezza, poi era rientrata per andarsi a vestire. Tailleur blu e capelli legati, per un’udienza abbastanza importante, che forse le avrebbe preso gran parte della giornata. Probabilmente l’ultima prima del trasferimento.

    Era rincasata alle sei del pomeriggio, stanca e con un’emicrania latente che di sicuro le avrebbe spaccato la testa di lì a pochi istanti. Una bella doccia, aveva pensato…

    Ma Sarah non c’era. Alle cinque, aveva detto. Il tempo di tornare, accompagnata dal padre della sua amica Giorgia, forse il traffico…Non s’era voluta preoccupare.

    Aveva fatto la doccia. Ed erano già le sette e mezzo. Ma sua figlia non si vedeva. Né chiamava. Nemmeno un sms…

    L’emicrania era scoppiata violenta, insieme all’ansia per quel ritardo ingiustificato.

    Lena detestava fare la madre apprensiva, ma alla fine afferrò d’istinto il cellulare e la chiamò. Utente irraggiungibile. Stesso risultato con Giorgia.

    Allora telefonò a casa dell’amica.

    «Siamo tornati da un paio d’ore» si sentì rispondere dal padre della ragazza.

    Voce gentile, che però tradiva una certa ansia.

    «Pensavo che accompagnasse anche mia figlia…»

    «L’avrei fatto volentieri, se Sarah ci fosse stata. Ma non c’era.»

    «Come non c’era? Che significa?»

    «Giorgia aveva detto che anche Sarah sarebbe andata alla gita, ma a quanto pare non è stato così. Dice che stamattina non s’è presentata davanti scuola e il pullman, dopo aver atteso più di mezz’ora, è partito…»

    «Cosa? Non s’è presentata? Ma è uscita prestissimo…»

    «Mi dispiace, signora, io…»

    Lena sbatté giù la cornetta. Dov’era finita Sarah?

    La chiamò di nuovo, tre, quattro volte… Utente irraggiungibile. E poi ancora, prima di decidersi a telefonare al poliziotto. E dare finalmente sfogo all’ansia provata.

    «Le è successo qualcosa» disse col fiato corto.

    «Stai calma» mormorò lui. «Forse ne ha combinata una delle sue.»

    «Non provocarmi» ruggì Lena fuori di sé. «Aiutami invece.»

    «Appena posso ti raggiungo. Adesso…»

    «Hai altro da fare, giusto?» lo interruppe.

    Silenzio dall’altra parte. Poi: «…sto andando sul luogo d’un probabile delitto: donna ammazzata in casa sua» concluse freddo.

    Lena allora si lasciò scivolare addosso al muro, come chi non ha più la forza di reagire. Era successo qualcosa a Sarah, il poliziotto aveva da fare e lei era sola.

    Per la prima volta dopo anni capì d’avere paura.

    La chiamata al 113 era arrivata alle nove e sette minuti e l’operatore aveva subito pensato al solito perditempo che, in quella fredda e piovosa notte di febbraio, non aveva niente di meglio da fare. Perché la voce maschile all’altro capo del filo, ansiosa e traballante, aveva esordito con un: «Dovete venire subito… Credo che sia morta…», seguito da un prolungato, preoccupante silenzio.

    E c’era voluta davvero molta pazienza per arrivare a capirci qualcosa. Quel tanto da passare la linea alla mobile, che avrebbe deciso se intervenire o meno.

    Ma i due agenti di pattuglia che si trovavano in zona avevano trovato davvero una donna morta nell’appartamento al primo piano di piazza Mincio, rione Coppedè. E a loro volta avevano chiesto l’intervento della omicidi.

    Il commissario capo Mark Terzi – anzi, da qualche mese vice-questore, benché non ne avesse ancora preso coscienza – era stato avvertito un attimo prima di ricevere la telefonata di Lena Quintili e la notizia della scomparsa di Sarah.

    Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, gli venne da pensare, chissà per quale strana associazione d’idee. O vago ricordo di studi giuridici cui aveva dato seguito solo per diventare ciò che era: un poliziotto. Di quelli che vanno sempre sul luogo del delitto, anche se sono stati promossi e potrebbero restarsene comodamente in ufficio. E osservano, cercano, fiutano, interrogano. Fino ad avere l’intuizione giusta per beccare l’assassino.

