Nella valle le origini della giustizia
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Anteprima del libro
Nella valle le origini della giustizia - Antonio Dibenedetto
Spigarelli
Capitolo I
La scalata verso il cielo
Dalla sommità di quell’altura, vi era una pace che rasserenava l’animo, tant’è che era quasi probabile un contatto con l’Altissimo, Colui che, con il compimento del Creato, aveva racchiuso in quella zona una tale miriade di colori, sapientemente uniti in una commistione celestiale difficilmente riproponibile in un ipotetico, quanto reale, disegno.
Quella bellezza era stata preservata inviolata dal tempo che imperterrito faceva sfiorire ogni cosa, ma non quella rigogliosa natura che ogni volta si presentava con una decisa e meravigliosa prosperità, fornendo all’occhio umano una tale e forte emozione che rendeva, quasi inconsapevolmente, uno stato di esaltazione incredibile, con lacrime di gioia che inumidivano gli occhi di chi si fermava ad ammirare cotanto splendore.
Un’alba meravigliosa stava pian piano rivelandosi nella nascita di un giorno qualunque di fine settembre. Il profumo nell’aria era ancora molto intenso, inebriando al solo accenno di respiro. Il calore del sole non era più così elevato ma tipico di un’estate appena trascorsa. Da qualche giorno, infatti, persisteva un’umidità che, specie al tramonto e all’alba, quasi fosse un solito appuntamento, si palesava con quella sua imponente presenza insinuandosi pian piano e penetrando nelle ossa.
Non risparmiava nessuno, a maggior ragione chi, in là con gli anni, pur avendo il fisico debilitato dal tempo trascorso, si era arrampicato, quasi arrancando, su quell’altura. Il suo era quasi un pellegrinare. Anche se il suo medico e i suoi familiari gli avessero vietato quella lunga ed estenuante passeggiata, lui, imperterrito, non avrebbe assolutamente rinunciato a quella che riteneva la sua ultima missione. C’era una promessa da mantenere!
Come faceva tutti i giorni da ormai diversi anni, anche in quella giornata non volle desistere. Richiamando le esili forze rimaste, a stento arrivò in cima, prima che il sole si rivelasse del tutto.
Ma quello sforzo immane era ripagato dalla bellezza che si trovava lassù, era l’unico posto dove si godeva di una vista meravigliosa, pareva essere quasi irreale con quelle sfumature di colori ben definiti che erano davvero unici, inimitabili.
Come gli accadeva da qualche tempo, si commosse mentre era seduto su di una specie di seggiola ricavata dal tronco di un albero che si era piegato, formando quella strana seduta quasi a voler rendere omaggio a chi si appostava da lassù.
L’anziana figura, riavendosi dalla fatica che aveva compiuto, si rilassò ammirando il sorgere del sole che con quei flebili raggi, a mala pena tiepidi, lo accarezzava quasi a voler asciugare quelle copiose lacrime che gli solcavano le gote. Quella figura, che stancamente si era distesa su quell’altura, con occhi di un eterno ragazzino che a volte chiudeva per comparare quelle immagini ai ricordi che aveva immagazzinato nel corso degli anni, era rimasta inerme, facendosi dolcemente cullare dal soffio della brezza di cui gustava ogni minimo afflato.
Tutto era rimasto uguale, benché fossero trascorsi diversi anni: lui era solito arrampicarsi su quell’altura ogni volta che poteva insieme a sua moglie.
Negli ultimi anni quelle loro arrampicate erano divenute un’azione quotidiana, a maggior ragione da quando aveva lasciato il lavoro; riversavano in quel loro costante appuntamento tante aspettative, sapendo di poter godere di quel benessere che era trasportato da quell’aria salubre che arrivava dal sud, calda e nello stesso tempo inebriante: era l’auspicio migliore per iniziare al meglio la giornata, quasi fosse una sorta di benedizione che richiedevano dal Padre Celeste.
Non avrebbe mai voluto interrompere quella vitale consuetudine, l’aveva promesso a sua moglie che l’aveva lasciato solo, prematuramente, nella vita terrena: il suo incessante amore l’avrebbe portato, sin che le forze non l’avessero abbandonato, in quel posto che era per lui una sorta di ricongiungimento con la sua dolce e amata Dora, come se da quel posto il contatto con lei fosse ancora reale.