    Era stato sempre così e nessuna promozione l’avrebbe fatto cambiare. Mark Terzi seguiva il proprio istinto e aveva regole tutte sue, non necessariamente ortodosse.

    Parcheggiò accanto all’auto di pattuglia, proprio davanti allo stravagante palazzetto di piazza Mincio da dove era partita la segnalazione. La pioggia cadeva sottile ma fitta e l’agente rimasto ad aspettarlo se la stava prendendo tutta, stoicamente. Stupidamente, pensò Terzi correndo dentro al portone.

    «Primo piano, dottore» si sentì dire. «Il mio collega è di sopra, insieme alla persona che ha chiamato il 113.»

    «Bene» approvò lui. Poi gli sfuggì un sorriso e aggiunse: «Puoi anche ripararti: non serve che ti bagni fino alle mutande!»

    Ma la voglia di scherzare gli passò appena mise piede nell’appartamento al primo piano – solo l’interno sul campanello, nessun nome. Strana gente abitava nel rione Coppedè, zona originale e aristocratica di uno dei più eleganti quartieri capitolini. E vi moriva anche, in modo ancora più insolito.

    La donna giaceva, scomposta e tumefatta, in quella che doveva essere stata una bella stanza da letto e che adesso sembrava un campo di battaglia. La moquette zuppa di sangue, col letto disfatto e le pareti schizzate. E lei a metà fra moquette e parete di fondo, seminuda, straziata, irriconoscibile. Poteva avere una trentina d’anni e forse era stata molto bella, attraente. Forse…

    Il secondo agente di pattuglia sbucò dal corridoio e s’affacciò nella stanza senza avere il coraggio d’entrare.

    «Ha visto che macello, dottore?»

    Mark Terzi scosse la testa e, come ogni volta da venticinque anni, malgrado i tanti cadaveri e i più efferati modi di uccidere cui aveva assistito, un vuoto d’orrore gli aggredì lo stomaco. E, come ogni volta, dovette farsi forza per non vomitare.

    «Medico legale e scientifica?» chiese distogliendo lo sguardo.

    «Avvertiti. Stanno arrivando.»

    «Sappiamo qualcosa di lei? Viveva qui?»

    «Ho provato a chiederlo al tizio che l’ha trovata, ma non è semplice farlo parlare. È stravolto, balbetta. Comunque gli ho detto di sedersi e aspettare: se vuole parlarci, sta ancora in salotto» indicò vagamente verso il corridoio. «Da ciò che ho capito, era venuto qui perché aveva un appuntamento con lei. Enza, l’ha chiamata. Ho l’impressione che fosse… Ma no, non importa.»

    «Cosa?»

    «Una prostituta, dottore. Ma di alto bordo. Ha visto che casa, che quartiere?»

    L’aveva notato infatti. E pensato la stessa cosa. Ma per averne la certezza dovette attendere l’agente Moretti, che arrivò pochi minuti dopo con qualche notizia in più.

    «L’appartamento è intestato a Lorenza Masi, trentasei anni, nubile, di professione accompagnatrice» informò l’agente. «Nel quartiere è nota come Enza, prostituta che riceve in casa solo uomini molto selezionati. Alta società, insomma.»

    Insieme a lui – da un paio d’anni sconclusionato marito di sua figlia Valentina – era sopraggiunto anche Alex Ricci, medico legale dai modi alternativi e un’intelligenza fuori dal comune. Della scientifica invece ancora nessuna traccia.

    «Cerchiamo di saperne di più» disse Terzi a Moretti. «Parenti, conoscenze, ultimi contatti e movimenti. Anche da facebook, se necessario.»

    Poi, insieme a Ricci, tornò nella stanza degli orrori.

    «A prima vista, si direbbe uccisa a bastonate» sussurrò il medico legale scansando delicatamente una ciocca di capelli rossi dal volto insanguinato della donna.

    Che doveva essere stata molto bella: le bastonate non erano riuscite a cancellarne i lineamenti delicati, il verde colore degli occhi, le labbra sottili. Non del tutto. Mentre la vestaglia semiaperta lasciava intravedere un corpo giovane, proporzionato. Un’altra vita spezzata, probabilmente senza perché.

    Alex Ricci misurò la temperatura corporea, poi guardò l’ora e aggiunse: «È morta da circa tre ore, presumibilmente fra le otto e le nove. È ancora calda e il rigor mortis non è ancora iniziato. Per il

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