Il loro amore, nonostante il distacco tormentato, era ancora vivo e si sarebbe nuovamente rinsaldato, questa volta in maniera definitiva, nel momento in cui ci fosse stato il loro ultimo incontro nella valle dorata, dove lei l’avrebbe atteso di lì a poco.
Quando quel flebile raggio di sole divenne più insistente, rese visibile quella figura irrorandone l’immagine: era Tony Blender che, sebbene in là negli anni, era rimasto sempre tenace nell’affrontare le insidie della vita e, nonostante la sua veneranda età, credeva fermamente che la sua missione terrena non s’era ancora compiuta in maniera definitiva.
Ci doveva essere ancora un qualcosa che avrebbe completato la sua esistenza: la sua esperienza e i suoi ricordi da riversare sui suoi figli e nipoti. Dora nella loro vita coniugale ne aveva partoriti ben tre, due maschi, il primogenito Jeremia e l’ultimo arrivato Steven, e una femmina, la secondogenita Florinda.
I suoi tre figli avevano messo su famiglia e il buon Tony era nonno di ben sei nipoti, due per ogni suo figlio. Il più piccolo della progenie era Charlie, che aveva circa otto anni, molto vivace e attento a ogni cosa che gli si presentava davanti agli occhi: si interessava a tutto, era abile e perspicace oltre modo per la sua età. In un certo senso Tony stravedeva per lui.
Il nostro vecchio amico però, anche se non aveva occhi che per il piccolo Charlie, non lesinava di dispensare il suo affetto anche per gli altri nipoti, di qualche anno più grandi: erano tutti ugualmente importanti nella sua vita e sembrava trarre energia dalla loro vivacità.
Il signor Blender aveva continuato a vivere in quella casa che Dora aveva ereditato dai suoi genitori, allorquando era rimasta sola con la madre Elvira. Lui era divenuto l’unica presenza maschile, essenziale supporto per le due donne, dopo la dipartita forzata prima del giudice Person, quindi di suo figlio Robert (vgs. Sulla valle l’ombra del passato).
In quella casa c’erano i ricordi di tanti anni vissuti con profondo amore di sua moglie e dei suoi figli che, per una scelta di vita lavorativa, avevano lasciato quella terra sebbene a malincuore. Avevano promesso agli anziani genitori che sarebbero tornati in quel posto, con assoluto piacere, ogni volta che potevano, perché era divenuta con il tempo simbolo di benessere e tranquillità.
Anche se il lavoro assorbiva ogni momento della loro vita, i figli di Tony, specie nel fine settimana, amavano staccare ogni contatto con quella vita frenetica e vi cercavano rifugio: ogni benché minima possibilità era ottima per ritrovarsi tutti insieme dinanzi a quel focolare domestico che aveva forgiato le loro vite adolescenziali, di una vita familiare coesa sino all’inverosimile e che continuavano a tenere ben presente per poterla tramandare ai propri figli.
Quella vicinanza era divenuta più fattiva e costante negli ultimi mesi: di fatto non avevano mai lasciato solo l’anziano genitore, specie dopo la morte della loro mamma. Con frequenza tornavano nella casa paterna, allietando ogni presunta sofferenza dell’anziano genitore, con il loro amore che non avevano mai fatto mancare, divenuto vitale sostentamento affettivo, necessario per le persone in età avanzata.
Vi erano poi le grida gioiose e festanti, alla vista del nonno, dei loro pargoli che ravvivavano oltremodo l’austera atmosfera che si era instaurata in quella magione. Il calore della famiglia aveva da sempre protetto Tony dall’imperversare di quella malinconia che in modo latente s’insinua e mina le sicurezze di ogni vita.
Capitolo II
Il calore della famiglia
Tony aveva sempre saputo scindere ogni cosa da situazioni deleterie per i suoi affetti: anche se gli mancava terribilmente sua moglie, non si era mai fatto sopraffare dal malessere di essere rimasto solo. La sua mente era sempre rimasta vigile e in questo era aiutato anche dalla forza del loro sentimento incessante, che non era mai venuto meno negli anni.
Ora che lei non c’era più, tutto sembrava essere ancora più presente: il suo distacco non era mai avvenuto in maniera definitiva, corroborato dalle visite quotidiane al sepolcro dell’amata Dora. Sebbene fossero davvero estenuanti le lunghe passeggiate per raggiungere quell’altura, lui non ne accusava il peso, anche grazie alle innumerevoli soste dovute a quella fatica irrinunciabile.
Arrivato in quel posto che riteneva quasi sacro, Tony amava raccontare alla sua amata, in una sorta di monologo, ogni accadimento giornaliero e tutto ciò che si svolgeva nella loro casa: queste sue sortite erano divenute per lui sempre più una ragione di vita. Se per altri avrebbe potuto assumere un contorno illogico relegandolo a un contatto unilaterale, per lui in quel luogo tutto diveniva più concreto, reale; tal volta raccontava ai suoi figli di aver conversato con Dora e in più di un’occasione aveva avuto la sensazione che lei teneramente gli avesse persino baciato una guancia.
Per qualcuno quelle magari sarebbero potute essere considerazioni di una persona anziana che si avviava verso la conseguente perdita di senno, ma per Tony non era così: in lui vi era la forza di quell’amore puro, che aveva il potere di materializzarsi se lo si desiderava fermamente.
Era sempre stato razionale nelle sue esternazioni, non si lasciava sopraffare da azioni scaturite da emozioni forti: per lui ogni cosa aveva un perché, una motivazione salda, non vi erano per lui false illusioni, era stato forgiato da ideologie pure e solidi dettami inculcati nell’accademia di polizia, che gli erano servite anche nella vita.
La sua carriera in polizia era divenuta sempre più importante sino al raggiungimento del comando del commissariato; in tutto questo tempo era stato amato da ogni singolo componente di quell’operoso reparto. Dall’agente sino all’ufficiale, in lui ognuno vedeva il proprio punto di riferimento con cui confrontarsi, credevano ciecamente in lui; si lavorava alacremente su ogni caso e la sua propensione per il lavoro era impagabile. Era apprezzato non solo dai colleghi, ma anche dall’autorità giudiziaria che ne aveva sempre tessuto le lodi definendolo funzionario irreprensibile di polizia e concedendogli una fiducia incondizionata. Anche tutti gli organi di stampa gli avevano riconosciuto una stima che era accresciuta nel tempo, di pari passo con quel suo impegno che era sempre stato impagabile.
Dora però, bonariamente, gli aveva sempre rimproverato che il suo prodigarsi era divenuto insostenibile per una persona normale. Dopo tante ore di lavoro in ufficio, aveva ancora delle energie da profondere, non si risparmiava mai e donava tutto il suo amore in famiglia: per lei e i suoi figli lui c’era sempre e potevano contare sul suo apporto in qualunque momento della giornata, per loro Tony era divenuto come un invincibile supereroe.
Anche quando aveva lasciato il servizio attivo, i colleghi e il nuovo commissario gli chiedevano consigli e pareri su fatti sempre nuovi di polizia. Lui era sempre rimasto il Tony che avevano conosciuto: gli anni avevano appesantito il suo fisico ma la sua mente era rimasta sempre un passo avanti agli altri, metteva sempre a disposizione la sua esperienza in maniera incondizionata, gli piaceva essere un valido supporto, elargendo il suo sapere a chi ne richiedesse assistenza.
Era solito intrattenersi, in particolar modo, dopo cena con i nipoti. Si radunavano in soggiorno davanti al fuoco acceso del camino e ascoltava le richieste dei piccoli, che erano numerose e perentorie. Non volevano favole come fanno di solito i bambini, ma volevano dal nonno esperienze di vita vissuta, racconti legati alla sua carriera in polizia ma anche della sua vita di quand’era giovane.
Tony aveva assecondato sempre le loro richieste con aneddoti legati alle sue azioni di polizia nella sua lotta continua contro il crimine. Nei suoi racconti però, benché minuziosi e ricchi di particolari, c’era sempre un aspetto che cercava di omettere, vista la giovane età dei nipoti: le azioni più cruente erano decisamente monche per non impressionarli.
Oramai durante il rituale del dopo cena era solita l’adunanza intorno al tepore domestico. Mentre Tony stava prendendo posto nella sua poltrona ed era pronto ad iniziare il suo racconto, fu interrotto, ancor prima d’iniziare, dal piccolo Charlie, figlio del suo ultimogenito Steven, che gli chiese: «Nonno, perché non ci racconti di storie legate al tuo passato? Mio padre mi ha raccontato di tuo nonno che è stato come te amante della giustizia e ha aiutato la polizia ad arrestare persone cattive».
Tony di primo acchito rimase incredulo, ma prontamente ricordò che quella richiesta era stata fatta anche da suo padre Steven, quando aveva la sua stessa età. Si vedeva che era proprio suo figlio, pensò, quindi rispose: «Sai, piccolo Charlie, mi fa davvero piacere questa tua richiesta: è un modo per continuare la tradizione di famiglia. Anche tuo padre quando aveva la tua età mi faceva sovente queste richieste. E anche io, quando avevo la vostra età, ho chiesto a mio padre le gesta di mio nonno. Se avrete pazienza voi piccoli, sarò ben felice di raccontarvi ogni cosa».
Capitolo III
Il nonno racconta!
Prese fiato per un attimo, quindi iniziò il suo racconto: «Miei piccoli e cari nipoti, vi racconterò le gesta del vostro avo e mio nonno Tony. Già, proprio così, io porto il suo nome, per essere più preciso, il vostro avo si chiamava Antonio Belluno. Come potete ben notare non è un nome irlandese, infatti si denota la corrispondenza con una città italiana.
Le nostre radici sono legate a quella bellissima nazione che si chiama Italia, ma è anche vero che le nostre origini e discendenze, oltre ad essere italiane, sono anche di estrazione ebraica.
Mio nonno ha dovuto lasciare l’amata Italia con sua moglie Cecilia incinta, che avrebbe partorito mio padre Jeremia dopo pochi mesi, per sfuggire alle brutture di una guerra devastante che ha colpito l’Europa e l’Italia dal 1939 all’aprile del 1945, ma la cosa più crudele furono le leggi razziali fasciste, adottate e imposte dall’alleanza nazista, che colpivano chi aveva discendenza ebraica, e noi, come vi ho appena accennato, eravamo in questa situazione.
Dal 1938, anno in cui furono emanate queste leggi, sino ai primi anni ‘40, la vita per noi divenne man mano sempre più coercitiva: ci avevano recluso in quartieri che chiamavano ghetti, così potevano sorvegliarci meglio.
Gli avvenimenti si susseguirono in maniera sempre più restrittiva nei nostri confronti e presero, per il nostro popolo, delle pieghe davvero ferali sino alla tragica conclusione delle deportazioni, fin dal settembre del 1943, nei campi di concentramento, dove purtroppo decine di migliaia di persone persero la vita nei modi più tragici e cruenti.
Chi poteva scappava, ma non fu facile per il nostro popolo riuscire a sopravvivere: a volte si trovava un nascondiglio sicuro anche nei posti più disparati, molte volte chi aveva del denaro o dell’oro riusciva a barattare la propria salvezza e quella della famiglia con persone senza scrupoli che con espedienti riuscivano a farli scappare in zone più tranquille, ma a volte, intascato il lascito, venivano consegnati ai nazisti.
Vi starete chiedendo chi sono questi nazisti
, vero? La seconda guerra mondiale coinvolse gran parte dell’Europa e tutto partì dalle manie di grandezza di un personaggio tedesco che voleva far prevalere la razza ariana sulle altre. Questo lo apprenderete quando studierete la storia, ora voglio solo darvi una certa infarinatura di quelle che furono le vicende di quell’epoca.
Comprenderete che, in conseguenza di questa nuova situazione geopolitica, lo stato di guerra in cui si stava vivendo fece terminare ogni sorta di agevolazione